12 Marzo 2025

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    Muscari: coltivazione, cura, fioritura

    I muscari sono piante bulbose appartenenti alla famiglia delle Asparagaceae, note per le loro affascinanti fioriture primaverili che ricordano piccoli grappoli d’uva. Originari dell’Europa, del Nord Africa e dell’Asia, questi fiori sono perfetti per abbellire giardini, bordure e aiuole grazie alla loro vivace tonalità blu, sebbene esistano anche varietà bianche, viola e gialle. Scopriamo insieme tutto quello che c’è da sapere sulla coltivazione, cura e fioritura di questa pianta simile al Giacinto, che Giacinto non è.

    Muscari: coltivazione
    La coltivazione del Muscari non richiede particolari competenze o attenzioni e forse è proprio questo che la rende una scelta perfetta anche per chi si approccia per la prima volta al mondo delle piante o per chi, amante dei colori, ha voglia di dare un tocco di originalità al proprio giardino senza troppi sforzi. Essendo piante rustiche, i muscari si adattano molto facilmente a diverse condizioni climatiche. Il momento ideale per piantare i bulbi è l’autunno, tra settembre e novembre, prima delle gelate; questo consente ai bulbi di radicarsi durante l’inverno e fiorire meravigliosi in primavera. I muscari preferiscono posizioni soleggiate o semi-ombreggiate. In pieno sole, la fioritura sarà più abbondante e intensa, mentre sono da evitare obbligatoriamente le aree con ristagni d’acqua, poiché i bulbi potrebbero marcire. Per questo, dunque, un terreno ben drenato è essenziale per il successo della coltivazione. I muscari non sono particolarmente esigenti in termini di suolo, ma preferiscono terreni leggermente sabbiosi e ricchi di sostanza organica; se il terreno è troppo compatto, è consigliabile mescolarlo con sabbia o ghiaia per migliorarne il drenaggio.

    Come piantare i bulbi di muscari
    Prima di procedere alla piantagione in sé per sé, bisogna preparare in modo sicuro il terreno. Per cominciare, bisogna rimuovere tutte le erbacce e smuovere il terreno fino a una profondità di circa 20 cm, dopodiché si pianteranno i bulbi a una profondità di circa 8-10 cm e a una distanza di 5-10 cm l’uno dall’altro, con la punta rivolta verso l’alto. Ora è il momento di ricoprire i bulbi con il terreno e compattare leggermente il tutto, senza premere eccessivamente. Fatto anche questo passaggio, è necessario innaffiare subito dopo la piantagione; in questo modo si andrà a favorire l’attecchimento della pianta.

    Muscari: coltivazione in vaso
    Se non si ha a disposizione un giardino, si possono coltivare i muscari anche in vaso. Per farlo basterà scegliere un contenitore con fori di drenaggio e riempirlo con un mix di terriccio universale e sabbia. I bulbi possono essere piantati a una distanza ravvicinata per creare un effetto più denso e decorativo.

    Irrigazione, concimazione e potatura
    I muscari non necessitano di molta acqua; dopo la piantagione autunnale, basta annaffiare moderatamente per mantenere il terreno umido fino all’arrivo delle piogge. Durante il periodo di crescita attiva in primavera, è sempre bene assicurarsi che il terreno rimanga umido, ma non zuppo. Inoltre, per favorire una fioritura rigogliosa, dall’inizio della primavera è possibile applicare un concime specifico per bulbose. Un fertilizzante ricco di fosforo e di potassio si rivela ottimo per sostenere la formazione dei fiori, sempre suggestivi. Infine, la potatura: non è necessaria una vera e propria potatura per i muscari. Dopo la fioritura, infatti, è possibile lasciare che il fogliame si secchi in modo del tutto naturale; questo consente ai bulbi di accumulare energia per la stagione successiva. Una volta che le foglie saranno completamente appassite, si possono rimuovere, e dunque potarle.

    Protezione dai parassiti e malattie
    I muscari sono generalmente resistenti ai parassiti e alle malattie. Tuttavia, possono essere occasionalmente attaccati da afidi o da marciume dei bulbi. Nel primo caso, questi piccoli insetti possono essere rimossi manualmente o trattati con un sapone specifico insetticida. Nel caso del marciume, invece, bisognerebbe prima interrogarsi sulle cause che hanno portato a tale situazione, che il più delle volte si riduce a un terreno con scarso drenaggio. La soluzione? Monitorarne lo stato e prevenire che questo si secchi troppo.

