11 Marzo 2025

Daily Archives

consigliato per te

  • in

    Bonus per l’acquisto di una casa ristrutturata: come funziona e quanto si risparmia

    Il Fisco premia chi compra nuove case realizzate senza consumo di suolo. È infatti i vigore anche per il 2025 il bonus riconosciuto agli acquirenti di immobili all’interno di edifici completamente ristrutturati da impresa. Prevista una detrazione del 25% del prezzo di acquisto da utilizzare in dieci anni. Per accedere all’agevolazione il rogito deve essere effettuato entro 18 mesi dal termine dei lavori.

    Riqualificazione e risparmio energetico
    La detrazione spetta nel caso di edifici riqualificati con interventi di restauro o risanamento conservativo, ma anche per la demolizione della vecchia struttura e totale ricostruzione. In entrambi i caso gli interventi comportano la realizzazione di appartamenti con i criteri previsti per le nuove costruzioni. Obbligatoria quindi la climatizzazione centralizzata, l’eliminazione del gas, l’utilizzo delle energie rinnovabili. Gli appartamenti saranno dunque a risparmio energetico.

    Le regole del bonus
    L’agevolazione è prevista su una quota pari al 25% del prezzo di acquisto, con il limite massimo di 96.000 euro. Il 25% di fatto è riconosciuto all’acquirente come costo di ristrutturazione. L’aliquota è al 50% per la prima casa e al 36% per gli altri immobili. Come nel caso del bonus ristrutturazioni sono previste dieci rate annuali di pari importo.

    La detrazione si ottiene al rogito con l’indicazione del notaio che si tratta, appunto, di acquisto di immobile ristrutturato. L’impresa dovrà per questo rilasciare una dichiarazione, se non lo ha già fatto al momento del compromesso. È infatti possibile avere la detrazione anche per le somme pagate a titolo di acconto, per cui si può iniziare a detrarre la spesa immediatamente anche se il rogito avviene l’anno successivo. In caso di comproprietà andrà considerata da ciascuno pro quota. Nel caso in cui due soggetti acquistino, uno la nuda proprietà e l’altro l’usufrutto dell’immobile ristrutturato, la detrazione dovrà essere proporzionata ai rispettivi valori della nuda proprietà e dell’usufrutto.

    Quanto si risparmia
    Il costo di acquisto su cui calcolare la detrazione comprende anche l’Iva dal momento che si tratta di una somma dovuta dall’acquirente che fa parte del prezzo di vendita. La detrazione è comunque cumulabile con le agevolazioni per l’acquisto della prima casa. Quindi anche per chi usufruisce del Bonus acquisti per la casa ristrutturata ha diritto all’applicazione dell’Iva al 4% quando si hanno i requisiti per usufruire dell’aliquota ridotta prevista per l’abitazione principale. Sulla base delle regole appena viste considerano un prezzo di acquisto di 350.000 euro (Iva compresa), il costo forfetario di ristrutturazione (25% di 350.000 euro) è di 87.500 euro.

    La detrazione spettante all’acquirente è pari al 50% di 87.500 euro se prima casa, ossia 43.750 euro, oppure al 36% se seconda casa, vale a dire 24.305 euro. L’agevolazione spetta anche sulle pertinenze acquistate insieme all’appartamento, ossia con lo stesso atto.

    Bonus Mobili anche in questo caso
    In compenso a chi acquista un immobile ristrutturato da impresa spetta anche il Bonus mobili, ossia la detrazione per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici destinati ad arredare l’immobile ristrutturato, riconosciuta di qui a fine anno su un massimo di 5.000 euro di spesa.

    Poiché la norma prevede che per ottenere il Bonus è necessario che la data dell’inizio dei lavori di ristrutturazione preceda quella in cui si acquistano i mobili, nel caso di acquisto dell’immobile da imprese, come chiarito dall’Agenzia delle entrate, per data di inizio lavori deve intendersi quella di acquisto o di assegnazione. LEGGI TUTTO

  • in

    Più detriti spaziali, più collisioni con l’aumento delle emissioni

    I detriti che orbitano intorno alla nostra terra sono un grosso problema in termini di inquinamento spaziale e sicurezza e la loro presenza mette a rischio molte delle nostre attività extraterrestri col pericolo delle collisioni. E la questione in futuro potrebbe diventare sempre più cocente per colpa delle emissioni di gas serra. Questo è quanto racconta oggi un team di ricercatori del MIT di Boston e della University of Birmingham dalle pagine di Nature sustainability.

