27 Marzo 2025

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    “Basta azioni eclatanti”, l’annuncio di Just Stop Oil

    Dicono basta, hanno deciso di appendere al muro la colla e la pentola con la zuppa. Gli eco attivisti di Just Stop Oil, il gruppo ambientalista nato tre anni fa in Gran Bretagna per combattere l’inazione contro la crisi climatica, hanno annunciato la fine delle loro proteste eclatanti. L’ultima manifestazione a cui parteciperanno sarà il 26 aprile, poi la loro battaglia continuerà ma solo “nei tribunali e nelle loro prigioni”. Dal febbraio 2022 il gruppo dai colori arancioni impegnato a costringere per esempio il governo britannico a porre fine alle nuove licenze e alla produzione di petrolio e combustibili fossili, attraverso blitz, proteste eclatanti e azioni di resistenza civile e non violenza ha iniziato una lunghissima campagna diventata ben presto famosa in tutto il mondo. Tra le azioni più celebri la zuppa di pomodoro lanciata su quadri come i “Girasoli” di Vincent Van Gogh, ma anche il tentativo di bloccare l’autostrada M25, le irruzioni durante le partite di calcio e la gare di Formula 1, l’idea di “incollarsi” a opere d’arte come “L’Ultima Cena” di Leonardo Da Vinci e le una lunghissima serie di proteste che ha visto fermare il traffico, coinvolgere aeroporti e di recente anche attaccare la Tesla di Elon Musk.

    Anche Just Stop Oil però, come accaduto in Italia a Ultima Generazione, oppure agli esponenti di Extinction Rebellion, ha pagato a caro prezzo le nuove misure di repressione che in tante realtà del mondo sono cresciute nel tentativo di bloccare e incriminare le eco proteste. Probabilmente il colpo più duro da incassare per gli attivisti britannici è stata la conferma in appello, il recente 7 marzo, di pesanti pene detentive per almeno sedici attivisti dell’organizzazione, anche se alcuni di loro si sono visti ridurre le pene. Fra loro anche l’attivista Roger Hallam, conosciuto come co-fondatore proprio di Just Stop Oil ed Extinction Rebellion. La sentenza, in particolare, si riferiva ad alcune proteste tra cui il blocco dell’autostrada vicino Londra. Non è un caso che la scelta di Just Stop Oil di fare un passo indietro, di dire basta alle proteste eclatanti, sia arrivata dopo le sentenze. Eppure, come specifica l’attivista Hannah Hunt, con un annuncio a Londra, per il gruppo c’era già la consapevolezza che era arrivato il momento di cambiare. “Tre anni dopo essere apparsa sulla scena in un tripudio di arancione, alla fine di aprile la campagna Just Stop Oil appenderà al chiodo i giubbotti ad alta visibilità” ha detto. “La richiesta di Just Stop Oil di porre fine al nuovo petrolio e gas è ora una politica governativa, rendendoci una delle campagne di resistenza civile di maggior successo nella storia recente. Abbiamo fatto delle licenze per i combustibili fossili la notizia da prima pagina e abbiamo tenuto oltre 4,4 miliardi di barili di petrolio nel sottosuolo, mentre i tribunali hanno dichiarato illegali le nuove licenze di petrolio e gas. Ma è tempo di cambiare. Ci stiamo dirigendo verso un riscaldamento globale di 2 °C nel prossimo decennio, con conseguenti miliardi di morti, disordini civili di massa e collasso sociale. Nel frattempo, stiamo assistendo a corporazioni e miliardari che acquistano potere politico e lo usano per colpire i deboli e vulnerabili” per cui servono “nuove strategie per la nuova realtà”.

    Gli attivisti

    Ultima Generazione cambia: meno blocchi stradali più azioni contro le multinazionali dell’oil & gas

    di Giacomo Talignani

    20 Dicembre 2024

    In sostanza “solo una rivoluzione potrà proteggerci dalle tempeste imminenti”. Il che fa intuire che il gruppo, esattamente come hanno fatto di recente Ultima Generazione, ma in parte anche i Fridays For Future divenuti più politici oppure Extinction Rebellion che come vedremo ha in programma nuovi tipi di iniziative, sta cambiando la sua strategia ma non smetterà di esistere. L’ultima manifestazione “ufficiale” di Just Stop Oil sarà durante una protesta a Parliament Square il 26 aprile, poi gli attivisti si concentreranno su “tribunali e prigioni”, dai casi in corso al destino degli attivisti condannati. Nel frattempo il giorno prima, a Roma, andrà in scena la “Primavera Rumorosa”, una grande azione di mobilitazione di Extinction Rebellion per “la libertà, il lavoro e la giustizia climatica” che continuerà fino al primo maggio. Anche in questo caso il dito sarà puntato contro gli investimenti (italiani) nel gas e nei combustibili fossili ma anche su “un aumento della repressione verso chi protesta pacificamente per il clima”, un richiamo a quelle misure forti adottate contro gli attivisti dalla Gran Bretagna fino all’Italia. Con il rompete le righe (almeno per le strade) di Just Stop Oil, in un contesto dove la questione climatica si fa sempre più urgente ma le proteste ecologiche e le politiche green sembrano aver perso appeal sia fra la popolazione sia per i decisori oggi impegnati nella questione guerre, difesa, riarmo e sulla caccia ai minerali, i movimenti per il clima subiscono una ulteriore scossa.

