3 Maggio 2025

Daily Archives

consigliato per te

  • in

    Dalle chiese agli hotel, i vantaggi degli edifici mangia-smog

    Il Palazzo Italia dell’Expo del 2015 a Milano, la chiesa Dives in Misericordia a Roma, la chiesa dell’ospedale di Bergamo dedicata a San Giovanni XXIII, le pavimentazioni dei lungomari della riviera Adriatica. Ma anche le facciate dell’Hôtel de Police a Bordeaux e i pannelli dell’Air France all’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi. E ancora, le corsie ciclabili e i parcheggi a Blue Island Avenue e a Cermak Road, a Chicago, negli Stati Uniti. Infrastrutture molto diverse tra loro, che hanno in comune un’importante caratteristica: sono tutte realizzate con il cemento mangia-smog, dagli esperti chiamato fotocatalitico. Una storia iniziata nel 1996, quando il chimico Luigi Cassar ebbe l’idea di aggiungere alla miscela di cemento piccole particelle di biossido di titanio, un composto bianchissimo e a basso costo. Brevettato da Italcementi, oggi Heidelberg Materials, questo innovativo agglomerato è disponibile sul mercato dal 2006 con il nome di Tx Active.

    Il libro

    Dagli algoritmi alle auto ecologiche, quando la natura ispira la tecnologia

    di Pasquale Raicaldo

    22 Aprile 2025

    “Grazie alla luce naturale o artificiale, tale materiale è in grado di accelerare i processi di ossidazione, trasformando le sostanze organiche e inorganiche nocive, come ossido di azoto, biossido di zolfo, monossido di carbonio, ozono, in composti meno dannosi, come carbonati, nitrati, solfati, che vengono in seguito rimossi dall’acqua piovana”, spiega Anna Laura Pisello, ingegnere edile, docente di Fisica tecnica ambientale all’Università di Perugia e componente del network tecnico-scientifico di Federbeton, la Federazione di Confindustria che rappresenta la filiera del cemento e del calcestruzzo. “In questo modo il conglomerato contribuisce al miglioramento della qualità dell’aria. Inoltre, evitando l’accumulo e l’adesione dei contaminanti, è anche in grado di mantenere pulite le superfici degli edifici, valorizzandone l’aspetto estetico”.

    Il cemento che illumina le città
    Oltre a quello fotocatalitico, ci sono altri calcestruzzi creati in nome della sostenibilità ambientale. Tra questi, il calcestruzzo fotoluminescente, una miscela che contiene fosfori ottenuti dagli scarti del vetro, capaci di assorbire i raggi solari durante il giorno e di riemetterli sotto forma di luce, generando un’illuminazione passiva.
    “Un materiale ideale per realizzare edifici, marciapiedi, sentieri pedonali e ciclabili, piazze e parcheggi in zone scarsamente illuminate, incrementando così la visibilità e la sicurezza dei cittadini”, prosegue l’ingegnere. “A ciò si aggiunge la capacità di ridurre la temperatura del suolo e delle costruzioni durante l’estate, mitigando gli effetti del sovrariscaldamento urbano con benefici per la salute degli abitanti. In proposito, il nostro ateneo due anni fa si è aggiudicato un finanziamento dell’European Research Council per lo sviluppo del progetto Helios, finalizzato all’ideazione di materiali innovativi in grado di produrre raffrescamento passivo”. Calcestruzzo di questo tipo è stato, per esempio, impiegato per la pista ciclabile di Peccioli, nei pressi di Pisa, e per la pista ciclo-pedonale di Caravate, in provincia di Varese.

    Sostenibilità

    Lavori green, il bioarchitetto: “Costruiamo secondo le leggi della natura”