    Riproduzione e moltiplicazione
    I muscari si moltiplicano facilmente da soli grazie alla formazione di bulbilli intorno al bulbo madre. Per mantenere le piante vigorose, è possibile dissotterrare e dividere i bulbi ogni 3 o 4 anni. Per farlo basterà scavare i bulbi durante la stagione estiva, dopo che il fogliame sarà diventato secco, per poi separare i bulbilli e ripiantarli in autunno seguendo le indicazioni sopra descritte.

    La fioritura
    La fioritura dei muscari avviene generalmente tra marzo e maggio, a seconda della varietà e delle condizioni climatiche. I fiori durano diverse settimane, creando un tappeto colorato e profumato che attira api e altri insetti impollinatori.

    Caratteristiche dei fiori
    I fiori dei muscari sono piccoli e tubulari, raggruppati in infiorescenze a forma di spiga. La maggior parte delle varietà presenta una vivace tonalità blu, ma esistono anche varietà bianche (‘Album’), gialle (‘Golden Fragrance’) e persino viola scuro (‘Dark Eyes’). Poiché la bellezza dei muscari risiede proprio nella loro suggestiva fioritura, esiste un trucco per prolungarla. Vi basterà potare i fiori appassiti, azione necessaria per evitare che la pianta investa energia nella produzione di semi. Importante anche il mantenimento del terreno umido durate la fase di fioritura e il posizionamento della pianta in una zona con una buona esposizione al sole. LEGGI TUTTO

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    Il pallet fatto con i gusci della noce di cocco fa risparmiare alberi ed emissioni

    Ogni minuto vengono abbattuti circa 2400 alberi a livello globale, 144mila all’ora, oltre 3 milioni al giorno e più di 1 miliardo ogni anno (fonte: World Animal Foundation). Di questi, milioni vengono utilizzati per produrre pallet destinati al trasporto di merci, molti dei quali vengono poi smaltiti in discarica oppure bruciati. Nel settore della logistica internazionale, i pallet monouso in legno rappresentano un grave impatto ambientale e un costo crescente per le aziende.

    Per arginare il crescente fenomeno della deforestazione, una startup olandese, CocoPallet, utilizza le fibre dei gusci della noce di cocco, un sottoprodotto agricolo ampiamente disponibile in Asia e altre regioni tropicali, per realizzare pallet completamente biodegradabili, leggeri e resistenti, offrendo un’alternativa innovativa priva di legno e più efficiente.

    I CocoPallet ridimensionano costi, emissioni di CO2 e sprechi di spazio nella supply chain. Non solo, alla fine della filiera possono essere macinati e utilizzati come concime per sostituire la torba in modo completamente circolare: il prodotto è naturale al 100%, contribuendo alla riduzione della deforestazione e al riutilizzo dei rifiuti organici.

    “Proviamo a fare la nostra parte per salvare il Pianeta, bisogna proteggere le foreste. Lo scenario preoccupante, più che mai in evoluzione, coinvolge i cittadini e, allo stesso tempo, le imprese di tutto il mondo chiamate a scendere in campo con iniziative innovative, mirate ed efficaci. Non possiamo restare fermi a guardare, con CocoPallet abbiamo deciso di fare la nostra parte”, ha dichiarato di recente il fondatore della startup greentech.

    L’idea inizialmente sviluppata dai ricercatori dell’Università di Wageningen, è stata poi portata avanti dall’imprenditore olandese Michiel Vos che nel 2020 ha fondato CocoPallet. Vos ha dedicato molti anni all’ottimizzazione della produzione di pallet. Le fibre di cocco vengono riscaldate e pressate: questo è il processo di produzione. A quale temperatura e a quale pressione, non è dato saperlo, per questo c’è il segreto commerciale, che il fondatore non intende divulgare. Oggi CocoPallet sta collaborando con importanti multinazionali nel mondo per la produzione massiva dei CocoPallet. Il lancio del prodotto è previsto entro il 2025.

