21 Marzo 2025

Daily Archives

consigliato per te

  • in

    Giornata mondiale dell’acqua, in Italia investiti 383 miliardi nel servizio idrico

    L’acqua è ormai considerata una risorsa strategica per la nostra economia: la filiera idrica ha infatti superato i 383 miliardi di investimenti, tra imprese manifatturiere, agricole e il settore energetico, con un impatto sull’economia italiana del 20% del Pil. Il dato è emerso durante la sesta ediziine della Community “Valore Acqua per l’Italia” di Teha (The European House-Ambrosetti) – rappresentano 45 miliardi di euro di fatturato e oltre 260 mila occupati, servendo l’80% della popolazione italiana – alla presentazione del Blue Book 2025. Realizzato dalla Fondazione Utilitatis e promosso da Utilitalia fotografa la situazione del servizio idrico integrato, mentre il Libro Bianco 2025 “Valore Acqua per l’Italia” di Teha traccia un focus specifico sul ciclo idrico esteso che tra servizi, consorzi di bonifica e irrigazione, software e tecnologie, macchinari, impianti e componenti. Un settore che da solo vale 11 miliardi di euro.
    La Giornata mondiale dell’Acqua
    Il Libro bianco 2025 consente di fare una riflessione per questo 22 marzo, data in cui ogni anno si celebra la Giornata Mondiale dell’Acqua (World Water Day), un appuntamento istituito nel 1992 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Dedicata all’importanza vitale dell’acqua dolce e per promuovere la gestione sostenibile delle risorse idriche. Il tema scelto dall’Onu per il 2025 è La conservazione dei ghiacciai, per sottolineare l’urgenza di proteggere queste riserve naturali essenziali.

    L’edizione 2025 della Giornata mondiale dell’acqua è dedicata ai ghiacciai (ansa) LEGGI TUTTO

  • in

    “Mobili usa e getta? La Terra non può più sopportare tutto questo”

    La tendenza sempre più spinta alla fast furniture, ovvero all’acquisto di mobili usa e getta, costituisce un serio danno per l’ambiente; il problema è simile a quello più noto della fast fashion. Solo in Gran Bretagna, ogni anno, vengono smaltiti in discarica oltre 22 milioni di mobili, che non possono essere riciclati o riutilizzati, ma la diffusione del fenomeno è ormai globale. La scarsa durata degli arredi per la casa e l’ufficio è dovuta a materiali scadenti, al modo in cui sono realizzati, alla insufficiente attenzione alla progettazione, alla rincorsa sfrenata ad abbattere i prezzi. Agli antipodi della fast furniture, pochi visionari che da decenni remano controcorrente sul fiume della società dei consumi. Ne abbiamo incontrato uno tra i più geniali, in Friuli-Venezia Giulia, dove è nato e dove opera dal 1980. Gabriele Centazzo ci accoglie nel suo buen retiro sulle Prealpi Carniche: una stalla in pietra e legno recentemente trasformata in casa-studio in un piccolo borgo della Val Colvera, ai margini del magnifico Parco naturale delle Dolomiti friulane. Lapidario sul fenomeno usa e getta – “la Terra, l’unico pianeta che abbiamo, non può più sopportare tutto questo” – propone la sua visione alternativa.

    Lunga durata
    “Innanzitutto, il prodotto dev’essere studiato per durare”, afferma Centazzo. “E nella durata comprendo due elementi molto importanti: la durata tecnica e quella estetica. I prodotti oggi diventano obsoleti perché le mode passano velocemente”. Un tempo non molto lontano non era così: il racconto del rasoio del nonno esemplifica molto bene il concetto. “Era bello il rasoio di mio nonno, con il manico lavorato, disegnato, aveva una sua consistenza, una sua bellezza. La lametta sottile in acciaio a fine vita veniva sostituita: materiale mono-materico facile da riciclare”. Il rasoio durava tutta la vita.

