20 Marzo 2025

Daily Archives

consigliato per te

  • in

    Lavori green, il bioingegnere Mario Caironi: “In laboratorio non solo la batteria che si mangia”

    Ciò che non fa male al corpo non nuoce nemmeno all’ambiente, anzi. Se per i transistor, alle terre rare si sostituiscono le molecole del colorante per dentifricio, e le batterie sono fatte con derivati da capperi, mandorle e alghe, che possono essere ingeriti, digeriti e assimilati, l’ecosistema ringrazia. L’elettronica edibile è nata come applicazione per il monitoraggio della salute, ma nell’Unità di “Printed and Molecular Electronics” del centro di Milano dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), l’orizzonte si allarga a nuove e diverse applicazioni. A dirigere il laboratorio è Mario Caironi, ingegnere elettronico, laureato al Politecnico di Milano, il suo dottorato ha avuto come focus l’elettronica a base di carbonio, che è riuscito a rendere performante. Postdoc a Cambridge, nel Regno Unito, per continuare a lavorare sull’elettronica organica nel gruppo di Henning Sirringhaus al Cavendish Laboratory: “Lì ho approfondito le tecniche di stampa dell’elettronica a basso costo e impatto ambientale: sono tornato all’Iit con la somma di queste competenze. L’elettronica commestibile l’abbiamo concepita qui, con altri ricercatori e con il contributo dei medici”. A marzo 2023 esce sulla rivista Advanced Materials lo studio che presenta la prima batteria commestibile e ricaricabile, e la rivista Time la sceglie tra le 50 migliori invenzioni dell’anno. Prima volta per una italiana.

    Caironi e il suo team hanno continuato a lavorarci, miniaturizzandola e rendendola più capace e stabile a diverse condizioni ambientali, e integrata con sensori e circuiti anch’essi edibili. “La stiamo pensando sia per pillole sia per sensori esterni, come quelli per il monitoraggio ambientale – fa presente il ricercatore – abbiamo lavorato su circuiti e transistor completamente commestibili. Per esempio utilizzando al posto del silicio, come semiconduttore, la ftalocianina di rame, usata per dare quell’intenso colore blu al dentifricio. I dentisti hanno simulato per noi quanto ne ingeriamo tutti i giorni lavandoci i denti. È una quantità inferiore a quella che ci serve per fare i circuiti. E poi l’integrazione con sensori e circuiti logici anch’essi commestibili, e colle, usando una proteina del mais, la zeina, per assemblare tutto”. Si va verso una capacità di calcolo commestibile, insomma. L’unico limite dell’Elfo (“Electronic Food”) è la fantasia. È adatto per essere applicato al cibo, ed essendo biodegradabile, all’esterno, perché non inquina come le normali batterie: “Lavoriamo su sensori da applicare alla frutta dopo il raccolto, simile al bollino di carta sulle mele. Sono semplicissimi, misurano l’impedenza, che varia in funzione dell’idratazione, e possono indicare l’invecchiamento, per evitare sprechi. E a biosensori più evoluti, sensibili, per esempio, ai gas originati dalla degradazione del pesce e della carne nell’atmosfera interna del packaging. Informano sullo stato di conservazione per stabilire se il cibo è consumabile per l’uomo”.

    Caironi cita il progetto di un ricercatore vincitore di una borsa Marie Sk?odowska-Curie, per una pillola smart ingeribile che cerca particolari marker nello stomaco o nell’intestino. O le applicazioni per distribuire centinaia di migliaia di sensori biodegradabili per il monitoraggio di habitat o in agricoltura. Tutto senza introdurre l’elemento di rifiuto elettronico, nel cibo, nel corpo o nell’ambiente.La sostenibilità nel campo dell’elettronica non riguarda solamente il “fine vita” del sensore, ma è già all’origine, nella sua costruzione: “Non usiamo elementi rari o da estrazione mineraria – fa presente Caironi – e non è in competizione con la filiera alimentare, anzi, cerchiamo di recuperare materiali da sorgenti abbondanti, scarti di cibo e industriali”.L’esigenza di una pillola smart all’Iit è nata, racconta Caironi, dal dialogo di Guglielmo Lanzani, coordinatore del Center for Nano Science and Technology, con i medici per un dispositivo che potesse comunicare lo stato di salute minimizzando i rischi. È il dialogo tra diverse professionalità, scienziati dei materiali, ingegneri chimici ed elettronici, conclude il ricercatore, a muovere l’innovazione: “L’importante è essere forti almeno in una disciplina, poi nella ricerca bisogna farsi guidare dalla passione per creare qualcosa che non è stato ancora fatto”. LEGGI TUTTO

  • in

    Greenpeace Usa dovrà pagare 667 milioni di dollari a Energy Transfer. Ora rischia la chiusura

    C’è chi lo interpreta come una dichiarazione di guerra a chi per mezzo secolo ha inseguito il sogno di una “pace verde”: Greenpeace. L’associazione ambientalista, fondata a Vancouver nel 1971, è stata condannata da un giuria del Dakota del Nord a pagare 667 milioni di dollari al gestore del Dakota Access Pipeline, il colosso Usa degli oleodotti Energy Transfer. Il reato? Diffamazione.

