Febbraio 2025

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    Cosa accadrebbe se un asteroide colpisse la Terra: conseguenze per clima, piante e plancton

    Un nuovo studio di modellazione climatica, pubblicato sulla rivista Science Advances dai ricercatori dell’IBS Center for Climate Physics (ICCP) della Pusan National University, in Corea del Sud, offre nuovi scenari sulle possibili conseguenze per il clima e la biodiversità se un asteroide di medie dimensioni colpisse il nostro pianeta.

    Il sistema solare è ricco di corpi celesti che orbitano vicino alla Terra, alcuni dei quali presentano un rischio non trascurabile di impatto con il pianeta. Tra questi c’è l’asteroide Bennu, con un diametro di circa 500 m, che, secondo studi recenti, ha una probabilità stimata di 1 su 2700 di entrare in collisione con la Terra nel settembre 2182. Per determinare il potenziale effetto che un evento simile avrebbe sul clima, sulle piante terrestri e sul plancton negli oceani, i ricercatori dell’ICCP hanno utilizzato un modello climatico all’avanguardia, simulando diversi scenari di collisione con un asteroide di medie dimensioni, che causerebbe il rilascio di ingenti quantità di polveri nell’alta atmosfera. Come mostrano i risultati, una concentrazione di polveri compresa tra 100 e 400 milioni di tonnellate porterebbe a drammatici sconvolgimenti del clima, della chimica atmosferica e della fotosintesi globale nei 3-4 anni successivi all’impatto. Nello scenario più intenso, l’oscuramento solare dovuto a queste particelle causerebbe un raffreddamento della superficie globale fino a 4°C, una riduzione delle precipitazioni medie globali del 15% e una diminuzione dell’ozono di circa il 32%. Tuttavia, a livello regionale, questi effetti potrebbero essere molto più marcati.

    “Il brusco impatto invernale creerebbe condizioni climatiche sfavorevoli alla crescita delle piante, portando a una riduzione iniziale del 20-30% della fotosintesi negli ecosistemi terrestri e marini – spiega il dottor Lan Dai, ricercatore dell’ICCP e autore principale dello studio -. Ciò causerebbe probabilmente gravi interruzioni nella sicurezza alimentare globale”.

    Analizzando i dati dei modelli oceanici, gli scienziati hanno scoperto con sorpresa che, diversamente dalle tendenze previste per le piante, il plancton si riprenderebbe dall’impatto con l’asteroide nel giro di 6 mesi, aumentando progressivamente la propria abbondanza fino a livelli inusuali anche in condizioni climatiche normali. Questo comportamento, secondo Axel Timmermann, direttore dell’ICCP e coautore dello studio, sarebbe causato dalle alte concentrazioni di ferro nelle polveri, che favorirebbero la fioritura algale in aree in cui questo nutriente è naturalmente scarso, come l’Oceano Meridionale e il Pacifico tropicale orientale. Il conseguente aumento della produttività marina sarebbe più pronunciato per le alghe ricche di silicati, dette diatomee, che a loro volta stimolerebbero un forte aumento dello zooplancton.

    “L’eccessiva fioritura simulata di fitoplancton e zooplancton – aggiunge il dottor Lan Dai – potrebbe essere una benedizione per la biosfera e contribuire ad alleviare l’insicurezza alimentare emergente legata alla riduzione più duratura della produttività terrestre”.

    Il prossimo obiettivo degli scienziati è quello di studiare il modo in cui gli esseri umani rispondono a questi eventi catastrofici. “In media – sottolineano gli autori – asteroidi di medie dimensioni si scontrano con la Terra ogni 100-200 mila anni. Ciò significa che i nostri primi antenati umani potrebbero aver già sperimentato alcuni di questi eventi che hanno modificato pianeta, con potenziali impatti sull’evoluzione umana e persino sul nostro patrimonio genetico”. LEGGI TUTTO

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    La crisi climatica sta velocizzando il turnover delle specie

    Il turnover temporale delle specie che abitano una determinata area geografica, ossia l’espansione nella popolazione di alcune e la riduzione in quella di altre, è un fenomeno naturale. Tuttavia, il cambiamento climatico e in particolare la variazione nelle temperature, sia in termini di riscaldamento che di raffreddamento, sta velocizzando questo processo. È quanto emerge dai risultati di uno studio pubblicato su Nature e coordinato da Malin Pinsky, professore associato di ecologia e biologia dell’evoluzione presso la University of California di Santa Cruz (Stati Uniti).

    “È come mescolare un mazzo di carte, e il cambiamento di temperatura ora sta mescolando il mazzo sempre più velocemente – commenta il docente – La paura è che alla fine si cominci a perdere qualche carta”. L’importanza di studiare questo fenomeno, spiegano infatti gli autori dello studio, riguarda la possibilità di prevedere quali specie potrebbero subire maggiormente le conseguenze negative di questo cambiamento e poter così provvedere a proteggerle.

