18 Marzo 2025

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    Sindrome delle turbine eoliche, uno studio smentisce i sintomi: disturbi del sonno e mentali

    Nel 2009, la ricercatrice Nina Pierpont nel descrivere una serie di sintomi legati all’esposizione al rumore emesso dagli impianti eolici, coniò il termine, sindrome delle turbine eoliche. Disturbi del sonno, mal di testa, nausea, ansia e irritabilità, problemi di concentrazione, erano i sintomi più comuni riferiti dalle persone che abitavano nelle vicinanze di un impianto. Negli anni, con la crescita di questa importante fonte di energia rinnovabile, diversi studi scientifici si sono occupati dell’argomento, senza peraltro validare la tesi di Pieramont.
    Sebbene i parchi eolici siano in linea con i principi dello sviluppo sostenibile, spesso suscitano controversie e disinformazione. Infatti, nonostante l’assenza di evidenze, sono state espresse preoccupazioni sugli effetti di questo rumore sul livello di irritazione, sul benessere psicologico e sulle capacità cognitive; in America in particolare, diversi gruppi hanno continuato a portare avanti l’idea della sindrome come causa di malattie mentali, o altri problemi di salute gravi, come il cancro.
    Ma uno degli ultimi studi, condotto da un team di neuroscienziati cognitivi e ingegneri acustici dell’Università Adam Mickiewicz, in Polonia, evidenzia ancora una volta l’assenza di prove sul fatto che il rumore delle turbine eoliche causi disagi a livello mentale.

    D’altronde, i livelli di decibel sono piuttosto contenuti. Per fare un esempio: un aspirapolvere genera solitamente un rumore compreso tra 60 e 80 dB, a seconda del modello e della potenza, mentre il rumore di una turbina eolica varia tra 35 e 50 dB a una distanza di 300 metri, paragonabile a un ambiente tranquillo in cui si conversa a bassa voce. Ovviamente, ad alterare il livello di percezione ci sono diversi fattori: la distanza, il vento, il rumore ambientale presente nella zona.
    Tornando allo studio, pubblicato sulla rivista Humanities and Social Sciences Communication, il gruppo ha condotto una serie di esperimenti, esponendo 45 volontari, studenti di un’università locale, a vari rumori mentre indossavano dispositivi che misuravano le loro onde cerebrali. La scelta sui giovani è stata motivata dal fatto che ricerche precedenti hanno dimostrato che sono più sensibili al rumore rispetto alle persone più anziane.
    “Per lo studio, abbiamo utilizzato registrazioni reali di una turbina eolica per esaminare i loro effetti sulla dinamica delle onde cerebrali, cruciali per compiti cognitivi complessi, nonché sull’attenzione sostenuta e sul ragionamento induttivo in volontari adulti sani. Inoltre, abbiamo valutato soggettivamente lo stress indotto dal rumore delle turbine eoliche e il livello di fastidio percepito”, si legge nella pubblicazione scientifica.
    Per non esporre le persone a pregiudizi sulla natura dello studio, a nessuno è stato detto lo scopo dell’esperimento; ognuno è stato esposto al normale rumore del traffico, al silenzio e al rumore delle turbine eoliche. Fatto curioso è che nessuno dei 45 volontari è riuscito a identificare la fonte del rumore delle turbine, che lo hanno definito come rumore bianco, ovvero un tipo di suono caratterizzato dalla presenza di tutte le frequenze udibili con la stessa intensità. Per capire la tipologia di suono, un esempio tipico è il suono emesso dalla tv senza segnale dell’antenna o al fruscio di una radio non sintonizzata. È un tipo di rumore, infatti, che viene usato per mascherare altri suono fastidiosi, come il rumore del traffico o il sottofondo di persone che parlano in un’altra stanza.

