Maggio 2025

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consigliato per te

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    Elizabeth Kolbert: “E se fosse già iniziata l’era di una nuova estinzione?”

    Quasi senza rendercene conto stiamo passando dalla Primavera silenziosa all’Estinzione silenziosa. Nel 1962, quando Elizabeth Kolbert aveva appena un anno, la zoologa Rachel Carson pubblicò il suo famoso libro – Primavera silenziosa – che descrivendo la scomparsa degli uccelli e dei loro canti a causa dell’uso di DDT e pesticidi diventò un manifesto globale per […] LEGGI TUTTO

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    Ghiacciai e intelligenza artificiale: un nuovo modello globale per calcolare profondità e volume

    Stimare in modo accurato il volume dei ghiacciai del pianeta è una delle sfide scientifiche più complesse per chi si occupa di clima e ambiente. Non si tratta soltanto di una questione di modellistica glaciale ma di un tassello fondamentale per prevedere scenari futuri legati all’innalzamento del livello dei mari, alla disponibilità di acqua dolce e in definitiva agli impatti socioeconomici della crisi climatica. Ora, grazie a un nuovo approccio che sfrutta l’intelligenza artificiale, siamo di fronte a un passo avanti significativo. Il lavoro, frutto di una collaborazione tra l’Università Ca’ Foscari Venezia e la University of California-Irvine, è stato coordinato da Niccolò Maffezzoli, ricercatore Marie Curie e membro associato dell’Istituto di scienze polari del CNR. Il modello sviluppato, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Geoscientific Model Development, è il primo del suo genere a livello globale a integrare misurazioni dirette dello spessore dei ghiacci con strumenti avanzati di machine learning.

    Negli ultimi anni sono stati raccolti oltre 4 milioni di dati sullo spessore dei ghiacciai, grazie soprattutto alla missione IceBridge della Nasa. Tuttavia queste informazioni sono sfruttate solo in minima parte dai sistemi attualmente in uso, che coprono meno dell’1% dei ghiacciai del pianeta. “Il nostro modello si basa su due algoritmi a struttura ad albero – spiega Maffezzoli – addestrati su dati di spessore dei ghiacci e su 39 variabili geofisiche e climatiche tra cui velocità di scorrimento, bilancio di massa, temperatura, altitudine e caratteristiche geodetiche”.

    Il risultato? L’errore del modello allenato è fino al 30-40% inferiore rispetto agli approcci tradizionali, in particolare nelle regioni polari e nelle zone periferiche delle calotte glaciali, che custodiscono la maggior parte del ghiaccio terrestre. Ma cosa ci si fa con un modello del genere? Una delle applicazioni cruciali riguarda la simulazione dei futuri scenari climatici. Nelle regioni polari, in particolare in Groenlandia e Antartide, piccole variazioni di spessore possono innescare effetti a cascata sul comportamento dinamico dei ghiacci e nelle masse oceaniche circostanti. “Le stime che forniamo possono essere utilizzate come input nei modelli numerici di evoluzione glaciale – osserva il coordinatore – e contribuire a migliorare le mappe del substrato roccioso sotto le calotte, come il Geikie Plateau in Groenlandia o la Penisola Antartica”.

    I protagonisti

    Carlo Buontempo (Copernicus): “Quel caldo da record che non si può più ignorare”

    di Giacomo Talignani

    22 Maggio 2025

    Secondo i ricercatori, il modello ha mostrato un’elevata capacità di generalizzazione, provando che l’IA può colmare importanti lacune nella conoscenza della struttura interna dei ghiacciai. Sul sito Iceboost è già possibile visualizzare alcune delle mappe generate. Finanziata dall’Unione Europea tramite il programma Horizon Europe, l’indagine rappresenta solo una prima tappa. Il team prevede infatti di rilasciare entro la fine dell’anno un dataset completo con circa mezzo milione di mappe di profondità. “È solo l’inizio – afferma Maffezzoli – ma abbiamo dimostrato che l’integrazione di big data e algoritmi intelligenti è la chiave per affrontare le sfide della modellistica glaciale”.

    Le ricadute del progetto sono enormi. Oltre alla comunità scientifica, i dati potranno supportare le valutazioni dell’Intergovernmental panel on climate change (IPCC) e guidare le strategie dei decisori politici in materia di mitigazione e adattamento climatico. L’urgenza di sviluppare modelli più precisi è d’altronde rafforzata dal rapido scioglimento dei ghiacci degli ultimi decenni. I ghiacciai contribuiscono attualmente per circa il 25-30% all’innalzamento del livello del mare, con ritmi in accelerazione sotto l’effetto del riscaldamento globale.