    Gli scarti del cocco, una risorsa preziosa
    “In Asia vengono prodotte ingenti quantità di noci di cocco, che portano a un enorme mucchio di gusci di cocco sprecati. In molti paesi tropicali, questi scarti marciscono lungo le strade o sono dati alle fiamme. Così, nell’osservare questo fenomeno, ho visto un enorme potenziale. Con la produzione di materie prime partendo dal guscio, si prendono più piccioni con una fava: si previene la deforestazione, perché il legname non serve; si offre agli agricoltori un reddito extra, perché i loro rifiuti valgono soldi; si impedisce allo scarto di marcire lentamente, riducendo l’inquinamento e l’impatto sul cambiamento climatico”, spiega l’imprenditore Michiel Vos, fondatore e amministratore delegato di CocoPallet, fondata nel 2020 ad Amsterdam con l’obiettivo di arginare il crescente allarme della deforestazione.

    “Carenza di legname da una parte, e milioni di noci di cocco dall’altra, sono state le due leve, che hanno portato all’idea iniziale di CocoPallet”. La startup ha riconosciuto il potenziale dei pelosi gusci di cocco, trasformandolo questi scarti in una soluzione economica e innovativa. “I nostri CocoPallet presentano importanti vantaggi: sono più resistenti e leggeri dei pallet vecchio stile, sono ignifughi e, grazie a un design regolato, sono anche più facili da impilare, in modo da occupare meno spazio. E soprattutto, sono più economici, hanno un prezzo più basso, il che ad oggi rappresenta la migliore argomentazione di vendita per un prodotto sostenibile”, ha precisato Michiel Vos.

    CocoPallet: sostenibilità, efficienza e risparmio
    L’adozione su larga scala di CocoPallet potrebbe eliminare l’abbattimento di milioni di alberi ogni anno, trasformando un rifiuto abbondante come il guscio di cocco in una risorsa preziosa. Inoltre, il progetto genera benefici socio-economici per i piccoli coltivatori di cocco nei paesi produttori, creando nuove opportunità di reddito e contribuendo a combattere la povertà rurale.

    Non solo. I pallet in legno tradizionali, oltre ad avere un alto impatto ambientale, presentano una serie criticità tra cui: costi ingenti, trasporto inefficiente e problemi di smaltimento. La startup olandese supera queste problematiche grazie a una serie di caratteristiche distintive: sono privi di legno: i cocopallet non necessitano di trattamenti chimici o termici, evitando ritardi doganali; sono salvaspazio: fino al 70% di riduzione del volume rispetto ai pallet tradizionali; sono resistenti: supportano fino a 2.000 kg di carico statico e 1.000 kg dinamico; sono biodegradabili e riciclabili: possono essere riutilizzati come concime agricolo; riducono i costi di trasporto: grazie alla maggiore efficienza di stoccaggio e movimentazione, si ottengono risparmi fino al 25%.

    La logistica globale sta vivendo una trasformazione verso soluzioni innovative più sostenibili ed efficienti. CocoPallet rappresenta un passo avanti cruciale, offrendo alle aziende innovative un modo per ottimizzare la catena di produzione, ridurre i costi e minimizzare l’impatto sull’ambiente. LEGGI TUTTO

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    Cop30 in Brasile: abbattuti ettari di foresta amazzonica per costruire l’autostrada

    Che fatica e quante contraddizioni nella battaglia diplomatica per salvarci dal nuovo clima. Quest’anno, non senza polemiche, a metà novembre si terrà in Brasile la 30esima Conferenza delle Parti sul Clima, la Cop30, il grande vertice che dovrebbe trovare un accordo globale per affrontare le sfide sempre più urgenti legate agli impatti del cambiamento climatico. La strada verso l’intesa è però decisamente in salita, anzi, per certi versi spianata in direzione dell’insuccesso. Perché mentre il mondo vira a destra e guarda al ritorno dei combustibili fossili, in un Pianeta ancorato alle mosse di Donald Trump che si smarca dagli Accordi di Parigi, nega la crisi climatica e distrugge ogni politica d’azione sul clima, dal Brasile arrivano segnali che appaiono come un grande passo indietro rispetto al senso di protezione di cui la Terra ha bisogno.