    Quindi la percezione è di un suono che non crea disagio, tanto che nessuno dei 45 lo ha definito più fastidioso o stressante del rumore del traffico. Inoltre i ricercatori dell’università polacca non sono stati inoltre in grado di rilevare nessuna differenza misurabile nelle onde cerebrali, mentre i volontari ascoltavano i due tipi di suoni.
    “I risultati di questo studio pilota mostrano che l’esposizione a breve termine al rumore delle turbine eoliche, con un livello di pressione sonora realistico (65 dB), non ha effetti negativi sulle funzioni cognitive analizzate e non è percepita come più stressante o fastidiosa rispetto al rumore del traffico stradale”. Invece, studi precedenti hanno dimostrato che una fonte prevalente di rumore in grado di influenzare le capacità cognitive è il rumore generato dai condizionatori d’aria, che possono suscitare risposte fisiologiche, influenzando successivamente la cognizione.
    Inoltre, l’analisi di diverse scale psicologiche ha evidenziato che fattori come la tendenza alla ruminazione o una ridotta capacità di riflessione e tolleranza all’ambiguità non determinano una percezione negativa del rumore delle turbine, né influiscono indirettamente sul funzionamento mentale” scrivono i ricercatori, traendo conclusioni dalle loro misurazioni e test. Si può sottolineare dunque, che pericoli per la salute mentale non ce ne sono, probabilmente neanche legati ad un’esposizione a lungo termine. Alcuni sintomi, infatti, potrebbero essere spiegati dall’effetto nocebo, ovvero la convinzione che le turbine facciano male, porta le persone a sviluppare sintomi reali.
    In Italia esiste una normativa specifica sul rumore, fissata dal DPCM 14/11/1997 che stabilisce i limiti per le emissioni sonore: nelle aree residenziali, può essere al massimo di 45 dB di notte e 50 dB di giorno, mentre nelle aree rurali e industriali i limiti sono più alti. C’è da dire che specie nelle grandi città o comunque nelle zone più vicine alla strada, il rumore può essere anche più elevato, nonostante i limiti normativi. LEGGI TUTTO

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    Carne coltivata si riapre lo scontro, Coldiretti in piazza ma c’è chi difende l’Efsa

    Gli scienziati la chiamano “carne colturale”, molti la considerano una scelta “sostenibile”, per gli ambientalisti è una soluzione etica (non si uccide nessun animale). Eppure la carne coltivata, creata da cellule animali fatte proliferare all’interno di bioreattori (lo stesso procedimento con cui si prende un germoglio e lo si fa crescere in una serra) in Italia continua a provocare polemiche e proteste. L’ultima sarà una manifestazione nazionale indetta per il 19 marzo a Parma dalla Coldiretti davanti alla sede dell’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) con lo slogan #facciamoluce. Nonostante il governo italiano abbia varato una legge in vigore nel dicembre scorso con cui ne vieta sia la produzione che l’immissione sul mercato e che gli unici Paesi al mondo ad averne autorizzato il consumo sono fuori dell’Unione europea: Singapore e Israele. In Europa esistono solo startup che si occupano di carne coltivata e solo alcuni Paesi come la Germania, la Spagna e i Paesi Bassi hanno destinato fondi pubblici alla ricerca. Allora cosa ha scatenato la reazione della Coldiretti?

    Il dossier sul “novel food”
    La questione, un po’ complicata, è questa. L’associazione degli agricoltori, invocando il principio di “precauzione” nei confronti dell’Unione europea, ha deciso di riaprire il dossier “novel food” (che include anche la carne creata su base cellulare) lanciando un appello perché il cibo artificiale venga considerato al pari di una sostanza farmaceutica, invece che un alimento. La sola possibilità che anche la carne coltivata possa essere inserita dall’Efsa tra i nuovi cibi ha spinto la Coldiretti prima sostenitrice della sua messa a bando, insieme al ministro dell’Agricoltura della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, a scendere in piazza a Parma. La città non è stata scelta a caso: oltre ad essere il cuore della Food Valley italiana è la sede dell’autorità europea per la sicurezza alimentare, l’unica agenzia europea presente in Italia.

