18 Aprile 2025

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    Riciclo, downcycling e upcycling: qual è la differenza?

    “Il riciclo è una forma di conservazione e la conservazione è una forma di amore per la Terra”, ha affermato Gina McCarthy, ex amministratore dell’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti. Il riciclaggio consente, infatti, di trasformare un rifiuto in un nuovo oggetto, dando così nuova vita a ciò che non viene più utilizzato. Tuttavia, accanto a tale meccanismo esistono anche due alternative per gestire gli scarti: downcycling e upcycling. Mentre con il riciclo il prodotto viene trasformato per crearne uno con un valore simile, con questi processi il valore del bene finale può rispettivamente diminuire o aumentare.

    Downcycling
    Il termine downcycling si riferisce a un procedimento degradativo, in cui i materiali vengono riutilizzati, ma con una perdita di qualità e potenzialità. Molti prodotti vengono sottoposti a questa procedura perché la materia prima impedisce di mantenere la precedente longevità una volta riprocessata e non può, quindi, essere reinserita nel ciclo di vita originario. Un esempio è la plastica, che compone bottiglie in Pet, flaconi di detersivo, imballaggi: a ogni processo di riciclo si degrada sempre di più, riducendo la sua resistenza. Finisce così per essere usata in zerbini, moquette o pavimentazioni stradali. Questi derivati sono di rado riciclabili, il che significa che sarà, quindi, necessaria nuova plastica. Così il circuito virtuoso si interrompe, creando il cosiddetto ciclo aperto. Un altro esempio è quello del calcestruzzo frantumato in seguito alla demolizione di un edificio. Di solito viene impiegato come riempitivo stradale, un prodotto che, pur avendo il vantaggio di limitare l’uso di sabbia e ghiaia, è di complessità inferiore rispetto a quello originale. Un ulteriore esempio è quello della carta. Durante ogni processo di riciclaggio, le fibre che la compongono si accorciano progressivamente, limitandone gli utilizzi. La maggior parte della carta riciclata, inclusa quella di alta qualità, finisce, infatti, per convertirsi in cartone, carta velina o tovaglioli di carta. In sostanza, il downcycling degrada i materiali originari, senza tornare alla materia prima. Pur richiedendo comunque energia, tempo e manodopera, resta preferibile all’incenerimento o allo smaltimento in discarica. Tuttavia, sarebbe auspicabile puntare su riutilizzo diretto o ricondizionamento.

    Upcycling
    È, in sostanza, ciò che fa l’upcycling, termine utilizzato per la prima volta dall’ingegnere tedesco Reiner Pilz in un articolo del 1994 e diventato un concetto consolidato nel 2002, grazie al libro “Cradle to Cradle” di William McDonough e Michael Braungart. Si tratta, in questo caso, di trasformare materiali di scarto in prodotti con maggiore valore economico, estetico o funzionale rispetto all’originale. A differenza del downcycling, l’upcycling si basa su un ciclo chiuso, in cui i rifiuti vengono riutilizzati ripetutamente senza una significativa perdita di qualità. Gli esempi virtuosi non mancano. Tra questi, c’è The Upcycle, un laboratorio di Amsterdam, in Olanda, che organizza workshop per trasformare vecchi pneumatici in cinture, borse della spesa dismesse in quaderni, biciclette rotte in lampade e mobili. C’è poi Rebottled, azienda che ricicla bottiglie di vino vuote trasformandole in bicchieri di design, con un risparmio energetico di circa 63 megawattora, una quantità sufficiente per alimentare una piccola città. Oltre a ciò, questo sistema consente di ridurre fino al 70% le emissioni di anidride carbonica correlate alla produzione di materia prima vergine, senza contare che molti progetti hanno anche un impatto sociale positivo. Per esempio, alcune cooperative impiegano persone in condizioni di fragilità per realizzare prodotti upcycled, creando lavoro e inclusione. Un caso di questo tipo in Italia è Progetto Quid, che recupera tessuti di scarto per creare nuove collezioni, offrendo un’occupazione a donne svantaggiate.

