Estati torride, ondate di freddo invernale. Le temperature europee sono destinate a cambiare sempre più rapidamente nei prossimi decenni, e la capacità di adattarsi agli estremi climatici sarà, di conseguenza, sempre più essenziale. Come ce la stiamo cavando? La risposta arriva da una ricerca guidata dall’Istituto per la Salute Globale di Barcellona, che sulle pagine di Lancet Planetary Health ha analizzato l’andamento degli eccessi di mortalità in Europa nell’arco degli ultimi 20 anni, rivelando una riduzione sia nel corso delle ondate di caldo che nei picchi di freddo, più significativa però nel caso delle basse temperature. Lo studio ha analizzato i dati di mortalità di 800 aree di 35 paesi europei raccolti tra il 2003 e il 2020, ed è stata realizzata utilizzando la potenza di calcolo del Barcelona Supercomputing Centre. L’analisi è stata effettuata utilizzando un nuovo metodo, basato su quello che i suoi autori hanno battezzato Extreme-Risk Temperature, o temperature di rischio estremo, un sistema di soglie mobili che determina i picchi di temperatura pericolosi per ogni regione in base ai dati epidemiologici degli ultimi decenni.
I dati
Marzo il mese più caldo d’Europa e ghiaccio marino artico più basso d’inverno
a cura della redazione di Green&Blue
08 Aprile 2025
In questo modo, la ricerca ha potuto comparare la situazione in paesi e aree diverse del continente, impresa impossibile da raggiungere utilizzando soglie di temperatura fisse (zero gradi, d’altronde, sono cosa ben diversa in Norvegia o in Sicilia). In assoluto, nel periodo studiato l’Europa ha sperimentato 2,07 giorni di basse temperature di rischio estremo in meno ogni anno, mentre quelli di alte temperature a rischio sono aumentati di 0,28 giorni l’anno. Nelle zone sudorientali del continente, però, la situazione è risultata ben diversa, con un aumento sia dei giorni a rischio sia per il freddo, che per il caldo. L’analisi comunque conclude che in Europa nel ventennio studiato la mortalità in eccesso causata dalle ondate di freddo è diminuita del 2% ogni anno, mentre quella legata al caldo è calata, sì, ma solo dell’1% annuo. “I nostri risultati mostrano che, sebbene l’Europa abbia compiuto notevoli progressi nell’adattamento al freddo, le strategie per affrontare la mortalità correlata al caldo sono state meno efficaci”, commenta Zhao-Yue Chen, ricercatore dell’Istituto per la Salute Globale di Barcellona che ha guidato lo studio. “Il nostro studio evidenzia la necessità di maggiori progressi nelle attuali misure di adattamento al caldo e nei piani d’azione per la salute e il caldo. Allo stesso tempo, le disparità spaziali osservate sottolineano la necessità di strategie specifiche per regione al fine di proteggere le popolazioni vulnerabili”.
Lo studio ha inoltre analizzato la frequenza con cui le temperature a rischio si sono verificate in giorni in cui i livelli di inquinamento superavano i limiti raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In media, è avvenuto nel 60% dei giorni di caldo estremo e nel 65% di quelli di freddo estremo. Nel corso del tempo la co-occorrenza di estremi di temperatura e picchi di inquinamento è diminuita, ad eccezione di quella tra giorni pericolosamente caldi e alti livelli di ozono (O3), aumentata invece a un ritmo di 0,26 giorni all’anno. “Con l’intensificarsi del riscaldamento globale, gli episodi combinati di caldo e ozono stanno diventando una preoccupazione inevitabile e urgente per l’Europa”, conclude Zhao-Yue Chen. Dobbiamo tenerlo in considerazione, e sviluppare strategie specifiche per affrontare gli inquinanti secondari come l’ozono, perché temperature estreme e inquinamento atmosferico non sono completamente indipendenti per quanto riguarda il loro impatto sulla salute, anzi, possono interagire tra loro amplificando i reciproci effetti nocivi”. LEGGI TUTTO