    Agricoltura

    La Danimarca verso una carbon tax sugli allevamenti: “Primo paese al mondo”

    di redazione Green&Blue

    18 Novembre 2024

    Lanciando richiami alla difesa dell’identità nazionale e della sicurezza alimentare nell’ambito delle politiche comunitarie, evocando “rischi non esclusi” per la salute, e di effetti “non ancora escludibili” la manifestazione attraverserà il centro della città con le bandiere gialle dell’associazione. In testa, assicurano gli agricoltori, ci saranno il presidente nazionale Ettore Prandini e il segretario generale Vincenzo Gesmundo. Obiettivo: manifestare a favore dell’Europa e sollecitare l’Efsa ad una maggiore attenzione al rapporto cibo-salute quando si parla di cibi nuovi. Ma i toni si sono talmente alzati che i dirigenti dell’Efsa hanno deciso di chiudere la sede “per ragioni di sicurezza” e di far rimanere a casa i circa 800 dipendenti.

    Tra scienza e politica
    Al centro della contesa tra scienza e politica, la carne coltivata secondo la Coldiretti, deve essere considerata come un farmaco e quindi passare attraverso lo stesso iter di un medicinale destinato a curare patologie gravi. Per questo motivo chiedono all’ente europeo di rivedere i criteri di valutazione. Si fa anche riferimento ad un documento apparso sul sito del ministero della Salute in cui alcuni ricercatori dell’università di Tor Vergata chiedono proprio all’Efsa che vengano introdotti test clinici e pre clinici obbligatori per i novel food.

    Innovazione

    Per il cioccolato del futuro senza cacao, la startup pugliese Foreverland raccoglie 3,4 milioni

    di Gabriella Rocco

    01 Ottobre 2024

    Di battaglia “più culturale che economica” parla Beatrice Mautino, divulgatrice scientifica che difende l’ente scientifico europeo e la sua indipendenza. “In Europa siamo riusciti ad avere standard di sicurezza elevati proprio grazie all’Efsa che essendo un ente scientifico non deve subire pressioni di nessun genere. Non solo. Questo documento non è firmato, ma rimanda ad un tavolo tecnico interministeriale di cui non abbiamo trovato traccia. In pratica, la Coldiretti chiede ai ricercatori di cambiare le regole di valutazione della sicurezza alimentare sui cibi a base cellulare. Due i punti critici. Il primo è il fatto che il ministero non chieda il parere alla comunità scientifica, ma ad un singolo team di scienziati, come invece avviene in altri Paesi. Secondo che la Coldiretti vada a protestare contro un ente scientifico indipendente. Gli chiede di diventare dipendente da un sindacato e non di lavorare nell’interesse dei cittadini. Questa è una forzatura: voler scardinare l’indipendenza dell’Efsa”.

    Il Regno Unito approva la carne coltivata come cibo per cani e gatti: sarà in vendita entro l’anno

    22 Luglio 2024

    I motivi dei sostenitori della carne coltivata
    La carne coltivata potrebbe ridurre fino al 99% l’uso del suolo, fino al 96% l’uso di acqua e fino al 96% le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di carne. Un altro motivo è il calo del consumo di carne legato alla crescente attenzione al benessere degli animali che sta convincendo i produttori a valutare metodi di produzione alternativi per restare nel mercato. Infine, con la carne coltivata si limiterebbero le patologie associate al consumo di carne rossa, i casi di zoonosi e la contaminazione della carne da parte di agenti patogeni, associati all’intensità dell’allevamento del bestiame. Infine. Secondo i sostenitori la carne coltivata rappresenta una delle possibili risposte all’impatto ambientale degli allevamenti. LEGGI TUTTO

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    Servono 75 anni per veder tornare api e farfalle in una prateria distrutta

    Si fa presto a dire “ripristinare”. Portare indietro le lancette dell’orologio, quando si tratta di ecosistemi usati a nostro piacimento, non è così semplice. I tempi per tornare indietro potrebbero essere più lunghi di quanto creduto e potrebbe essere necessaria qualche azione di supporto mirata per recuperare la biodiversità di un tempo. E’ il messaggio […] LEGGI TUTTO

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    Lavori green, il carbon manager: quando business e ambiente si incontrano