    Strategie diverse
    L’upcycling rappresenta oggi una delle leve più promettenti per un’economia davvero circolare. Tuttavia, il principale problema resta la scalabilità: molte iniziative rimangono confinate a contesti artigianali o di nicchia e non sempre riescono a competere, per costi e quantità, con la produzione industriale tradizionale. Inoltre, la tracciabilità dei componenti è essenziale: senza conoscere esattamente la composizione e la storia del materiale di scarto è difficile garantire qualità e sicurezza del nuovo prodotto. Il downcycling, pur essendo meno virtuoso, resta ancora indispensabile in molti settori, in cui la qualità della materia prima è compromessa o non è possibile implementare cicli chiusi. In questo caso, l’obiettivo è ridurre al minimo la perdita di valore nelle fasi di lavorazione, magari utilizzando tecnologie avanzate di separazione e purificazione dei materiali. In sintesi, upcycling e downcycling non sono solo due strategie di gestione dei rifiuti, ma rappresentano visioni opposte del futuro dei prodotti. Una sfida destinata a diventare sempre più cruciale nei prossimi decenni, che si giocherà sull’innovazione, sull’ingegneria, sulla cultura industriale. LEGGI TUTTO

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    Nelle case europee quasi 200 pesticidi “invisibili”: “Mix potenzialmente tossico”

    I pesticidi, o meglio gli agrofarmaci, continuano a genere preoccupazioni anche e soprattutto per la salute umana: pericolosi singolarmente ma anche e soprattutto nella loro reazione con altre sostanze chimiche, che ne può amplificare gli effetti, creando un potenziale cocktail tossico”.
    A rilanciare l’allarme è ora il Guardian, partendo dai risultati già noti di uno studio che ha esaminato la polvere delle case di dieci paesi europei, Italia compresa, rilevando più di 200 tipi diversi di pesticidi, il 40% dei quali dagli effetti altamente tossici. “Il numero dei pesticidi – spiega lo studio – variava di casa in casa, da un minimo di 25 e un massimo di 121, con numeri tendenzialmente più elevati nelle case degli agricoltori”.

    Inquinamento

    Sostanze tossiche nei parchi urbani? Ce lo dicono i ricci

    di Paolo Travisi

    17 Aprile 2025

    Mix di pesticidi
    “Diverse analisi epidemiologiche dimostrano che le malattie sono associate a miscele di pesticidi”, annota Paul Scheepers del Radboud Institute for Biological and Environmental Sciences. A favorire la penetrazione delle sostanze negli ambienti “indoor” sono anche la mancanza di alcune precauzioni (togliersi le scarpe o spolverare il giubbotto, per esempio) e il contributo degli animali domestici. “Del resto è da tempo noto che i pesticidi siano sostanze persistenti e pervasive. – spiega Franco Ferroni, responsabile agricoltura Wwf Italia – Ancora oggi i report Ispra restituiscono la presenza, nell’ambiente, di sostanze vietate da anni, dal para-diclorodifeniltricloroetano o DDT all’atrazina (diserbante clorotriazinico in passato usato per il mais, bandito in Italia a causa dell’inquinamento delle falde freatiche, ndr). Né si può dire che i sistemi di irrorazione digitale legati all’agricoltura di precisione, peraltro usati ancora molto marginalmente, stiano risolvendo il problema. Il punto – aggiunge – è come spiega lo studio citato dal Guardian, che il rischio di contaminazione investe anche aree limitrofe, come documentato per il Trentino Alto-Adige dallo studio di parchi pubblici e aree gioco vicine alle zone agricole con colture intensive. E, del resto, si sono trovati pesticidi anche ad altissima quota”.

