26 Giugno 2025

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    Il viburno: caratteristiche e varietà

    Il viburno è una pianta appartenente alla famiglia delle viburnaceae e si trova comunemente in Europa, ma anche in America, Asia e nord Africa. Scopriamo tutte le varietà e le caratteristiche delle singole piante per occuparsi al meglio della coltivazione di questa specie.

    Le caratteristiche del viburno
    Il portamento del viburnum o viburno è di un albero: infatti, si presenta come un arbusto che può raggiungere fino a 5 metri di altezza. Le sue foglie sono ovali, opposte e hanno un margine leggermente dentellato. La parte superiore delle foglie è rugosa, mentre quella inferiore si presenta con un po’ di peluria. Su questa pianta crescono fiorellini piccoli, di colore bianco, e a forma di ombrellino. Spesso è possibile notare questo tipo di pianta per strada, poiché è diffusa comunemente come specie ornamentale nelle aree verdi della città. Durante la stagione primaverile queste piante riescono a dare un tocco elegante proprio grazie alla loro copiosa fioritura. A seconda della varietà che si decide di coltivare, si possono posizionare in piena terra da sole oppure raggruppate con altre per creare una siepe folta. In altre occasioni, però, è anche possibile collocare il viburno in vasi. Essendo una pianta rustica può resistere fino a -10°C, ma cresce al meglio quando la temperatura supera i 15°. Alcuni esemplari possono addirittura resistere fino a -25°C, come nel caso dell’opulus.

    Il terreno e l’esposizione
    Il terreno migliore per la coltivazione del viburno è senz’altro quello drenato: la pianta non gradisce troppa acqua e questa tipologia di terreno favorisce la corretta aerazione. Inoltre, è preferibile avere un terreno ricco, nutrito con letame oppure compost di qualità. Nel caso in cui si decide di mettere in piena terra la pianta del viburno, è necessario considerare anche una distanza di 60 centimetri e un’esposizione in pieno sole/mezz’ombra.

    Le varietà della pianta
    In natura si contano circa 200 specie di viburnum, prettamente a portamento arbustivo, di cui 3 sono comuni in Europa e noti sin dai tempi antichi. Si tratta del viburno tino, il viburno lantana e il viburno opulus. Tra gli esemplari che si possono trovare comunemente nei vivai citiamo i seguenti:

    Viburno tino: è un arbusto sempreverde che può raggiungere addirittura i 4 metri di altezza. Ha foglie ovoidali, verde scuro, e fiori di colore rosa che sbocciano tra novembre e maggio, mostrandosi al proprio interno di colore bianco. I frutti, invece, sono di colore blu e si presentano insieme alla fioritura.

    Viburno lantana: questo arbusto che perde foglie può raggiungere 4 metri di altezza. Ha foglie di colore verde-grigio che si trasformano con l’arrivo dell’autunno. Infatti, il loro colore vira al porpora. I fiori, visibili a maggio, sono di colore crema e lasciano poi spazio ai frutti colorati che da gialli diventano neri quando sono maturi.

    Viburno opulus: anche questo arbusto perde le foglie e può arrivare a un’altezza massima tra i 4 e 5 metri. Le foglie sono di colore verde scuro e diventano rosse in autunno. I fiori sono bianchi e lasciano spazio solo dopo ai frutti di colore rosso.

    Viburno palla di neve: detto anche “pallon di maggio”, questa pianta è molto decorativa e raggiunge ampie dimensioni in altezza e larghezza. È chiamato così per le sue infiorescenze che sembrano proprio delle grandi palle di neve.

    Viburno lucido: è una varietà che si presenta con fogliame molto lucido e di dimensione maggiore rispetto alle altre varietà.

    Il viburno in vaso
    Come si può capire, il viburno è una pianta che si può coltivare in diversi modi e alcune specie sono suggerite anche per la coltivazione in contenitori. Infatti, il viburno si può coltivare anche in vaso, collocandolo così in balcone o nelle terrazze ampie. In questo caso è preferibile utilizzare vasi di 20-40 centimetri con una pianta da circa 80-100 cm. Il rinvaso va eseguito quando la pianta inizia ad essere troppo stressa, selezionando un contenitore di dimensioni leggermente più grandi.

    Il concime da dare alla pianta
    Per far crescere al meglio questa pianta è importante occuparsi anche della concimazione. Un buon fertilizzante deve combinare diversi elementi necessari proprio per la crescita dell’arbusto. In questo caso, è importante sceglierne uno che contenga azoto, potassio e fosforo che favoriscono lo sviluppo di una folta chioma e la resistenza contro le malattie e condizioni più stressanti a cui può andare incontro la pianta.