    Biodiversità

    L’Australia vuole trasformare un’isola in arca di Noè per salvare le specie autoctone

    di  Giacomo Talignani

    06 Febbraio 2025

    Nel dettaglio, il gruppo di ricerca ha analizzato la velocità di turnover di moltissime specie terrestri, marine e di acqua dolce, sia animali che vegetali, prendendo in considerazione habitat sparsi in tutti i continenti. Le aree più rappresentate nello studio sono il Nord America, il centro-nord dell’Europa, il Giappone, l’Australia, la Nuova Zelanda, il Sudafrica e l’Antartide. Dalle analisi è emerso che fino al 5,1% delle specie terrestri che vivono in zone caratterizzate da una maggiore variazione di temperatura viene rimpiazzato ogni anno. Lo stesso valore è pari al 5,2% per quanto riguarda le specie di acqua dolce e al 3,2% per le specie marine. Nelle aree che tendono ad andare incontro a una variazione di temperatura più moderata nel corso del tempo, per esempio quelle in cui si osserva un riscaldamento pari a circa 0,5 gradi centigradi l’anno, l’1,4% delle specie terrestri, il 2,6% di quelle di acqua dolce e l’1% di quelle marine viene rimpiazzato ogni anno.

    “La temperatura influisce su tutto, dalla velocità del battito cardiaco alla flessibilità e porosità delle membrane cellulari, dalla quantità di cibo che gli animali mangiano alla velocità di crescita delle piante – prosegue Pinsky – La temperatura è per molti versi il metronomo della vita”.

    Biodiversità

    L’anguilla europea sull’orlo dell’estinzione

    di redazione Green&Blue

    22 Gennaio 2025

    Ma, oltre alle variazioni di temperatura, ci sono anche altri fattori che influiscono sulla velocità di turnover delle specie. Uno emerso nel corso dello studio è la variabilità, o eterogeneità, degli habitat in una determinata area. In sostanza, le specie che vivono in zone caratterizzate da habitat molto “omogenei” sono quelle che tendono ad andare incontro a turnover più rapidi in caso di variazioni di temperatura. Si tratta di un fatto intuitivo: vivere in un’area che non offre alternative sufficientemente diversificate in termini di riparo per esempio dal caldo o dal freddo eccessivo significa avere minori possibilità di adattamento ai cambiamenti. In particolare, secondo i risultati della ricerca, in condizioni di variazioni di temperatura comparabili, le specie terrestri che vivono in zone omogenee dal punto di vista paesaggistico mostrano in media una velocità di turnover doppia rispetto a quelle che vivono in ambienti maggiormente diversificati.

    Biodiversità

    Un quarto degli animali d’acqua dolce a rischio estinzione

    di Sandro Iannaccone

    09 Gennaio 2025

    Infine, concludono gli autori, anche gli impatti antropici non necessariamente collegati ai cambiamenti di temperatura, come l’utilizzo delle terre, l’inquinamento e l’introduzione di specie aliene, contribuiscono ad esacerbare il fenomeno dell’accelerazione del turnover, riducendo di fatto l’estensione degli areali delle diverse specie. LEGGI TUTTO

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    Dalle luci Led all’archivio cloud, anche in ufficio si può ridurre l’impatto ambientale risparmiando

    Riunioni una in fila all’altra, mail a non finire, scadenze sempre più stringenti. E così capita spesso che, subissati da incarichi da svolgere, non ci sia il tempo per pensare alla sostenibilità dei nostri uffici. Un grave errore, visto il rilevante impatto che hanno sul pianeta. Secondo Circular Ecology, infatti, considerando otto ore quotidiane di lavoro per cinque giorni alla settimana, un impiegato produce circa 6,6 chili di anidride carbonica al giorno, pari a 33 chili settimanali. Ma la notizia positiva c’è: basta, in realtà, attuare pochi e semplici accorgimenti per rendere l’ambiente lavorativo più green. Ecco allora i nostri consigli.

    Illuminazione: meglio le luci a Led
    È bene anzitutto sfruttare al massimo la luce solare, utilizzando tende leggere e facili da regolare. In carenza di quest’ultima, si deve per forza ricorrere alla luce elettrica: in proposito, è opportuno ricordare che le lampadine a Led (Light emitting diode, diodo a emissione luminosa) consumano il 40% di energia in meno rispetto a quelle fluorescenti e l’80% in meno rispetto a quelle a incandescenza. Costituiscono, quindi, una importante risorsa, anche per risparmiare in bolletta. Oltre a scegliere questo tipo di lampadine, ci sono pure altre strategie per ottimizzare l’impiego energetico. Tra queste, l’installazione di sensori di movimento, dispositivi da collocare sul soffitto o sulla parete in grado di accendere e spegnere le luci in automatico in base rispettivamente alla presenza o all’assenza dell’utente. Un’altra idea sono le luci dimmerabili (dall’inglese to dimm, abbassare), che permettono di regolare l’intensità luminosa a seconda delle necessità.