    In particolare, le masse glaciali delle regioni aride come le Ande o le catene montuose dell’Himalaya e del Karakoram sono essenziali per la sopravvivenza di miliardi di persone, perché sono serbatoi idrici naturali. Anche le gigantesche distese glaciali ai margini di Groenlandia e Antartide svolgono un ruolo essenziale: contengono quantità enormi di acqua dolce e interagiscono direttamente con gli oceani contribuendo alla (in)stabilità delle calotte polari. Capire esattamente quanto ghiaccio contengano e come potrebbe evolvere nei prossimi decenni è quindi una priorità globale.

    I temi

    Impatto ambientale e distruzione dei ghiacciai, anche il turismo deve essere sostenibile

    di Michele Sasso

    24 Maggio 2025

    La ricerca di Maffezzoli e del suo team rappresenta una svolta nella glaciologia moderna, aprendo la strada a un uso più sistematico dell’AI nello studio del sistema Terra. Se la conoscenza del passato e del presente è essenziale per affrontare il futuro, dotarsi di strumenti più sofisticati per leggere il comportamento dei ghiacci potrebbe fare la differenza tra una previsione approssimativa e una risposta climatica precisa ed efficace. La mappatura precisa del ghiaccio è un’azione concreta per anticipare crisi idriche, proteggere le popolazioni vulnerabili e contenere gli impatti dei cambiamenti climatici. LEGGI TUTTO

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    Quali sono le differenze tra pannelli solari e pannelli fotovoltaici

    Nel vasto panorama delle energie rinnovabili, i termini pannelli solari e pannelli fotovoltaici sono spesso utilizzati in modo intercambiabile, generando confusione. Eppure, queste due tecnologie, pur condividendo la medesima fonte energetica, il sole, presentano differenze sostanziali sia nel funzionamento, sia nelle applicazioni pratiche. Orientarsi nel mondo delle energie rinnovabili è ovviamente possibile, ma per non perdersi nelle incomprensioni è bene conoscere le varie modalità di sfruttamento dell’energia solare, comprendendo anche quale tecnologia sia più adatta alle specifiche esigenze energetiche.

    Panelli solari e pannelli fotovoltaici: le differenze chiave
    Sebbene entrambi i sistemi sfruttino l’energia solare, le differenze tra le due tipologie di pannelli sono significative. Intanto, è da considerare il tipo di energia prodotta: i pannelli solari generano calore, mentre quelli fotovoltaici producono elettricità. Non solo, perché i pannelli solari termici utilizzano collettori e serbatoi di accumulo per il fluido riscaldato, mentre i pannelli fotovoltaici sono composti da celle in silicio e richiedono inverter per la conversione della corrente. Infine, è da tenere in considerazione anche l’efficienza e lo spazio richiesto dai due sistemi: i pannelli fotovoltaici assorbono le radiazioni solari con un rendimento compreso tra il 17% e il 25% a seconda del tipo di pannello, mentre i pannelli solari termici hanno un’efficienza che raggiunge l’80%. Per quanto riguarda lo spazio richiesto (o più semplicemente l’installazione), è bene considerare che un singolo pannello solare termico potrebbe bastare per riscaldare l’acqua sanitaria, a differenza dei pannelli fotovoltaici che richiedono una superficie maggiore per produrre quantità significative di energia elettrica.

    Che cosa sono i pannelli solari e come funzionano
    Posti sul tetto di casa, i pannelli solari termici sfruttano il calore del sole per produrre acqua calda. Il funzionamento di questo sistema, assai gettonato, si basa su un collettore in grado di assorbire l’irraggiamento solare, trasferendo l’energia termica a un fluido termovettore, spesso acqua o una miscela di acqua e antigelo. Il fluido, una volta riscaldato, inizia a circolare attraverso un serbatoio di accumulo, dove cede il calore all’acqua domestica.

    Che cosa sono i pannelli fotovoltaici e come funzionano
    Al contrario di quelli solari, i pannelli fotovoltaici sono dispositivi che trasformano l’energia del sole direttamente in energia elettrica. Si compongono di celle fotovoltaiche realizzate principalmente in silicio, un semiconduttore che, quando esposto alla luce solare, genera una corrente elettrica continua. Questa corrente si converte poi in corrente alternata tramite un inverter e diventa utilizzabile per alimentare gli apparecchi elettrici domestici. Inoltre, gli impianti fotovoltaici possono essere integrati con sistemi di accumulo (ad esempio le batterie), per immagazzinare l’energia prodotta in eccesso e utilizzarla quando necessario.

    Vantaggi e svantaggi: pannelli solari e fotovoltaici a confronto
    Entrambe le soluzioni utilizzano l’energia del sole per produrre energia rinnovabile, ma come ogni tecnologia e/o sistema, ognuna di esse ha i suoi pro e i suoi contro, che vediamo qui riassunti per offrire una panoramica esaustiva e il più chiara possibile.