    Quando potare?
    Con l’arrivo della stagione primaverile, in seguito alla fioritura, è necessario occuparsi della potatura del viburno. Con questa azione, oltre a mantenere in salute la pianta, si permette all’esemplare di fortificarsi per una prossima fioritura ancora più rigorosa. È importante anche rimuovere gli eventuali rami danneggiati, malati o morti e quelli che sono rivolti verso l’interno della pianta.

    Quando annaffiare?
    È necessario annaffiare correttamente la pianta, evitando di farla incorrere nel marciume radicale da troppa acqua. Va comunque considerato che, anche se resiste molto ai periodi di siccità, è necessario controllare lo stato del terreno e annaffiare la pianta, facendo sì che il viburno abbia la giusta idratazione con le temperature calde.

    La propagazione
    La propagazione del viburno si può effettuare attraverso la talea. Questa si può prelevare direttamente dall’arbusto, ma attenzione poiché non dovrà essere eccessivamente verde. È sempre meglio selezionare delle parti legnose per la propagazione attraverso la talea. A questo punto, si può collocare il rametto in terra drenata e leggermente umida, aspettando che spuntino le radici.

    Le malattie e i parassiti in cui può incorrere la pianta
    Il viburno è una pianta abbastanza resistente, tanto che non soffre per il troppo caldo e il troppo freddo, ma odia i ristagni idrici che possono far comparire alcuni problemi. Per esempio, quando si eccede con le annaffiature possono presentarsi delle malattie fungine oppure della muffa. In entrambi i casi è importante analizzare accuratamente la situazione e utilizzare dei prodotti ad hoc per il trattamento della malattia. Ci sono anche dei parassiti che possono attaccarlo come gli afidi e la cocciniglia. LEGGI TUTTO

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    Islanda, ferma la caccia alla balena per il 2025

    Nessuna balena verrà uccisa quest’anno in Islanda. E forse nemmeno in futuro, tanto che chi da anni si batte per fermare questa pratica, come il capitano Paul Watson e la sua fondazione, si sbilancia nel dire che “la caccia alle balene in Islanda è finita” e che siamo arrivati a un punto “storico” della battaglia. Il motivo dell’annuncio di diverse associazioni ambientaliste, che festeggiano, è legato a una doppia decisione senza precedenti: attualmente in Islanda solo due principali compagnie praticano ancora la caccia e sono state autorizzate, per un numero limitato di esemplari, a uccidere i grandi cetacei, ma entrambe hanno in qualche modo deciso di fare un passo indietro.

    Biodiversità

    L’Intelligenza artificiale per salvare le balene franche

    di Simone Cosimi

    22 Aprile 2025

    I motivi sono economici
    Una delle storiche due storiche imprese, la Hvalur Hf, tramite il suo amministratore delegato, Kristján Loftsson, che porta avanti da decenni l’attività di famiglia, già settimane fa aveva spiegato di aver preso la decisione di non cacciare e sospendere ogni attività nel 2025. Il motivo? Il crollo della domanda da parte del Giappone, dove l’Islanda esporta gran parte dei prodotti di balena.

    Insieme alla Norvegia e l’Islanda, il Giappone è infatti uno dei Paesi al mondo dove la caccia è legale e praticata ma, evidentemente, anche nel Paese del Sol Levante le cose stanno gradualmente cambiando, tanto che le richieste sono in calo. I prezzi sono bassi, la logistica, il trasporto e lo stoccaggio sono complicati e di conseguenza Hvalur, nonostante abbia incassato permessi fino a quasi la fine di questo decennio, per ora non caccerà più.

    Lo stop totale per quest’anno è però dovuto alla scelta di un’altra compagnia che era autorizzata in Islanda ad uccidere balene per scopi commerciali, ma che ha appena deciso di vendere la sua nave baleniera, sintomo secondo la Fondazione Paul Watson del “collasso” di questa industria della pesca.

    Esultano gli ambientalisti: “Una pietra miliare”
    Siamo ormai dunque al secondo anno consecutivo che, fra ritardi di permessi, opposizioni e rinvii, la caccia alle balenottere in Islanda non avviene ma è la prima volta che viene sospesa esplicitamente per motivi economici, mentre contemporaneamente aumenta fra l’opinione pubblica islandese il fronte del no alla caccia, una tradizione per molti oggi ormai superata.