    Spazio

    Il detrito spaziale caduto in Kenya e il problema dell’inquinamento delle orbite

    di Matteo Marini

    05 Gennaio 2025

    Lo studio di William Parker e colleghi, da tempo impegnati a comprendere le ripercussioni dei gas serra sul traffico di satelliti e detriti spaziali, stavolta mirava a stimare gli effetti delle emissioni in diversi scenari climatici: da quelli più ottimistici a quelli più drammatici (nel dettaglio SSP1–2.6, SSP2–4.5 and SSP5–8.5, corrispondenti a basse, intermedie e alte emissioni). Questi diversi scenari climatici inducono infatti dei cambiamenti profondi nell’atmosfera e diversi a seconda delle diverse zone. Se nelle vicinanze della superficie terrestre l’aumento dell’anidride carbonica ha come effetto principale l’innalzarsi delle temperature, negli strati più elevati – dove la densità è minore e la dissipazione del calore maggiore, spiegano dalla Nasa – l’effetto è quello di un raffreddamento. E raffreddandosi l’atmosfera si contrae, così che, scrivono Parker e colleghi, la densità ad altitudini più elevate diminuisce.
    Ed è qui che entriamo nel merito dello studio: quando la densità diminuisce, diminuisce anche la resistenza sperimentata dai satelliti e detriti, e questo è un problema: “La diminuzione della densità riduce la resistenza sugli oggetti detritici e ne prolunga la durata in orbita, ponendo un rischio di collisione persistente con altri satelliti e rischiando la generazione a cascata di altri detriti”, scrivono Parker e colleghi. Di fatto dunque, all’aumentare delle emissioni potrebbe diventare sempre più rischioso spedire satelliti in orbita. Secondo le stime dei ricercatori rischiamo una contrazione nella capacità della bassa orbita terrestre di ospitare satelliti tanto maggiore quanto peggiori saranno gli scenari climatici, e in corrispondenza dei minimi solari. Perché anche l’attività solare può influenzare la contrazione dell’atmosfera. Nello specifico, per lo scenario peggiore, ad emissioni molto elevate, di qui al 2100 rischiamo una riduzione di questa capacità del 66% scrivono i ricercatori. Questo per un’altezza compresa tra i 200 e i 1000 km dalla superficie terrestre. Restringendo l’analisi alla fascia compresa tra i 400 e 1000 km la capacità potrebbe ridursi anche dell’82%.

    Tecnologia

    Ecosmic, la startup che salva lo spazio dall’inquinamento evitando le collisioni

    16 Settembre 2024

    Cosa possiamo fare? Se vogliamo continuare a spedire satelliti in orbita in questo spazio, abbiamo diverse strade. Non certo approfittare del periodo meno rischioso (ai massimi solari), perché la durata di vita della maggior parte dei satelliti è superiore a quella di un ciclo solare, spiegano gli esperti. Potremmo fare altro magari: migliorare le attività di tracciamento di satelliti e detriti, condurre manovre per evitare collisioni o rimuovere attivamenti i detriti, e ancora coordinare meglio i calendari delle spedizioni, scrivono i ricercatori. Ma “a differenza di questi interventi convenzionali, le riduzioni delle emissioni di gas serra mitigano la perdita di capacità all’origine, perché hanno un impatto diretto sulla resistenza satellitare in tutta la bassa orbita terrestre”, aggiungono infine Parker e colleghi. Come a dire, più che aspettare che sia troppo tardi e (più) difficile, meglio agire prima. LEGGI TUTTO

  • in

    “Fissione nucleare impraticabile e costosa. Un’Italia 100% rinnovabile è possibile”

    Sì all’eolico. No al nucleare. Anzi, di più: il potenziale eolico italiano basterebbe a far fronte al forte fabbisogno della decarbonizzazione, se integrato con una forte crescita del solare a terra. Mentre invece l’energia atomica è una tecnologia ormai in declino, nonostante gli annunci di ripartenza, anche nel nostro Paese. Sono questi i contenuti principali del rapporto Elementi per un’Italia 100% rinnovabile presentato oggi dal Network 100% Rinnovabili, che raccoglie esponenti di decine di università e centri di ricerca, del mondo delle imprese, del sindacato e del terzo settore, oltre a Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Greenpeace Italia, Kyoto Club, Legambiente e WWF Italia.

