16 Giugno 2025

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    Perché vediamo sempre più “pesci della fine del mondo” risalire in superficie?

    Dalle profondità degli abissi, dicono le leggende, il grande pesce del giorno del giudizio universale arriva sino a noi in superficie per portarci un segnale. Dicono sia il messaggero del Dio del mare. Potrebbe essere l’annuncio di un terremoto, uno tsunami o una catastrofe, narrano tutte quelle storie di folklore intorno al pesce remo, che però tali rimangono, leggende senza prove scientifiche. Ma quando l’inusuale si trasforma in usuale – come sta accadendo quest’anno – inevitabilmente anche le leggende finiscono per fare un po’ paura. Negli ultimi tempi infatti il pesce della fine del mondo, il pesce remo, o “oarfish” se preferite, è stato avvistato sempre di più nelle acque di tutto il mondo: dalla California al Messico dove un esemplare di 4 metri è stato ripreso con lo smartphone sino all’India o a varie coste dell’Oceania. In quest’ultima settimana proprio tra le coste di Australia, Tasmania e Nuova Zelanda, gli avvistamenti di questo animale che solitamente vive tra i 200 e i 1000 metri di profondità si stanno ripetendo in maniera sorprendente.

    Prima uno, poi due, tre e quattro in poco più di sette giorni fra le spiagge dell’Oceania: un numero elevato di avvistamenti se si pensa che nella sola Australia finora in tutta la storia delle segnalazioni di pesce remo ci sono stati appena 70 casi. In questi ultimi episodi alcuni dei pesci remo recuperati erano morti e senza testa, come quelli vicino a Christchurch in Nuova Zelanda. La particolarità di questa affascinante specie sta nella sua lunghezza: alcuni esemplari superano perfino gli otto metri e i 200 chilogrammi e, anche se non ci sono prove documentate, in alcuni casi potrebbero arrivare anche a 11 metri. Studiare questi animali, i pesci ossei più lunghi al mondo, è però estremamente complesso perché sono rarissimi da incontrare, soprattutto ancora in vita. Eppure, tra oarfish spiaggiati, recuperati dai pescatori e altri ripresi dal vivo mentre nuotavano, nell’ultimo anno c’è stato un vero e proprio boom di avvistamenti. Lungo le coste della California, dove dal 1901 ad oggi erano stati registrati solo 20 avvistamenti, da agosto 2024 fino ad ora ci sono stati almeno tre casi comprovati fra gli Usa e il Messico. Poi all’improvviso un pesce remo è stato ritrovato anche in India, nella zona del Tamil Nadu, recuperato dai pescatori: ci sono volute più persone per poterlo alzare e mostrarlo in immagini diventate subito virali.

    La viralità, soprattutto in Asia, è anche collegata alle credenze. Nel folklore giapponese, ma anche filippino, si pensa che il pesce remo sia presagio di catastrofi come terremoti oppure tsunami, una credenza che è andata rafforzandosi dopo alcune di quelle che per molti scienziati sono solo coincidenze ed episodi difficili da comprovare scientificamente, ma che per il popolo nipponico sono qualcosa di più. Nel 2011 c’è stata infatti una serie di strani ritrovamenti di pesce remo in Giappone che hanno anticipato, per tempistiche, il grande terremoto e lo tsunami che ha sconvolto il paese del Sol Levante. Stessa cosa per le Filippine nel 2017 prima del grande sisma di magnitudo 6.6. La scienza però è chiara: non ci sono prove evidenti di alcun collegamento tra gli avvistamenti di pesci remo e un imminente disastro naturale. Per esempio alcuni pesci furono avvistati in California nel 2013 ma poi non seguì nessun sisma o evento naturale particolare. Al massimo, come sostiene Neville Barrett dell’Istituto di Studi Marini dell’Università della Tasmania “un grande terremoto potrebbe portare alcuni pesci a risalire in superficie, ma questo dovrebbe accadere praticamente nello stesso istante della catastrofe, non prima”. Allo stesso tempo, ha ricordato Nick Ling, ecologo ittico dell’Università di Waikato, si hanno ancora pochissime informazioni su questi pesci che vivono “a profondità considerevoli e per questo sono difficilissimi da studiare. Sappiamo per esempio che restano sospesi verticalmente nell’acqua probabilmente in attesa di prede”. Così come è noto che i pesci remo siano in grado di praticare l’autotomia, l’auto amputazione della coda forse per avere un risparmio delle energie nei movimenti. Meno chiaro è invece il perché di questi recenti incontri e ritrovamenti, fattori che gli scienziati intendono tentare di studiare senza escludere per esempio la possibilità con altri collegamenti: con la crisi del clima che rende le acque più calde, con la presenza di inquinanti (come le microplastiche) trovate persino nella Fossa delle Marianne o con tutte quelle criticità, dall’acidificazione alle azioni dell’uomo sul mare, che potrebbero favorire la loro risalita in superficie. LEGGI TUTTO

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    Fiere sostenibili: quando l’alluminio riciclato incontra l’economia circolare

    Ogni anno, migliaia di stand fieristici vengono costruiti e smantellati in tutto il mondo. Una pratica che, secondo le stime, porta quasi il 90% dei materiali convenzionali direttamente in discarica dopo un singolo evento. Un paradosso dell’economia moderna che l’azienda tedesca Octanorm, con una forte presenza in Italia, ha deciso di sfidare attraverso un approccio radicalmente diverso.

