7 Febbraio 2025

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    Agrifoglio, come prendersi cura della pianta dalle bacche rosse

    L’agrifoglio è una pianta sempreverde che viene utilizzata spesso durante le festività. Questa pianta con portamento arbustivo appartiene alla famiglia delle aquifolaceae ed è una specie che troviamo comunemente diffusa nel nostro paese. È una pianta originaria anche di altre zone in Europa, nord Africa ed Asia, dove cresce ugualmente spontaneo. Si presenta con una corteccia liscia grigia, foglie di colore verde intenso lucido, caratterizzate da spine lungo tutti i margini. I fiori di questo piccolo albero di agrifoglio si presentano riuniti e con quattro petali. Nel caso degli esemplari femminili ci sono fiori di colore bianco-rosa, mentre quelli maschili assumono una colorazione verde. Proprio grazie a queste caratteristiche dell’agrifoglio, è possibile capire se la pianta è femmina o maschio.

    Questa pianta sempreverde è a crescita lenta e, solitamente, non supera i 10 metri di altezza, anche se sono stati trovati degli esemplari alti 24 metri. Per una crescita ottimale di questa pianta è necessario prediligere una corretta esposizione: l’agrifoglio preferisce aree luminose o in penombra. Proprio per questo, si può sistemare in giardino anche all’ombra di altri alberi più grandi. Le diverse specie di agrifoglio resistono alle temperature rigide invernali: infatti, è possibile tenere la pianta in giardino in un buono stato fino a -15°C.

    Le differenze tra l’agrifoglio e il pungitopo
    Molto spesso è possibile confondere l’agrifoglio con il pungitopo. In realtà, però, vi sono delle differenze tra l’agrifoglio e il pungitopo. In pratica, è necessario osservare attentamente le foglie. Nel caso dell’agrifoglio sono presenti foglie lucenti di forma ovale con spine, mentre con il pungitopo si hanno foglie a freccia, rigide e dalla forma insolita. Un’altra differenza è visibile nelle bacche: entrambe sono di colore rosso, ma nell’agrifoglio sono presenti 4 semi, mentre nel pungitopo ce ne sono solo 2. Inoltre, le bacche dell’agrifoglio sono a grappoli, mentre quelle del pungitopo, oltre ad essere più piccole, sono distribuite lungo il fusto in maniera uniforme.

    Le bacche rosse
    In seguito alla fioritura, che avviene nei mesi di maggio-giugno, compaiono nelle piante femmine le bacche rosse. Questi piccoli frutti sono contraddistinti da una superficie liscia e lucida e sono molto decorativi. Si tratta di frutti non edibili, bensì decorativi.

    Qual è il terreno migliore per la pianta?
    Questa pianta non ha molte esigenze: è importante, però, non selezionare un terreno eccessivamente ricco di calcare e argilloso. Nel caso in cui il terreno apparisse eccessivamente compatto è possibile miscelarlo con della sabbia oppure con dell’humus di fogliame, così da renderlo più morbido e ideale per accogliere l’agrifoglio. Un terreno leggermente acido, drenante e fertile sarà perfetto.

    La coltivazione e la cura dell’agrifoglio in vaso
    Oltre a sistemare questa pianta in giardino, è possibile prendersi cura dell’agrifoglio in vaso. Dopo aver selezionato il vaso delle dimensioni migliori, sarà necessario sistemare sul fondo dell’argilla espansa: in questa maniera, si ottiene un ottimo drenaggio e si evita il pericolo di ristagno idrico. Se si decide di coltivare l’agrifoglio in vaso è necessario avere maggiore attenzione. Per esempio, con il sopraggiungere della stagione invernale è fondamentale proteggere la pianta in vaso. Nelle aree in cui le temperature scendono al di sotto dello zero è meglio spostare la pianta in una zona riparata, così da non compromettere la pianta. La migliore esposizione per una pianta coltivata in vaso è all’ombra o, comunque, al sole solo durante le prime ore del mattino, poiché l’agrifoglio gradisce aree fresche.

    Le annaffiature della pianta
    Se l’agrifoglio è coltivato in giardino, è necessario occuparsi delle annaffiature in modo regolare, ma senza eccedere; si potrà aumentare la quantità dell’acqua con il sopraggiungere del periodo caldo. Per gli esemplari coltivati in vaso è di fondamentale importanza evitare i ristagni idrici: il consiglio è di usare la mano per capire se il terreno è asciutto e necessita di acqua.

    La concimazione
    La concimazione dell’agrifoglio in piena terra non è necessaria, ma può essere utile per favorire lo sviluppo di altre foglie. Per le piante coltivate in vaso, invece, si può sfruttare un fertilizzante liquido da dare insieme all’acqua durante tutto l’anno.

    La talea del sempreverde
    È possibile ottenere la propagazione della stessa effettuando una talea. Durante l’estata si può prelevare un ramo legnoso dell’agrifoglio e farlo radicare in acqua oppure in un mix di sabbia e torba. In questo modo, una volta sviluppate le radici, si può sistemare la pianta nel terriccio ideale per la sua crescita.

    Il rinvaso e la potatura
    Il rinvaso dell’agrifoglio va fatto tra i mesi di marzo-aprile oppure in autunno, quando il clima è ancora mite. In generale, si procede con il rinvaso ogni 2-3 anni, così da offrire il giusto spazio necessario per la crescita della pianta. La potatura dell’agrifoglio non è necessaria, poiché si tratta di una specie che cresce lentamente. L’unico momento in cui si può intervenire con la potatura è nel caso in cui si volesse direzionare la crescita dell’agrifoglio o conferirgli una forma particolare. In tal caso, è meglio procedere con il taglio dei rami solo dopo l’estate.