    Gabriele Centazzo  LEGGI TUTTO

  • in

    Lavori green, il turismo secondo Teresa Agovino: un mondo da esplorare per renderlo migliore

    Organizzare l’intervista con Teresa non è stato facile. Perché di mezzo ci sono oltre quattro ore di fuso orario, circa 6mila chilometri in linea d’aria, nove ore di volo e una connessione internet che fa le bizze. Alla fine, però, ce l’abbiamo fatta. Ed è stato un bene perché chiacchierare con Teresa Agovino, salernitana, classe 1990, occhi verdi e un’infinità di riccioli, attualmente in India per portare avanti il suo progetto di turismo sostenibile, regala energia ed entusiasmo. Gli stessi che mette lei in tutto ciò che fa. “Qui collaboro con istituzioni governative e associazioni per quantificare gli impatti turistici e implementare strategie di miglioramento”, spiega. “In più certifico la sostenibilità delle strutture di accoglienza”.

    A portarla in questo Paese asiatico, ricco di bellezza e contraddizioni, un lungo percorso iniziato oltre una decina di anni fa, quando Teresa ha lasciato l’Italia, con una laurea in Ingegneria ambientale in tasca e nel cuore il desiderio di aiutare le popolazioni svantaggiate e il Pianeta. “Grazie a una borsa di studio erogata dall’Associazione internazionale volontari laici (Lvia), sono riuscita a partire per la Tanzania”, racconta. “Una volta arrivata, ho incontrato il capo-villaggio che mi ha stretto le mani, implorandomi di fare arrivare alla sua gente l’acqua potabile, che mancava da quattro mesi. Per me è stata un’epifania, una straordinaria rivelazione”.

    Così Teresa comincia a girare il mondo e nel farlo si rende conto che anche il turismo ha un impatto non trascurabile sull’ambiente e sulle comunità locali. Consapevole di ciò, intraprende un percorso di formazione internazionale con il Global Sustainable Tourism Council, organizzazione istituita da United Nations World Tourism Organisation e da United Nations Environment Programme e ottiene la qualifica di auditor, figura imparziale che misura e certifica secondo criteri predefiniti la sostenibilità degli operatori turistici per conto di enti internazionali, con l’ambizioso obiettivo di ridurre al minimo i danni generati dal settore, amplificando nel contempo i benefici per le zone di destinazione. Con uno zaino sulle spalle raggiunge il Perù, dove aiuta l’associazione Caith a ideare itinerari sostenibili nella città andina di Cuzco.

    Nella medesima ottica, in Jamaica, a Montego Bay, si occupa del training dello staff in tre resort all-inclusive, certificando le strutture in accordo con gli standard di Travelife. È poi la volta della Thailandia del Nord, terra di montagne e impenetrabili foreste, punteggiate da numerose tribù indigene. Nella città di Chiang Mai, Teresa collabora con Dumbo Elephant, un santuario di elefanti, per offrire agli addetti formazione sul benessere animale e ridurre gli impatti negativi delle attività turistiche sui mammiferi.

    Tra un viaggio e l’altro, decide anche di avviare, insieme con alcuni soci, una startup: Faroo. “Si tratta del primo tour operator a impatto positivo” prosegue. “In particolare, operiamo su un doppio binario. Da un lato, ci confrontiamo con gli operatori del settore, come alloggi, bed&breakfast, agriturismi, fattorie, ai quali proponiamo una certificazione volontaria e gratuita, sviluppata da noi e riconosciuta dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, che analizza cinque aree, 20 categorie e 82 criteri. Dall’altro lato, approcciamo le aziende, alle quali offriamo originali esperienze di team building, come pulire le spiagge con l’affiancamento di biologi marini, piantare alberi in luoghi abbandonati, dipingere sull’acqua usando antiche tecniche giapponesi”.

    A chi volesse intraprendere la sua variegata carriera, Teresa consiglia una laurea analoga alla sua, “perché offre prospettive ampie e solide competenze tecniche. Unico punto debole è che il corso non include discipline sociali e antropologiche, che sarebbero invece importanti per interfacciarsi con successo con le popolazioni locali. In alternativa, un’altra valida possibilità è la laurea in Scienze internazionali e diplomatiche, utile a rapportarsi con le ong, magari seguita da un master che approfondisca i temi idrico, energetico, gestionale. Credo, in generale, che la mia generazione abbia l’esigenza di trovare sé stessa in una missione. Occorre perciò guidare ragazzi e ragazze, affinché riescano a far fiorire il loro potenziale interno, trasformandolo in azioni orientate al bene comune, che lascino il segno”. LEGGI TUTTO

  • in

    Lavori green, l’idrologa: dalla siccità ai fiumi in piena impariamo a gestire l’acqua