    Pannelli solari: pro e contro
    Tra i vantaggi principali dell’avere un impianto con pannelli solari ci sono indubbiamente:
    Efficienza energetica: i pannelli solari termici hanno un’elevata efficienza nella conversione dell’energia solare in calore, rendendoli ideali per la produzione di acqua calda sanitaria e per il supporto ai sistemi di riscaldamento;
    Costi iniziali: generalmente l’installazione di un impianto solare termico comporta un investimento iniziale inferiore rispetto a un impianto fotovoltaico;
    Manutenzione: gli impianti solari termici richiedono una manutenzione relativamente semplice e hanno una lunga durata operativa.

    Tra gli svantaggi dei pannelli solari, invece, è bene ricordare:
    Utilizzo limitato: l’energia termica prodotta è utilizzabile principalmente per il riscaldamento dell’acqua e degli ambienti, limitando l’applicabilità in altre esigenze energetiche domestiche;
    Stagionalità: l’efficienza dei pannelli solari termici può diminuire durante i mesi invernali o in condizioni climatiche sfavorevoli, riducendo la quantità di energia termica prodotta.

    Pannelli fotovoltaici: pro e contro
    Anche i pannelli fotovoltaici hanno ovviamente dei pro e dei contro. Per quanto riguarda i pro, dunque i vantaggi, si sottolineano:
    Versatilità: i pannelli fotovoltaici producono energia elettrica utilizzabile per alimentare una vasta gamma di dispositivi e apparecchi domestici, aumentando l’autosufficienza energetica;
    Riduzione dei costi energetici: l’energia elettrica prodotta può ridurre significativamente le bollette energetiche, soprattutto nel lungo periodo;
    Nessuna emissione di gas serra durante l’uso;
    Incentivi e detrazioni: in molti Paesi, inclusa l’Italia, sono disponibili incentivi fiscali e detrazioni per l’installazione di impianti fotovoltaici, rendendo l’investimento più conveniente.

    Gli svantaggi, invece, comprendono:
    Costi iniziali elevati: l’installazione di un impianto fotovoltaico comporta un investimento iniziale significativo, che include il costo dei pannelli, dell’inverter, della manodopera e dell’eventuale sistema di accumulo con batterie;
    Dipendenza dalla luce solare: la produzione di energia elettrica dipende dalla quantità di luce solare disponibile. In giornate nuvolose, piovose o nei mesi invernali, l’efficienza dei pannelli fotovoltaici diminuisce, rendendo necessario l’acquisto di batterie per accumulare energia o l’integrazione con la rete elettrica;
    Effetto ombra che può ridurre la produzione energetica;
    Rischio di degradamento nel tempo: sebbene i pannelli fotovoltaici abbiano una lunga durata (circa 25-30 anni), l’inverter e le batterie necessitano di manutenzione e sostituzione dopo circa 10-15 anni;
    Smaltimento e impatto ambientale: i pannelli fotovoltaici contengono materiali che, alla fine del loro ciclo di vita, devono essere smaltiti correttamente per evitare impatti ambientali negativi.

    Pannelli solari e fotovoltaici: quali scegliere
    Scegliere tra pannelli solari termici e pannelli fotovoltaici significa compiere un ragionamento e porsi delle domande specifiche. Intanto: quali sono le esigenze energetiche di cui si ha bisogno? Qual è l’obiettivo che si vuole raggiungere? Quali le condizioni dell’abitazione? A seconda delle risposte, la decisione sarà molto più immediata. Se il bisogno principale è quello di avere acqua calda sanitaria riducendo i costi del riscaldamento, i pannelli solari termici saranno la soluzione migliore. Ideali per abitazioni con un consumo elevato di acqua calda, come nel caso di famiglie particolarmente numerose. Se, invece, l’obiettivo è quello di produrre elettricità per alimentare elettrodomestici e ridurre quindi anche le bollette, allora i pannelli fotovoltaici saranno la scelta giusta. Perfetti per chi vuole ridurre la dipendenza dalla rete elettrica e sfruttare incentivi statali. Tra le variabili anche il budget a disposizione, lo spazio disponibile sul tetto, il clima e le condizioni ambientali, la manutenzione, la durata e gli incentivi e le detrazioni fiscali descritte ampiamente sopra. In base a tutti questi elementi, scegliere sarà più ordinato e si eviterà di incorrere in dubbi e/o paure tipiche di chi si trova di fronte a una doppia possibilità. Eppure, se bene ci pensiamo, il concetto di fondo è molto semplice: basta pensare all’obiettivo per scegliere l’una o l’altra soluzione. In linea generale, qualunque sia la scelta, puntare sull’energia solare significa investire in un futuro più sostenibile e conveniente. LEGGI TUTTO