    Se è vero che il governo non ha ancora vietato definitivamente la caccia per il futuro, i due segnali appena giunti dall’Islanda indicano però secondo gli ambientalisti – che continuano comunque a chiedere un divieto totale – un messaggio importante di speranza. Questa fase è dunque “una pietra miliare” scrivono sui social della Fondazione Paul Watson, anche se promettono di non abbassare la guardia fino a uno “stop definitivo”.

    Anche l’associazione Whale and Dolphin Conservation esulta: “Niente caccia alle balene in Islanda questa estate! Il fatto che anche l’ultima baleniera rimasta stia vendendo la sua barca significa una cosa incredibile: non c’è ufficialmente nessuna caccia. Un grande grazie a chi ha sostenuto questa lotta”. LEGGI TUTTO

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    Dalle macerie del terremoto alla rinascita: la startup che stampa il futuro in 3D

    Ogni anno in Europa vengono prodotte 510 milioni di tonnellate di rifiuti da costruzione e demolizione, con una spesa di 45 miliardi di euro solo per il loro trattamento. Di fronte a questa emergenza ambientale ed economica, una startup marchigiana ha trovato una risposta innovativa: trasformare il dramma delle macerie del terremoto in elemento di rinascita e rigenerazione. È questa la missione di Centauroos, startup innovativa di stampa 3D per l’edilizia e l’architettura che riutilizza rifiuti da costruzione e demolizione, con un ruolo prominente nella sperimentazione delle macerie del Cratere 2016. Sfruttando il potenziale della stampa 3D del calcestruzzo, la giovane azienda affronta il problema della gestione dei rifiuti edilizi, riducendo contemporaneamente l’uso di materiali e i tempi di costruzione. LEGGI TUTTO

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    L’Ue pronta a spendere di più per il riarmo, a scapito delle strategie contro la crisi climatica

    Meno green e più verde… ma militare. L’Europa non trova 400 miliardi per prevenire disastri climatici e crisi sanitarie, ma si appresta a spenderne 613 per provvedere alla sua difesa armata. Sembra essere questa la tendenza in atto in Europa, con la decisione di far lievitare al 5% del Pil le spese in difesa in ambito Nato: un maggior numero di carri armati, bombardieri, missili e meno investimenti nella transizione energetica. A fare i conti su quanto inciderà lo sforzo di riarmo sulle politiche climatiche dell’Unione europea ha provveduto la New Economincs Foudation (NEF), think tank con sede a Londra.

    L’intervista

    Che impatto avrà il riarmo dell’Europa sulle sue politiche climatiche?

    di Luca Fraioli

    15 Marzo 2025

    In una sua analisi redatta alla vigilia del vertice Nato dell’Aja si legge: “Scegliere le armi anziché affrontare il disastro climatico e la fragilità sociale non è una necessità economica, è un fallimento politico”. Il severissimo giudizio poggia su numeri precisi: “Ai membri dell’Unione europea e della Nato sarà chiesto di aumentare i bilanci della difesa di 613 miliardi di euro all’anno per raggiungere l’obiettivo complessivo del 5%, pari al 3,4% dell’intero Pil della Ue”, scrivono gli esperti della New Economincs Foudation. “Per raggiungere solo l’obiettivo del 3,5% per la difesa (al quale si aggiunge un 1,5% in infrastrutture e difesa digitale, ndr), sarebbero necessari ulteriori 360 miliardi di euro all’anno, pari al 2% del Pil della Ue. E tutto questo andrebbe ad aggiungersi a una spesa militare già aumentata del 59% nell’Europa centrale e occidentale tra il 2015 e il 2024.

    Nel frattempo”, conclude la fondazione londinese, “il divario di investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi verdi e sociali dell’Unione, tra cui la mitigazione del cambiamento climatico, l’assistenza sanitaria e l’edilizia abitativa, è stimato tra il 2,1 e il 2,9% del Pil dell’Ue, ovvero tra 375 e 526 miliardi di euro all’anno (a prezzi del 2024)”. Un impegno che comporterà anche sacrifici e giri di vite fiscali, secondo gli analisti: “Solo 10 Stati membri dell’Ue, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svezia, potrebbero raggiungere l’obiettivo complessivo Nato del 3,5% senza tagliare i bilanci altrove, aumentare le tasse o modificare le regole fiscali”.

