9 Luglio 2025

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    Fuliggine sull’Artico: l’acceleratore nascosto dello scioglimento dei ghiacciai

    Assorbe calore e trasportata dal vento può raggiungere aree lontane come il Circolo Polare Artico di cui è diventato un altro nemico silenzioso: la fuliggine prodotta dagli incendi scoppiati in Canada, Siberia, Alaska e Groenlandia. Gli scienziati del clima hanno osservato che depositandosi sulla neve e annerendo la superficie del ghiaccio, il black carbon riduce la sua capacità di riflettere la luce solare aumentando invece la possibilità di incamerare calore e dunque di accelerare il processo di scioglimento. Calcolando che gli incendi, anche a causa del riscaldamento globale stanno diventando più frequenti, duraturi e intesi, si comprende la preoccupazione della comunità scientifica globale.

    Un velo nero sull’Artico
    Secondo un lungo reportage pubblicato su Bloomberg Green, gli incendi scoppiati in Canada nel 2003 hanno rilasciato enormi quantità di fumo che trasportate dai forti venti sono arrivate fino al Circolo Polare Artico. Gli effetti del black carbon sono stati due: da una parte il carbonio nero ha agito come un acceleratore climatico facendo sciogliere il ghiaccio più velocemente, dall’altra visto che il suolo ha assorbito più calore, ha contribuito ad innalzare le temperature. Un circolo vizioso che rischia ora di trasformare l’Artico in una fonte attiva di emissioni di carbonio. Ma il black carbon non danneggia solo l’ambiente anche la salute umana, visto che è collegato a malattie respiratorie e cardiovascolari.

    Preoccupati gli scienziati del clima
    Quanto di quel carbonio nero contenuto nel fumo ha raggiunto le terre artiche e che danni ha causato? I ricercatori temono che quella coltre di fuliggine apparentemente innocua possa diventare un ulteriore contributo al riscaldamento di quello che è già il luogo che si riscalda più velocemente sulla Terra. Ma le dinamiche del black carbon nell’ambiente artico non sono semplici e non sono state ancora comprese del tutto. Gli scienziati ad esempio non sanno quanto i sistemi nuovolosi che intercettano gli incendi riescono ad intrappolare il calore oppure a riflettere la luce solare, con conseguente riscaldamento o raffreddamento della massa d’aria. Oppure, visto che la potenza del carbonio nero dipende dall’altitudine, stanno cercando di capire cosa determina il livello dell’atmosfera in cui rimane sospeso. E la neve fresca che cade sopra la fuliggine può mitigarne l’impatto?

    Spazio

    Dalle foreste boliviane ai ghiacciai antartici, ecco le prime immagini del satellite Biomass

    di Sandro Iannaccone

    23 Giugno 2025

    Il fumo nero e le conseguenze invisibili
    Sarah Smith è una fisica dell’atmosfera alla Columbia University e sta studiando in che modo gli incendi del 2023 in Canada hanno influenzato la calotta glaciale della Groenlandia. “Al momento quello che sappiamo è che più l’incendio è esteso, più il black carbon riesce a sollevarsi verso l’alto ed essere trasportato dal vento. Stiamo però ancora cercando di capire quanto queste masse d’aria cariche di black carbon possono essere immesse nell’atmosfera, a che livello e quali sono i loro effetti”.

    La storia

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    di Paola Arosio

    04 Giugno 2025

    Tra tante domande c’è però un punto fermo: la diffusione dell’inverdimento artico. Non sembra un caso che la diffusione della crescita di alberi in diverse zone dell’Artico abbia coinciso proprio con l’aumento degli incendi che ha creato condizioni più calde e secche.

    Un pericolo dimenticato
    E pensare che prima degli incendi, i livelli di black carbon in Groenlandia sembravano diminuire, non aumentare. Per averne certezza basta osservare il suo andamento rimasto intrappolato nel ghiaccio che funziona come memoria storica del clima. Partendo dalle carote risalenti al 1700 che mostrano depositi di carbonio associati a incendi boschivi avvenuti in Nord America, i livelli di black carbon cominciano a salire in modo costante all’inizio del XX secolo, quando aumenta la domanda di gasolio da riscaldamento e carbone sia in Canada, che negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale.

    I temi

    Crisi climatica, nessun ghiacciaio ormai è al sicuro

    di Giacomo Tailgnani

    31 Maggio 2025

    Ma le misure successive per migliorare la qualità dell’aria, come l’aggiunta di scrubber alle centrali a carbone, insieme al passaggio a combustibili più puliti, hanno fatto sembrare agli scienziati del clima il problema meno urgente, soprattutto se confrontato ad altri fattori del cambiamento climatico causati dall’uomo. Adesso si torna indietro. “Avevamo le prove che c’era una tendenza al declino del carbonio nero nell’Artico”, ha detto chiaramente Mark Flanner, scienziato dell’Università del Michigan che da anni studia le interazioni tra la criosfera e il clima. Il 2023 però ha cambiato le carte.