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    Impatto ambientale e distruzione dei ghiacciai, anche il turismo deve essere sostenibile

    Il 2024 ha registrato in Italia 458,4 milioni di presenze turistiche negli esercizi ricettivi e per l’anno in corso questa cifra è destinata ancora salire. Un popolo di vacanzieri nostrani e stranieri arrivato in ogni angolo della Penisola dove ha mangiato, bevuto e dormito sfruttando al massimo quello che gli stava intorno, generando una spesa stimata in 62 miliardi di euro. Secondo Eurispes gli arrivi internazionali aumenteranno, nel mondo, di 43 milioni in media all’anno e raggiungeranno 1,8 miliardi entro il 2030. Di fronte a questa invasione il tema dei dibattiti nei Consigli comunali, nelle assemblee piccole e grandi di residenti e degli addetti ai lavori è come convivere e non essere fagocitati dalla gentrificazione delle città che cambiano sotto la spinta irrefrenabile del turismo che diventa “overturism”.

    Il programma

    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    20 Maggio 2025

    “Quello che sta accadendo con questo tipo di turismo non programmato, perché la linea viene dettata solo dagli imprenditori, è la trasformazione in luoghi inabitabili. Innanzitutto, perché i residenti schiacciati dai prezzi e dalle politiche degli affitti brevi non possono stare più in quei luoghi” sottolinea Cristina Nadotti, autrice di Il turismo che non paga (Edizioni Ambiente). Nel suo libro Nadotti racconta come questa importante voce dell’economia non abita ma consuma, generando “una ricaduta terribile sulle comunità dal punto di vista del consumo vorace di suolo, risorse e capitale naturale e tutto il valore aggiunto si concentra nella mani di pochi grandi gruppi”. Perché dei proventi delle attività economiche ai residenti arriva sempre una minima parte e alle amministrazioni ancor meno. E anche i servizi pubblici come assistenza sanitaria, raccolta rifiuti e controllo del territorio vanno in tilt. Perché con la sanità in ritirata e i tagli ai bilanci degli enti locali l’eredità di arrivi fuori controllo è un’enorme bolletta pubblica per garantire servizi essenziali a residenti e non.

    “Il turismo che non paga” (Edizioni Ambiente, 2025)  LEGGI TUTTO

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    Roberto Danovaro: “Nessun futuro senza gli oceani”

    Passato ancestrale e futuro remoto, è tutto lì: negli oceani. Il 40% della popolazione mondiale vive entro i 100 chilometri dal mare: va da sé che la grande sfida che attende l’umanità sia legata al destino della grande distesa blu che ci circonda, e di chi la abita. “Proprio così, l’umanità non può che guardare agli oceani quando si interroga sul suo futuro, perché sono loro a ospitare i servizi ecosistemici che ci consentiranno di vivere meglio e sfamarci e perché è lì che si giocherà una grande partita geopolitica per gli equilibri del pianeta”, sottolinea Roberto Danovaro, già presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn, oggi docente di ecologia all’Università Politecnica delle Marche, tra gli esperti più influenti al mondo sullo studio del mare.

    Il programma

    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    20 Maggio 2025

    Il 90% dello spazio abitabile della Terra è, del resto, negli oceani: 250 mila specie catalogate, molte ancora da scoprire. “Un patrimonio da tutelare attraverso la limitazione degli impatti antropici, in particolare degli effetti dei cambiamenti climatici, e la tutela della biodiversità, ma soprattutto con il restauro degli ecosistemi marini, argomento nuovo ma già dominante, e che continuerà ad esserlo fino al 2050. – aggiunge Danovaro – Bisogna recuperare servizi ecosistemici, ma anche ridare vita a potenziali stock ittici e garantire continuità all’attività di sequestro di carbonio che assicura la vita a tutti noi. Per farlo, va sviluppata una nuova economia generativa e di recupero, in grado di contrastare i fenomeni, preoccupanti, degli ultimi decenni”.

    Tra questi, naturalmente, la cosiddetta marine litter (“la concentrazione delle microplastiche aumenterà di 4 volte nei prossimi 25 anni, malgrado i nostri sforzi”) e gli ultimi report sulla salute delle barriere coralline. “Per la quarta volta in 25 anni stiamo assistendo allo sbiancamento di massa dei coralli, con la perdita del 25% dei coral reef a livello globale, fenomeno legato direttamente ai cambiamenti climatici. – annota Danovaro – Se non si interviene, entro il 2050 avremo perso o trasformato il 50% delle barriere coralline”. Un fenomeno che non è così lontano da noi. “Prova ne è lo sbiancamento di specie come la madrepora a cuscino, la Cladocora caespitosa, vittima delle ondate di calore nelle ultime estati, chissà cosa accadrà ora tra fine giugno e inizio luglio. – prosegue l’ecologo – E lo stesso accade con le foreste di gorgonia del Mediterraneo”.