    Sembrano ormai lontanissime le piazze, guidate da Greta Thunberg, piene di giovani che protestavano in tutto il mondo per il clima appena cinque anni fa. Appare distante anni luce anche l’enorme folla di 100mila persone, con in testa Extinction Rebellion, che marciava fuori dalla COP26 di Glasgow nel 2021, così come tutte le altre manifestazioni per l’ambiente che nel tempo si sono fatte sempre più piccole. Nel bene e nel male le uniche proteste che riuscivano a tenere alta l’attenzione sul tema della decarbonizzazione negli ultimi anni sono state proprio quelle più eclatanti di Just Stop Oil, che adesso termineranno. Ora, con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, il mondo sta ulteriormente cambiando e l’emergenza climatica viene costantemente affossata ed oscurata, così come in Europa il Green Deal è stato svuotato di molti dei suoi impegni iniziali. La scienza però ci dice che nonostante il tentativo di nascondere o rimandare il problema, il surriscaldamento globale continuerà ad aumentare e gli eco attivisti, a modo loro, erano lì a ricordarcelo. Adesso che anche i movimenti stanno chiudendo i battenti o cambiando, chi terrà alta l’attenzione sulla questione climatica?. LEGGI TUTTO

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    Il decalogo delle comunità Walser per salvare la montagna

    Dodici comunità Walser dei borghi alpini nelle provincie di Aosta, Vercelli, Verbano-Cusio-Ossola e nel Canton Ticino hanno presentato a Formazza la Carta dei valori Walser: “dieci riflessioni e qualche suggerimento per vivere e salvaguardare i territori montani, prendendo spunto dalla nostra cultura e dalla nostra storia”. Un decalogo con il quale le comunità cercano di immaginare un avvenire prospero ma sostenibile nelle Alte terre. In questo documento, i discendenti dalle popolazioni arrivate nel Medioevo dall’Alto Vallese (Svizzera) e insediate da 700 anni ai piedi del Monte Rosa, affrontano temi cruciali come il contrasto allo spopolamento dei paesi di montagna, la preservazione della biodiversità, la custodia del paesaggio storico, la promozione di uno sviluppo e di un turismo sostenibile che non esaurisca le risorse naturali. È sorprendente come una cultura così antica sia sopravvissuta fino a oggi e sia ancora così tangibile nel paesaggio, nelle abitazioni, nella lingua paleo germanica, nella cultura di queste piccole popolazioni valligiane.

    Pietro Bolongaro è un agricoltore e allevatore di montagna. Abita in uno dei più piccoli borghi piemontesi: Rima, 1.417 metri di altitudine, fondato nel XIV secolo dal popolo Walser in una conca verde alla fine della Val Sermenza (una laterale della Valsesia). Fa parte di un gruppo di agricoltori che sta recuperando le tecniche agricole walser: molte lavorazioni a mano in terreni piccoli e frammentati, coltivazione di antiche varietà di patate, uso di fertilizzanti organici, allevamenti bovini e ovini con alpeggi estivi a 2.500 metri di altitudine. “Tutte iniziative che richiedono molto impegno – spiega Bolongaro, che in giugno aprirà anche un agriturismo – ma che continuiamo a portare avanti con determinazione, per consolidare un’economia di pace che si coniughi con un turismo lento e con i valori tramandati dai nostri avi”. Della Carta, Pietro sottolinea due aspetti: “ci siamo definiti custodi perché, oltre ad abitare questi territori, intendiamo curarli e offrire un’accoglienza qualificata a chi vorrà scoprirli, cercando di trasmettere anche la spiritualità della natura, dei paesi e della nostra storia”. Il secondo aspetto è la grande solidarietà delle comunità Walser, vissuta nella vita quotidiana: “ogni famiglia aveva un certo numero di mucche, ma gli alpeggi venivano gestiti insieme; era riconosciuta la proprietà privata, ma veniva amministrata in maniera consortile. Quando una famiglia doveva costruire una casa, poi, tutte le altre partecipavano donando preziose ore di lavoro e mettendo a disposizione esperienza e capacità tecniche”.