    Allarme biodiversità: crolla il numero di uccelli negli ambienti agricoli. Ecco perché

    di Loredana Diglio

    22 Marzo 2025

    Sostanze trovate lontane dai campi agricoli
    Di recente, il Pesticide Action Network ha reso noto un recente studio condotto in 78 diverse località della Germania: anche in questo caso i dati mostrano come i pesticidi si diffondano molto più lontano dal campo di quanto si è creduto finora, anche a diverse centinaia di metri dai terreni agricoli. Non solo: lo studio ha attestato come anche aree remote, decisamente lontane dai campi trattati con pesticidi, non sono risultate prive di residui.

    Lo studio

    Polimeri “ecologici”, un nuovo studio smentisce: “I polyBFR sono pericolosi”

    a cura della redazione di Green&Blue

    05 Marzo 2025

    “Questo non è solo un problema agricolo, ma una realtà che riguarda tutte le persone che possono entrare in contatto con i pesticidi mentre fanno una passeggiata nei parchi giochi o nei giardini. – denuncia WWF Italia – Gli agricoltori, le loro famiglie e i vicini di casa sono particolarmente a rischio, così come i gruppi sensibili come bambini, donne incinte e anziani”. Enti di ricerca come l’Istituto Ramazzini hanno condotto studi tossicologici sui rischi del glifosato e degli erbicidi a base di glifosato, evidenziando che la sostanza è pericolosa anche a basse dosi.
    L’aiuto dell’intelligenza artificiale
    “Occorre la giusta attenzione, ma senza allarmismi, anche perché in Italia la situazione è meno critica che in Gran Bretagna. – sottolinea Matteo Guidotti, ricercatore all’Istituto di scienze e tecnologie chimiche del Cnr – Prima ancora delle norme, bisognerebbe investire nello sviluppo di sistemi analitici o di sensori di semplice utilizzo e a buon mercato: oggi la scienza è ampiamente in grado di cercare sostanze inquinanti fino a livelli minimi, anche molto al di sotto di un pericolo immediato per la salute umana, ma quanto è pensabile farlo tutti i giorni, in ogni area del Paese? E ancora: bisogna puntare sempre di più sull’uso di un’agricoltura che faccia affidamento di nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale, che consentirebbe un uso mirato e oculato dei fitofarmaci, con una riduzione degli sprechi, anche in termini di consumi idrici. Una piccola rivoluzione che in Italia, dove l’agricoltura abbraccia una costellazione di aziende soprattutto di piccole dimensioni, è particolarmente difficile”.
    Le preoccupazioni italiane
    Ma anche nel nostro Paese le pressioni aumentano. E la preoccupazione c’è. “Il nostro Paese è ancora senza un Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei pesticidi, scaduto dal 2019 e mai rinnovato con disposizioni più stringenti come l’obbligo della distanza di sicurezza inderogabile di almeno 50 metri dalle abitazioni per i trattamenti fitosanitarie”, denuncia ancora Franco Ferroni, responsabile agricoltura Wwf Italia. “I singoli stati europei sono tenuti a recepire le direttive Ue, come la Direttiva 2009/128/CE che stabilisce le regole per un uso sostenibile dei pesticidi nell’Unione europea, soprattutto dopo il ritiro del regolamento europeo SUR che prevedeva la riduzione dell’uso del 50% dei pesticidi entro il 2030. – aggiunge – In più, si continua a ignorare il problema del multiresiduo: chiediamo da tempo che i limiti massimi per i pesticidi non riguardino i singoli principi attivi ma la somma dei trattamenti, anche per prevenire possibili escamotage degli agricoltori”. LEGGI TUTTO

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    Il crollo dell’Impero Romano: tutta colpa della siccità

    Il crollo dell’Impero Romano? Tutta colpa della siccità. Almeno leggendo uno studio condotto dall’Università di Cambridge e pubblicato su Climatic Change, dal titolo “Siccità e conflitti nel tardo periodo romano”. Risultato di un intreccio tra ricerche su cambiamenti climatici, testi e reperti archeologici. Arrivando alla conclusione che le battaglie nell’Impero Romano d’Occidente erano profondamente legate […] LEGGI TUTTO