    La condanna pecuniaria è ben più alta della richiesta iniziale della compagnia: 300 milioni di dollari. E già quella cifra avrebbe messo in pericolo l’esistenza stessa della branca statunitense di Greenpeace. “Hanno lottato per salvare le balene. Riusciranno a salvare se stessi?”. Se lo era chiesto qualche giorno fa il New York Times, alla vigilia di una udienza decisiva del processo. La causa riguardava appunto il ruolo dell’associazione ambientalista nelle manifestazioni organizzate ormai un decennio fa contro un oleodotto vicino alla riserva Sioux di Standing Rock, nel Dakota del Nord.

    La Energy Transfer, proprietaria dell’infrastuttura, accusava Greenpeace di aver appoggiato attacchi illegali al progetto e aver condotto una “vasta e maligna campagna pubblicitaria” che sarebbe costata denaro all’azienda. La compagnia voleva quindi 300 milioni di dollari di danni. “Una tale perdita in tribunale ci potrebbe costringerla a chiudere i nostri uffici americani”, avevano ammesso gli attivisti.

    Il caso

    Una causa da 300 milioni di dollari mette a rischio Greenpeace Usa: “Siamo sotto attacco”

    di Luca Fraioli

    18 Marzo 2025

    L’associazione si è mobilitata in tutto il mondo, a difesa di Greenpeace Usa: qualche giorno fa sul sito della sezione italiana è stata aperta una petizione che partendo dal processo in corso, allarga la lotta al revisionismo climatico di questi ultimi mesi: “Greenpeace è sotto attacco. “Abbiamo bisogno del tuo aiuto!”, si legge nella pagina web dedicata a alla raccolta delle firme.

    “La gigantesca compagnia petrolifera Energy Transfer ha intentato una causa contro Greenpeace negli Stati Uniti e contro Greenpeace International per 300 milioni di dollari. In un contesto in cui politici negazionisti della crisi climatica, come Trump o Milei, governano interi Paesi, la battaglia per il futuro del pianeta e dei suoi abitanti è in serio pericolo”.

    Eppure Greenpeace non è nuova a battaglie durissime, sul campo, nei mari, sui ghiacci… ma anche nelle aule di tribunale. Perché il processo intentato dall’Energy Transfer rischia di fare la differenza? L’entità dell’indennizzo richiesto, e ora a maggior ragione il raddoppio voluto dal tribunale: 667 milioni di dollari sono quasi quindici volte il budget di Greenpeace Usa (nel 2020 era di 40 milioni). Anche una condanna in primo grado, comporterebbe comunque un anticipo tale da far saltare il banco dell’associazione statunitense.

    Ma il pericolo è più ampio. E non riguarda solo Greenpeace. Il processo dell’oleodotto contrastato dai Sioux è solo la punta dell’iceberg di una generale tendenza a “punire un ambientalista per zittirne 100”. Lo nota l’altro giorno anche la voce della City londinese, il Financial Times: “Greenpeace contro Big Oil: il caso che mette alla prova la libertà di parola nell’era Trump”. Per restare negli Stati Uniti, pochi giorni fa un’altra notizia dello stesso tenore: il climatologo Michael Mann, che nei mesi scorsi aveva vinto una causa per diffamazione da un milione di dollari, contro chi lo aveva accusato di truccare i dati sul riscaldamento globale, ora dovrà restituire oltre la metà: 530 mila dollari, perché secondo un giudice i suoi avvocati avrebbero utilizzato prove false nel corso del procedimento.

    In base a una recente legge anti-proteste, in Australia decine di attivisti sono stati arrestati al porto del carbone di Newcastle alla fine del 2024 dopo aver utilizzato kayak e gommoni per protestare contro la struttura: è iniziato il processo e loro si dichiareranno in massa “non colpevoli”, come raccontava ieri il Guardian.

    © 2024 SOPA Images  LEGGI TUTTO

  • in

    Caffè in capsule o cialde: quali sono più sostenibili?

