16 Aprile 2025

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    Umberto Pasti, il botanico e i suoi giardini paradiso

    Due giardini dominano una vallata che si affaccia sull’Oceano Atlantico in Marocco, una sessantina di chilometri a sud di Tangeri. Trent’anni fa c’erano solo pietre e fiori, non c’era acqua né luce elettrica, solo una mulattiera; una terra isolata e assolata dove si poteva arrivare solamente a piedi o a cavallo. Ma oggi, grazie al lavoro paziente di Umberto Pasti, scrittore e botanico milanese, in quei luoghi sta scorrendo nuova linfa vitale. Il primo sito è il Giardino della consolazione, che Pasti definisce così perché le piante si accontentano di poca acqua per vivere (quella che proviene dal pozzo del villaggio è sufficiente), è un’oasi rigogliosa tra case in pietra, una raccolta di specie siccitose provenienti dal Centro e dal Sud America, dal Sudafrica, dall’Asia e dall’Australia. Il secondo è un vasto territorio di colline e pianori (7-8 ettari) con un’antica ficaia e olivastri, dove sono state messe a dimora solo specie autoctone (gladioli, corbezzoli, viburni, orchidee, scille, euforbie), la più grande collezione di specie marocchine al mondo. Bulbi e piante provengono spesso dai cantieri edili e stradali, dove Pasti e un gruppo di ragazzi marocchini li sottraggono letteralmente dalle colate di cemento e asfalto. I due giardini sono gestiti da un’associazione (G.O.R. – Garden of Rohuna) che, con i proventi del turismo e le donazioni, dà lavoro agli abitanti del piccolo villaggio di Rohuna (450 abitanti), ha aperto una strada per le ambulanze, restaurato una scuola, piantato un parco per i bambini e un frutteto attorno alla moschea.

    Il giardino di Rohuna (Foto di Ngoc Minh Ngo)  LEGGI TUTTO

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    In Europa ci stiamo adattando più velocemente al freddo estremo che al caldo

    Estati torride, ondate di freddo invernale. Le temperature europee sono destinate a cambiare sempre più rapidamente nei prossimi decenni, e la capacità di adattarsi agli estremi climatici sarà, di conseguenza, sempre più essenziale. Come ce la stiamo cavando? La risposta arriva da una ricerca guidata dall’Istituto per la Salute Globale di Barcellona, che sulle pagine di Lancet Planetary Health ha analizzato l’andamento degli eccessi di mortalità in Europa nell’arco degli ultimi 20 anni, rivelando una riduzione sia nel corso delle ondate di caldo che nei picchi di freddo, più significativa però nel caso delle basse temperature. Lo studio ha analizzato i dati di mortalità di 800 aree di 35 paesi europei raccolti tra il 2003 e il 2020, ed è stata realizzata utilizzando la potenza di calcolo del Barcelona Supercomputing Centre. L’analisi è stata effettuata utilizzando un nuovo metodo, basato su quello che i suoi autori hanno battezzato Extreme-Risk Temperature, o temperature di rischio estremo, un sistema di soglie mobili che determina i picchi di temperatura pericolosi per ogni regione in base ai dati epidemiologici degli ultimi decenni.

    I dati

    Marzo il mese più caldo d’Europa e ghiaccio marino artico più basso d’inverno

    a cura della redazione di Green&Blue

    08 Aprile 2025

    In questo modo, la ricerca ha potuto comparare la situazione in paesi e aree diverse del continente, impresa impossibile da raggiungere utilizzando soglie di temperatura fisse (zero gradi, d’altronde, sono cosa ben diversa in Norvegia o in Sicilia). In assoluto, nel periodo studiato l’Europa ha sperimentato 2,07 giorni di basse temperature di rischio estremo in meno ogni anno, mentre quelli di alte temperature a rischio sono aumentati di 0,28 giorni l’anno. Nelle zone sudorientali del continente, però, la situazione è risultata ben diversa, con un aumento sia dei giorni a rischio sia per il freddo, che per il caldo. L’analisi comunque conclude che in Europa nel ventennio studiato la mortalità in eccesso causata dalle ondate di freddo è diminuita del 2% ogni anno, mentre quella legata al caldo è calata, sì, ma solo dell’1% annuo. “I nostri risultati mostrano che, sebbene l’Europa abbia compiuto notevoli progressi nell’adattamento al freddo, le strategie per affrontare la mortalità correlata al caldo sono state meno efficaci”, commenta Zhao-Yue Chen, ricercatore dell’Istituto per la Salute Globale di Barcellona che ha guidato lo studio. “Il nostro studio evidenzia la necessità di maggiori progressi nelle attuali misure di adattamento al caldo e nei piani d’azione per la salute e il caldo. Allo stesso tempo, le disparità spaziali osservate sottolineano la necessità di strategie specifiche per regione al fine di proteggere le popolazioni vulnerabili”.