    Focus

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    di Paola Arosio

    11 Luglio 2025

    Un impatto globale
    La sfida dei ricercatori adesso è districare i processi generati dagli incendi da una miriade di altri eventi sovrapposti in una regione che funge da scudo climatico per il resto del pianeta. Per capire come il carbonio nero proveniente da una nuova generazione di mega-incendi si inserisca nel mix, Sarah Smith ha iniziato osservando la profondità ottica dell’Aod (Aerosol Optical Depth), un indicatore che misura la trasparenza dell’atmosfera rispetto alla luce solare. Ciò ha permesso di valutare la quantità di radiazione solare assorbita dalle colonne di fumo degli incendi del 2023. Le misurazioni hanno mostrato un Aod da record fino all’Europa occidentale, ha spiegato, e pennacchi di fumo così densi sugli Stati Uniti nord-orientali e sul Nord Atlantico che, in media per il mese di giugno, ha attenuato di due terzi la luce solare.

    L’iniziativa

    Reinhold Messner: “Ecco il mio museo dedicato ai ghiacciai”

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    05 Luglio 2025

    Il team della professoressa Smith però non si è fermato e questa estate spera di ampliare la ricerca grazie alla rete di sensori terrestri “Purple Air” installati in tutta la Groenlandia. Obiettivo: determinare se il particolato vicino al suolo ha avuto un’impennata nel giugno 2023 quando il fumo degli incendi si è spostato sulla Groenlandia. Se lo ha fatto – piuttosto che essere piovuto sull’oceano durante il transito – il passo successivo è collegare i punti per vedere se il carbonio nero ha portato a cambiamenti nella calotta glaciale.

    Biodiversità

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    di Simone Valesini

    09 Maggio 2025

    Le esplosioni negli impianti petroliferi
    Ma i ricercatori che devono cercare di capire come difendere il ghiaccio artico dal black carbon non devono tenere presente solo la fuliggine causata dagli incendi. Ci sono altre fonti come le esplosioni avvenute negli impianti petroliferi e del gas della Russia, oltre gli scarti della combustione del carburante per le navi. Secondo gli scienziati, proprio lo sversamento che si verifica quando le raffinerie bruciano gas infiammabili diventerà la principale fonte di black carbon nei paesi artici entro il 2030. Non solo. Le stagioni più lunghe senza ghiaccio porteranno anche ad un aumento del traffico marittimo nella regione oltre a nuove rotte commerciali aumentando l’inquinamento. “Il calore nell’Artico e la velocità con cui le cose stanno cambiando, ci sta portando oltre i confini di qualsiasi cosa abbiamo visto in migliaia di anni”, ha detto Drew Shindell, professore di scienze della Terra alla Duke University, che ha presieduto una valutazione delle Nazioni Unite sull’impatto del black carbon nella troposfera. Il rapporto ha concluso che circa 0,5°C di riscaldamento dell’Artico potrebbero essere compensati riducendo le fonti di particolato nei prossimi decenni.

    Cosa si può fare
    All’interno dell’Artico, la riduzione dello sversamento negli impianti petroliferi e del gas russi ridurrebbe significativamente le emissioni di black carbon, ha detto Shindell, e limitare il traffico marittimo aiuterebbe a evitare futuri aumenti. È più probabile che le emissioni in Europa viaggino verso l’Artico che verso l’Asia o il Nord America alle medie latitudini, quindi anche il controllo dei combustibili pesanti in termini di carbonio nero, come il diesel, il carbone residenziale e i biocarburanti, aiuterebbe. Ridurre l’uso di combustibili fossili in generale rallenterebbe il riscaldamento globale, il che potrebbe impedire che le condizioni degli incendi peggiorino.

    La ricerca sul black carbon deve essere aggiornata e questo rende ancora più importante il monitoraggio del fumo degli incendi. Gli incendi canadesi in questa stagione hanno già bruciato 4,25 milioni di ettari. Per un po’, è sembrato che le emissioni di black carbon nell’Artico potessero aver raggiunto il picco. Ora, dice Shindell, “ci sono buone ragioni per pensare che invece stiamo andando nella direzione opposta”. LEGGI TUTTO

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    Urban mining: le città diventano miniere di materie prime

    Le nostre città stanno diventando delle miniere. Solo che non tutti lo sanno. Eppure con il ritmo crescente con cui consumiamo prodotti ricchi di materie prime, sempre più rare e preziose, rischiamo di buttar via tonnellate di rifiuti che invece hanno un valore. Oro, rame, alluminio, terre rare, plastica spesso contenuti in oggetti che scartiamo e buttiamo. Si chiama urban mining, ed oggi è uno dei concetti chiave dell’economia circolare: si riferisce al recupero di materie prime e materiali preziosi dai rifiuti prodotti nelle aree urbane, invece di estrarli direttamente da giacimenti naturali. Nelle miniere metropolitane, i rifiuti elettronici, quelli solidi urbani, gli scarti da costruzione e demolizione contengono quantità importanti di metalli rari che possono (devono) essere reintrodotti nel ciclo produttivo. Su questo tema la Commissione Ue sta ragionando in modo strategico e si sta preparando ad introdurre nel 2026, la normativa europea sull’economia circolare, proprio per valorizzare queste risorse che vanno perse. E che se le scartiamo, inquinano.