    Il report

    Riarmo europeo, volano di investimenti in startup della difesa: 5,2 miliardi nel 2024

    06 Marzo 2025

    E gli altri 17, tra cui l’Italia? Tagli e tasse. Sono fin qui stati inutili gli appelli di chi ha fatto notare che la sicurezza dell’Europa non si costruisce sono con i cannoni, ma con la sua autonomia energetica, come dimostrano la crisi del gas russo, il “ricatto” di Trump perché si compri più gas liquefatto statunitense, le fibrillazioni in Medioriente sempre legate al petrolio e alle sue rotte. Emanciparsi da chi controlla i rubinetti dei combustibili fossili sarebbe il primo passo verso una nuova idea di difesa. Ma solo il premier spagnolo Sanchez ha avuto la forza di imporre il suo punto di vista, definendo l’aumento del contributo alla Nato, incompatibile con lo stato sociale spagnolo e con la sua visione del mondo. E ribadendo che gli investimenti verdi e sociali offrono rendimenti più elevati rispetto alla spesa per la difesa e sono essenziali per la sicurezza e la resilienza a lungo termine. LEGGI TUTTO

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    L’intelligenza artificiale produce emissioni in base a quanto “ragiona”

    Sappiamo ormai bene che qualsiasi cosa chiediamo all’intelligenza artificiale (Ai), lei ci darà una risposta. Ma alcuni suggerimenti che ci fornisce potrebbero avere un impatto ambientale più significativo e causare emissioni di anidride carbonica più elevate. A riferirlo è stato oggi un team di ricercatori, guidato dalla Hochschule München University of Applied Sciences, in Germania, che ha misurato e confrontato le emissioni di anidride carbonica di diversi Large Language Model (Llm) già addestrati utilizzando una serie di domande standardizzate. Lo studio è stato pubblicato sulle pagine della rivista Frontiers in Communication.

    L’intelligenza artificiale “pensante”
    Sebbene molti di noi non ne siano pienamente consapevoli, molto di queste tecnologie sono associate a un elevato impatto ambientale. Per produrre risposte, infatti, l’intelligenza artificiale usa i token, parole o parti di parole che vengono convertite in una stringa di numeri che può essere elaborata dai Llm, modelli di intelligenza artificiale specifici nella generazione di linguaggio umano. Questa conversione, così come altri processi di elaborazione, produce però emissioni di anidride carbonica. “L’impatto ambientale delle domande rivolte agli Llm addestrati è fortemente determinato dal loro approccio di ragionamento, con processi che aumentano significativamente il consumo di energia e le emissioni di carbonio”, ha raccontato il primo firmatario del paper Maximilian Dauner. “Abbiamo scoperto che i modelli basati sul ragionamento producevano fino a 50 volte più emissioni di CO? rispetto ai modelli a risposta semplice”.

    La causa della maggior parte delle emissioni
    Per giungere a questa conclusione, il team ha testato 14 Llm, con un numero di parametri (che determinano il modo in cui apprendono ed elaborano le informazioni) compreso tra 7 e 72 miliardi, su mille domande standardizzate su diverse materie. I modelli di ragionamento, in media, hanno creato 543,5 token “pensanti” (ossia token aggiuntivi che gli Llm di ragionamento generano prima di produrre una risposta) per domanda, mentre i modelli semplici ne richiedevano solo 37,7. Il più preciso è risultato essere il modello Cogito, con 70 miliardi di parametri, che ha raggiunto un’accuratezza dell’84,9%, ma che ha anche prodotto emissioni di CO? tre volte superiori rispetto a modelli di dimensioni simili che generavano risposte semplici.

    “Attualmente, osserviamo un chiaro compromesso tra accuratezza e sostenibilità insito nelle tecnologie Llm”, ha commentato Dauner. “Nessuno dei modelli che ha mantenuto le emissioni al di sotto dei 500 grammi di CO? equivalente (unità di misura dell’impatto climatico dei vari gas serra, ndr) ha raggiunto una precisione superiore all’80% nel rispondere correttamente alle mille domande”. Per quanto riguarda le diverse materie, inoltre, le domande che richiedevano lunghi processi di ragionamento, come per l’algebra o la filosofia, hanno portato a emissioni fino a 6 volte superiori rispetto a domande più semplici, come per la storia che si insegna alle superiori.

    Un uso più consapevole
    I risultati del nuovo studio, quindi, suggeriscono la necessità di prendere decisioni più consapevoli sull’uso dell’Ai. “Gli utenti possono ridurre significativamente le emissioni stimolando l’Ai a generare risposte semplici o limitando l’uso di modelli ad alta capacità alle attività che richiedono effettivamente tale potenza”, ha consigliato l’esperto, concludendo che se si conoscesse il vero costo in termini di emissioni generate dall’intelligenza artificiale, come ad esempio creare una action figure personalizzata, si potrebbe essere più selettivi e attenti su quando e come utilizzare queste tecnologie. LEGGI TUTTO