    Pare che il filosofo russo Michail Bakunin abbia scritto: “Il caffè, per esser buono, deve essere nero come la notte, dolce come l’amore, caldo come l’inferno”. E, aggiungiamo noi, sostenibile per l’ambiente.

    “Questo prodotto ha molte criticità”, rende noto Livia Biardi, senior expert in chemicals and sustainability di Altroconsumo. “Presenta, infatti, una filiera complessa in cui si innescano meccanismi iniqui che sfruttano la manodopera dei lavoratori. Tanti di loro (l’80%) sono piccoli agricoltori che operano in condizioni difficili, su terre impoverite, e che hanno scarso potere contrattuale in un mercato instabile.

    C’è poi il problema del cambiamento climatico. Il report Coffee Barometer ha messo in luce che spesso, dietro gli impegni di sostenibilità assunti dai produttori, si nasconde solo l’attenzione alla riduzione dei costi e alla massimizzazione del profitto”. Il caffè, insomma, costa caro, ai braccianti e al Pianeta.

    Tutorial

    Caffè, come prepararlo senza sprechi: i consigli

    di Paola Arosio

    25 Febbraio 2025

    Considerando ciò, sarebbe importante limitare il più possibile almeno l’impatto degli imballaggi. E dato che, stando a recenti analisi, per preparare la bevanda la maggior parte degli italiani preferisce la macchina automatica alla “vecchia” moka, è importante chiarire se siano preferibili le cialde oppure le capsule.

    Le cialde amiche dell’ambiente
    Fu Ernesto Illy a inventare, nel 1974, la prima cialda, ovvero una dose singola di caffè contenuta in un involucro di carta. Negli anni Novanta questo sistema, che assicurava la giusta quantità di materia prima per la preparazione della tazzina, divenne uno standard industriale internazionale noto come Easy serving espresso (Ese), al quale aderirono numerosi torrefattori e produttori di macchine automatiche.

    Oggi la maggior parte delle cialde, il cui diametro varia dai 38 ai 44 millimetri, consiste in monoporzioni preconfezionate di circa 7 grammi di caffè torrefatto, macinato, pressato e chiuso ermeticamente tra due strati di carta filtrante termosaldata. Una scelta ottima, questa, dal punto di vista ambientale: le cialde esauste vanno gettate nell’umido, come i fondi di caffè e le bustine di tè, e non contribuiscono, quindi, alla produzione di rifiuti.

    Tutorial

    Raccolta differenziata: gli errori che (quasi) tutti facciamo

    di Paola Arosio

    08 Marzo 2025

    Capsule di plastica e alluminio
    Solo un paio di anni dopo la creazione delle cialde, nel 1976 Éric Favre, ingegnere della Nestlé, brevettò le capsule di caffè, piccoli contenitori rigidi di forma cilindrica composti da un involucro in plastica (polipropilene, un polimero che resiste al calore) e da una linguetta in alluminio.

    Essendo costituite da un assemblaggio di più materiali, le capsule usate vanno di norma buttate nell’indifferenziato, finendo nelle discariche e negli inceneritori. Si calcola che ogni anno i rifiuti derivanti da questa pratica ammontino a 576 milioni di chili, pari al peso di 60mila camion.

    In realtà, con un impegno maggiore da parte del consumatore, sarebbe possibile riciclare le capsule dopo l’uso, separando manualmente i componenti del packaging, cioè plastica e alluminio, e gettandoli nei contenitori dedicati. Un’altra possibilità, che richiede, però, sempre un onere per l’utente, è portarle nei punti di raccolta presenti nella propria città, a partire dai quali verranno avviate al riciclaggio.

    Molto più sostenibili le capsule compostabili, introdotte di recente sul mercato, riconoscibili dall’acquirente per la presenza, sulla confezione, del marchio Ok Compost, il quale certifica che possono essere conferite nell’umido e trasformate appunto in compost, una miscela ricca di sostanze nutritive utili come fertizzante per i terreni agricoli.

    Il test di Altroconsumo
    In generale, le capsule sono progettate per essere compatibili con specifici sistemi di macchine, tra cui i due più diffusi sono Dolce Gusto e Nespresso. Proprio su queste nel 2024 Altroconsumo ha effettuato un test. “Abbiamo analizzato 20 capsule compatibili con il sistema Dolce Gusto”, spiega Biardi. “Sono di plastica robusta, ciascuna contiene 5-8 grammi di caffè (la media è 7,3 grammi) e produce 4 grammi di imballaggi che, nei casi peggiori, arriva fino a 8 grammi, cioè più del prodotto stesso. Abbiamo poi testato 18 capsule compatibili con Nespresso: contengono in media 5,5 grammi di caffè e sono soprattutto di plastica e alluminio, ma esistono anche varie opzioni compostabili”.
    In sintesi, che fare dunque? “Utilizzando le macchine automatiche, l’opzione migliore sono le cialde, seguite dalle capsule compostabili. Da evitare, invece, le capsule di plastica e alluminio, non riciclabili”, conclude l’esperta. LEGGI TUTTO