    Le malattie e i parassiti
    È abbastanza difficile trovare una pianta di agrifoglio malata, ma è importante tenere a mente che delle scorrette cure di questa pianta possono far sorgere diversi problemi. Ad esempio, l’agrifoglio può incorrere nella comparsa di cocciniglia e di malattie fungine. Il marciume radicale, invece, può sorgere quando si effettuano troppe irrigazioni; al contrario, con troppo poca acqua, le foglie potrebbero iniziare a cadere. LEGGI TUTTO

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    Così gli ombrelli rotti possono avere una seconda vita

    Secondo la Global Umbrella Survey, una persona possiede in media almeno due ombrelli in un determinato momento, numero che aumenta (oltre tre) nelle zone più colpite dalle piogge, e può perderne fino a 64 nel corso della vita. Si calcola, inoltre, che annualmente nel mondo ne finiscano nelle discariche oltre 1,1 miliardi, il che equivale a materiale sufficiente per costruire 25 Tour Eiffel.

    Altre analisi si sono concentrate sull’effettivo impiego del dispositivo, partendo dal fatto che, in base alle statistiche sulle precipitazioni nelle città europee, i giorni di pioggia in un anno risultano in media 104 (minimo 43, massimo 199). Utilizzando i dati del Main Place of Work and Commuting Time del 2020, si evince poi che il tempo medio minimo di spostamento di un lavoratore nei centri urbani è di 1,5 ore al giorno. L’uso medio previsto si può, quindi, calcolare moltiplicando 104 giorni per 1,5 ore, ottenendo così 156 ore annue.
    Dal telaio al puntale
    Vari gli elementi di cui è composto un ombrello. C’è anzitutto il telaio, che conferisce la caratteristica forma a cupola ed è solitamente formato da pannelli: sei per i modelli pieghevoli e otto per quelli standard. C’è poi l’asta, di solito cava, sulla quale poggiano le altre componenti. E ancora, ci sono le stecche, chiamate anche nervature o centine, che costituiscono la struttura dell’oggetto, correndo dalla cima al bordo; il puntale, che può assumere varie forme (piatto, a punta, a cono); il manico, curvo oppure dritto.
    Elevato impatto ambientale
    A sottolineare gli esiti negativi per l’ambiente della produzione di ombrelli è un report realizzato da un gruppo di ricercatori dell’Università Aalto, in Finlandia. “Gli effetti sfavorevoli sono correlati a uso di risorse, emissione di gas serra, impiego di materiali potenzialmente tossici”, si legge nel documento. “Cause dell’elevato impatto sono soprattutto i granulati di polipropilene e i lingotti di alluminio”.

    Di fronte a ciò gli studiosi propongono di intervenire limitando l’impiego di polipropilene nel processo produttivo. “La prima alternativa potrebbe essere il legno”, sostengono. “La seconda il bambù, una risorsa rinnovabile a crescita rapida, che ha la capacità di assorbire efficacemente l’anidride carbonica e che vanta ottime qualità fisiche. La sua resistenza può, infatti, essere paragonata a quella dell’acciaio”. Un altro fattore importante è impiegare materiali riciclati per le parti in tessuto, come poliestere riciclato o poliammide riciclata.
    Riparare con fili e colla
    Nel frattempo, i consumatori possono fare molto a favore della sostenibilità. “Un ombrello ha di solito vita breve”, sottolineano gli esperti. “Basta, per esempio, una forte raffica di vento perché si capovolga, con conseguente sollecitazione delle giunture e rottura di alcune componenti”.

    Prima di buttarlo, è sempre bene prendere in considerazione l’idea di ripararlo, anche se non è facile. Quando, per esempio, il tessuto del telaio è strappato o rotto, è possibile cucirlo con un filo dello stesso colore. Si può, invece, utilizzare un pezzo di filo metallico per legare i pezzi dislocati di una stecca rotta, rimettendola al suo posto. Quando è poi il manico a essersi staccato, basta mettere un po’ di supercolla nel foro e lasciarla asciugare durante la notte per riposizionarlo.
    Riciclare con creatività
    Nel caso in cui la riparazione non sia fattibile, si può puntare a riutilizzare l’ombrello donandogli una seconda vita. Alcune idee? Il telaio può essere trasformato in un paralume colorato per rallegrare un corridoio, una mansarda, una taverna. Le coperture trasparenti in plastica e le stecche sono, invece, ideali per coprire e proteggere le piante del giardino o dell’orto, in modo da realizzare una sorta di piccola serra. Capovolgendo l’ombrello e appendendolo in veranda o sulla terrazza è poi possibile realizzare un comodo cesto, da riempire magari con dei fiori. Infine, rimuovendo i manici curvi dal resto del dispositivo e attaccandoli a una barra di legno o di plastica si può ottenere un ottimo attaccapanni.

    Chi non avesse la manualità o il tempo sufficiente per realizzare queste creazioni può sempre mandare i propri ombrelli rotti in uno dei numerosi punti di raccolta del marchio R-Coat, presenti in Italia e in Portogallo. Grazie a questa iniziativa, fondata nel 2018 da Anna Masiello, i dispositivi scartati diventano cappelli, giacche, marsupi, elastici per capelli, bijoux realizzati a mano da un team di sarte che lavora in un piccolo atelier nei pressi di Lisbona.