    I numeri parlano chiaro, del resto: complice la sua stessa conformazione, il Mare Nostrum si è riscaldato più degli oceani, fino a +0,4 °C ogni 10 anni rispetto a +0,2 °C. Qui più che altrove è in atto il fenomeno di acidificazione delle acque, con effetti nocivi sulla salute degli ecosistemi. “Viene meno la dinamica di raffreddamento del nostro mare. – annota Danovaro – Del resto non c’è da sorprendersi, se – come temperatura globale – abbiamo già superato nel 2024 la soglia di 1,5° C in più rispetto ai livelli pre-industriali, prevista dall’accordo di Parigi”.

    La buona notizia è nella resilienza di molte specie marine: “Quando si interviene con politiche ragionevoli, anche facendo il minimo, le risposte non tardano ad arrivare: è accaduto negli anni passati con le Caretta caretta, sta avvenendo con il ritorno della foca monaca. E la biodiversità marina ha risvolti ancora in larga parte incompresi anche in termini economici: i paesaggi sommersi vanno considerati alla stregua di attrattori come Grand Canyon o Sequoia Park”.

    Va, tuttavia, regolamentato l’impatto dell’overtourism: “Per il bene delle specie marine, ma anche dello stesso turismo, che ha bisogno di luoghi godibili, e dunque regolamentati”.

    E il futuro degli oceani è anche negli abissi: “Nelle profondità, ancora in larga parte ignote, si gioca una parte del nostro futuro: anzitutto in ragione della ricchezza biologica, ancora in larga parte ignota, che potrà migliorare le nostre vite: penso alle scoperte future per la medicina, legate ai batteri che popolano gli ambienti più estremi. E poi per le risorse che vi si trovano: idrocarburi e metalli come nichel e manganese, ma anche oro. Il mondo è pronto a una continua corsa, che va regolamentata: l’impatto delle attuali tecnologie è stato sin qui devastante. E ancora: negli ambienti profondi c’è il 90% del potenziale pescato di tutto il mondo. Capire come prelevarlo, e in che misura, è uno degli obiettivi del Sustainable Blue Economy Partnership, partenariato internazionale istituito dalla Commissione europea, coordinato proprio dall’Italia”. LEGGI TUTTO

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    Permacultura: cos’è, come si pratica e quali sono i vantaggi

    Un sistema di progettazione agricola che si ispira ai principi della natura: questo è la permacultura, il cui obiettivo ultimo è creare ambienti sostenibili, produttivi e resilienti, che richiedono poca manutenzione e impattano positivamente sull’ambiente. Ma come si mette in pratica esattamente? Cosa si deve fare? E perché? Quali sono i vantaggi?

    Cos’è la permacultura
    Come detto, la permacultura è un approccio all’agricoltura e alla progettazione degli spazi verdi che cerca di imitare i principi e i modelli presenti in natura. Il termine “permacultura” deriva infatti dalla fusione delle parole “permanente” e “agricoltura”, ma il concetto va oltre l’agricoltura e si applica anche all’edilizia, all’organizzazione sociale e alla gestione delle risorse.

    I principi fondamentali della permacultura sono tre: la cura della Terra (proteggere e rigenerare l’ambiente naturale), la cura delle persone (per promuovere il benessere umano e la comunità) e la condivisione dei benefici (per distribuire in modo equo le risorse e garantire così un equilibrio).

    Come si pratica la permacultura
    Attenzione però: la permacultura non è soltanto una tecnica agricola, ma un vero e proprio approccio olistico alla vita. In questa pratica risulta fondamentale infatti la progettazione del territorio: prima di coltivare si parte sempre dall’osservazione del terreno e del territorio. Prima di piantare, è importante capire dove: come si comportano il clima, il terreno e le risorse naturali come l’acqua e il sole. Questo permette di progettare giardini e orti che sfruttano al meglio le caratteristiche naturali del luogo.

    Diversità e policoltura sono altri principi cardini della permacultura, che vive della diversità di piante e animali. Invece di coltivare una sola specie (monocoltura), si deve cercare sempre di mescolare varie colture, creando piccoli eco-sistemi complessi che si auto-sostengano. Questo aumenta la resilienza del sistema, riducendo il rischio di malattie e parassiti.