    Lo studio ha inoltre analizzato la frequenza con cui le temperature a rischio si sono verificate in giorni in cui i livelli di inquinamento superavano i limiti raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In media, è avvenuto nel 60% dei giorni di caldo estremo e nel 65% di quelli di freddo estremo. Nel corso del tempo la co-occorrenza di estremi di temperatura e picchi di inquinamento è diminuita, ad eccezione di quella tra giorni pericolosamente caldi e alti livelli di ozono (O3), aumentata invece a un ritmo di 0,26 giorni all’anno. “Con l’intensificarsi del riscaldamento globale, gli episodi combinati di caldo e ozono stanno diventando una preoccupazione inevitabile e urgente per l’Europa”, conclude Zhao-Yue Chen. Dobbiamo tenerlo in considerazione, e sviluppare strategie specifiche per affrontare gli inquinanti secondari come l’ozono, perché temperature estreme e inquinamento atmosferico non sono completamente indipendenti per quanto riguarda il loro impatto sulla salute, anzi, possono interagire tra loro amplificando i reciproci effetti nocivi”. LEGGI TUTTO

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    “Meno protezioni per il lupo”, il via libera della Ue

    Via libera da parte dei Rappresentanti Permanenti dei 27 (Coreper II) alla modifica dello status di protezione del lupo, allineando la legislazione dell’Ue alla Convenzione di Berna aggiornata. Il mandato comprende una modifica mirata della direttiva sugli habitat – la legge dell’Ue che attua la Convenzione di Berna – per riflettere il livello di protezione […] LEGGI TUTTO

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    Legambiente lancia l’agrivoltaico: “Fa bene all’ambiente e all’agricoltura”

    Legambiente è certa: la svolta energetica per l’agricoltura arriverà puntando sul potenziale dell’agrivoltaico, quel sistema integrato per produrre energia solare. Almeno guardando i numeri, tra progetti approvati, fondi stanziati e benefici ambientali ed economici, messi in fila da Legambiente in occasione del primo Forum Nazionale sull’Agrivoltaico organizzato a Roma. Su 304 pareri di VIA rilasciati nel 2024 dalla Commissione Pnrr-Pniec del ministero dell’ambiente e della Sicurezza Energetica, 153 erano relativi a progetti di agrivoltaico (50,3% del totale), 76 riguardavano parchi fotovoltaici a terra e 46 impianti eolici. Per il 78% dei progetti di agrivoltaico presentati il parere della Commissione è stato positivo, mentre il 22% dei progetti ha ricevuto lo stop del Ministero.

    L’impatto sulla produzione
    “Si tratta, quindi, della tecnologia impiantistica più presente tra i pareri rilasciati dalla Commissione del Mase lo scorso anno”, tengono a precisare gli esponenti di Legambiente. Un dato che, secondo l’associazione ambientalista, segna un passo decisivo per accelerare la diffusione del fotovoltaico nei terreni agricoli italiani convinti che questa tecnologia “permette di produrre energia pulita sfruttando le superfici coltivate, migliorare le rese agricole grazie all’effetto ombreggiante, ridurre il fabbisogno idrico, promuovere un modello di agricoltura a zero emissioni in grado di contrastare gli impatti della crisi climatica e offrire nuove opportunità di integrazione del reddito per le aziende agricole”.

    Agricoltura sostenibile

    Legambiente sfida la normativa e presenta pannelli solari in mezzo a campi coltivati

    08 Agosto 2024

    La svolta energetica per arginare la crisi climatica
    Sempre secondo Legambiente, che ribadisce la necessità di realizzare una svolta per arginare la crisi climatica e accelerare la transizione energetica, l’unica strada è il fotovoltaico. “Studi sperimentali, si legge in un documento presentato al Forum nazionale – confermano che la produttività della vite coltivata sotto impianti agrivoltaici è aumentata del 15-30%, quella dell’insalata del 10%, mentre per il pomodoro si è osservata una riduzione dei consumi idrici fino al 65%. Le colture foraggere hanno registrato incrementi di resa fino al 40%”. LEGGI TUTTO

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    Ora Musk vuole privatizzare un “habitat da proteggere”, protestano gli ambientalisti

    Nella piccola spiaggia di Boca Chica, in Texas, gli uccelli migratori fanno sosta prima di ripartire mentre dietro di loro, lungo le dune, cartelli segnalano come l’intera area sia un “habitat da proteggere”. Ma Boca Chica non è una spiaggia come le altre: è un angolo di mondo conteso da chi lo vorrebbe tutto per sé, mentre si allena a portare l’umanità su Marte, e chi invece chiede che rimanga pubblico e protetto. Boca Chica è la spiaggia che vuole Elon Musk. Al confine tra Texas e Messico questa spiaggia è accanto alla base della struttura di SpaceX, di proprietà del multimiliardario americano, a poca distanza da Brownsville dove sorge una statua con il busto di Musk che proprio qualche giorno fa è stata nuovamente sfregiata e vandalizzata. Attorno alla spiaggia ci sono invece edifici e uffici dove SpaceX prepara il lancio di Starship per portare le persone su Marte, rampe di lancio per i test aerospaziali e una grande infrastruttura di proprietà privata che garantisce lavoro a centinaia di dipendenti che vivono nell’area.