    “Il mondo della Protezione civile mi ha sempre affascinato. Ma l’evento che mi ha fatto capire che volevo lavorare in quest’ambito è stato il terremoto dell’Aquila del 2009: avevo 18 anni e dovevo scegliere che università andare a fare da lì a pochi mesi. Mi iscrissi a ingegneria ambientale e poi facendo corsi specifici sulle risorse idriche, l’acqua, gli eventi estremi alluvionali ho capito che quella sarebbe stata la mia strada”. Oggi, a 33 anni, Marta Martinengo è un funzionario tecnico dell’Autorità di bacino del Po e si occupa prevalentemente di gestione del rischio alluvionale.

    “Dopo la triennale a Brescia mi sono trasferita a Trento per la magistrale e un dottorato in Difesa del suolo e Protezione civile”, racconta. Pochi anni dopo si è ritrovata in prima linea: “Quando si sono verificate in Romagna le alluvioni del 2023, sono stata coinvolta in tutte le attività svolte in raccordo con il commissario Figliuolo e la Regione. Ho avuto l’occasione di sorvolare le aree alluvionate a bordo di un aereo della Guardia di Finanza, per rendermi conto insieme ai colleghi della vastità dell’area colpita”.La giovane ingegnera bresciana è insomma uno dei nuovi specialisti dell’acqua, sempre più necessari in un’epoca di cambiamenti climatici, eventi meteo estremi e siccità. “Per buona parte del Ventesimo secolo la gestione dell’acqua è stata una storia di investimento e crescita”, spiega Giulio Boccaletti, tra i massimi esperti italiani e direttore scientifico del Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc). “Fino agli anni Settanta lo sviluppo delle risorse idriche era una delle leve principali per assicurarsi la transizione da un mondo agricolo a uno industriale. Poi nei Paesi ricchi, dopo aver costruito tutto quello che c’era da costruire, la gestione dell’acqua è diventata ordinaria, di servizi, di sicurezza, di manutenzione. Ora stiamo andando verso un terza fase che riporta l’acqua al centro della discussione sullo sviluppo, anche nei Paesi ricchi, perché le statistiche meteorologiche stanno cambiando e quindi le soluzioni sviluppate nel Ventesimo secolo sono obsolete. Nei prossimi vent’anni ci sarà tanto da fare: non solo manutenzione ma cose anche profondamente strategiche”.

    “Dobbiamo riuscire a trovare metodi più innovativi e più resilienti di quelli usati finora, a cominciare dagli argini”, conferma Martinengo. “Servono meccanismi di difesa che sappiano adattarsi ai diversi fenomeni che si possono verificare, e certamente gli argini non sono più in grado di farlo, come ha dimostrato l’evento del maggio 2023 in Romagna”.E come si fa? “Creando una cassa di espansione qui, arretrando un argine in un altro punto, abbassando una golena…”, risponde Martinengo. “Questa però è la teoria, perché come si manifesta un evento di piena nessuno lo può sapere se non quando accade: dipende da come piove e da come il bacino risponde a tali piogge”. E allora ci vuole una pianificazione radicale. “Un corso d’acqua parte da una zona collinare-montana per poi attraversare un fondovalle e quindi sfociare in pianura, dove di solito è arginato. Il nostro obiettivo principale è quello di riuscire a mantenere l’acqua per il maggior tempo possibile nei tratti montani, ma soprattutto nei fondovalle collinari e montani, perché in questo modo si frena la velocità con cui l’acqua raggiunge la pianura e quindi il suo impatto sugli argini, che sono il punto più fragile. Un risultato che si può ottenere ridando più spazio al fiume in quelle zone collinari-montane: più si può espandere lì e più lentamente arriverà a valle”.Una operazione molto difficile nelle attuali condizioni di urbanizzazione e cementificazione del nostro Paese. “Ma in alcune zone, boschive o agricole, qualcosa ancora si riesce a fare”, spiega Martinengo. “Non possiamo illuderci di spostare interi abitati, ma singole abitazioni sì: si potrebbero immaginare delocalizzazioni mirate per recuperare le aree di pertinenza fluviale”.È per questo che secondo Boccaletti “occorrono figure professionali capaci di interfacciarsi con chi vive nei territori. Che tu abbia studiato ingegneria o storia, alla fine devi andare sul campo e misurarti con i molteplici aspetti del problema acqua: da quelli idrologici a quelli economici e sociali. È una di quelle cose che non si impara sui libri. La buona notizia è che non lo potrà mai fare una Intelligenza artificiale, perché si tratta di andare a parlare con le persone del posto e capire il loro punto di vista”. LEGGI TUTTO