    Molto importante, dunque, un uso efficiente delle risorse: le tecniche di irrigazione della permacultura sono progettate per ridurre al minimo gli sprechi, utilizzando anche materiali locali e naturali per costruire strutture come serre o compostiere. Inoltre l’energia viene utilizzata in modo razionale, spesso ricorrendo a fonti rinnovabili come il solare o il vento.
    Tutto ciò favorisce il ciclo dei nutrienti nel sistema di permacultura. Le piante vengono scelte in modo che possano scambiare risorse tra loro: i rifiuti organici, come gli scarti di cucina, vengono utilizzati per creare compost, che a sua volta nutre il terreno.
    I vantaggi della permacultura
    Numerosi, come potrete immaginare, i vantaggi della permacultura: primo fra tutti la sostenibilità ambientale, promossa attraverso l’uso di risorse rinnovabili e la riduzione l’impatto negativo sull’ambiente. Evitando l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, tale approccio all’agricoltura contribuisce a mantenere la biodiversità e a proteggere il suolo e le falde acquifere.

    Una delle caratteristiche più attraenti della permacultura, poi, è l’autoproduzione: la possibilità, cioè, di prodursi da soli e in autonomia il cibo in modo sostenibile. Con una corretta progettazione anche in spazi ridotti come balconi o giardini urbani possono essere utili: in tali luoghi è possibile coltivare frutta, verdura e piante aromatiche, riducendo la dipendenza dai prodotti industriali.

    Un ambiente dedicato alla permacultura è anche molto forte e resistente alle avversità climatiche. Ad esempio, i giardini di permacultura sono progettati per trattenere l’acqua e migliorare la qualità del suolo, rendendo le piante più resilienti alla siccità, alle piogge abbondanti e a tutti i cambiamenti climatici.

    Un sistema simile, inoltre, anche se inizialmente può sembrare un approccio impegnativo, permette di ridurre i costi nel lungo periodo. La necessità di acquistare meno fertilizzanti, pesticidi e acqua è notevole e si riflette in meno soldi spesi. Inoltre, l’autoproduzione di cibo già citata aiuta a risparmiare sulle spese alimentari.

    Il tutto si traduce, insomma, in un globale miglioramento della qualità della vita:
    come già detto praticare la permacultura non riguarda solo l’ambiente, ma anche le persone. L’approccio olistico promuove stili di vita più sani, sostenibili e in armonia con la natura. Le persone che praticano la permacultura tendono a sviluppare un senso di comunità e di collaborazione migliorando il loro benessere sociale.

    La permacultura, in conclusione, rappresenta una pratica che offre numerosi vantaggi a livello ambientale, personale ed economico. Se sei interessato a un’agricoltura sostenibile e a uno stile di vita più ecologico, tale approccio può essere la soluzione giusta per te. E non importa se vivi in città o in campagna: con le giuste tecniche, è possibile applicare i principi della permacultura anche in piccoli spazi. La chiave del successo è l’osservazione, la progettazione e la gestione consapevole delle risorse. Se ti stai avvicinando a questa filosofia, ricorda che ogni piccolo passo verso la sostenibilità è importante. La permacultura è un viaggio che porta beneficio a te, alla tua comunità e al nostro pianeta. LEGGI TUTTO

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    Amianto: come riconoscerlo e come smaltirlo

    Materiale di origine naturale, anche noto come asbesto, l’amianto presenta una struttura cristallina, composta da fasci di fibre molto fini. Appartenente alla classe dei silicati, questo minerale si distingue per la sua notevole durata e la resistenza al calore e al fuoco, peculiarità che lo hanno reso ampiamente diffuso. Tuttavia, negli anni è stato scoperto come rappresenti una minaccia per la salute dell’uomo a causa del possibile rilascio di fibre microscopiche nell’ambiente che, se inalate, portano all’insorgere di gravi patologie, in particolare a carico degli organi respiratori. Da oltre 30 anni vietato, vista la sua pericolosità, è molto importante saper riconoscere l’amianto e come smaltirlo correttamente.

    Amianto: le caratteristiche e gli effetti dannosi
    L’amianto è un silicato dall’aspetto fibroso composto da fasci di fibre finissime. Il suo nome deriva dal greco “asbestos”, che significa “indistruttibile” o “che non si spegne mai”, riferendosi alla sua capacità di resistere al fuoco. Minerale naturale dalla struttura microcristallina, si può trovare sotto forma di eternit, composto di cemento-amianto.
    L’amianto si distingue per la notevole flessibilità: non infiammabile, è praticamente indistruttibile, resistendo a calore, fuoco, abrasione, usura e agenti biologici e chimici. Inoltre, è facilmente friabile, si lega con diversi materiali da costruzione e polimeri e racchiude proprietà termoisolanti e fonoassorbenti.