    E se proprio non si riesce né a riparare, né a trasformare, né a inviare l’ombrello guasto, l’opzione migliore è smembrarlo nelle sue varie componenti, che dovranno poi essere conferite nell’immondizia separatamente, tenendo conto dei materiali di cui ciascuna è formata. LEGGI TUTTO

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    Da Ferrara a Pesaro, così cambia la mobilità urbana grazie alle piste ciclabili

    Percorsi ciclopedonali a tre livelli, che collegheranno le mura con il centro città e poi aree sportive e alberi, molti alberi. Siamo a Ferrara dove andare in bici non è solo una scelta etica, ma uno stile di vita collaudato da decenni. Proprio qui, nella terra delle due ruote, sorgerà un nuovo parco urbano di oltre 55 mila metri quadrati con 1500 alberi chiamato “Central Bosc”. Obiettivo: bruciare 142 tonnellate all’anno di anidride carbonica prodotte soprattutto dalle auto. Il segno di quanto molte città in Italia stiano facendo non solo verso la mobilità sostenibile, ma per migliorare la qualità dell’aria dei centri urbani, soffocati da un trasporto pubblico e privato, fonte prima di inquinamento. Come confermano i dati del report redatto da Legambiente “Mal’Aria delle città” appena pubblicati. “Bosco e piste ciclabili serviranno a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. È stato dimostrato che in un’area verde urbana, rispetto a dove c’è cemento, la differenza di temperatura arriva ad essere anche di cinque gradi”, conferma l’amministrazione ferrarese.

    Pedalare fa bene all’aria e alla salute

    Ma Ferrara non è la sola città a puntare per il 2025 sulle due ruote e il verde pubblico. Pesaro ad esempio. Per l’ottavo anno consecutivo la Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta ha confermato la città delle Marche “Comune Ciclabile 2025”: si tratta di un riconoscimento che Fiab attribuisce alle amministrazioni più virtuose in termini di mobilità sostenibile. Non è un caso che il riconoscimento sia andato a Pesaro “Città della Bicicletta” da anni, un Comune che sta investendo molto sulla promozione della mobilità dolce. È la città della Bicipolitana, l’infrastruttura nata inizialmente per collegare i diversi quartieri del centro al mare, ma che negli anni si è trasformata in una rete di collegamenti strategica. Ed è così che la Fiab ha attribuito a Pesaro il punteggio massimo di 5 “bike smiles”.

    Startup

    La piattaforma per bici ricondizionate e dal packaging sostenibile

    di  Gabriella Rocco

    22 Gennaio 2025

    Bike smiles: uno strumento non solo un riconoscimento

    Ma cosa sono i bike smiles? Anche quest’anno è partito il progetto ComuniCiclabili, l’iniziativa promossa dalla Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta con l’obiettivo di valutare l’impegno dei comuni italiani nell’incoraggiare la ciclabilità come modello di mobilità sostenibile. Sì perché se da una parte aumentano di chilometri di piste ciclabili, dall’altra bisogna convincere i cittadini a lasciare a casa l’auto. Per questo la Fiab è a disposizione delle amministrazioni comunali. I bike smiles riconoscono questo legame e i passi avanti fatti insieme. Spiegano alla Fiab: “Ma non si tratta solo di un riconoscimento, ma di uno strumento che offre ai comuni indicazioni concrete per migliorare la qualità della vita dei propri cittadini e promuovere stili di vita sostenibili. Le bandiere gialle non sono semplici simboli, ma segnali tangibili di un cambiamento concreto nelle politiche urbane e nel modo di vivere la città”. Nel 2024 sono stati coinvolti 180 Comuni e, attraverso il progetto, sono stati assegnati dei “bike smile”, delle bandiere gialle che attestano il miglioramento della qualità della vita urbana.

    Mobilità

    La classifica europea delle capitali con i mezzi di trasporto più green, l’Italia fuori dalla top10

    di  Paolo Travisi

    07 Ottobre 2024

    Andare in bici nelle città
    Aosta ad esempio è passata da per il suo impegno nella realizzazione nel 2024 di 15 chilometri di piste ciclabili che uniscono tutti i quartieri della città: con le zone periferiche ricucite al centro. “Erano molti anni che non si viveva un impatto così forte” ha detto il sindaco Gianni Nuti. E poi Ascoli Piceno, che ha ottenuto il terzo bike smile, confermando un forte impegno nella promozione della bicicletta come mezzo di trasporto urbano: ha appena inaugurato un ponte ciclopedonale sul torrente Lama che porta verso i Colli del Tronto. Infine, un’importante novità: Rocca San Giovanni (CH), comune abbracciato dalla Via Verde dei Trabocchi, fa il suo debutto nel programma con il massimo riconoscimento di bike smiles. E poi le grandi città.

    Mobilità

    I giovani si muovono in modo “sostenibile”, ma l’Italia è indietro

    redazione Green&Blue

    23 Settembre 2024

    La sfida al Sud Italia
    “Venti comuni hanno confermato il loro impegno nel migliorare la mobilità sostenibile e nella creazione di città bike-friendly. Tra questi, spiccano città come Firenze, Bologna, Piacenza, Sestri Levante, Merano. A questo proposito Fiab lancia una sfida ai Comuni del Sud, dove la mobilità ciclistica è meno diffusa. L’intenzione della Fiab è di affrontare questo divario: “Bisogna portare avanti un vero e proprio cambiamento culturale, trasformando la mobilità sostenibile in una priorità per tutte le amministrazioni, con un focus speciale sulle infrastrutture ciclabili e sul potenziamento del cicloturismo”. Alessandro Tursi, Presidente della Fiab: “Le amministrazioni del Mezzogiorno hanno una grande opportunità: le infrastrutture ciclabili richiedono investimenti relativamente contenuti rispetto ad altre opere pubbliche e, con l’introduzione delle bici elettriche, anche i dislivelli possono essere facilmente superati. Il turismo in bicicletta sta registrando numeri impressionanti e può rappresentare un volano economico di enorme valore per i territori”. I comuni italiani hanno ancora tempo fino al 15 febbraio per aderire a questa edizione di ComuniCiclabili.