    Un’autostrada a 4 corsie per le delegazioni
    Per ospitare la Cop30, che si terrà nel cuore dell’Amazzonia a Belém, si stanno infatti perfino abbattendo alberi: lo scopo è davvero “spianare”, dato che è in costruzione una nuova autostrada a quattro corsie che potrebbe attraversare diversi ettari di foresta pluviale amazzonica protetta e servirà per condurre le delegazioni alla Cop. Questa è solo l’ultima incongruenza, di tante, relative alla futura Conferenza, quella che fino a due anni fa veniva vista come decisiva, determinante, chiave e simbolica. Negli ultimi tre anni infatti le Cop si sono svolte in Paesi dove a dominare è stata l’ingerenza delle fonti fossili o la mancanza di diritti sociali: prima l’Egitto, poi la Dubai del petrolio, infine la Baku del gas. Difficile immaginare che da quei luoghi sarebbe uscito un accordo planetario, come chiedono gli scienziati, per dire addio ai combustibili fossili responsabili delle emissioni che stanno riscaldando il Pianeta.

    Il Brasile era la speranza
    Il Brasile, allora, era la speranza. Quando il neo eletto presidente Luiz Inacio Lula arrivò in Egitto nei padiglioni della Cop27, fu accolto come una star e promise che con il summit ospitato dal suo Paese le cose sarebbero cambiate. “Non c’è sicurezza climatica se non si mette in sicurezza il polmone del Pianeta” disse riferendosi all’Amazzonia e proponendo, nonostante le enormi difficoltà logistiche, di realizzare la Cop30 proprio all’interno dell’Amazzonia. Già allora, perfino fra i delegati brasiliani, sorsero i dubbi: come faremo a portare e dare ospitalità a 50mila persone (la stima dei futuri partecipanti alla Cop30) in una zona così isolata e complessa? Si chiedevano tutti. Oggi stiamo avendo le prime risposte e non sono per nulla buone, denunciano abitanti, professori e ambientalisti del Brasile.

    “Difendere le foreste e tagliarle per il summit”
    Per semplificare il traffico verso Belém e ospitare 150 capi di Stato e leader mondiali in Brasile stanno costruendo un’autostrada ai cui lati svetta la foresta pluviale mentre lungo i bordi sono già ammucchiati i tronchi degli alberi tagliati. Si tratta di un progetto ipotizzato in passato e oggi ripreso chiamato “Avenida Libertade” che coinvolge più zone, tra cui il tratto amazzonico verso Belém. Già tempo fa, raccogliendo informazioni, la dottoressa e ingegnere forestale Ana Letícia R. Ferro aveva denunciato questa “ipocrisia” sulle pagine di Green Amazon e ora la Bbc ha diffuso le immagini riprese dal drone dei luoghi in cui stanno costruendo l’autostrada, confermando l’avanzamento dei lavori. L’ipocrisia, secondo Ferro, sta soprattutto nella visione dichiarata del Paese: quella di spingere per un aumento dei fondi in difesa delle foreste e al tempo stesso tagliarle per ospitare un summit globale.

    A rischio la biodiversità
    Gli abitanti locali, intervistati dai media, raccontano come i nuovi tagli per lasciar spazio alla strada stanno già impattando sulle loro vite, per esempio con la perdita di coltivazioni, e minacciano la preziosa biodiversità di quell’area dell’Amazzonia. Denunciano anche una mancata e completa consultazione da parte del governo e i timori che, con una strada del genere, un luogo da preservare e proteggere possa essere ora più accessibile alle aziende a caccia di profitti. Alle loro paure si aggiungono quelle dei ricercatori che temono che la nuova infrastruttura frammenterà l’ecosistema e interromperà il movimento della fauna selvatica, come ad esempio quello dei bradipi. Inoltre la strada rischia di limitare l’accesso a fonti e corsi d’acqua per gli animali.

    Lo studio

    Clima, i dieci eventi estremi più devastanti e costosi del 2024

    di Pasquale Raicaldo

    30 Dicembre 2024

    Nonostante i residenti sostengano di “non essere ascoltati” il governo dello stato del Parà continua a ribadire che la ripresa dei progetti di Avenida Liberdade rientra in una serie di oltre 30 opere che saranno “lasciate in eredità alla popolazione” dopo la Cop e quella in costruzione è “un’autostrada sostenibile” con attraversamenti per gli animali e illuminazione basata su fonti rinnovabili.