    In passato largamente diffuso, questo materiale ha trovato applicazione in diversi ambiti, come industrie, trasporti, tessuti, prodotti di consumo ed edilizia, per poi essere vietato dopo la scoperta della sua pericolosità. La fibrosità dell’amianto fa sì che rilasci le sue fibre sottilissime nell’ambiente: queste, se inalate, minano la salute, penetrando nei tessuti respiratori e generando patologie come mesotelioma, ispessimenti pleurici diffusi, placche pleuriche, asbestosi e cancro ai polmoni, alla laringe e alle ovaie.

    L’amianto è ritenuto cancerogeno e la sua produzione, commercializzazione, importazione ed esportazione sono state vietate. In Italia è la Legge 257/92 che stabilisce il divieto del suo uso e dei prodotti in cui è contenuto e norme relative alla sua dismissione: emanata il 27 marzo del 1992, questa ha anticipato di 13 anni il divieto introdotto successivamente dall’Unione Europea.

    Come riconoscere l’amianto
    Per tutelare la salute è fondamentale rimuovere e smaltire l’amianto tempestivamente: vista la sua pericolosità è cruciale saperlo riconoscere e intervenire subito. Ancora oggi nascosto in numerosi vecchi edifici e impianti, per determinare la sua presenza bisogna tenere conto di una serie di aspetti che vengono in aiuto nella sua identificazione.

    In particolare, per ispezionare in modo ottimale un materiale sospetto bisogna tenere conto della forma in cui l’amianto si mostra. L’asbesto può trovarsi in una matrice friabile, che si riduce facilmente in polvere, rilasciando le sue fibre nell’ambiente, impiegata in passato per esempio in pannelli isolanti e rivestimenti per pavimenti. Il minerale può avere anche una matrice compatta, diffusa in facciate, tubature e lastre ondulate di tettoie e rivestimenti, tipologia che richiede attrezzi meccanici per essere ridotta in polvere. Inoltre, l’asbesto può essere anche allo stato puro, sotto forma di corde, tessuto oppure materiale di riempimento.

    L’amianto è composto da fibre, più sottili di un capello, che appaiono sotto forma di ciuffi: un elemento che può essere di aiuto nella sua individuazione è la colorazione del materiale esaminato. Per esempio può sollevare sospetti il bianco, tipico del crisotilo, amianto in passato usato spesso in pavimenti, impianti, soffitti e pareti. Anche il blu può generare dubbi, essendo distintivo della crocidolite, uno degli amianti più pericolosi, come anche il marrone, tipico dell’amosite, che si trova in lastre di cemento e dei tubi. L’amianto può essere anche grigio, associato alla tremolite e usato in materiali isolanti e rivestimenti a spruzzo, e verde, quando è sotto forma di actinolite. Bisogna sottolineare, tuttavia, come la colorazione possa non essere un elemento affidabile in quanto le fibre dell’amianto in molti casi sono mescolate con materiali diversi, che possono alterarne le tonalità.

    Un fattore da non sottovalutare poi è l’anno di costruzione dell’edificio o del materiale preso in esame, dovendo consultare la documentazione relativa se disponibile. Se risale a prima della Legge 257/1992 è possibile che sia stato impiegato l’amianto per la sua realizzazione e che ne siano presenti ancora oggi tracce.

    Amianto e il suo smaltimento: cosa sapere
    Capire se si è in presenza o meno di amianto può non essere semplice ed è necessario affidarsi a esperti del settore per farlo. Quando l’amianto è compatto si deve attuare un’ispezione, seguita da una valutazione del rischio. Si procede poi con un intervento di bonifica, grazie al quale smaltire in sicurezza il materiale affidandosi a professionisti esperti: questa operazione è molto complessa, richiede il rispetto delle norme vigenti (facendo riferimento alla Legge 257/1992) e prevede diverse tipologie di intervento. Tra queste rientrano l’incapsulamento, attuato ricorrendo a prodotti specifici per sigillare le fibre, evitando così che si disperdano nell’ambiente, e il confinamento, isolando il materiale tramite controsoffittature e sovracoperte. Altra possibilità è la rimozione, con cui eliminare del tutto il materiale, opzione che comporta l’invio di una notifica all’organo di vigilanza territorialmente competente. Questa procedura è obbligatoria nel caso in cui il materiale sia gravemente danneggiato. L’attuazione di una strada piuttosto che un’altra dipende da diversi fattori, come ad esempio lo stato in cui verte l’amianto e le sue peculiarità.

