Gennaio 2025

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    Quando la sostenibilità dei vini italiani passa dalle bollicine

    I vini italiani certificati VIVA (certificati nell’ambito del programma italiano VIVA, un’iniziativa promossa dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) promossi per quanto riguarda il loro impatto ambientale, infatti, specie per quelli frizzanti, l’impatto è leggermente inferiore rispetto al benchmark europeo di riferimento. L’impianto di nuovi vigneti, e il connesso cambiamento d’uso del suolo, l’utilizzo di energia nelle cantine e l’imballaggio del prodotto (principalmente vetro!) sono i fattori che contribuiscono maggiormente all’impronta ambientale dei vini italiani.

    Sono alcuni dei risultati che si evincono da uno studio pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, condotto dai professori Ettore Capri, ordinario di Chimica Agraria presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali per una filiera agro-alimentare sostenibile (DISTAS) dell’Università Cattolica, campus di Piacenza, e Lucrezia Lamastra, associata di Chimica Agraria presso lo stesso dipartimento si è occupato di valutare l’impronta ambientale di alcuni vini italiani con la metodologia PEF, promossa dalla Commissione Europea. Questa metodologia nasce per standardizzare la valutazione degli impatti ambientali ed offre un benchmark di riferimento per singola categoria di prodotto (il vino in questo caso) rispetto al quale confrontare gli impatti relativi al prodotto in analisi. Oggi c’è una pressante richiesta di strumenti precisi per quantificare la sostenibilità e valutare il contributo di prodotti e processi allo sviluppo sostenibile. Nel 2013, la Commissione Europea ha introdotto un indice chiamato Impronta Ambientale di Prodotto (PEF), fornendo una metodologia standardizzata per valutare gli impatti ambientali dei prodotti in diversi settori industriali. La PEF si misura valutando l’impatto ambientale di un prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento. In particolare, per calcolare la PEF di un prodotto si considerano consumi di energia, materie prime, emissioni e rifiuti, analizzando 16 categorie di impatto ambientale (es. emissioni di CO?, acidificazione, consumo idrico, deplezione dello strato di ozono, formazione di smog fotochimico e particolato fine) per produrre quel dato prodotto.

    I VINI ITALIANI
    La produzione vitivinicola italiana dell’annata 2024, Secondo i dati presentati da Osservatorio Assoenologi, Ismea e Unione italiana vini (Uiv), si attesta a 41 milioni di ettolitri in crescita del sette per cento rispetto all’anno passato. Sebbene i volumi risultino inferiori rispetto alla media dell’ultimo quinquennio, l’Italia si conferma primo produttore mondiale.

    LA SOSTENIBILITÀ DELLA PRODUZIONE VINICOLA
    Nonostante il suo potenziale e la disponibilità di linee guida specifiche per il vino, l’applicazione della PEF rimane praticamente inesplorata nel settore. Questo studio contribuisce alla conoscenza applicando la PEF per valutare gli impatti ambientali della produzione italiana di alcuni vini fermi e spumanti rispetto ai benchmark europei, spiegano gli autori. Inoltre, mira a individuare i punti nevralgici e a fornire indicazioni per strategie di mitigazione efficaci.

    Nello studio sono stati inclusi 27 vini certificati nell’ambito del programma italiano VIVA, un’iniziativa promossa dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE di cui UCSC è referente scientifico dal 2010) lanciata nel 2011 per promuovere la sostenibilità nella filiera vitivinicola italiana. Di questi 27 vini sono state raccolte e utilizzate tutte le informazioni necessarie per eseguire una valutazione del ciclo di vita in conformità al protocollo PEF.

    “Abbiamo preso 27 vini certificati VIVA e abbiamo confrontato la loro impronta ambientale di prodotto (PEF) con il valore di riferimento (benchmark – BM) fornito dalla metodologia PEF – spiega Lamastra. La metodologia PEF fornisce un benchmark di riferimento livello europeo, diverso per vini fermi e frizzanti. Pertanto, i vini VIVA sono sati suddivisi in fermi e frizzanti ed il loro valore confrontato al BM. I risultati hanno dimostrato che i vini fermi analizzati sono leggermente più impattanti del BM, mentre i vini frizzanti sono meno impattanti”.