    Al termine di ogni giornata lavorativa, si dovrebbero anche spegnere i vari dispositivi, come computer, proiettori, stampanti, evitando di lasciarli in stand by, cioè in pausa: una condizione che richiede un basso consumo, che però non è pari a zero. Giorno dopo giorno, i piccoli risparmi si sommeranno, generando una consistente riduzione dell’energia utilizzata.

    Riscaldamento e raffrescamento
    D’inverno è buona norma tenere sotto controllo il riscaldamento, abbassando la temperatura quando l’ufficio è vuoto (per esempio, di notte e nei fine settimana), in modo da ridurre i consumi senza compromettere il comfort. Si può fare questa operazione manualmente a fine giornata oppure si può programmare la diminuzione automatica attraverso le funzionalità presenti nella maggior parte dei termostati. D’estate occorre, invece, ricordarsi di spegnere il raffrescamento ogniqualvolta si lasci la stanza per oltre un quarto d’ora. Una volta rientrati basterà riaccendere l’aria condizionata per ottenere in pochi minuti un apprezzabile refrigerio.

    Uso della carta
    Nonostante l’era digitale, l’uso della carta rimane elevato in molti uffici. Si calcola che un lavoratore medio utilizzi circa 10 mila fogli in un anno. Per far calare questa cifra, è anzitutto indispensabile ridurre le copie cartacee dei documenti destinati all’archivio: molto meglio puntare sul cloud, un servizio che consente di conservare i dati trasferendoli tramite Internet a un sistema di archiviazione esterno gestito da terzi. E se proprio c’è bisogno del nero su bianco, sforzarsi di stampare fronte-retro, di utilizzare entrambi i lati del foglio, di usare carta riciclata quando possibile. Un modo per ridurre l’impatto ambientale, ma anche per risparmiare nelle forniture.

    Pausa caffè e mensa
    Nei momenti di pausa è facile ritrovarsi con colleghi e collaboratori alla macchinetta del caffè. L’importante è che l’espresso possieda la certificazione Fairtrade, che garantisce che il prodotto sia stato realizzato in modo sostenibile, per quanto riguarda sia la coltivazione, sia le condizioni dei lavoratori nei Paesi in via di sviluppo. Meglio, inoltre, abolire le capsule non riciclabili, come quelle realizzate in plastica oppure in alluminio e plastica, destinate a finire inevitabilmente in discarica. E ancora, avvalersi di un servizio di compostaggio dei fondi di caffè. Attenzione poi ai bicchierini monouso: solo negli Stati Uniti ogni anno ne vengono gettati via circa 50 miliardi. In questo caso, la soluzione è sostituirli con bicchieri o tazzine riutilizzabili.

    Dopo la bevanda bollente ed energizzante, c’è l’acqua. Sostituire quella nelle bottigliette di plastica con quella del rubinetto ha molti vantaggi: diminuzione dei rifiuti, fornitura illimitata, risparmio economico. Eventualmente, per rimuovere i composti del cloro migliorando così il sapore dell’acqua, si può applicare un apposito filtro, un apparecchio compatto facile da installare.

    Infine, se in azienda è presente una mensa, è probabile che la quantità di cibo sprecato sia rilevante. Per evitare ciò, si può prendere parte a programmi che garantiscano la donazione degli alimenti, il loro compostaggio o la trasformazione in mangime per animali.

    Viaggi e spostamenti
    Da ultimo, il tragitto casa-lavoro, che contribuisce alle emissioni di carbonio. Per ridurle è utile condividere l’auto con i colleghi, utilizzare i mezzi pubblici, usare la bicicletta quando possibile. Da limitare i viaggi d’affari in aereo, che costituiscono circa il 20% dei viaggi totali. Si prevede che, entro il 2050, questi ultimi rappresenteranno tra il 12 e il 27% delle emissioni globali di gas serra. LEGGI TUTTO

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    Cosa coltivare a febbraio nell’orto

    Durante il mese di febbraio fa ancora molto freddo e nell’orto è difficile prendersi cura di molte piante. Ecco una piccola guida utile proprio per organizzare le attività di coltivazione all’esterno o attraverso un semenzaio o serra a tunnel.

    Che cosa piantare a febbraio?
    Febbraio è tra i mesi più freddi dell’anno in cui pioggia, gelo, neve e temperature rigide mettono a dura prova le piante. Proprio per questo, dedicarsi all’attività dell’orto durante questo periodo dell’anno non è così scontato, giacché in determinate aree dell’Italia è proibitivo. Infatti, il terreno potrebbe essere ghiacciato e non offrire un posto ideale per la coltivazione di frutta e verdura.