    Se questa zona è tutta di proprietà di Musk, la spiaggia di Boca Chica – come sancito dalla Costituzione e dalle leggi del Texas – non lo è: si tratta infatti di un bene pubblico aperto a tutti e amministrato dalla contea. Quando però avvengono le prove, i test e i lanci da parte di SpaceX, per un comune accordo la spiaggia per motivi di sicurezza e di privacy viene chiusa: nessuno può accedervi e finora questa chiusura, concordata con l’azienda, veniva attuata direttamente dalle amministrazioni locali. Solo che ora, in vista di sempre più lanci e missioni spaziali per accelerare l’obiettivo Marte, Musk ha dichiarato di voler essere lui ad amministrare e gestire la spiaggia, come se fosse il proprietario anche di questo rifugio naturale di molte specie. Ben presto i lanci potrebbero infatti aumentare anche di cinque volte, raccontano i media texani, e per questo Musk – senza dover passare per autorizzazioni e ok della contea – vorrebbe poter chiudere la spiaggia a suo piacimento quando avvengono le partenze dei razzi. Al suo fianco, pronti ad assecondare la sua richiesta, ci sono già alcuni politici repubblicani, ma dall’altra parte i responsabili delle comunità locali insieme ad ambientalisti ed ecologisti si oppongono, chiedendo che la spiaggia rimanga pubblica e che si aumenti la protezione per le specie di fauna e flora che la popolano. A breve, raccontano media locali come Kut News, l’area dove sorge la base di SpaceX potrebbe diventare una vera e propria città indipendente. Qui, nella contea di Cameron, sono presenti infatti strutture tutte collegate alle attività di Musk e dei dipendenti: una scuola, un bar, un ambulatorio e altri spazi comuni. Il 3 maggio le 500 persone che vivono nella zona o nelle vicinanze voteranno per rendere Starbase una città indipendente e questo potrebbe agevolare la richiesta di Musk di diventare, di fatto, gestore della spiaggia di Boca Chica, un litorale finora frequentato anche da altre persone, un luogo selvaggio dove si pesca, si passa tempo in spiaggia o si campeggia e, come detto, anche una importante area naturale.

    Questa spiaggia è infatti ritenuta un prezioso ecosistema per gli uccelli migratori e per specie autoctone che, in alcuni casi, sono stati minacciato proprio dalla presenza di SpaceX tanto che qualche mese fa il governo federale ha multato l’azienda per circa 150.000 dollari per presunte violazioni ambientali. Vicino alla spiaggia attualmente è in costruzione anche una seconda rampa di lancio che potrebbe ulteriormente impattare sulla salute dell’area. L’idea di Musk è ottenere la gestione della spiaggia sfruttando un disegno di legge già approvato da repubblicani di Donald Trump (ma non ancora passato per la Camera del Texas) che darebbe il potere alla futura amministrazione di Starbase di chiudere la spiaggia prima di ogni lancio o test, praticamente in ogni momento durante la settimana ma non nei weekend (quando resterebbe gestita dalla contea). Ma se alcune persone del luogo sostengono l’iniziativa – anche visti gli investimenti economici e i posti di lavoro creati dall’azienda di Musk – altri invece temono che questa sorta di privatizzazione possa impattare ulteriormente sul futuro di Boca Chica. Per esempio il gruppo ambientalista Save Rgv si batte per la protezione, anche se dopo anni di lotta ha il timore che alla fine Musk sarà in grado di “modificare la Costituzione” e ottenere quel che vuole. Il problema però resta e non è solo una questione di aperture o chiusure della spiaggia, ma anche di detriti legati ai lanci che impattano su oceano ed ecosistemi. Lo raccontano per esempio alcuni biologi nel documentario “Shifting Baselines” girato proprio a Boca Chica e che narra la vita intorno alla base di SpaceX dove i ricercatori, mentre turisti e curiosi cercano pezzi di razzi sulla spiaggia, spiegano come le attività per andare su Marte possano portare tra rifiuti e inquinamento acustico gravi danni ecologici, tra cui la scomparsa di numerose specie rare di uccelli e di altri animali. LEGGI TUTTO