    Inquinamento

    “Mal’aria di città”: migliora, anche se di poco, l’inquinamento. Cosa fare entro il 2030

    di  Giacomo Talignani

    04 Febbraio 2025

    Diritti e salute delle giovani generazioni: Fiab e Unicef insieme
    Secondo il report sul climate change di Unicef, un miliardo di bambini nel mondo vive in paesi ad altissimo rischio e il 99% di tutti i bambini è esposto ad almeno uno dei principali rischi, shock o stress climatici e ambientali. Per questo Unicef ha deciso di stringere una collaborazione con Fiab. Le due associazioni cercheranno insieme di promuovere iniziative per far comprendere alle amministrazioni locali quanto sia necessaria una trasformazione delle nostre città e sui rischi reali legati alla crisi climatica. Obiettivo: trovare strategie per affrontare transizione ecologica, sfruttando l’enorme potenziale offerto della bicicletta, che fa bene all’ambiente e alla salute. Chiara Ricci, direttrice dell’Ufficio Sostenibilità e Climate Change di Unicef Italia: “La crisi climatica è una crisi dei diritti dei bambini e degli adolescenti, più vulnerabili e più colpiti. Proprio loro che sono i meno responsabili delle cause del cambiamento climatico”. LEGGI TUTTO

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    Dai cuccioli di tigre alle scimmie: sequestrati 20mila animali vivi destinati al commercio illegale

    Chiudete gli occhi e visualizzate uno stadio con 20.000 persone. Ora immaginate che per capriccio e desiderio, tutti i presenti siano rinchiusi in gabbie anguste, nascosti in valigie, stipati dietro scompartimenti segreti nei container sulle navi o avvolti nel cellophane senza nemmeno un buco da cui respirare. Ecco, è quello che l’umanità fa agli animali. In meno di un mese, dall’11 novembre 20024 al 6 dicembre, una gigantesca operazione dell’Interpol in tutto il mondo ha scoperto e sequestrato 20mila animali vivi commerciati illegalmente, quasi tutte specie protette o addirittura in via di estinzione. L’Operazione Thunder, così l’hanno chiamata, svela il volto terribile delle più becere azioni umane: si tratta della più grande operazione forestale e faunistica di sempre, un blitz globale che ha scoperto un commercio di fauna e flora inimmaginabile, in costante crescita, veicolato anche dalle vendite su internet e attraverso i social media. I numeri sono impressionanti: oltre alle migliaia di esemplari recuperati sono state arrestate 365 persone nei 138 Paesi dove si è svolta la mega operazione. A livello mondiale sono state anche identificate più di 100 aziende coinvolte nel traffico di specie protette e recuperate oltre 300 armi da fuoco, veicoli e attrezzature per il bracconaggio.

    Sotto il coordinamento dell’Interpol e dell’Organizzazione mondiale delle dogane (OMD) centinaia di agenti, di forestali ed esperti di fauna selvatica hanno effettuato controlli negli aeroporti, nei porti e le dogane di tutto il mondo, ma anche negli allevamenti illegali o lungo le rotte del commercio di specie selvatiche. Sono almeno 12.427 gli uccelli in gabbia, pronti ad essere commerciati, recuperati dalle forze dell’ordine. Tantissime anche le tartarughe: si parla di 5.877 esemplari. E poi rettili (1731) e addirittura 18 grandi felini, 33 primati e 12 pangolini. Quasi tutte le specie erano protette dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES) e si stima fossero in viaggio per essere trafficate illegalmente al fine di soddisfare la domanda sul mercato, per questioni di medicina tradizionale (come quella del sud-est asiatico e della Cina), oppure perchè considerati capricci e beni di lusso, o ancora “articoli da collezione” o animali da tenere in casa o da competizione. In Repubblica Ceca, all’interno di gabbie terribili, l’Interpol ha scoperto diciotto grandi felini tra cui alcuni cuccioli di tigre di pochi mesi. In Iraq hanno trovato mammiferi vari, come gli Oryx, che sono poi stati inviati ai centri di conservazione e riabilitazione. In Tanzania hanno individuato decine e decine di tartarughe vive, avvolte in una sorta di cellophane, pronte ad essere commerciate. In Marocco sono invece state recuperate teche con oltre 50 serpenti vivi, in Mozambico i pangolini. In Australia lo scanner termico ha individuato lucertole dalla lingua blu nascoste nelle valigie. In Cile e in Indonesia sono invece stati salvati diversi primati rinchiusi in minuscole gabbiette. Tra le scoperte più significative rientrano anche 6.500 uccelli canterini vivi rinvenuti in Turchia durante l’ispezione di un veicolo al confine siriano. Nelle valigie di un passeggero arrivato dalla Malesia a Chennai c’erano 5.193 tartarughe ornamentali dalle orecchie rosse.

    Il rapporto

    Non solo tigri: ecco il commercio illegale che uccide la natura

    17 Dicembre 2020

    Ogni animale recuperato è stato indirizzato a centri di conservazione e riabilitazione e, in molti casi, gli esperti hanno prelevato campioni di DNA prima di trasferire i vari esemplari. La raccolta del DNA, spiegano dall’Interpol, è un’azione chiave “poiché aiuta a confermare il tipo di specie e la sua origine o distribuzione, facendo luce su nuove rotte di traffico e tendenze emergenti”. Una di queste tendenze, purtroppo in crescita, è lo sviluppo del commercio via social. Le autorità hanno infatti indagato “anche sulle attività online e hanno scoperto che i sospettati utilizzavano più profili e account collegati su piattaforme di social media e marketplace per espandere la propria portata”. Tra le altre tendenze individuate, spesso per questioni legate al lusso o allo status, c’è il crescente traffico che ha coinvolto l’Europa “di specie provenienti dal Sud America”. Sono infatti stati segnalati moltiplici sequestri “sia di animali vivi sia di parti di specie feline come l’Ocelot (Leopardus pardalis) e il giaguaro Panthera nei paesi europei”. Un altro filone dell’inchiesta riguarda proprio le “parti” di animali o i “derivati”, soprattutto di mammiferi e pesci protetti, ma anche di alberi, piante, artropodi e vari organismi marini. Anche in questo caso i numeri raccontano nel dettaglio la tragedia: si parla di 5.738 “pezzi” di mammiferi di terra, di 6.899 legati agli uccelli, circa seicento agli anfibi e poi oltre 10mila alle piante, 9mila alle specie marine e quasi 50mila agli alberi (inteso come legname), per un valore pari a oltre 200 tonnellate.