  • in

    Le emissioni delle fabbriche possono diventare shampoo, bagnoschiuma e detergenti

    Oggi le emissioni di gas serra prodotte dall’industria sono uno dei principali motori dei cambiamenti climatici. Ma in futuro potrebbero diventare una preziosa materia prima, con cui produrre shampoo, detergenti e altri prodotti di uso comune, fornendo così una spinta decisiva verso un’economia circolare della CO2 e la decarbonizzazione del comparto industriale. È la conclusione a cui è giunto un team di ricercatori dell’Università del Surrey, in uno studio pubblicato sulla rivista Journal of CO2 Utilization.

    L’analisi è stata svolta nell’ambito della Flue2Chem initiative, un programma di ricerca che punta a identificare e valutare nuove strategie per la cattura e la riconversione delle emissioni industriali di CO2, come strategia per raggiungere gli obbiettivi climatici fissati per i prossimi decenni dal governo del Regno Unito.

    Lo studio si è concentrato sulla produzione di tensioattivi, sostanze che riducono la tensione superficiale dell’acqua e che trovano utilizzo in moltissimi prodotti per la pulizia e l’igiene, come appunto shampoo, bagnischiuma e detergenti di vario tipo. I tensioattivi sono prodotti indispensabili per l’industria chimica moderna, con un mercato destinato a superare i 59milioni di dollari entro il 2032. E oggi vengono principalmente a partire da materie prime fossili, in un processo che quindi contribuisce direttamente all’aumento delle emissioni climalteranti.

    La CO2 può essere utilizzata come materiale di partenza per la produzione di tensioattivi, e con le più recenti tecnologie di carbon capture, è possibile ottenerla direttamente alla fonte: nelle ciminiere degli impianti industriali, che oggi rappresentano la terza fonte di emissioni dirette nei paesi industriali. Ovviamente si tratta di un processo che ha i suoi costi, e la cui applicazione alla produzione di tensioattivi fino ad oggi non era mai stata studiata approfonditamente.

    Tecnologia

    Più detriti spaziali, più collisioni con l’aumento delle emissioni

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    11 Marzo 2025

    È quello che hanno deciso di fare gli autori del nuovo studio, progettando l’intero ciclo vitale di una futura industria dei tensioattivi prodotti a partire da CO2 ottenuta con tecnologie di carbon capture. Il sistema da loro immaginato è stato quindi valutato simulandone l’utilizzo in una fabbrica di carta e in una di acciaio. I risultati dimostrano che il processo può essere economicamente sostenibile, e che nelle giuste condizioni potrebbe arrivare a tagliare dell’82% l’impatto ambientale di una fabbrica di carta, e di circa il 50% quello della produzione dell’acciaio.

    Tra le criticità da superare, la ricerca indica come principale la disponibilità di idrogeno, necessario in elevate quantità per via della natura energivora del processo di riconversione della CO2 in tensioattivi. Un problema che – scrivono gli autori della ricerca – può essere superato solamente con investimenti sempre più massicci in infrastrutture per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

    Biodiversità

    Le siepi aumentano del 40% lo stoccaggio di anidride carbonica dal suolo

    Sandro Iannaccone

    21 Febbraio 2025

    “Per decenni, i combustibili fossili sono stati la spina dorsale dell’industria manifatturiera, non solo come fonti di energia, ma anche come ingredienti chiave nella produzione di articoli di uso quotidiano”, spiega Jin Xuan, ricercatore dell’Università del Surrey che ha collaborato allo studio. “Questa dipendenza ha un elevato costo in termini ambientali. I nostri risultati mostrano che la CO2 di scarto può essere parte della soluzione, invece che del problema: non si tratta solamente di tagliare le emissioni, ma di creare un’economia circolare del carbonio in cui i rifiuti diventano materie prime per produrre beni essenziali e combustibili”. LEGGI TUTTO

  • in

    Equinozio di primavera: cos’è, date e curiosità

    Ogni anno, tra il 19 e il 21 marzo, la Terra si trova in una posizione speciale rispetto al Sole. È il momento dell’equinozio di primavera, l’istante esatto in cui il giorno e la notte si equivalgono, segnando il passaggio dall’inverno alla stagione della rinascita. Un fenomeno astronomico che da millenni affascina l’umanità e che ancora oggi è carico di significati simbolici e culturali.