    Quindi, in generale è suggerito prediligere la coltivazione di prodotti attraverso la coltura protetta (per esempio, la serra, il semenzaio o il tunnel), specie se si vive in aree dove il clima non è dei migliori per questa tipologia di attività all’aperto. In aree più miti, dove la temperatura non scende sotto lo zero e il terreno non ghiaccia, si possono coltivare alcune piante bulbose sfruttando le colture protette:

    Carote
    Aglio
    Cipolle
    Scalogno
    Porro
    Carciofi
    Fave
    Piselli

    Queste piante hanno il vantaggio di crescere sotto la superficie del terreno e, quindi, non devono temere la presenza di gelate. Tante altre piante si possono piantare a partire da metà febbraio, facendo attenzione a proteggere il terreno almeno fino al mese di marzo, ricorrendo ai teli di TNT oppure alle piccole serre a tunnel.
    La semina sotto tunnel
    Tra le colture protette che si possono adottare tra gennaio e marzo vi è quella con tunnel. Queste strutture sono realizzate come protezioni di materiale plastico trasparente e aiuta in diversi modi le piante dell’orto. Il terreno è poi a sua volta protetto con dei teli in polietilene, forati proprio nel punto in cui è stata sistemata la piantina. La semina sotto tunnel è perfetta per quelle aree di territorio in cui le temperature non sono eccessivamente rigide. Le piantine che si possono sistemare nell’orto in questo periodo dell’anno sono diverse: per esempio, è possibile fare le semine sotto tunnel di valeriana, rucola, ravanelli, cicoria e lattuga. Per altre piante che hanno maggiori necessità, cioè che hanno bisogno di temperature più alte, si può passare al semenzaio riscaldato.
    La semina in semenzaio al naturale o riscaldato
    Il semenzaio, che si può sistemare in piena terra o in mobili, si presenta come un vivaio dove è possibile far sviluppare al sicuro i semi delle piante dell’orto. In questo modo, si ha la certezza di non andare incontro a problemi di freddo o gelo. Questo genere di semenzaio, in alcuni casi, può essere anche riscaldato per offrire maggiori benefici durante la crescita delle piccole piantine degli ortaggi. La germinazione dei semi che si può attuare a febbraio non è così ampia, ma si può iniziare ad interessarsi di ciò che raccoglierà con la bella stagione. Qui di seguito ecco le piante da sistemare nel semenzaio riscaldato:

    Melanzane
    Peperoncini e peperoni
    Pomodori
    Zucchine
    Cetrioli
    Erba cipollina
    Spinaci

    Ricordiamo che è possibile occuparsi anche di altre piante con un semplice semenzaio non scaldato: in tal caso, i semi potranno svilupparsi facendo affidamento solo sul “caldo” trasmesso dalla luce solare e dal terreno come nel caso delle erbe aromatiche (per esempio, il timo, il basilico e prezzemolo).

    Per eseguire questa tipologia di coltivazione è necessario porre i semi in terriccio soffice, sciolto e sterile. Una volta che i semi saranno diventati delle piantine, con il conseguente sviluppo di 4-6 foglie, si può passare alla fase successiva: il trapianto in terra oppure in serra.

    L’orto in balcone a febbraio
    Molte persone non dispongono di grandi appezzamenti di terreno per occuparsi della coltivazione degli ortaggi, così decidono di dedicarsi in balcone al proprio orto. In questo caso, è importante selezionare accuratamente i contenitori più adeguati: per esempio, dei vasi da 30 cm circa dotati di fori per l’eliminazione dei ristagni d’acqua sono adeguati alla coltivazione di verdura. All’interno dei contenitori selezionati si può aggiungere sul fondo del materiale per evitare il ristagno idrico, come dell’argilla espansa, e poi del terriccio universale. Una volta sistemati i semi degli ortaggi che si desiderano, distanziando correttamente gli stessi, si aggiunge del tessuto non tessuto per creare un ambiente favorevole quando temperature notturne si fanno più fredde. Le piantine potranno germinare correttamente e poi saranno pronte più avanti per la crescita e la raccolta dal balcone di casa.

    La preparazione del terreno dell’orto a febbraio
    Nel caso in cui non si abbia bisogno di un semenzaio, ma si può passare all’azione già a partire dalla fine del mese di febbraio, è necessario preparare al meglio il terreno per la semina. È importante avere a disposizione un terreno asciutto: nel caso in cui non lo fosse, è necessario attendere la completa asciugatura, per evitare di avere un terriccio non adeguato. A questo punto, si può passare alla fase della concimazione: ne esistono di tipo artificiale, ma anche naturale per rendere fertile il terreno che accoglierà gli ortaggi. Se si predilige quello naturale, si potrà sfruttare il letame maturo o il compost decomposto, effettuando un’aratura di circa 40 cm. A quel punto, si potrà proprio iniziare a pensare alla fase successiva cioè a piantare gli ortaggi prescelti, come i bulbi citati qui sopra.