    Il rapporto risponde, tra le altre, a una delle perplessità più ricorrenti quando si parla di energie rinnovabili: sole e vento sono incostanti, non garantiscono continuità nell’approvvigionamento di elettricità. Ebbene gli autori, citando studi scientifici, sottolineano come la soluzione risieda nella “sinergia stagionale della fonte solare con quella eolica. L’integrazione eolico-solare permette un profilo di generazione medio mensile dimensionabile sulla domanda attesa, riducendo così al minimo l’accumulo stagionale, inerentemente più costoso”. Questa sinergia eolico-solare rende non necessario il ricorso alla fonte nucleare per il suo supposto vantaggio di garantire la continuità della produzione”.

    Energia

    Da Microsoft a Sam Altman: Helion Energy promette energia da fusione nucleare entro il 2028

    di Gabriella Rocco

    12 Febbraio 2025

    Dopodiché, gli esperti del Network fanno notare come il potenziale tecnico-economico dell’eolico a terra nel nostro Paese sia più che sufficiente per il riequilibrio stagionale della fonte solare, “che sarà prevedibilmente la fonte dominante in Italia”. E le stime che sostengono il contrario? “Si basano su stime obsolete perché non considerano i progressi avvenuti negli ultimi due decenni: a cominciare dalle turbine a bassa potenza specifica, adatte ai regimi di vento medi, ovvero le condizioni più diffuse in Italia”.

    Energia

    Gli ambientalisti bocciano il ddl sul nucleare: “Decisione antistorica e ideologica”

    di Marco Angelillo

    28 Febbraio 2025

    Altro tema di dibattito: solare ed eolico a terra rappresentano un consumo di suolo, che incide sul paesaggio e sottrae terreni all’agricoltura. Il Network 100% rinnovabili replica che non si tratta di “consumo” ma di “uso” e che “le quantità di suolo necessarie per l’eolico e il solare sono contenute, meno dell’1% della superficie nazionale”. Inoltre “gli usi del suolo di eolico e solare sono integrabili rispetto ad altri usi come l’agricoltura e il pascolo senza una apprezzabile diminuzione di queste attività”. E soprattutto: “nelle aree interne e nel Mezzogiorno esistono vasti territori ad utilizzo marginale che da soli sarebbero sovrabbondanti rispetto alle limitate superfici richieste da solare ed eolico”.

    Il rapporto viene pubblicato nell’anniversario dell’incidente nucleare di Fukushima (11 marzo del 2011). E i promotori colgono l’occasione per ribadire il loro no al ritorno delle centrali nucleari in Italia, piccole o grandi che siano. Nel farlo ricordano la cinque questioni che, dal loro punto di vista, rendono obsoleta la fissione nucleare per la produzione di energia. Nel 2022 “il nucleare è sceso al 9,2% della produzione elettrica mondiale” (dopo aver toccato un picco del 17% nei decenni precedenti). I “costi elevati e i tempi di costruzione lunghissimi”. La fissione “genera isotopi altamente radioattivi, con tempi di dimezzamento della radioattività che, per il plutonio, arrivano a 24 mila anni”: quindi scorie e rifiuti nucleari pericolosi, difficili e costosi da gestire. Infine, “l’Italia non dispone né di uranio né di impianti di arricchimento e produzione del combustibile nucleare che è costoso e andrebbe importato, probabilmente dalla Russia che detiene il 38% della capacità globale di conversione dell’uranio e il 46% della capacità di arricchimento”. LEGGI TUTTO

  • in

    Inquinamento atmosferico, solo 7 Paesi al mondo sotto il livello di guardia dell’Oms

    Tira una brutta aria in quasi tutte le città del mondo. Solo nel 17% delle metropoli sono soddisfatte le linee guida dell’Organizzazione mondiale della Sanità per quanto riguarda la concentrazione media annuale di PM2,5, che non dovrebbe superare i 5 microgrammi per metro cubo. Ma in alcune capitali tale limite viene più che oltrepassato: di ben 18 volte a Nuova Delhi, altrettanto a N’Djamena, Ciad, quasi 16 volte a Dacca, in Bangladesh. A livello nazionale sono proprio il Ciad, il Bangladesh, il Pakistan, la Repubblica Democratica del Congo e l’India a guidare la classifica dell’aria più sporca.