    Che cos’è l’equinozio di primavera
    L’equinozio di primavera è il momento dell’anno in cui il Sole attraversa l’equatore celeste, rendendo la durata del giorno e della notte pressoché uguale in tutto il mondo. Il termine “equinozio” deriva dal latino aequinoctium, che significa “notte uguale”. Tale evento segna il passaggio dall’inverno alla primavera nell’emisfero settentrionale, mentre nell’emisfero australe segna l’inizio dell’autunno. Dal punto di vista astronomico, questo evento stagionale è uno dei due momenti dell’anno (insieme all’equinozio d’autunno) in cui l’asse terrestre non è inclinato rispetto al Sole. Questo comporta una distribuzione equilibrata della luce solare su tutto il pianeta.

    Date dell’equinozio di primavera nel 2025
    Il passaggio dalla stagione invernale a quella primaverile non cade sempre nello stesso giorno, ma tende a oscillare tra il 19 e il 21 marzo. Questo avviene a causa delle variazioni nel calendario gregoriano e del modo in cui la Terra orbita attorno al Sole. Negli ultimi anni, la data più comune per l’equinozio di primavera è il 20 marzo, la stessa da segnare in calendario anche per il 2025 (sarà un giovedì). Tuttavia, l’equinozio non è da intendersi per tutta la giornata, bensì un unico istante, che quest’anno sarà alle 10:01: un attimo soltanto durante il quale salutare per sempre il freddo e dare, finalmente, il benvenuto alla stagione della fioritura.

    In linea di massima, la data dell’equinozio di primavera si calcola in base al movimento apparente del Sole e alla posizione della Terra rispetto alla sua orbita ellittica.

    Curiosità sull’equinozio di primavera
    Sebbene si tratti solo di una data segnata sul calendario, in realtà l’equinozio di primavera è da sempre un evento carico di simbolismo e tradizioni in molte culture del mondo. Tra credenze popolari e significati spirituali, il passaggio dall’inverno alla primavera nasconde storie e tradizioni piuttosto curiose.

    Le uova che stanno in equilibrio
    Una delle credenze popolari più diffuse riguarda l’equilibrio; non un equilibrio qualsiasi, ma l’equilibrio di un uovo. Sì, perché pare che durante l’equinozio di primavera sia possibile fare stare un uovo in equilibrio perfetto sulla sua base. Questo mito nasce dal fatto che, in teoria, durante questa data la forza gravitazionale dovrebbe essere “speciale”. In realtà, questa impresa è possibile in qualsiasi giorno dell’anno, con un po’ di pazienza e di precisione, ma il racconto della tradizione lascia nell’aria un po’ di magia di primavera.

    Il Capodanno persiano
    In Iran e in altri Paesi dell’Asia centrale, l’equinozio di primavera coincide con il Nowruz, il Capodanno persiano. Questa festività, che ha origini antichissime, segna l’inizio di un nuovo anno ed è celebrata con riti tradizionali, pasti speciali e momenti di condivisione familiare.

    Il significato spirituale
    Per molte culture e religioni, l’equinozio di primavera è un momento di rinnovamento e di rinascita. Anticamente, veniva associato alle divinità della fertilità e della crescita, come Ostara nella mitologia germanica o Persefone nella mitologia greca.

    L’allineamento con siti archeologici
    Alcuni siti archeologici nel mondo sono allineati con il sorgere del Sole durante l’equinozio di primavera. Uno degli esempi più noti è Chichén Itzá, in Messico, dove la piramide di Kukulkán proietta un’ombra che assomiglia a un serpente che scende lungo la scalinata. Un altro esempio è Stonehenge, nel Regno Unito, dove il Sole sorge in una posizione perfettamente allineata con i megaliti.

    L’influenza sulla Pasqua
    L’equinozio di primavera è un punto di riferimento fondamentale per il calcolo della data della Pasqua cristiana. Secondo la tradizione, la Pasqua cade la domenica successiva alla prima luna piena dopo l’equinozio di primavera, motivo per cui la sua data cambia ogni anno.

    Evento astronomico, l’equinozio di primavera continua a essere momento di grande significato culturale e simbolico. Con l’arrivo della bella stagione le giornate iniziano ad allungarsi, la natura si risveglia, gli animali escono dal lungo letargo invernale, si accendono i colori e molte tradizioni vengono celebrate in tutto il mondo. Questo evento, a prescindere da come lo si viva, continua a suscitare curiosità e fascino in chiunque lo osservi. Il buonumore, a primavera, è assicurato. LEGGI TUTTO