    Altre attività da organizzare per la ripresa dell’orto
    Se si è costretti al riposo durante i mesi più freddi dell’anno, si può pensare anche ad altre attività da organizzare per la ripresa completa dell’orto. Ad esempio, il mese di febbraio è il momento giusto per pianificare l’organizzazione dell’orto: la suddivisione delle aiuole per la messa a dimora delle piantine può richiedere del tempo. Se si ha già in mente quali saranno gli ortaggi da coltivare, si può ideare su carta la suddivisione delle zolle di terra e poi agire successivamente per la coltivazione vera e propria.

    Al tempo stesso, è importante sistemare i canali di scolo: se il terreno non è ghiacciato si può effettuare il lavoro necessario per sistemare i canali di recupero dell’acqua piovana, così da preparare il tutto per la ripresa dell’orto.

    Un altro mestiere da svolgere durante i mesi più freddi dell’anno riguarda la manutenzione degli attrezzi: sono tanti gli strumenti che si utilizzano per l’orto e questo momento è perfetto per fare una cernita di quelli che si possono sfruttare e quelli che hanno esaurito la loro vita. Anche sugli attrezzi con motore, come per esempio la motozappa, si possono eseguire dei controlli, sostituendo i vecchi filtri e le candele e controllare il livello dell’olio. LEGGI TUTTO

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    Zafferano, le accortezze per far crescere la pianta della ricercata spezia

    Col nome volgare di zafferano siamo soliti riferirci in modo particolare alla specie sativus del crocus, un genere di pianta erbacea che appartiene alla famiglia delle iridacee. Secondo alcuni studiosi, le origini dello zafferano sarebbero da ricercare tra l’Europa orientale, l’Asia Minore e l’Iran. Altri indicano invece come più probabile l’area compresa tra la Grecia, il Libano e la Giordania. La pianta erbacea è dotata di un bulbo-tubero, dal quale si sviluppa il tipico ciuffo di foglie di colore verde intenso, nonché i noti fiori di colore viola chiaro e gli stimmi da cui si ricava la pregiata spezia. L’altro nome con cui è noto il caratteristico bulbo-tubero dello zafferano è cormo, il quale è caratterizzato dalla sterilità. Lo zafferano non è assolutamente velenoso: è invece la specie colchicum autumnale, dall’aspetto molto simile al crocus, ad esserlo. In questo fiore si trova la colchicina, la cui tossicità può causare in poco tempo la morte di una persona.

    L’esposizione ideale per la pianta
    Per la coltivazione del crocus sativus dobbiamo preferire l’esposizione in pieno sole, poiché predilige il soleggiamento diretto. La pianta tollera comunque anche una posizione in penombra, sebbene in questo caso la fioritura sia decisamente meno abbondante. Lo zafferano vegeta senza problemi nei climi che tendono ad essere caldi e siccitosi, ma si adatta a crescere anche in territori con piovosità significativa. Sebbene la pianta possa sopportare le temperature invernali al di sotto degli 0 gradi, le gelate e le nevicate possono comunque perturbarne la fioritura. Al contrario, quando il crocus entra in riposo vegetativo, nel corso dell’estate, il caldo intenso non rappresenta un problema per il bulbo-tubero. Le principali aree italiane dove si coltiva lo zafferano si concentrano soprattutto tra la Toscana, l’Umbria, le Marche, l’Abruzzo, la Sicilia, la Sardegna, nonché la Calabria e la Basilicata.

    Qual è il terreno più indicato?
    Sebbene lo zafferano non sia particolarmente esigente per quanto riguarda il terriccio, ricordiamoci che questa pianta preferisce i terreni con un buon livello di drenaggio. Il crocus sativus non sopporta infatti i ristagni idrici, soprattutto a livello radicale: l’ideale sarebbe quindi preferire un terreno un po’ in pendenza, che favorisca il deflusso dell’acqua. Accertiamoci che il substrato non sia impermeabile e pesante e, all’occorrenza, aggiungiamo della sabbia per renderlo più drenante e leggero.

    La coltivazione del crocus sativus: in pieno campo o in vaso?
    Possiamo dedicarci alla coltivazione dello zafferano tanto in pieno campo quanto in vaso. Nel primo caso, dobbiamo smuovere la terra fino ad una profondità di circa 40 centimetri, aggiungendo del letame maturo per arricchirla. I bulbi-tuberi possono essere messi a dimora nel corso del periodo estivo, quando la pianta è in riposo vegetativo, sistemandoli a circa 15 centimetri di profondità. Possiamo piantumarli anche in file che siano distanziate almeno 40 centimetri tra di loro. Per una coltivazione ottimale dello zafferano in vaso sistemiamo i bulbi in un contenitore che abbia un diametro di 40 (o più) centimetri, interrandoli alla stessa profondità indicata sopra. Ricordiamoci che il crocus sativus ama crescere in terreni drenanti: se necessario, sul fondo del vaso sistemiamo dell’argilla espansa o del ghiaia, in modo tale da evitare i ristagni idrici.