  • in

    Earth Hour, donare un’ora di luce per il futuro della Terra

    Donare un’ora di buio per rendere più luminoso il futuro del nostro Pianeta. Con questa parola d’ordine il 22 marzo alle 20.30 tanti monumenti in tutta Italia si spegneranno in occasione di Earth Hour, l’Ora della Terra, la più grande mobilitazione ambientalista al mondo organizzata dal Wwf, giunta alla sua 19esima edizione, a sostegno e […] LEGGI TUTTO

  • in

    Giornata internazionale dei ghiacciai: tre nuove missioni per Unesco e Ca’ Foscari

    Dopo la tutela del mare, i ghiacciai. In occasione della Giornata Internazionale dei Ghiacciai, il Gruppo Prada e la Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’Unesco, nell’ambito di Sea Beyond, hanno annunciato il supporto a “Follow the Ice – La memoria dei Ghiacci”, il progetto della Fondazione Università Ca’ Foscari Venezia per diffondere consapevolezza sull’importanza dei ghiacciai come risorsa naturale, paesaggistica, culturale e scientifica, e realizzare allo stesso tempo attività di ricerca. LEGGI TUTTO

  • in

    Troppe api per poco nettare: la lotta per sopravvive tra quelle selvatiche e da miele

    Responsabili di circa il 70% dell’impollinazione di tutte le specie vegetali viventi sul pianeta, le api sono forti e fragili allo stesso tempo e vanno protette. Senza contare che il 35% della produzione alimentare mondiale (frutta, verdura e cereali) dipende dagli insetti impollinatori.
    Pochi sanno che solo in Italia, esistono oltre mille specie di api che svolgono ruoli cruciali negli ecosistemi pur non producendo miele. Proprio la competizione tra due specie diverse, le api da miele e quelle selvatiche è il focus della ricerca condotta in sinergia tra le Università di Firenze e di Pisa. Andata avanti per quattro anni sull’isola di Giannutri è stata ora pubblicata sulla rivista Currente Biology. Finanziata con fondi provenienti dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, dal Programma Operativo Nazionale (Pon) del Ministero della Ricerca e dal National Biodiversity Future Center (centro nazionale finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma #NextGenerationEu).

    L’isola di Giannutri  LEGGI TUTTO

  • in

    In Spagna passa un escamotage per poter abbattere i lupi. E in Italia cresce la richiesta di sparare

    Una volta, quando si gridava “al lupo al lupo”, difficilmente si cascava nel tranello. Oggi invece non solo è probabile che sia vero, ma c’è anche grande incertezza su come reagire. Questo perché dopo anni di leggi, dalla direttiva Habitat ai piani nazionali sulla protezione del lupo, in Europa sta avvenendo nell’ultimo anno una trasformazione nei confronti di questo predatore, un passaggio che include confusione, attese e talvolta proteste. Partiamo da un fatto: dopo anni di graduale scomparsa del lupo a causa di caccia e allontanamenti, come in Italia dove negli anni Settanta ne rimanevano poche centinaia di esemplari, oggi questo mammifero è in fortissima ripresa. In Europa, racconta un nuovo studio, i lupi sono praticamente raddoppiati in un decennio. Cresciuti del 58%, ormai in diversi stati dalla Germania alla Polonia molti paesi ospitano oltre il migliaio di lupi: in Italia per esempio se ne contano almeno 3.300 soprattutto nei nostri Appennini. In 10 anni si è passati da 12 mila lupi europei a 21.500 in 34 Paesi.