    Di queste, 134 tonnellate di legname dirette in Asia via mare sono state fermate in Indonesia, altre 41 in Kenya. In Nigeria sono state individuate 4.472 chili di scaglie di pangolini. Nelle dogane del Perù hanno scoperto 3.700 piante protette arrivate dall’Ecuador. Nelle valigie di un sospettato che si stava spostando tra Mozambico e Thailandia in Qatar hanno trovato otto corni di rinoceronte. Negli Stati Uniti invece c’era “una tonnellata di cetrioli di mare, considerati una prelibatezza ittica, contrabbandati dal Nicaragua”. Impressionante anche il sequestro di 973 kg di pinne di squalo essiccate, in arrivo dal Marocco con destinazione Hong Kong. A bordo di una nave indonesiana i contrabbandieri nascondevano invece centinaia di pelli di pitone reticolato, mentre sia in Australia che nel Regno Unito è stata trovata la bile dell’orso, quella che come le pinne di squalo o il corno di rinoceronte fa parte degli usi della medicina tradizionale asiatica.

    In Italia hanno sequestrato giganteschi pezzi di corallo e prodotti in pelle di pitone. In Namibia pelli di leopardo. In Polonia hanno intercettato sia una pelliccia fatta di leopardo sia teche con cavallucci marini morti. In Messico le autorità hanno individuato una serie di 53 pezzi – tra artigli e teschi – di grandi felini. Come dice Valdecy Urquiza, segretario generale dell’Interpol, i numeri parlano chiaro: siamo davanti a una gigantesca strage, solo per fini commerciali. “Le reti del crimine organizzato traggono profitto dalla domanda di piante e animali rari, sfruttando la natura per alimentare l’avidità umana. Ciò ha conseguenze di vasta portata: determina la perdita di biodiversità, distrugge le comunità, contribuisce al cambiamento climatico e alimenta persino conflitti e instabilità. I crimini ambientali sono particolarmente distruttivi e l’Interpol, in collaborazione con i suoi partner, si impegna a proteggere il nostro Pianeta per le generazioni future”. LEGGI TUTTO

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    Cosa accadrebbe se un asteroide colpisse la Terra: conseguenze per clima, piante e plancton

    Un nuovo studio di modellazione climatica, pubblicato sulla rivista Science Advances dai ricercatori dell’IBS Center for Climate Physics (ICCP) della Pusan National University, in Corea del Sud, offre nuovi scenari sulle possibili conseguenze per il clima e la biodiversità se un asteroide di medie dimensioni colpisse il nostro pianeta.

    Il sistema solare è ricco di corpi celesti che orbitano vicino alla Terra, alcuni dei quali presentano un rischio non trascurabile di impatto con il pianeta. Tra questi c’è l’asteroide Bennu, con un diametro di circa 500 m, che, secondo studi recenti, ha una probabilità stimata di 1 su 2700 di entrare in collisione con la Terra nel settembre 2182. Per determinare il potenziale effetto che un evento simile avrebbe sul clima, sulle piante terrestri e sul plancton negli oceani, i ricercatori dell’ICCP hanno utilizzato un modello climatico all’avanguardia, simulando diversi scenari di collisione con un asteroide di medie dimensioni, che causerebbe il rilascio di ingenti quantità di polveri nell’alta atmosfera. Come mostrano i risultati, una concentrazione di polveri compresa tra 100 e 400 milioni di tonnellate porterebbe a drammatici sconvolgimenti del clima, della chimica atmosferica e della fotosintesi globale nei 3-4 anni successivi all’impatto. Nello scenario più intenso, l’oscuramento solare dovuto a queste particelle causerebbe un raffreddamento della superficie globale fino a 4°C, una riduzione delle precipitazioni medie globali del 15% e una diminuzione dell’ozono di circa il 32%. Tuttavia, a livello regionale, questi effetti potrebbero essere molto più marcati.

    “Il brusco impatto invernale creerebbe condizioni climatiche sfavorevoli alla crescita delle piante, portando a una riduzione iniziale del 20-30% della fotosintesi negli ecosistemi terrestri e marini – spiega il dottor Lan Dai, ricercatore dell’ICCP e autore principale dello studio -. Ciò causerebbe probabilmente gravi interruzioni nella sicurezza alimentare globale”.

    Analizzando i dati dei modelli oceanici, gli scienziati hanno scoperto con sorpresa che, diversamente dalle tendenze previste per le piante, il plancton si riprenderebbe dall’impatto con l’asteroide nel giro di 6 mesi, aumentando progressivamente la propria abbondanza fino a livelli inusuali anche in condizioni climatiche normali. Questo comportamento, secondo Axel Timmermann, direttore dell’ICCP e coautore dello studio, sarebbe causato dalle alte concentrazioni di ferro nelle polveri, che favorirebbero la fioritura algale in aree in cui questo nutriente è naturalmente scarso, come l’Oceano Meridionale e il Pacifico tropicale orientale. Il conseguente aumento della produttività marina sarebbe più pronunciato per le alghe ricche di silicati, dette diatomee, che a loro volta stimolerebbero un forte aumento dello zooplancton.

    “L’eccessiva fioritura simulata di fitoplancton e zooplancton – aggiunge il dottor Lan Dai – potrebbe essere una benedizione per la biosfera e contribuire ad alleviare l’insicurezza alimentare emergente legata alla riduzione più duratura della produttività terrestre”.