    L’annaffiatura e la concimazione dello zafferano
    In tante aree del nostro paese, il crocus sativus non ha bisogno di essere annaffiato in modo regolare: la pianta si accontenta infatti delle precipitazioni, poiché assicurano una quantità sufficiente di acqua. Solo nel periodo che segue la sua messa a dimora dobbiamo accertarci che il terreno sia costantemente umido. Se durante l’estate ci fossero dei periodi siccitosi molto prolungati, potremmo innaffiare almeno la parte basale dello zafferano. Nel caso della coltivazione in vaso, dobbiamo evitare che il terriccio diventi completamente arido, provvedendo ad annaffiare la pianta al bisogno. Infine, per la concimazione del crocus sativus possiamo sfruttare del letame o del concime biologico, avendo l’accortezza di aggiungerlo durante la fase della preparazione del terreno prima della messa a dimora dei bulbi-tuberi.

    Il ciclo di vita della pianta
    Lo zafferano produce i primi germogli verso la fine dell’estate, cui fa seguito la fioritura nel periodo compreso tra ottobre e la prima metà di novembre e, quindi, lo sviluppo degli stigmi da cui si ricava la pregiata spezia. Al termine di questa fase, intorno al bulbo madre appaiono delle radici e una serie di piccoli bulbi che si sviluppano a cavallo tra l’inverno e la primavera. Attorno al mese di luglio, il crocus sativus perde il fogliame e le radici: la pianta ci indica così quando è il momento ideale per togliere i nuovi bulbi di zafferano e seminarli.

    I tipici parassiti
    Lo zafferano non tollera il ristagno idrico, che spesso causa l’attacco da parte del Fusarium oxysporum. Nei bulbi che sono colpiti da questo fungo la crescita dei fiori è molto stentata e, quando la fioritura avviene, non dura per molto tempo. Per evitare il rischio che il Fusarium possa prendere di mira altri esemplari di crocus sativus, dobbiamo eliminare immediatamente i bulbi-tuberi colpiti dal fungo. Tra gli altri parassiti che possono attaccare lo zafferano, ricordiamo il fungo rhizoctonia violacea, che causa un’insolita colorazione biancastra delle foglie. Il macrophomina phaseolina provoca invece uno svuotamento dei bulbi-tuberi, che nel loro cuore diventano neri. Se notiamo un’insolita secchezza e macchie di muffa sui cormi, è possibile che il crocus sativus sia stato colpito dal Penicillium corymbiferum. Nei periodi dell’anno contraddistinti da temperature elevate e da molte precipitazioni, lo zafferano può essere colpito dal phoma crocophila, che causa sintomi simili al macrophomina phaseolina. Oltre ad eliminare i bulbi colpiti da queste malattie fungine, all’occorrenza, potremmo prevedere un trattamento con fungicida ad hoc. LEGGI TUTTO

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    Una nuova varietà di riso abbatte le emissioni di metano

    Ci sono voluti diverse analisi ed esperimenti in laboratorio, quindi tre anni di test sul campo, prima che il team di Anna Schnurer della Swedish University of Agricultural Science potesse presentare il proprio riso “eco-friendly”: una nuova varietà (ma a ben vedere molto di più) per ridurre le emissioni di metano associate all’alimento più consumato al mondo. Le presentazioni ufficiali sono avvenute dalle pagine di “Molecular Plant”. Il riso infatti, insieme alle mucche, è tra i principali responsabili delle emissioni di metano derivanti dall’agricoltura (e lungo la filiera di produzione di altre forme di inquinamento).

    Secondo alcune stime della Fao, alle risaie si deve almeno l’8% di tutto il metano prodotto dalle attività umane. Non tutte le varietà, non tutti i campi di riso contribuiscono allo stesso modo: il metano emesso da questo cereale infatti è il prodotto di diversi fattori, scrivono gli autori, come sostanze secrete dalle radici del riso, caratteristiche del terreno e, soprattutto, abbondanza di microrganismi che producono o consumano metano lì nelle risaie. Il lavoro di Schnurer e colleghi cinesi è stato quello di capire cosa, tra tutto questo, svolgesse un ruolo di primo piano nella produzione di metano. Quanto hanno scoperto si deve in buona parte allo studio dettagliato delle sostanze prodotte dalle radici e presenti nel suolo di una varietà di riso ad emissioni molto ridotte di metano (nota come Susiba2). Nel corso del loro lavoro, come spiegano, gli scienziati hanno messo a confronto le sostanze prodotte da questa varietà con una più tradizionale, ad emissioni più elevate, identificando due sostanze ritenute cruciali per la produzione di metano: il fumarato e l’etanolo. Il primo, continuano gli autori, favorisce l’accumulo di metano, il secondo lo ostacola, ma hanno fatto di più: hanno cercato di capire se fosse possibile alterare l’azione di queste sostanze ricorrendo ad altre. E la risposta è che sì, si può: i ricercatori citano una sostanza, l’oxantel, che riduce le emissioni di metano perché ostacola il metabolismo del fumarato, che indirettamente alimenta i microrganismi che producono il metano nel suolo.