    Quando vincono entrambi, l’ambiente e pure il portafoglio, c’è una certa soddisfazione per chi di mestiere aiuta gli altri ad applicare la sostenibilità nei loro percorsi. Un sorriso carico di orgoglio che va sempre condiviso: perché la sostenibilità e la ricerca di soluzioni verdi – quelle che possano per esempio contribuire ad abbassare le emissioni climalteranti o l’impronta di carbonio – non sono mai questione del lavoro o lo sforzo dei singoli, ma sono “un impegno per forza di cose collettivo, che coinvolge più attori, più persone o mondi”. A ricordarlo è Giacomo Magatti, classe 1981, manager della sostenibilità che oggi è vicepresidente e carbon manager di Rete Clima, un’impresa sociale che accompagna le aziende e le organizzazioni a migliorare la loro impronta verde in percorsi di sostenibilità e decarbonizzazione.

    Appassionato di natura e di montagna da sempre, quando Magatti ha iniziato il suo percorso per tentare di coniugare la sensibilità ambientale al mondo delle imprese, era pieno di domande ma trovava pochissime risposte: vent’anni fa le carriere di studio e le specializzazioni per il mondo delle professioni green erano ancora in stato embrionale, “qualcosa che dovevi in parte inventarti. Per questo io dopo una laurea magistrale in Scienze ambientali all’Università Bicocca a Milano, che mi ha fornito molte competenze tecniche, ho scelto di fare un master in Comunicazione dell’ambiente, così da poter avere i mezzi per raccontare quello che avevo studiato e in cui credevo. Da piccolo ero uno scout e, come diceva il nostro motto, ho sempre pensato di voler lasciare il mondo o l’ambiente migliore di come l’avevo trovato” spiega Magatti. Per centrare questa missione, una volta completati gli studi e le prime esperienze all’interno delle aziende come consulente ambientale, acquisisce sempre più competenze che vanno in una direzione precisa: aiutare imprese, enti e Ong a decarbonizzare, ad emettere meno, a intraprendere percorsi di riciclo, oppure a modificare abitudini negative per l’ambiente, ma sempre “con uno sguardo anche al lato economico” spiega.

    Dopo un periodo da ricercatore all’Università Bicocca in cui lavora soprattutto sul Life Cycle Assessment (LCA) – “l’analisi del ciclo di vita di prodotti e servizi che valuta l’impronta ambientale nel suo complesso, uno strumento fondamentale per il nostro lavoro” – fa confluire tutte la sua esperienza nel cuore di quella che oggi è la sua professione a Rete Clima, un manager della sostenibilità che si occupa anche di ogni aspetto carbon delle aziende.

    “La definirei una professione green del presente, necessaria per affrontare le sfide di oggi, sia quelle che impone la lotta alla crisi climatica, sia quelle che richiedono le aziende per essere più sostenibili. Per arrivarci bisogna ovviamente studiare e, consiglio che vorrei dare ai giovani, fare formazione continuamente: bisogna essere aggiornati su scienza, normative, diritti. Solo così si può aiutare altri a trovare percorsi su misura per impattare meno”. Dopo la pandemia da Covid-19 l’attenzione per il green è “letteralmente esplosa. Molte aziende ci hanno contattato per intraprendere percorsi di decarbonizzazione. Quando ci riesci, è davvero bello: la sostenibilità è qualcosa che si fa insieme, in cui mettere in rete più mondi”. Fa un esempio: “Ci è capitato di aiutare una società a cambiare: prima di fatto prendeva plastica in Cina e la rivendeva in Italia, con una impronta decisamente negativa. Oggi, dopo un bel percorso iniziato dall’analisi di ogni aspetto, quella azienda è diventata più verde: ha sostituito plastica vergine con quella riciclata, ha smesso con il trasporto merci aereo preferendo le navi, ha abbassato la sua impronta carbonica e, contemporaneamente, aumentato il suo business”.