    Il governo: “Opera necessaria”
    Ovviamente, deforestare per proteggere la foresta, è un concetto difficile da difendere, ma il governo brasiliano spiega che l’opera è necessaria se vista in ottica futura, sia per il clima, sia per i brasiliani. Le tante recenti contraddizioni del Paese però sembrano mostrare un’altra faccia del Brasile quando siamo a soli otto mesi dalla Cop30. A inizio anno per esempio il Paese, dove a novembre si discuterà di anche di uscita dalle fonti fossili, è entrato ufficialmente nell’Opec, l’organizzazione dei Paesi produttori di petrolio.

    Contemporaneamente, per rendere possibile una Conferenza dal forte valore simbolico a Belém, nella città amazzonica sono in costruzione ovunque nuovi hotel, ristoranti e perfino porti che potrebbero accogliere navi da crociera (non certo poco inquinanti) dove accogliere visitatori e delegati. Il tutto in una Belém che è specchio di ben altri problemi: questa realtà, povera, è oggi infestata dalla criminalità e dalle disuguaglianze e una gran parte dei 2,5 milioni di abitanti vive ancora nelle favelas.

    Solo il 2% delle acque reflue viene trattato
    A livello ambientale è poi fortemente inquinata: solo il 2% delle acque reflue della città viene trattato e attualmente è in atto una corsa contro il tempo nel tentativo di risanare diversi canali. Mancano inoltre gli alloggi, motivo per cui i pochi disponibili sono stati messi a disposizione – per novembre – a prezzi esorbitanti, si parla di decine di migliaia di euro. Tutti questi elementi fanno pensare – come raccontavano a Green&Blue durante la Cop29 alcuni delegati brasiliani – che sia davvero una sfida durissima quella di riuscire a trasformare la futura Cop30 in un successo, sia per il Brasile sia per la battaglia climatica. Il presidente Lula però ci crede e, al netto di possibili altri interventi a danno dell’ambiente, ha davvero pochi mesi per dimostrarlo.

    Una sfida duplice
    Lo scopo è mostrare, secondo il Brasile, che un risanamento del Pianeta e una intesa multilaterale per arginare gli impatti del nuovo clima è ancora possibile, nonostante Trump e la deriva anti-clima. Quale teatro migliore per riuscirci se non un evento che si svolge per la prima volta in assoluto in un ecosistema minacciato come l’Amazzonia e oltretutto esattamente 10 anni dopo gli Accordi di Parigi e 20 dopo l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto? Per riuscirci, dunque, sono disposti a tutto: anche sacrificare una parte del loro stesso polmone verde. LEGGI TUTTO

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    Lavori green, a caccia delle tecnologie per controllare alberi e piante

    Durante gli studi, per arrotondare consegnavo pizze e sushi… le compagnie di delivery me le sono girate tutte. Poi ho conosciuto Riccardo Valentini, dell’Università della Tuscia, che mi ha detto: ‘Possibile che non ci sia un altro modo? Vieni a lavorare con noi’. Ho accettato il suo invito”. Ora Valerio Coppola si occupa di ricerca e sviluppo all’interno di Nature 4.0, azienda specializzata in “tecnologie wireless per la ricerca e le operazioni in ambito ambientale, forestale, agricolo, marino e faunistico”.

    ”È nata come una startup, da un’idea del professor Valentini. Ora siamo passati tra le piccole e medie imprese e ci lavoriamo in una quindicina di persone”, racconta Coppola. L’origine è tutta interna al mondo accademico: “C’era sempre qualche professore che chiedeva: servirebbe un sensore per fare queste misure, per monitorare queste variabili. La nostra azienda nasce per dare risposte a tali richieste”.

    Valerio Coppola, 26 anni, di Viterbo si occupa del settore Ricerca e sviluppo di Nature 4.0  LEGGI TUTTO

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    Le aziende rischiano il 25% dei profitti se non affrontano le sfide del clima

    Il cambiamento climatico non è più solo una questione ambientale ma una vera e propria emergenza economica. Le aziende che non affronteranno rapidamente i rischi legati al clima potrebbero vedere erosi fino al 25% dei loro profitti nel giro di un quarto di secolo, cioè entro il 2050, mentre a livello globale il Pil potrebbe ridursi del 22% entro la fine del secolo. L’inazione potrebbe costarci la più epocale delle contrazioni economiche a cui abbiamo mai assistito. Sono solo alcuni degli allarmanti numeri che emergono da un recente studio del World Economic Forum in collaborazione con Boston Consulting Group (BCG) emblematicamente intitolato “The Cost of Inaction: A CEO Guide to Navigating Climate Risk”.