    Il prossimo obiettivo degli scienziati è quello di studiare il modo in cui gli esseri umani rispondono a questi eventi catastrofici. “In media – sottolineano gli autori – asteroidi di medie dimensioni si scontrano con la Terra ogni 100-200 mila anni. Ciò significa che i nostri primi antenati umani potrebbero aver già sperimentato alcuni di questi eventi che hanno modificato pianeta, con potenziali impatti sull’evoluzione umana e persino sul nostro patrimonio genetico”. LEGGI TUTTO

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    La crisi climatica sta velocizzando il turnover delle specie

    Il turnover temporale delle specie che abitano una determinata area geografica, ossia l’espansione nella popolazione di alcune e la riduzione in quella di altre, è un fenomeno naturale. Tuttavia, il cambiamento climatico e in particolare la variazione nelle temperature, sia in termini di riscaldamento che di raffreddamento, sta velocizzando questo processo. È quanto emerge dai risultati di uno studio pubblicato su Nature e coordinato da Malin Pinsky, professore associato di ecologia e biologia dell’evoluzione presso la University of California di Santa Cruz (Stati Uniti).

    “È come mescolare un mazzo di carte, e il cambiamento di temperatura ora sta mescolando il mazzo sempre più velocemente – commenta il docente – La paura è che alla fine si cominci a perdere qualche carta”. L’importanza di studiare questo fenomeno, spiegano infatti gli autori dello studio, riguarda la possibilità di prevedere quali specie potrebbero subire maggiormente le conseguenze negative di questo cambiamento e poter così provvedere a proteggerle.

    Biodiversità

    L’Australia vuole trasformare un’isola in arca di Noè per salvare le specie autoctone

    di  Giacomo Talignani

    06 Febbraio 2025

    Nel dettaglio, il gruppo di ricerca ha analizzato la velocità di turnover di moltissime specie terrestri, marine e di acqua dolce, sia animali che vegetali, prendendo in considerazione habitat sparsi in tutti i continenti. Le aree più rappresentate nello studio sono il Nord America, il centro-nord dell’Europa, il Giappone, l’Australia, la Nuova Zelanda, il Sudafrica e l’Antartide. Dalle analisi è emerso che fino al 5,1% delle specie terrestri che vivono in zone caratterizzate da una maggiore variazione di temperatura viene rimpiazzato ogni anno. Lo stesso valore è pari al 5,2% per quanto riguarda le specie di acqua dolce e al 3,2% per le specie marine. Nelle aree che tendono ad andare incontro a una variazione di temperatura più moderata nel corso del tempo, per esempio quelle in cui si osserva un riscaldamento pari a circa 0,5 gradi centigradi l’anno, l’1,4% delle specie terrestri, il 2,6% di quelle di acqua dolce e l’1% di quelle marine viene rimpiazzato ogni anno.

    “La temperatura influisce su tutto, dalla velocità del battito cardiaco alla flessibilità e porosità delle membrane cellulari, dalla quantità di cibo che gli animali mangiano alla velocità di crescita delle piante – prosegue Pinsky – La temperatura è per molti versi il metronomo della vita”.

    Biodiversità

    L’anguilla europea sull’orlo dell’estinzione

    di redazione Green&Blue

    22 Gennaio 2025

    Ma, oltre alle variazioni di temperatura, ci sono anche altri fattori che influiscono sulla velocità di turnover delle specie. Uno emerso nel corso dello studio è la variabilità, o eterogeneità, degli habitat in una determinata area. In sostanza, le specie che vivono in zone caratterizzate da habitat molto “omogenei” sono quelle che tendono ad andare incontro a turnover più rapidi in caso di variazioni di temperatura. Si tratta di un fatto intuitivo: vivere in un’area che non offre alternative sufficientemente diversificate in termini di riparo per esempio dal caldo o dal freddo eccessivo significa avere minori possibilità di adattamento ai cambiamenti. In particolare, secondo i risultati della ricerca, in condizioni di variazioni di temperatura comparabili, le specie terrestri che vivono in zone omogenee dal punto di vista paesaggistico mostrano in media una velocità di turnover doppia rispetto a quelle che vivono in ambienti maggiormente diversificati.

    Biodiversità

    Un quarto degli animali d’acqua dolce a rischio estinzione

    di Sandro Iannaccone

    09 Gennaio 2025

    Infine, concludono gli autori, anche gli impatti antropici non necessariamente collegati ai cambiamenti di temperatura, come l’utilizzo delle terre, l’inquinamento e l’introduzione di specie aliene, contribuiscono ad esacerbare il fenomeno dell’accelerazione del turnover, riducendo di fatto l’estensione degli areali delle diverse specie. LEGGI TUTTO

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    Dalle luci Led all’archivio cloud, anche in ufficio si può ridurre l’impatto ambientale risparmiando

    Riunioni una in fila all’altra, mail a non finire, scadenze sempre più stringenti. E così capita spesso che, subissati da incarichi da svolgere, non ci sia il tempo per pensare alla sostenibilità dei nostri uffici. Un grave errore, visto il rilevante impatto che hanno sul pianeta. Secondo Circular Ecology, infatti, considerando otto ore quotidiane di lavoro per cinque giorni alla settimana, un impiegato produce circa 6,6 chili di anidride carbonica al giorno, pari a 33 chili settimanali. Ma la notizia positiva c’è: basta, in realtà, attuare pochi e semplici accorgimenti per rendere l’ambiente lavorativo più green. Ecco allora i nostri consigli.