    Ma sui 138 Paesi monitorati, sono 126 (il 91,3%) quelli che non rispettano le raccomandazioni dell’Oms. Gli unici sette Paesi i cui livelli di PM2,5 sono sotto il livello di guardia, si trovano tutti ai confini del mondo: Australia, Bahamas, Barbados, Estonia, Grenada, Islanda, e Nuova Zelanda.

    Se si escludono le capitali, il titolo di città con la peggior qualità dell’aria spetta a Byrnihat, in India, con una concentrazione annuale di PM2,5 di 128,2 microcrogrammi per metro cubo. Negli Stati Uniti, i cieli sono più sporchi a Los Angeles, mentre Seattle ha l’aria più pulita tra le grandi aree metropolitane. Tutto questo, e molto altro, è contenuto nel rapporto World Air Quality Report 2024, che si concentra appunto sulla presenza in aria di PM2,5, particelle del diametro pari a 2,5 milionesimi di metro: sono uno dei sei principali inquinanti atmosferici riconosciuti e monitorati a livello globale, per i loro effetti negativi sulla salute umana.

    Le principali fonti antropiche di PM2,5 includono i motori a combustione, la produzione di energia, le attività industriali, la combustione di raccolti e pratiche agricole e la combustione di legna e carbone.

    Il report, alla settima edizione, è considerato uno dei più completi a livello globale, anche se realizzato da una compagnia privata, la svizzera IQAir, specializzata in sistemi di purificazione dell’aria. Il colosso elvetico riesce infatti a elaborare i dati raccolti da oltre 40.000 stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria e sensori a basso costo in tutto il mondo. Si tratta di dispositivi gestiti da istituti di ricerca e agenzie governative, ma anche scuole, università, organizzazioni non profit, aziende private e privati cittadini.

    Il World Air Quality Report 2024 include dati provenienti da a 8.954 città in 138 Paesi, regioni e territori. Rispetto alle edizioni precedenti, la copertura si è ampliata in Africa per includere Ciad, Gibuti e Mozambico. Assenti invece Iran, Afghanistan e Burkina Faso (classificato al 5° posto tra i Paesi più inquinati nel 2023) a causa della mancanza di disponibilità di dati.

    A scavare nei dati, si trova anche una buona notizia: il 17% di città che rispetta il limite annuale di PM2.5 raccomandato dall’Oms, rappresenta un notevole progresso rispetto al 9% del 2023. “Tuttavia”, scrivono gli autori del rapporto, “c’è ancora molto lavoro da fare per proteggere la salute umana, in particolare quella dei bambini, dall’inquinamento atmosferico”.

    E l’Italia? Benino in uno scenario globale, male se confrontata con i Paesi europei analoghi per dimensioni ed economia. Nella classifica delle nazioni con l’aria più sporca, il nostro Paese si colloca all’80esimo posto, staccata da Germania (103), Spagna (107), Francia (110), Regno Unito (113). Roma occupa l’85esima posizione tra le capitali, con 10,1 microgrammi per metro cubo di PM2,5, contro la 100esima di Londra (7,8 microgrammi per metro cubo).
    A livello europeo, l’aria peggiore si respira in Bosnia Erzegovina, Macedonia del Nord e Serbia. L’Italia è undicesima. Tra i capoluoghi regionali, il più inquinato risulta essere Cagliari con una concentrazione annuale di PM2,5 pari a 27,9 microgrammi per metro cubo. E però nella Sardegna meridionale c’è anche la cittadina italiana con l’aria più pulita: si tratta di Portoscuso, che con 3,2 microgrammi per metro cubo di PM2,5 si colloca al tredicesimo posto tra le piccole realtà più virtuose d’Europa. LEGGI TUTTO