    Un pericolo sottovalutato dalle imprese
    Nonostante la crescente consapevolezza dei rischi climatici, d’altronde impossibili da ignorare nonostante il negazionismo imperante di molte amministrazioni, troppe aziende faticano a trasformare questa consapevolezza in strategie concrete. “Il vero problema è considerare il cambiamento climatico come una minaccia lontana, quando invece il suo impatto economico è già evidente e destinato a peggiorare senza azioni mirate” spiega Lorenzo Fantini, managing director e partner di BCG. Secondo Fantini, l’adattamento climatico non è un costo ma un investimento fondamentale per la stabilità del business: rimandare significa affrontare conseguenze economiche ben più gravi in futuro. In cambio, forse, di qualche magra marginalità per un risicatissimo oggi.

    Imprese a rischio: tra danni fisici e transizione ecologica
    Il rapporto identifica due principali categorie di rischio per le imprese. Da un lato ci sono i rischi fisici, legati cioè a fenomeni meteorologici estremi come uragani, incendi e lunghissime fasi di siccità, che possono compromettere la praticabilità delle infrastrutture, interrompere le catene di approvvigionamento sempre più complesse e delicate – già messe a rischio dalle turbolenze commerciali internazionali, vedi alla voce dazi – e rallentare se non bloccare del tutto la produzione. Dall’altro lato ci sono i rischi di transizione, legati all’inasprimento delle normative ambientali – almeno, nella UE – alle varie forme di carbon tax e alla svalutazione degli asset legati ai combustibili fossili, fattori che prima o poi morderanno più di quanto facciano al momento. Si prevede, ad esempio, che la domanda globale di carbone calerà del 90% entro il 2050, rendendo letteralmente insostenibili gli impianti costruiti dopo il 2010. Non solo: nei prossimi due decenni – spiega BCG – le imprese più esposte vedranno i costi operativi lievitare e il valore di asset fossili calare fino a -35% già entro il 2030, con conseguenze in molti settori.

    L’impatto economico già evidente
    Non si tratta di scenari futuri ma di un problema già molto concreto. Dal 2000 a oggi i disastri naturali legati al clima hanno per esempio causato perdite economiche pari a 3.600 miliardi di dollari, di cui mille miliardi solo tra il negli ultimi quattro anni, quando si è registrato un secco aumento di questi eventi intensissimi. In particolare, tempeste e uragani hanno rappresentato oltre la metà di questi danni. Negli Stati Uniti e in Europa molte compagnie assicurative stanno già ritirandosi da aree considerate troppo rischiose, lasciando intere regioni senza copertura assicurativa. E dunque senza alcuna garanzia per progetti di medio e lungo termine.

    Investire nella transizione: una scelta economicamente vantaggiosa
    Di fronte a questi rischi, il report evidenzia come la transizione ecologica – che tante aziende tendono perfino a sottostimare nei propri bilanci, quando la perdita reale potrebbe oscillare tra il 5% e il 25% dell’Ebitda.

    Nel giro dei prossimi due o tre decenni – non sia solo una necessità ambientale ma anche un’imperdibile opportunità economica. Come in ogni fase segnata da un salto storico di paradigma – e dalle fisiologiche resistenze di rendita. Ogni dollaro investito in resilienza climatica genera un ritorno compreso tra 2 e 19 dollari, evitando per altro perdite future. A livello globale, per mantenere il riscaldamento sotto i 2 gradi centigradi sarebbe necessario destinare circa il 2% del Pil alla mitigazione e un ulteriore 1% all’adattamento. Tuttavia, questi investimenti sarebbero ampiamente ripagati, prevenendo perdite tra il 10% e il 15% del Pil mondiale entro la fine del secolo. Non c’è partita.

    L’economia verde: un settore in rapida crescita
    Le aziende che sapranno cogliere questa opportunità di transizione climatica potranno beneficiare di un mercato in espansione. L’economia verde passerà dagli attuali 5mila miliardi di dollari a 14mila praticamente domattina, cioè entro il 2030. I settori trainanti saranno l’energia alternativa (49% del mercato), i trasporti sostenibili (16%) e i prodotti di consumo eco-friendly (13%), con un salto annuo tra il 10% e il 20%, nettamente superiore al tasso di crescita globale. LEGGI TUTTO