    Biodiversità

    Lupi, in Europa aumentati del 60% in un decennio: sono 21.500

    di Fiammetta Cupellaro

    19 Marzo 2025

    Quest’ottima notizia in termini di conservazione della specie e di ripresa della biodiversità, visto il ruolo centrale che questo predatore ha per esempio nella catena alimentare, spesso non corrisponde però con le esigenze di coloro che vivono in zone di lupi, dove la convivenza uomo-predatori si fa sempre più complessa. Di conseguenza, su più filoni, si sta tentando di allentare la presa delle protezioni per poter tornare – in casi specifici – ad uccidere i lupi. L’ultima mossa in ordine di tempo è quella della Spagna: con un voto non privo di polemiche poche ore fa il Parlamento spagnolo ha infatti approvato una misura che di fatto revocherà il divieto di caccia ai lupi imposto nel 2021. La coalizione guidata dal Partito popolare conservatore, insieme alla destra Vox e i nazionalisti baschi e catalani ha aggiunto un emendamento a una legge sulla riduzione dello spreco alimentare e, sostenendo che i lupi producono rifiuti alimentari per via di pecore e bovini che uccidono ogni anno, di fatto viene autorizzato l’abbattimento in aree specifiche., in particolare nelle zone rurali a nord del fiume Duero.

    Ovviamente WWF e altre associazioni animaliste hanno protestato contro questo escamotage, una decisione basata sull’ “opportunismo politico” in quella che è stata definita come una “giornata tragica per la protezione del lupo”, ma dall’altra parte i sostenitori del nuovo emendamento hanno ricordato che oggi sono “i pastori a non avere protezione”, allevatori che denunciano la morte di 15mila animali da fattori all’anno per via dei predatori. Questo cambiamento di rotta in ambito giuridico in Spagna non è isolato dal nuovo sentimento, nei confronti del lupo, che sta attraversando l’Europa. La Commissione europea infatti, di recente a dicembre, ha ridotto lo status di specie protetta dei lupi da “strettamente protetta” a “protetta”, una politica sostenuta dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, dopo che un lupo in passato aveva ucciso il pony domestico della sua famiglia.

    Biodiversità

    Giornata mondiale della fauna selvatica, Boitani: “Convivere con orsi e lupi si può”

    di Pasquale Raicaldo

    03 Marzo 2025

    La modifica della Convenzione di Berna punta a cambiare le regole sulla protezione dei lupi all’interno dell’Unione Europea sull’onda di molte proteste da parte degli allevatori che hanno subìto perdite economiche per gli attacchi al bestiame ma attualmente, nonostante ci sia confusione tra i cittadini europei su questo punto, non permette ancora gli abbattimenti. Uno specifico animale “problematico” già oggi se ci sono determinati criteri comprovati può essere abbattuto e ucciso, come è scritto anche nella direttiva Habitat dell’Ue quando ci sono ad esempio questioni di sicurezza pubblica o altre ragioni. Ma in generale non si possono cacciare i lupi che, anche con la modifica della Convenzione di Berna, resteranno ancora protetti. Se però l’emendamento sarà approvato da Parlamento e Consiglio, in sostanza dai governi dei Paesi membri, in futuro ci saranno meno rigide restrizioni e dunque sarà più possibile ottenere permessi per uccidere. Allo stato delle cose, nonostante le volontà europee e le nuove scelte della Spagna, e nonostante anche la Svizzera per esempio nel canton Ticino stia ragionando sugli allentamenti alle protezioni, in Italia non si possono cacciare lupi.

    Da noi per procedere ad un eventuale abbattimento bisogna passare per un parere preventivo dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e poi l’autorizzazione del ministero dell’Ambiente su richiesta da parte della Regione. Eppure, in alcune regioni, come la Toscana, negli ultimi giorni la scia delle nuove decisioni europee ha portato a credere e rilanciare nella possibilità di sparare ai lupi. Qui, come in altre zone d’Italia, ci sono tantissimi casi di predazione e sono nati per esempio comitati spontanei – come il Comitato Emergenza Lupo di Arezzo – dove i cittadini stanchi delle uccisioni e dei danni agli allevamenti condividono informazioni su come comportarsi. Fra le ultime notizie diffuse, anche quelle apparse su alcune giornali locali in cui si parlava del via libera all’uccisione di una ventina di lupi in Toscana, facendo riferimento a un nuovo protocollo Ispra. Di conseguenza in molti, nella regione, hanno pensato che si potesse tornare ad uccidere (tramite cacciatori autorizzati). Notizia che però la Regione ha poi smentito precisando che non si tratta di un via libera agli abbattimenti, ma di protocolli che, in attesa probabilmente a settembre di capire quale sarà la decisione definitiva dell’Europa, aiuteranno a comprendere come gestire la convivenza uomo-lupo. LEGGI TUTTO