    A questo punto era necessario capire se le osservazioni condotte in laboratorio potessero essere applicate nel mondo reale. Per farlo gli esperti hanno creato una varietà – un ibrido speciale – con le caratteristiche desiderate, ovvero che potesse ridurre la produzione di metano garantendo al tempo stesso una buona produttività, e lo hanno testato prima in laboratorio e poi con esperimenti sul campo. Oltre a creare una varietà con livelli contenuti di fumarato ed elevati di etanolo, i ricercatori hanno provato al tempo stesso ad utilizzare anche l’oxantel o l’etanolo (che ostacola la sopravvivenza di microrganismi che producono metano) per modulare la produzione del gas su diverse varietà di riso. In tutti i casi, raccontano, hanno osservato sul campo una notevole riduzione delle emissioni di metano, variabile dal 40% al 70%. Il messaggio è chiaro, concludono gli autori: bisogna puntare sullo sviluppo di varietà a basse emissioni o trovare nuove strategie da usare che possano ridurre, in sicurezza, le emissioni, tanto più in vista dell’aumento della popolazione e dei conseguenti consumi di riso. LEGGI TUTTO

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    Il tasso e il suo ritratto di Banksy: la foto più votata del Wildlife Photographer of the Year

    Come allo specchio, o quasi. C’è un tasso che sembra guardare verso un murale del celebre street artist Banksy, che ritrae singolarmente proprio un esemplare della sua stessa specie. Una coincidenza fortuita che vale a Ian Wood il riconoscimento “People’s Choice Award” del Wildlife Photographer of the Year, legato a uno dei più importanti concorsi internazionali di fotografia naturalistica, promosso dal Museo di Storia Naturale di Londra.

    Lo scatto, realizzato nella città di St Leonards-on-Sea, nel distretto di Hastings nell’East Sussex, in Inghilterra, è accompagnato dal titolo “No access”: è risultato il più votato dal pubblico tra le 25 immagini finaliste di un’edizione che ha raccolto oltre 76 mila preferenze, provenienti da tutto il mondo.Una fotografia eccezionale, come da definizione del direttore del museo, Douglas Gurr, in grado di offrire “uno scorcio unico dell’interazione della natura con il mondo umano, sottolineando l’importanza di comprendere la fauna selvatica urbana”.

    Di più: si tratta di “un efficace promemoria – prosegue Gurr – della capacità di ispirarci e affascinarci che hanno la natura e la fauna selvatica locali, spesso appena fuori dalle nostre case”. L’autore dello scatto ha rivelato che “l’ondata di amore per i tassi che si è diffusa da quando la mia foto è stata nominata per il People’s Choice Award è stata meravigliosamente travolgente”.

    E chissà che non abbia contribuito anche la riconoscibilità del tratto di Bansky, celebre artista e writer britannico, considerato uno dei maggiori esponenti della street art, in cui stencil, ormai diffusi sulle strade e sui muri e ponti delle città di tutto il mondo, affrontano con ironia i temi della contemporaneità: il suo tasso tiene, con le zampe, due pistole, elemento ricorrente nella produzione di Bansky, a pochi centimetri un cartello intima a lasciare sempre libero il passaggio. Un’opera già accompagnata da ampio merchandising e che vive oggi una nuova inattesa popolarità, complice lo sguardo incuriosito di un tasso in carne e ossa, mammifero notturno invero particolarmente elusivo.

    Tra gli altri scatti finalisti, istantanee che catturano una doppia nube lenticolare al di sopra un vulcano cileno, il volo di un barbagianni all’esterno di un granaio canadese, un ermellino che percorre un paesaggio innevato in Belgio.

    Ecco, nel dettaglio, gli altri finalisti del concorso, cui sono state attribuite menzioni speciali.