    Dimostra, spiega, che “spesso se si inseguono gli aspetti green e sociali, si fanno investimenti che poi ritornano velocemente. Cosa che devo dire le aziende hanno capito da tempo: si muovono già tanto in questa direzione, a differenza della politica”. Ma per aiutare sempre più realtà ad emettere meno gas serra, servono però anche più professionisti “che non applichino la ‘tuttologia’ ai temi ambientali, ma che si specializzino, sempre però con un occhio attento all’insieme. La sostenibilità può essere vista in chiave ambientale, tecnica, ingegneristica, economica: l’importante è che chi lavora in questo mondo sia sempre aggiornato, competente, sapendo che è una professione del presente, dove le cose cambiano in fretta, ma ci sarà sempre bisogno di spingere per – appunto – lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo trovato”. LEGGI TUTTO

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    Italia indietro su mobilità sostenibile, troppe auto e smog

    In Italia la mobilità sostenibile viaggia a rilento. A pesare in primis il taglio delle risorse destinate al settore e il primato del più alto tasso di motorizzazione dell’Ue: 694 autovetture per 1.000 abitanti (571 la media Ue), con città dove l’emergenza smog è cronica. Siamo indietro rispetto alle capitali europee anche in fatto di […] LEGGI TUTTO

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    Una causa da 300 milioni di dollari mette a rischio Greenpeace Usa: “Siamo sotto attacco”

    “Hanno lottato per salvare le balene. Riusciranno a salvare sé stessi?”. Se lo è chiesto l’altro giorno il New York Times, alla vigilia di una udienza decisiva in un processo che vede sul banco degli imputati Greenpeace. La causa riguarda il ruolo dell’associazione ambientalista nelle manifestazioni organizzate ormai un decennio fa contro un oleodotto vicino alla riserva Sioux di Standing Rock, nel Dakota del Nord. La Energy Transfer, proprietaria dell’infrastruttura, accusa Greenpeace di aver appoggiato attacchi illegali al progetto e aver condotto una “vasta e maligna campagna pubblicitaria” che è costata denaro all’azienda. La compagnia vuole 300 milioni di dollari di danni. Una richieste che se accolta dalla giuria metterebbe in pericolo l’esistenza stessa di Greenpeace, o almeno della sua, fondamentale, sezione statunitense: “Una tale perdita in tribunale ci potrebbe costringerla a chiudere i nostri uffici americani”, hanno ammesso gli attivisti.

    L’associazione si è mobilitata in tutto il mondo, a difesa di Greenpeace Usa: da questa mattina sul sito della sezione italiana è aperta una petizione che partendo dal processo in corso, allarga la lotta al revisionismo climatico di questi ultimi mesi: “Greenpeace è sotto attacco. Abbiamo bisogno del tuo aiuto!”, si legge nella pagina web dedicata a alla raccolta delle firme.

    Sostenibilità

    Lavori green, l’avvocato che difende l’ambiente: “Tante battaglie per il bene di tutti”

    di Giacomo Talignani

    09 Marzo 2025

    “La gigantesca compagnia petrolifera Energy Transfer ha intentato una causa contro Greenpeace negli Stati Uniti e contro Greenpeace International per 300 milioni di dollari. In un contesto in cui politici negazionisti della crisi climatica, come Trump o Milei, governano interi Paesi, la battaglia per il futuro del pianeta e dei suoi abitanti è in serio pericolo”.

    Eppure Greenpeace non è nuova a battaglie durissime, sul campo, nei mari, sui ghiacci… ma anche nelle aule di tribunale. Perché il processo intentato dall’Energy Transfer rischia di fare la differenza? L’entità dell’indennizzo richiesto: 300 milioni di dollari sono quasi dieci volte il budget di Greenpeace Usa (nel 2020 era di 40 milioni). Anche una condanna in primo grado, comporterebbe comunque un anticipo tale da far saltare il banco dell’associazione statunitense. Ma il pericolo è più ampio. E non riguarda solo Greenpeace. Il processo dell’oleodotto contrastato dai Sioux è solo la punta dell’iceberg di una generale tendenza a “punire un ambientalista per zittirne 100”.