    Giornata mondiale

    “Metà dei ghiacciai italiani rischia di scomparire”

    di Giacomo Talignani

    21 Marzo 2025

    Un altro protagonista del decalogo è Riccardo Carnovalini, fotografo, scrittore e camminatore, tra gli ideatori del Sentiero Italia (l’autostrada verde che unisce le venti regioni italiane). È il curatore della Carta dei valori. Si definisce “un Walser d’adozione”, vive sulle Alpi Graie in Piemonte, a stretto contatto con la natura, in una casa di pietra e legno e ci racconta il senso del documento condiviso dalle dodici comunità.

    Perché è stato scritto questo decalogo?
    “Per non disperdere le conoscenze e i saperi di una popolazione che ha dimostrato nei secoli di poter vivere a quote dove nessuno, prima, aveva vissuto. Si tratta del secondo step di un progetto sostenuto dalla fondazione Compagnia di San Paolo: il primo è stato la messa a punto della Walserweg, il grande sentiero Walser costituito da 11 tappe, 153 chilometri di percorsi tra valle d’Aosta, Piemonte e Canton Ticino e oltre 200 punti di interesse, alla scoperta dell’affascinante cultura Walser e dei loro magnifici territori”.

    Biodiversità

    Lavori green, il guardiaparco: “Insegniamo a vivere a contatto con la natura”

    di Pasquale Raicaldo

    26 Marzo 2025

    Qual è il futuro delle comunità Walser?
    “La sfida è l’attualizzazione di quelle capacità e di quei valori che hanno caratterizzato la vita e le attività dei Walser, riconoscendo i limiti ambientali dettati dal cambiamento climatico. Il futuro delle comunità si radica anche nella presa di coscienza che il turismo non debba essere un punto di partenza, ma la conseguenza di una nuova economia. Un turismo che va educato alla curiosità della scoperta e che non può pretendere di portare in montagna lo stile di vita delle città”.

    Uno dei punti del decalogo si riferisce all’economia di pace. Può spiegare meglio il concetto?
    “Economia di pace significa filiere corte e circolari, ottimizzazione delle risorse naturali, forestali, agricole. Un’economia che si rivolge al mercato locale, non sfruttando manodopera sottopagata. I coloni Walser nel Medioevo non superavano mai il limite imposto dall’ambiente, si accontentavano di meno per salvaguardare i beni che la natura metteva a loro disposizione”.

    Il paesaggio storico dei Walser è ancora leggibile in molte delle valli dove vivono le comunità che discendono dagli antichi vallesani. Quali sono i tratti più riconoscibili?
    “Usiamo la parola wilderness spesso a sproposito. Qui la natura è segnata dal lavoro dell’uomo: muretti a secco, boschi, pascoli, abitazioni sono il frutto di secoli di cura (‘il nostro territorio è lo specchio della nostra identità’, si legge nella Carta). Qualche esempio concreto. La salvaguardia del prato, che costituisce spazio di vita per l’uomo ed è indispensabile anche per l’impollinazione, oltre che fonte di cibo per gli animali e luogo di biodiversità. O le case walser, esempi di armonia, vere e proprie macchine di risparmio energetico. Caratterizzate da un piano terreno in pietra e i piani superiori in legno, soprattutto di larice: al piano terreno si trovava la stalla con il locale cucina, al primo il soggiorno (schtuba) e la camera da letto, mentre all’ultimo piano deposito e fienile. Con questa disposizione le camere godevano di un’ottima coibentazione, essendo scaldate dal calore della cucina e della stalla e isolate al piano superiore dal fieno. Talvolta il loggiato esterno (schopf) era utilizzato per essiccare segale, canapa e altri prodotti agricoli, nonché per la vita di comunità. Un’altra tipologia costruttiva ancor oggi riconoscibile è lo Stadel (fienile). Al piano inferiore si trovava la stalla o una cantina, mentre al piano superiore il deposito del fieno. I due livelli dell’edificio erano separati da alcuni pilastri sormontati da un disco in pietra, denominato miischplatta, il piatto del topo, inserito per impedire ai topi di salire al piano superiore e intaccare la dispensa e il fieno”.

    Cosa le hanno lasciato gli incontri per la redazione della Carta dei valori?
    “Nelle riunioni con le comunità Walser è emerso il senso del bello, l’armonia con i luoghi, la cooperazione, la solidarietà tra le persone, l’accoglienza. Valori antichi, da riscoprire e coltivare”. La Carta dei valori walser si ispira all’articolo 9 della Costituzione della Repubblica Italiana che “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi […]”, alla Convenzione europea del paesaggio, alla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco, alla Convenzione di Faro del Consiglio d’Europa.