    “La sostenibilità è per noi non solo una responsabilità aziendale, ma un vero e proprio approccio mentale che pratichiamo in ogni aspetto del nostro business”, spiega Antonio Jurkovic, Managing Director e Marketing Director di Octanorm Italia. Una filosofia che si traduce in scelte concrete, a partire dai materiali utilizzati.

    L’alluminio che non si consuma mai
    Il segreto di Octanorm sta nell’alluminio secondario, ovvero riciclato, che costituisce la base di tutte le sue estrusioni. Un materiale dalle caratteristiche uniche: può essere riutilizzato all’infinito senza perdere qualità e richiede appena il 5% dell’energia necessaria per produrre alluminio primario. Il risultato? Una drastica riduzione delle materie prime, dei rifiuti e delle emissioni di CO2.”Tutto l’alluminio che utilizziamo è alluminio riciclato”, racconta Jurkovic. Non solo: anche il sistema di pavimento Octaeco è interamente realizzato con polipropilene riciclato, completando il quadro di un’azienda che ha fatto della circolarità il proprio DNA.
    Modularità contro spreco
    La vera rivoluzione di Octanorm è però concettuale. Dal 1969, quando introdusse il primo sistema a serratura a tensione, l’azienda ha puntato sulla modularità. I suoi profili sono progettati per durare decenni e per essere riconfigurati infinite volte, trasformando l’allestimento da prodotto usa-e-getta a investimento a lungo termine. “I nostri profili, in termini di sostenibilità, vengono utilizzati per mediamente 25-30 anni prima di essere smaltiti – precisa Jurkovic -. Octanorm ha puntato sulla modularità e su un sistema basato su una gola particolare nella quale si innescano un po’ tutti i nostri profili. Quindi chi acquista un profilo da noi, ho acquistato un profilo 40 anni fa, è ancora in grado di utilizzarlo e integrarlo anche con le strutture nuove. Diciamo che non si butta via niente.”
    La rete globale che riduce l’impronta carbonica
    Oltre ai materiali e alla progettazione, Octanorm ha ripensato anche la logistica. La rete Ospi conta circa 120 partner in oltre 40 paesi e opera secondo il principio “Designed here. Built there”. In pratica, invece di spedire i materiali dall’altra parte del mondo, si inviano solo i progetti. “Abbiamo un network che si chiama Ospi che consente di produrre dove serve: se si deve fare un allestimento in America, non si manda il materiale in America, ma si manda solo il progetto perché lì c’è un licenziatario Octanorm esattamente come noi, che ha gli stessi nostri prodotti e che quindi lo può realizzare lì, con un impatto sull’ambiente decisamente minore”.
    L’azienda ha così ottenuto una riduzione delle emissioni di CO2 fino al 65% e una diminuzione dello spazio di trasporto a un quinto rispetto agli allestimenti tradizionali, grazie anche alla leggerezza dell’alluminio e alla possibilità di smontare e impilare i profili. LEGGI TUTTO

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    “La crisi climatica è già nei nostri campi”. L’agricoltura europea tra rischi e opportunità

    “La crisi climatica non è un concetto astratto. È già nelle nostre case, nelle nostre città, si può toccare nei nostri campi”. A dirlo sono gli agricoltori che hanno partecipato a “Back to Growth”, l’evento che Bayer ha organizzato a Bruxelles il 10 e l’11 giugno. Sono passati ormai due anni dall’inizio della “rivolta dei trattori”, che ha visto gli agricoltori protestare contro le politiche europee, ma le criticità che coinvolgono il settore, come emerge dalla due giorni, sono lontane dall’esser risolte.

    Le sfide
    Al centro del dibattito, l’industria europea delle scienze della vita. Nonostante sia stato un motore di innovazione, il settore sta infatti perdendo terreno rispetto a competitor come Stati Uniti e Cina. Le sfide sono molte: rafforzare l’economia senza compromettere la sostenibilità, colmare il divario di produttività e innovazione mantenendo gli obiettivi climatici, stimolare le industrie della salute e dell’agricoltura garantendo al contempo prezzi accessibili per i consumatori. Per quanto riguarda l’agricoltura, soddisfare l’aumento di domanda di prodotti, alla luce del cambiamento climatico e degli obiettivi di sostenibilità, è una sfida economica che continua in molti casi a scontrarsi con le esigenze pratiche degli agricoltori. La chiave, secondo gli esperti che hanno partecipato all’incontro può essere riassunta in una parola: innovazione.

    Nicolas Lobet PRYZM  LEGGI TUTTO