    Focus

    Ranger, meteorologi, studiosi del clima: chi ha perso il lavoro negli Usa negazionisti di Trump

    di Giacomo Talignani

    28 Febbraio 2025

    Lo nota oggi anche la voce della City londinese, il Financial Times: “Greenpeace contro Big Oil: il caso che mette alla prova la libertà di parola nell’era Trump”. Per restare negli Stati Uniti, pochi giorni fa un’altra notizia dello stesso tenore: il climatologo Michael Mann, che nei mesi scorsi aveva vinto una causa per diffamazione da un milione di dollari, contro chi lo aveva accusato di truccare i dati sul riscaldamento globale, ora dovrà restituire oltre la metà: 530 mila dollari, perché secondo un giudice i suoi avvocati avrebbero utilizzato prove false nel corso del procedimento. In base a una recente legge anti-proteste, in Australia decine di attivisti sono stati arrestati al porto del carbone di Newcastle alla fine del 2024 dopo aver utilizzato kayak e gommoni per protestare contro la struttura: è iniziato il processo e loro si dichiareranno in massa “non colpevoli”, come raccontava ieri il Guardian.

    A inaugurare il filone del giro di vite giudiziario contro gli attivisti climatici era stata la Gran Bretagna, dove erano andate in scena anche le manifestazioni più partecipate e, al tempo stesso controverse: il leader e fondatore di Extinction Rebellion Roger Hallam, sta scontando 5 anni di carcere per aver organizzato un blocco stradale nei pressi di Londra. In inglese il fenomeno si è meritato perfino un acronimo, SLAPP: Strategic lawsuit against public participation, causa strategica contro la partecipazione pubblica).

    Appunto, si fa causa a una associazione o a singoli cittadini, per intimidire gli altri e scoraggiarli dal protestare. D’altra parte gli uffici legali di colossi come la Energy Transfer sono attrezzatissimi e con budget che permettono loro di affrontare anni di specie processuali. Sul fronte opposto organizzazioni che si sostengono grazie alle donazioni dei simpatizzanti. Nell’Unione europea il problema è noto, tanto che esiste una normativa che tutela i cittadini e le associazioni vittime di Slapp. Ed è per questo che Greenpeace International, il cui quartier generale è in Olanda, vuole che per la vicenda dell’oleodotto del Nord Dakota a decidere sia un tribunale del Vecchio Continente.

    Nello specifico della contesa, l’associazione afferma di aver svolto solo un ruolo minore e pacifico nella protesta guidata dagli indigeni e che, appunto, il vero scopo della causa è quello di limitare la libertà di parola non solo all’interno dell’organizzazione, ma anche in tutta l’America. Sushma Raman, direttrice esecutiva ad interim di Greenpeace Usa, ha definito il processo nel Dakota del Nord “un test critico per il futuro del Primo Emendamento”. Energy Transfer, in una nota dei suoi legali, afferma che la vicenda non ha niente a che fare con la: “Si tratta del fatto che non hanno rispettato la legge”.

    Tuttavia il processo aveva già ottenuto un risultato, ancora prima di cominciare. Come ricorda il New York Times, all’inizio del 2023, Greenpeace Usa aveva festeggiato la nomina di Ebony Twilley Martin come direttore esecutivo, “la prima donna di colore direttore di un’organizzazione non-profit ambientale statunitense”. Ma Twilley Martin ha lasciato quel ruolo solo 16 mesi dopo, uno sviluppo che, scrive il quotidiano newyorkese, “due persone a conoscenza della questione hanno detto essere stato in parte dovuto a disaccordi sull’opportunità di accettare un accordo con Energy Transfer”. Nelle prossime ore si scoprirà se Greenpeace oltre alle balene sarà riuscita a salvare se stessa. Oppure se le Slapp avranno inferto un nuovo duro colpo alla libertà di espressione. LEGGI TUTTO

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    Giornata mondiale del riciclo, le sfide italiane e quelle europee