    In presenza di amianto friabile è necessario darne subito comunicazione alla propria Asl di riferimento per avviare il processo di smaltimento, rivolgendosi a una ditta autorizzata che si occuperà della sua gestione, nel rispetto della normativa vigente, trasportandolo in discariche autorizzate, disposte per trattare materiali pericolosi, in cui viene smaltito seguendo rigorosi protocolli di sicurezza, evitando contaminazioni e tutelando la salute pubblica.
    Durante le operazioni di rimozione dell’amianto dovranno essere messe in atto tutte le misure di sicurezza del caso, isolando l’area per evitare la dispersione delle fibre del materiale, e i lavoratori che si occupano di questo intervento dovranno munirsi di dispositivi di protezione. I materiali che contengono amianto vengono sigillati in contenitori ad hoc ed è necessario tracciarli, etichettandoli correttamente.

    Amianto, dove si trova
    Nonostante sia vietato da oltre 30 anni, l’amianto resta ancora oggi un problema per via delle esposizioni passate e delle sue tracce residue presenti in abitazioni e industrie, rappresentando una minaccia per la salute dei cittadini. Se negli ultimi anni è stato messo in atto un massiccio lavoro di smaltimento del materiale, c’è ancora molto da fare.

    In passato utilizzato come rivestimento e isolante, l’amianto può trovarsi in costruzioni risalenti a prima del 1992. Nelle abitazioni può nascondersi ad esempio in stufe, impianti idraulici, elettrici e di riscaldamento, soffitti, solai, coperture, condotte, canalizzazioni, serbatoi, cisterne d’acqua, canne fumarie, intonaci e tubazioni. Inoltre, può essere presente in recinzioni, garage, box e coperture. Nelle industrie può trovarsi in diverse componenti, macchinari e attrezzi e le sue tracce possono celarsi anche in imballaggi, materiali plastici e tessuti. LEGGI TUTTO

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    Il guano di pinguino aiuta a contrastare la crisi del clima in Antartide

    L’ammoniaca rilasciata dal guano dei pinguini potrebbe contribuire a ridurre gli effetti del cambiamento climatico in Antartide, contribuendo ad aumentare la formazione di nubi. Questo curioso risultato emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista Communications Earth & Environment, condotto dagli scienziati dell’Università di Helsinki.

    Il team, guidato da Matthew Boyer e Mikko Sipila, ha analizzato una colonia di pinguini di Adelia, scientificamente noti come Pygoscelis adeliae. Gli ecosistemi antartici, spiegano gli esperti, stanno subendo pressioni significative a causa dei cambiamenti climatici di origine antropica. Tra questi, una recente tendenza alla riduzione dell’area coperta dal ghiaccio marino.

    I pinguini, aggiungono gli autori, sono specie chiave nell’ecosistema antartico, il cui habitat è minacciato da questa continua perdita di ghiaccio. Questi teneri animali sono inoltre anche i principali emettitori di ammoniaca nella regione. Tale sostanza può favorire la formazione di nubi, reagendo con i gas contenenti zolfo e aumentando la creazione di aerosol, particelle che forniscono al vapore acqueo una superficie su cui condensare, portando alla formazione di nubi.

    Crisi climatica

    Copernicus: mai così poco ghiaccio ai poli

    a cura della redazione di Green&Blue

    06 Marzo 2025

    Le nubi risultanti possono agire come strati isolanti nell’atmosfera, contribuendo spesso a ridurre le temperature superficiali e di conseguenza influenzando l’estensione della copertura di ghiaccio marino. Nell’ambito dell’indagine, i ricercatori hanno misurato la concentrazione di ammoniaca nell’aria in un sito vicino alla Base Marambio, in Antartide, tra il 10 gennaio e il 20 marzo 2023.

    I risultati hanno mostrato che quando il vento soffiava dalla direzione di una colonia di pinguini formata da circa 60mila esemplari a circa otto chilometri di distanza, la concentrazione di ammoniaca aumentava fino a 13,5 parti per miliardo, oltre 1.000 volte superiore al valore di base. Anche dopo la migrazione dei pinguini dalla zona verso la fine di febbraio, la concentrazione di ammoniaca era ancora oltre 100 volte superiore al valore di base, dato che il guano dei pinguini continuava a emettere gas. Per confermare che l’aumento della concentrazione di ammoniaca influisse sulla concentrazione di particelle di aerosol, gli autori hanno registrato diverse misurazioni atmosferiche aggiuntive in un unico giorno. Quando il vento soffiava dalla colonia di pinguini, il numero e le dimensioni delle particelle di aerosol registrate nel sito aumentavano drasticamente.

    I risultati, commentano gli esperti, suggeriscono che il guano di pinguino potrebbe contribuire a ridurre gli effetti del cambiamento climatico sugli ecosistemi antartici. Il lavoro, concludono gli scienziati, evidenzia l’importanza e i benefici della protezione degli uccelli marini e dei loro habitat dagli effetti del cambiamento climatico. LEGGI TUTTO