    Illuminazione: meglio le luci a Led
    È bene anzitutto sfruttare al massimo la luce solare, utilizzando tende leggere e facili da regolare. In carenza di quest’ultima, si deve per forza ricorrere alla luce elettrica: in proposito, è opportuno ricordare che le lampadine a Led (Light emitting diode, diodo a emissione luminosa) consumano il 40% di energia in meno rispetto a quelle fluorescenti e l’80% in meno rispetto a quelle a incandescenza. Costituiscono, quindi, una importante risorsa, anche per risparmiare in bolletta. Oltre a scegliere questo tipo di lampadine, ci sono pure altre strategie per ottimizzare l’impiego energetico. Tra queste, l’installazione di sensori di movimento, dispositivi da collocare sul soffitto o sulla parete in grado di accendere e spegnere le luci in automatico in base rispettivamente alla presenza o all’assenza dell’utente. Un’altra idea sono le luci dimmerabili (dall’inglese to dimm, abbassare), che permettono di regolare l’intensità luminosa a seconda delle necessità.

    Al termine di ogni giornata lavorativa, si dovrebbero anche spegnere i vari dispositivi, come computer, proiettori, stampanti, evitando di lasciarli in stand by, cioè in pausa: una condizione che richiede un basso consumo, che però non è pari a zero. Giorno dopo giorno, i piccoli risparmi si sommeranno, generando una consistente riduzione dell’energia utilizzata.

    Riscaldamento e raffrescamento
    D’inverno è buona norma tenere sotto controllo il riscaldamento, abbassando la temperatura quando l’ufficio è vuoto (per esempio, di notte e nei fine settimana), in modo da ridurre i consumi senza compromettere il comfort. Si può fare questa operazione manualmente a fine giornata oppure si può programmare la diminuzione automatica attraverso le funzionalità presenti nella maggior parte dei termostati. D’estate occorre, invece, ricordarsi di spegnere il raffrescamento ogniqualvolta si lasci la stanza per oltre un quarto d’ora. Una volta rientrati basterà riaccendere l’aria condizionata per ottenere in pochi minuti un apprezzabile refrigerio.

    Uso della carta
    Nonostante l’era digitale, l’uso della carta rimane elevato in molti uffici. Si calcola che un lavoratore medio utilizzi circa 10 mila fogli in un anno. Per far calare questa cifra, è anzitutto indispensabile ridurre le copie cartacee dei documenti destinati all’archivio: molto meglio puntare sul cloud, un servizio che consente di conservare i dati trasferendoli tramite Internet a un sistema di archiviazione esterno gestito da terzi. E se proprio c’è bisogno del nero su bianco, sforzarsi di stampare fronte-retro, di utilizzare entrambi i lati del foglio, di usare carta riciclata quando possibile. Un modo per ridurre l’impatto ambientale, ma anche per risparmiare nelle forniture.

    Pausa caffè e mensa
    Nei momenti di pausa è facile ritrovarsi con colleghi e collaboratori alla macchinetta del caffè. L’importante è che l’espresso possieda la certificazione Fairtrade, che garantisce che il prodotto sia stato realizzato in modo sostenibile, per quanto riguarda sia la coltivazione, sia le condizioni dei lavoratori nei Paesi in via di sviluppo. Meglio, inoltre, abolire le capsule non riciclabili, come quelle realizzate in plastica oppure in alluminio e plastica, destinate a finire inevitabilmente in discarica. E ancora, avvalersi di un servizio di compostaggio dei fondi di caffè. Attenzione poi ai bicchierini monouso: solo negli Stati Uniti ogni anno ne vengono gettati via circa 50 miliardi. In questo caso, la soluzione è sostituirli con bicchieri o tazzine riutilizzabili.

    Dopo la bevanda bollente ed energizzante, c’è l’acqua. Sostituire quella nelle bottigliette di plastica con quella del rubinetto ha molti vantaggi: diminuzione dei rifiuti, fornitura illimitata, risparmio economico. Eventualmente, per rimuovere i composti del cloro migliorando così il sapore dell’acqua, si può applicare un apposito filtro, un apparecchio compatto facile da installare.

    Infine, se in azienda è presente una mensa, è probabile che la quantità di cibo sprecato sia rilevante. Per evitare ciò, si può prendere parte a programmi che garantiscano la donazione degli alimenti, il loro compostaggio o la trasformazione in mangime per animali.

    Viaggi e spostamenti
    Da ultimo, il tragitto casa-lavoro, che contribuisce alle emissioni di carbonio. Per ridurle è utile condividere l’auto con i colleghi, utilizzare i mezzi pubblici, usare la bicicletta quando possibile. Da limitare i viaggi d’affari in aereo, che costituiscono circa il 20% dei viaggi totali. Si prevede che, entro il 2050, questi ultimi rappresenteranno tra il 12 e il 27% delle emissioni globali di gas serra. LEGGI TUTTO

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    Cosa coltivare a febbraio nell’orto

    Durante il mese di febbraio fa ancora molto freddo e nell’orto è difficile prendersi cura di molte piante. Ecco una piccola guida utile proprio per organizzare le attività di coltivazione all’esterno o attraverso un semenzaio o serra a tunnel.

    Che cosa piantare a febbraio?
    Febbraio è tra i mesi più freddi dell’anno in cui pioggia, gelo, neve e temperature rigide mettono a dura prova le piante. Proprio per questo, dedicarsi all’attività dell’orto durante questo periodo dell’anno non è così scontato, giacché in determinate aree dell’Italia è proibitivo. Infatti, il terreno potrebbe essere ghiacciato e non offrire un posto ideale per la coltivazione di frutta e verdura.