    Oggi è il Global recycling day. Istituita per la prima volta nel 2018 dalla Global recycling foundation, l’organizzazione non-profit che mira a promuovere l’importanza del riciclo a supportare lo sviluppo sostenibile, il 18 marzo è stata riconosciuta dalle Nazioni Unite come la Giornata mondiale del riciclo. Evento annuale che incoraggia sia la consapevolezza dell’impatto dei rifiuti sull’ambiente, che ad agire per proteggere il Pianeta. D’altronde trasformare i rifiuti in materie prime è proprio uno degli obiettivi fondamentali dell’economia circolare. Non solo. Questa attenzione alla qualità del riciclo è riconosciuta dalla legislazione UE che introduce il principio “chi inquina paga” e la “responsabilità estesa del produttore”. Tra gli obiettivi che pone la direttiva, entro il 2025, si attende che la preparazione per il riutilizzo e il riciclo dei rifiuti urbani dovranno essere aumentati ad un minimo del 55%, 60% e 65% in peso rispettivamente entro il 2025, 2030 e 2035.

    Tutorial

    Raccolta differenziata: gli errori che (quasi) tutti facciamo

    di Paola Arosio

    08 Marzo 2025

    Il riciclo degli imballaggi: la situazione in Italia
    Tantissime le iniziative in Italia dove secondo il Conai, la percentuale di riciclo degli imballaggi nel 2025 dovrebbe assestarsi sul 75,2%, con volumi di riciclo in costante crescita: da 10 milioni e 470.000 tonnellate nel 2023 (ultimo dato consolidato) si arriverà a 10 milioni e 810.000 tonnellate a fine 2025. Sono queste le prime stime che Conai fa a proposito del 2025 in occasione della Giornata mondiale del riciclo.

    Tutorial

    Dagli imballaggi al trasporto, come organizzare un trasloco green

    di Paola Arosio

    03 Marzo 2025

    Per il 2025 si prevede anche un aumento degli imballaggi a fine vita che saranno affidati dai Comuni al sistema rappresentato da Conai e dai Consorzi: un totale di quasi 5 milioni e mezzo di tonnellate, in crescita rispetto ai 4 milioni e 660.000 del 2023 (ultimo dato consolidato).
    Nel dettaglio, l’anno in corso dovrebbe vedere riciclato oltre l’85% degli imballaggi in carta e cartone, oltre l’80% degli imballaggi in acciaio, il 70% degli imballaggi in alluminio, quasi il 64% degli imballaggi in legno, più del 51% degli imballaggi in plastica e bioplastica compostabile (circa il 51% di plastica tradizionale e il 58,5% di bioplastica) e oltre l’81% degli imballaggi in vetro.
    Secondo i dati, tutte le sette filiere dei materiali avranno così superato i rispettivi obiettivi di riciclo minimo chiesti dall’Europa al 2025. In questa Italia che sembra stia andando nella direzione giusta ci sono comunque alcune sfide da affrontare: dagli obiettivi legati alla Single-Use Plastics alla messa in atto del Regolamento Imballaggi.

    Economia circolare

    Il documento d’identità sarà biodegradabile: il prototipo

    di Gabriella Rocco

    14 Marzo 2025

    Ue: attesa per la nuova legge sull’economia circolare
    Il 2025 è un anno importante per l’Unione europea dal punto di vista della circular economy. Se nel Secondo il Circularity Gap Report 2024, il tasso di circolarità globale è sceso al minimo storico del 7,2% e una delle principali cause sembra sia una normativa non in linea con i tempi, Jessika Roswall, nuova Commissaria europea per l’Ambiente, la resilienza idrica e l’economia circolare competitiva, ha detto chiaramente che uno delle priorità sarà lo sviluppo di una nuova legge sull’economia. Obiettivo di questa legge sarà promuovere il riciclaggio, ridurre i rifiuti e migliorare l’efficienza delle risorse. Grande attenzione della Commissione europea sarà posta sulla creazione di una domanda di mercato per i materiali secondari e l’istituzione di un mercato unico per i rifiuti, in particolare per le materie prime critiche come il rame e il litio. La nuova legge dovrà anche armonizzare e razionalizzare le politiche di economia circolare negli Stati membri, consentendo alle innovazioni circolari di superare i confini dei loro Paesi di origine. Per le aziende sarà importanti l’uso di materiali secondari nella produzione per la valutazione di modelli di business circolari. LEGGI TUTTO