    Questa antica civiltà di frontiera intende aprirsi al mondo e al futuro, senza però rinunciare alla propria identità e alla propria storia, mantenendo valori e stili di vita ancora attuali e utili per affrontare le sfide del nostro tempo. LEGGI TUTTO

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    Lavori green, la bioinformatica: “Al computer e in laboratorio per innovare l’agricoltura”

    “Definirei la bioinformatica come un campo interdisciplinare che unisce la biologia e l’informatica per analizzare dati biologici tramite modelli matematici e statistici avanzati”, spiega con scioltezza Elena Del Pup, giovane studiosa italiana attualmente dottoranda in Bioinformatica all’Università di Wageningen nei Paesi Bassi e nel 2024 inserita da Forbes nella classifica giovani leader del futuro nella categoria “Impatto sociale”.

    E fin qui potrebbe sembrare un mondo distante dal quotidiano, qualcosa da laboratorio. In realtà ”è una strategia che può voler dire scoprire nuovi farmaci in una maniera completamente diversa”. Magari nuovi antibiotici, considerato che sempre più batteri si dimostrano resistenti alle cure.”Non si tratta più di affidarsi alle librerie chimiche delle aziende farmaceutiche, che vengono impiegate per combinare associazioni già note, ma di ampliare l’orizzonte. Ad esempio, io mi occupo di analizzare i genomi delle piante e usare i Big Data per generare delle ipotesi promettenti poi da validare ovviamente in laboratorio”, spiega la ricercatrice. Come a dire che le aziende tendono a remixare tracce note (delle loro librerie), mentre i bioinformatici fanno jazz, ovviamente senza tradire le regole della musica.

    ”La novità nel campo della bioinformatica forse è il fatto che non si limita più solo all’analisi dei dati, quindi non interviene solo alla fine del percorso di studio del laboratorio ma viene utilizzata sempre di più, grazie ad Intelligenza Artificiale e machine learning, come uno strumento predittivo per generare nuove ipotesi di ricerca, guidando i biologi verso esperimenti più mirati e riducendo i tempi e costi di sviluppo. E poi quando si pubblica una ricerca, di fatto un software, questo è open source e può essere usato potenzialmente da tutti”.

    I settori di elezione oggi – anche per volumi di investimento – sono la farmaceutica, l’alimentare e l’agricoltura. ”Io sono partita con le biotecnologie vegetali, nello specifico la selezione di nuove colture – insomma ricerca nella biodiversità agricola. Non si tratta di ogm, ma solo di un lavoro antico iniziato dalle prime comunità agricole, oggi fatto con strumenti più moderni. Tramite la bioinformatica possiamo scoprire quali sono le zone nel genoma, ad esempio di una patata, dove abbiamo più probabilità che ci sia quella caratteristica agronomica che ci interessa, come la resistenza alle malattie o a stress ambientali”. Del Pup ci tiene a sottolineare che è un gioco di statistica sofisticata più che alchimia distopica: “Perché nell’industria, ogni industria, non ci si può permettere di sperimentare sempre dal vivo ogni percorso o strada possibile. A volte non si riesce neanche a immaginare”.

    E forse non immaginava neanche lei, classe ‘98, che dopo il liceo scientifico la tortuosa ascesa accademica l’avrebbe portata da Scienze agrarie e Biotecnologie vegetali, che ha studiato alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, al master in Plant Sciences con specializzazione in Plant Breeding and Genetic Resources presso l’Università di Wageningen e poi a Stanford, negli Stati Uniti, per un tirocinio di ricerca presso il Carnegie Institution for Science. ”Inizialmente avevo deciso di studiare puramente innovazione più agro che alimentare, ma poi sono passata alla bioinformatica legata all’agricoltura, alla genetica delle piante. Ora sono al secondo anno di dottorato in Olanda, quindi a metà percorso, però sono diventata pienamente una bioinformatica quando sono stata a Stanford. Lì il nostro istituto aveva collaborazioni con colossi come ad esempio i laboratori Google X. E se è vero che in precedenza avevo fatto mille corsi di programmazione, lì ho iniziato davvero a programmare”.

    Parlando di industria agricola e alimentare verrebbe da chiedersi perché, per approfondire il percorso di studi scegliere l’Olanda e non l’Italia, che su questi fronti esprime tradizionalmente eccellenze riconosciute in tutto il mondo. ”So che sempre più poli universitari italiani offrono percorsi in bioinformatica, anche master. Ma in Olanda c’è una relazione diversa tra ricerca e imprese. Anche le piccole hanno fiducia nell’innovazione, mentre in Italia c’è un po’ di diffidenza. Se parlo con un agricoltore o un selezionatore di sementi olandese dimostrano di avere competenze da genetista e bioinformatico. È un altro mondo che mette insieme i piccoli e anche grandi multinazionali come Unilever – che ha un centro ricerche proprio qui”. LEGGI TUTTO