    Ambiente

    Etichetta energetica anche su smartphone e tablet: cosa cambia per ricarica e riciclo

    di Dario D’Elia

    19 Giugno 2025

    L’Europa e le sfide da affrontare
    Sicuramente, le batterie agli ioni di litio dei veicoli elettrici o di qualsiasi altro dispositivo elettronico, dipendono da materie prime critiche, come litio, nichel e cobalto. Con l’aumento della domanda di queste tecnologie, cresce anche la richiesta dei loro componenti. Specialmente in Europa, che dipende fortemente da paesi esterni per la fornitura di questi materiali. Infatti il Sudafrica fornisce il 41% della domanda dell’Ue di manganese primario, mentre il Cile provvede al 79% del suo litio lavorato. Per quanto riguarda le batterie, la Cina controlla circa il 70% dell’intera catena del valore delle batterie, dalla lavorazione delle materie prime all’assemblaggio. Di conseguenza, l’UE è altamente vulnerabile a carenze.

    Il riciclo per l’UE potrebbe fornire una soluzione sia per stabilizzare l’offerta, che per minimizzare il danno ecologico. Infatti, l’estrazione delle materie prime critiche comporta costi e rischi elevati, in termini economici e ambientali. Per cominciare, le attività di esplorazione per trovare giacimenti di questi minerali possono richiedere anni, senza alcuna garanzia di successo. L’estrazione dei materiali stessi è altamente intensiva in termini di risorse: l’estrazione di 1 kg di cobalto, un componente essenziale di diverse chimiche delle batterie, consuma circa 250 kg di acqua e produce almeno 100 kg di materiale di scarto.

    Economia circolare

    Viaggio nell’impianto che estrae terre rare dai dispositivi elettronici che buttiamo

    di Luca Fraioli

    15 Aprile 2025

    I vantaggi dell’urban mining
    Ecco perché molte economie avanzate stanno considerando il riciclo dei metalli e il potenziamento dell’economia circolare come valore aggiunto per i loro piani strategici. Paesi come il Giappone e la Cina, così come molti stati degli USA, hanno approvato legislazioni relative al riciclo di elettronica e batterie, seguendo l’esempio virtuoso dell’Europa.
    Ma Secondo il rapporto Recycling of Critical Minerals dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), le prime 20 aziende al mondo per capacità di pre-trattamento e recupero di materiali sono tutte cinesi: le prime tre detengono circa il 15% del mercato globale del pre-trattamento e quasi il 20% del mercato del recupero dei materiali. In prospettiva, si prevede che il gigante asiatico manterrà oltre il 75% della capacità globale di recupero dei materiali nel 2030, con gli Usa al 10% e l’Ue al 5% della quota di mercato.
    62 milioni di tonnellate di Raee in discarica
    Ed ecco che torniamo al concetto dell’urban mining, che non riguarda solo le batterie esauste, ma anche la crescente quantità di rifiuti elettronici. Sono 62 milioni le tonnellate di RAEE che nel 2022 avrebbero potuto riempire un milione e mezzo di camion da 40 tonnellate. Invece di finire in discarica possono essere sfruttati come miniere urbane di materie prime secondarie, anche perché recuperare ciò che già possediamo manterrà queste preziose materie prime in Europa. Secondo i calcoli dell’istituto JRC, l’offerta potenziale di cobalto, componente essenziale per batterie ed elettronica, potrebbe ammontare al 42% della domanda dell’Ue entro il 2050.
    Per farlo però, occorre mantenere questi processi in casa. Infatti, anche i RAEE vengono spesso lavorati fuori dai confini europei, per abbattere i costi di manodopera o perché è più semplice farlo nelle strutture dove già sono lavorate le materie prima. Ma qui, c’è necessità di cambiare il paradigma all’interno dell’UE per costruire un’industria sostenibile e competitiva. LEGGI TUTTO

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    Un aiuto alle imprese per installare pannelli solari e impianti mini-eolici

    Nuova opportunità per le imprese che intendono installare pannelli solari e impianti mini-eolici. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha infatti riaperto i termini per il bando dedicato all’autoproduzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nelle piccole e medie imprese. Le domande possono essere presentate dall’8 luglio al 30 settembre 2025 attraverso […] LEGGI TUTTO