    1. Earth and Sky di Francisco Negroni

    2. Edge of Night di Jess Findlay

    3. Whiteout by Michel d’Oultremont

    4. Spiked by David Northall LEGGI TUTTO

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    L’app creata da due 17enni che trasforma gli avanzi da buttare in piatti da degustare

    Quante volte ci sarà capitato di aprire il frigo e trovare ingredienti destinati a finire nella spazzatura? Tante. Troppe. In Italia ogni anno vengono buttati nel secchio della spazzatura 14,1 miliardi di euro di cibo. Oltre 6 etti di cibo a testa, ogni settimana. Tra i rifiuti finisce soprattutto la frutta (24,3 grammi settimanali); il pane (21,2 grammi); le verdure (20,5 grammi), l’insalata (19,4). Non solo, ogni italiano spreca ogni anno 372 euro di cibo che, dalla tavola o dal frigorifero, passa direttamente nella pattumiera. Secondo i dati di Eurostat, l’Italia è il Paese con il maggiore spreco alimentare domestico in Europa, seconda solo al Portogallo. Migliorare la consapevolezza dei consumatori sul tema e iniziare a modificare il proprio stile di vita è il primo gesto da compiere per attivare processi virtuosi all’interno delle nostre case. Per restituire valore al cibo ed evitare lo spreco domestico, Matteo Morvillo e Amedeo Valestra, diciassettenni di Massa Lubrense, vicino Sorrento, hanno sviluppato un’app dal nome Cucinalo che sfrutta l’intelligenza artificiale per ridurre gli sprechi alimentari domestici.

    Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare

    Dai biscotti all’olio, quando buttare il cibo e quando no

    di  Paola Arosio

    04 Febbraio 2025

    Nello specifico si tratta di un’applicazione che fotografa gli ingredienti in frigorifero e nella credenza e suggerisce, nel giro di qualche secondo, il piatto giusto. L’applicazione è in grado di personalizzare le ricette, partendo da una semplice descrizione, inoltre è possibile chattare con l’intelligenza artificiale per chiedere supporto e consigli, proprio come i chatbot delle app fintech (delle banche). Un aiuto utile per chi ha bisogno di un consiglio in cucina perché non ha molta esperienza con i fornelli o semplicemente non ha tempo e fantasia, ma vuole evitare che i propri avanzi finiscano nella pattumiera. L’app propone anche un ampio catalogo di ‘ricette della nonna’ per ogni occasione, suddivise in categorie come colazioni, primi piatti, secondi, contorni, dolci, aperitivi e drink. Non solo, suggerisce come impiattare, perché diciamolo – anche – in cucina l’occhio vuole la sua parte.

    Trasformare gli avanzi in piatti deliziosi con l’AI
    Ecco come funziona. L’utente può caricare una lista di ingredienti o più semplicemente scattare una foto, attivando la funzione ‘ricette svuota frigo’, il sistema di intelligenza artificiale trasformerà gli ingredienti avanzati in piatti, generando ricette personalizzate che valorizzano la materia prima esistente, tenendo conto di esigenze particolari, come allergie, intolleranze o abitudini alimentari. Scaricabile su tutti gli stores gratuitamente, l’app Cucinalo ti guida passo dopo passo per creare ricette facili e gustose, e soprattutto utilizzando ciò che hai già in casa. La fase di preparazione è supportata con: quantità, dosaggi, modalità di cottura e persino consigli su come impiattare. C’è anche la possibilità di creare un proprio ricettario, di salvare le ricette che sono piaciute, ma anche tutte le opzioni ideate per vegani, vegetariani e le singole intolleranze. Altre funzioni di cui dispone l’utente è il timer integrato per cucinare senza errori di cottura o di dosaggio, e include anche tutte le ricette generate con l’AI. L’app è un vero e proprio Chef virtuale per ricevere consigli, sostituzioni di ingredienti e supporto, il tutto in tempo reale.

    Giornata di prevenzione dello spreco alimentare

    Spreco alimentare, gli italiani gettano via 4,5 milioni di tonnellate di cibo all’anno

    di  Fiammetta Cupellaro

    04 Febbraio 2025

    La sfida: cambiare le abitudini alimentari delle persone in chiave sostenibile
    A un mese dal suo ingresso negli store, l’app Cucinalo ha già raccolto numeri promettenti: oltre tremilacinquecento utenti e più di trecento chili di cibo utilizzati grazie alle ricette suggerite dall’AI. Matteo Morvillo e Amedeo Valestra si sono autofinanziati, unendo le reciproche passioni per la cucina e la tecnologia, hanno creduto fin dall’inizio nel valore della loro idea, tanto che oggi stanno già pensando a come migliorare la messa a terra del progetto per renderlo più performante. Tra le novità in vista sull’app gratuita: trascrivere i ricettari cartacei, consentendo agli utenti di conservare e condividere le ricette della tradizione – che si tramandano da madre in figlio – in formato digitale. L’obiettivo dei due studenti dell’istituto polispecialistico San Paolo di Sorrento è di riuscire a rimodellare le abitudini alimentari delle persone in chiave sostenibile. Lo spreco di alimenti ci mette di fronte a molteplici problematiche di natura ambientale, economica, sociale, nonché etica. Tutto ciò rende la questione una delle più grandi, complesse e urgenti sfide del nostro tempo. LEGGI TUTTO