    Quindi, in generale è suggerito prediligere la coltivazione di prodotti attraverso la coltura protetta (per esempio, la serra, il semenzaio o il tunnel), specie se si vive in aree dove il clima non è dei migliori per questa tipologia di attività all’aperto. In aree più miti, dove la temperatura non scende sotto lo zero e il terreno non ghiaccia, si possono coltivare alcune piante bulbose sfruttando le colture protette:

    Carote
    Aglio
    Cipolle
    Scalogno
    Porro
    Carciofi
    Fave
    Piselli

    Queste piante hanno il vantaggio di crescere sotto la superficie del terreno e, quindi, non devono temere la presenza di gelate. Tante altre piante si possono piantare a partire da metà febbraio, facendo attenzione a proteggere il terreno almeno fino al mese di marzo, ricorrendo ai teli di TNT oppure alle piccole serre a tunnel.
    La semina sotto tunnel
    Tra le colture protette che si possono adottare tra gennaio e marzo vi è quella con tunnel. Queste strutture sono realizzate come protezioni di materiale plastico trasparente e aiuta in diversi modi le piante dell’orto. Il terreno è poi a sua volta protetto con dei teli in polietilene, forati proprio nel punto in cui è stata sistemata la piantina. La semina sotto tunnel è perfetta per quelle aree di territorio in cui le temperature non sono eccessivamente rigide. Le piantine che si possono sistemare nell’orto in questo periodo dell’anno sono diverse: per esempio, è possibile fare le semine sotto tunnel di valeriana, rucola, ravanelli, cicoria e lattuga. Per altre piante che hanno maggiori necessità, cioè che hanno bisogno di temperature più alte, si può passare al semenzaio riscaldato.
    La semina in semenzaio al naturale o riscaldato
    Il semenzaio, che si può sistemare in piena terra o in mobili, si presenta come un vivaio dove è possibile far sviluppare al sicuro i semi delle piante dell’orto. In questo modo, si ha la certezza di non andare incontro a problemi di freddo o gelo. Questo genere di semenzaio, in alcuni casi, può essere anche riscaldato per offrire maggiori benefici durante la crescita delle piccole piantine degli ortaggi. La germinazione dei semi che si può attuare a febbraio non è così ampia, ma si può iniziare ad interessarsi di ciò che raccoglierà con la bella stagione. Qui di seguito ecco le piante da sistemare nel semenzaio riscaldato:

    Melanzane
    Peperoncini e peperoni
    Pomodori
    Zucchine
    Cetrioli
    Erba cipollina
    Spinaci

    Ricordiamo che è possibile occuparsi anche di altre piante con un semplice semenzaio non scaldato: in tal caso, i semi potranno svilupparsi facendo affidamento solo sul “caldo” trasmesso dalla luce solare e dal terreno come nel caso delle erbe aromatiche (per esempio, il timo, il basilico e prezzemolo).

    Per eseguire questa tipologia di coltivazione è necessario porre i semi in terriccio soffice, sciolto e sterile. Una volta che i semi saranno diventati delle piantine, con il conseguente sviluppo di 4-6 foglie, si può passare alla fase successiva: il trapianto in terra oppure in serra.

    L’orto in balcone a febbraio
    Molte persone non dispongono di grandi appezzamenti di terreno per occuparsi della coltivazione degli ortaggi, così decidono di dedicarsi in balcone al proprio orto. In questo caso, è importante selezionare accuratamente i contenitori più adeguati: per esempio, dei vasi da 30 cm circa dotati di fori per l’eliminazione dei ristagni d’acqua sono adeguati alla coltivazione di verdura. All’interno dei contenitori selezionati si può aggiungere sul fondo del materiale per evitare il ristagno idrico, come dell’argilla espansa, e poi del terriccio universale. Una volta sistemati i semi degli ortaggi che si desiderano, distanziando correttamente gli stessi, si aggiunge del tessuto non tessuto per creare un ambiente favorevole quando temperature notturne si fanno più fredde. Le piantine potranno germinare correttamente e poi saranno pronte più avanti per la crescita e la raccolta dal balcone di casa.

    La preparazione del terreno dell’orto a febbraio
    Nel caso in cui non si abbia bisogno di un semenzaio, ma si può passare all’azione già a partire dalla fine del mese di febbraio, è necessario preparare al meglio il terreno per la semina. È importante avere a disposizione un terreno asciutto: nel caso in cui non lo fosse, è necessario attendere la completa asciugatura, per evitare di avere un terriccio non adeguato. A questo punto, si può passare alla fase della concimazione: ne esistono di tipo artificiale, ma anche naturale per rendere fertile il terreno che accoglierà gli ortaggi. Se si predilige quello naturale, si potrà sfruttare il letame maturo o il compost decomposto, effettuando un’aratura di circa 40 cm. A quel punto, si potrà proprio iniziare a pensare alla fase successiva cioè a piantare gli ortaggi prescelti, come i bulbi citati qui sopra.

    Altre attività da organizzare per la ripresa dell’orto
    Se si è costretti al riposo durante i mesi più freddi dell’anno, si può pensare anche ad altre attività da organizzare per la ripresa completa dell’orto. Ad esempio, il mese di febbraio è il momento giusto per pianificare l’organizzazione dell’orto: la suddivisione delle aiuole per la messa a dimora delle piantine può richiedere del tempo. Se si ha già in mente quali saranno gli ortaggi da coltivare, si può ideare su carta la suddivisione delle zolle di terra e poi agire successivamente per la coltivazione vera e propria.

    Al tempo stesso, è importante sistemare i canali di scolo: se il terreno non è ghiacciato si può effettuare il lavoro necessario per sistemare i canali di recupero dell’acqua piovana, così da preparare il tutto per la ripresa dell’orto.

    Un altro mestiere da svolgere durante i mesi più freddi dell’anno riguarda la manutenzione degli attrezzi: sono tanti gli strumenti che si utilizzano per l’orto e questo momento è perfetto per fare una cernita di quelli che si possono sfruttare e quelli che hanno esaurito la loro vita. Anche sugli attrezzi con motore, come per esempio la motozappa, si possono eseguire dei controlli, sostituendo i vecchi filtri e le candele e controllare il livello dell’olio. LEGGI TUTTO