    di Marco Angelillo

    28 Marzo 2025

    Drenare l’acqua e ridurre le temperature
    Un altro esempio di calcestruzzo amico dell’ambiente è quello drenante che, a differenza dei due casi precedenti, non richiede di per sé l’aggiunta di specifici additivi, ma in cui è importante la dimensione dei grani (granulometria), che determina l’interazione dei vuoti e dei pieni. È usato soprattutto per realizzare pavimentazioni stradali porose, che permettono il deflusso dell’acqua piovana. “In tal modo, si riduce il rischio di impermeabilizzazione del terreno, assicurando una maggiore resilienza in caso di inondazioni e impedendo il fenomeno dell’acqua planning, pericoloso per i veicoli”, chiarisce Pisello. “Questo tipo di agglomerato, utilizzabile anche per piazze, giardini, percorsi ciclo-pedonali, spazi condominiali, ha inoltre il vantaggio di ridurre la risalita delle radici delle piante, di rispettare l’ecosistema nei substrati del suolo, di favorire il riciclo dei materiali a fine vita”.
    Infine, l’acqua assorbita dal terreno, che poi evapora (fenomeno di evapo-traspirazione), contribuisce a ridurre l’effetto “isola di calore” nelle città, responsabile dell’innalzamento dei consumi energetici e delle emissioni: grazie a tale componente, le temperature del suolo, che nei periodi più caldi possono raggiungere i 50 gradi, scendono a 5-20 gradi. Con questo materiale è stata pavimentata una parte del Parco Biblioteca degli alberi di Milano, con benefici estesi anche all’area circostante.

    Arte e Natura

    Biennale Architettura, così il clima cambierà le nostre case

    di Fiammetta Cupellaro

    11 Febbraio 2025

    Più resistenza per i grattacieli
    Un ulteriore esempio di calcestruzzo sostenibile è quello a basso calore di idratazione per edifici alti, studiato per getti massivi al fine di garantire un’elevata durabilità delle strutture. “Una volta gettato, il calcestruzzo indurisce grazie alla reazione di idratazione del cemento, un processo che produce calore elevato, aumentando così il rischio di fessurazione dell’agglomerato, con conseguenze negative sulla costruzione stessa”, aggiunge l’esperta. “Per questo nelle circostanze che lo richiedono si utilizza un cemento in grado di sviluppare poco calore. Si tratta di un prodotto che coniuga efficienza nella realizzazione, qualità e sicurezza nel risultato, minore impatto ambientale, grazie al ridotto contenuto di clinker, un componente base, ricavato principalmente da argilla e calcare, per la produzione del cemento”.
    Questo tipo di calcestruzzo è stato, per esempio, utilizzato nella realizzazione del grattacielo Gioia 22 a Milano, composto da 26 piani fuori terra e da quattro piani interrati. LEGGI TUTTO

  • in

    Delfini alla foce del Tevere “stressati”: i segni sulla pinna e la coda

    Come un insindacabile biglietto da visita, la salute dei delfini è tutta nei segni che portano addosso, sulla pinna dorsale, sulla coda e, soprattutto, sul dorso. Basta dunque indagarli per avere un responso. E non se la sembrano passare bene quelli che popolano la foce del fiume Tevere, nel Tirreno: già “ribattezzati” delfini capitolini, rappresentano un inno alla biodiversità a poche miglia dalla capitale, lungo la costa. Per comprendere le loro condizioni di salute, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Biologia Ambientale dell’università di Roma La Sapienza ha così analizzato, una per una, le lesioni cutanee dei singoli esemplari e la loro variazione nel corso degli anni. Arrivando a un responso non incoraggiante. “La popolazione – sintetizza la cetologa Daniela Silvia Pace – è sotto la pressione di molteplici fattori di stress, per lo più legati alle attività umane, sia direttamente, in primis la pesca, che indirettamente”.

    Biodiversità

    Gli ultimi delfini rosa di Hong Kong decimati dall’uomo

    di Giacomo Talignani

    16 Gennaio 2025

    Uno su due porta sul corpo gli effetti della pesca
    Lo studio, pubblicato sulla rivista “Aquatic Conservation” si è basato sulla fotoidentificazione dei delfini, monitorati – attraverso una tecnica evidentemente non invasiva – tra il 2016 e il 2023 nel corso di 205 distinti avvistamenti, concentrati in un’area ristretta a ridosso dell’estuario del Tevere, dove fiume apporta materia organica alle acque oligotrofiche del Tirreno, trasferendo immancabilmente anche gli inquinanti raccolti durante il transito nella città di Roma. Ma i delfini, come accade anche diverse miglia più giù alla foce del Sarno, sono fatalmente attratti dall’ecosistema costiero, e in particolare dalla presenza di pesci, che è certo più copiosa che altrove. Morale della favola: da queste parti si aggira una popolazione stimata in circa 500 esemplari, di cui circa un centinaio residenti alla foce del Tevere. E molte sono femmine con piccoli.Trentanove, nel dettaglio, i tursiopi osservati più volte e analizzati dallo studio.

    Evidenti ferite sul corpo del delfino alla foce del Tevere  LEGGI TUTTO