    “Bisogna considerare, però – precisa l’esperta – che il benchmark europeo rappresenta un ipotetico vino medio europeo piuttosto che uno specifico vino in particolare. La più bassa performance dei vini fermi italiani in questo studio può, in parte, essere attribuita all’uso esclusivo di bottiglie in vetro, mentre il benchmark europeo tiene conto dell’utilizzo, almeno in parte, di bag-in-box e bottiglie in PET, non sempre compatibili con la qualità dei nostri vini. Infatti, quando il confronto viene fatto con i vini frizzanti, dove anche il riferimento europeo è confezionato nel vetro per esigenze legate alle specifiche del prodotto (i vini frizzanti non possono essere imbottigliati in bag in box o tetrapack), i vini italiani analizzati sfoggiano performance migliori del benchmark di riferimento europeo. Al di là delle differenze negli impatti complessivi, si nota, dal confronto con il benchmark, un diverso contributo dato dai vari fattori in gioco (risorse idriche, terreno, etc) all’impatto complessivo. Il benchmark europeo è caratterizzato da una maggior impatto sulla scarsità idrica e sull’acidificazione dovute ad un maggior ricorso all’irrigazione e all’applicazione di fertilizzanti. Se si analizzano invece le fasi del ciclo di vita che contribuiscono maggiormente agli impatti ambientali, si vede come contribuiscano in modo significativo l’impianto di nuovi vigneti, l’uso di energia in cantina e il packaging impiegato”.

    Questo tipo di analisi ha ricadute potenzialmente importanti: uno studio PEF, infatti, non permette solo di analizzare l’impatto ambientale di un prodotto, ma anche di offrire suggerimenti per migliorare il profilo della sostenibilità portando a individuare misure di mitigazione efficaci rispetto agli obiettivi, spiegano i professori Capri e Lamastra. Pertanto, le soluzioni più efficaci sono quelle in grado di ridurre i “punti critici” evidenziati dall’analisi. I processi che contribuiscono maggiormente in questo senso, concludono gli esperti, restano la fase di trasformazione (con i connessi usi energetici) e il packaging. “Lo shift verso energie rinnovabili e verso packaging più leggeri e sostenibili potrebbe rivelarsi un driver importante”, sottolineano. A tal proposito si può fare l’esempio della Sicilia. Alcune aziende certificate VIVA siciliane, aderenti anche al protocollo SOStain, hanno stretto un accordo con OI e SARCO per produrre bottiglie da riciclo di vetro siciliano più leggere (3 punti a favore: bottiglie al 90% di vetro riciclato, più leggere e da filiera di riciclo completamente siciliana).

    Affrontare questi elementi potrebbe migliorare la competitività ambientale del settore vinicolo italiano rispetto alle sue controparti europee. Tuttavia, per convalidare questi risultati, sono necessari ulteriori studi, sia in Italia che in altre regioni vinicole europee. Tali iniziative di ricerca miglioreranno e rafforzeranno la metodologia PEF, favorendone l’adozione come strumento primario per la valutazione dell’impatto ambientale del vino a livello comunitario. LEGGI TUTTO

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    I gruppi di negazionisti del cambiamento climatico nascono nei Paesi con le politiche più verdi

    C’è il cambiamento climatico, e poi c’è chi nega la sua esistenza. O, più recentemente, chi sostiene che in ogni caso le misure messe in atto dai governi e dalle istituzioni intergovernative per contrastarlo non serviranno a nulla. Ma come nascono questi movimenti? Dove e perché si creano i gruppi di negazionisti del cambiamento climatico? Jared Furuta e Patricia Bromley, rispettivamente ricercatore e docente presso l’Università di Stanford (Stati Uniti), hanno provato a rispondere a questa domanda analizzando i dati relativi al periodo 1990-2018 e riguardanti più di 160 paesi e centinaia di associazioni di negazionisti in tutto il mondo. Dai risultati dello studio, appena pubblicato su Plos One, è emerso che questo tipo di gruppi o associazioni tende a formarsi specialmente nei paesi che seguono politiche più ambientaliste.

    Le origini

    Mario Tozzi: com’è nato il negazionismo

    di Mario Tozzi

    07 Ottobre 2024

    Entrando nel dettaglio, i due autori della ricerca hanno valutato diversi parametri per quantificare l’impegno dei vari paesi nella protezione dell’ambiente e nel contrasto al cambiamento climatico: per esempio, il numero di accordi internazionali in vigore, il numero di organizzazioni ambientaliste nazionali presenti, il numero di leggi o politiche di mitigazione del cambiamento climatico che vengono promulgate in un determinato periodo di tempo. Per quanto riguarda invece l’identificazione delle organizzazioni che negano il cambiamento climatico o che comunque operano per contrastare le politiche ambientaliste, Furuta e Bromley hanno consultato database creati per esempio da gruppi di ricerca che hanno pubblicato studi su questa materia in precedenza, oppure liste compilate da gruppi ambientalisti, o, al contrario, hanno cercato fra i partecipanti di conferenze nate per negare il cambiamento climatico e l’utilità delle politiche verdi, come la Heartland Institute’s International Conference on Climate Change.

    In particolare, per essere selezionati dai due ricercatori, i gruppi o le organizzazioni in questione dovevano aver partecipato attivamente ad azioni o progetti di contrasto alle politiche climatiche del proprio Paese. Inoltre, specificano gli autori nello studio, si tratta di gruppi civili o di organizzazioni non profit, mentre sono state escluse dalla selezione aziende o associazioni a scopo di lucro. In totale, Furuta e Bromley hanno identificato 548 organizzazioni sparse per 51 paesi. La maggior parte è concentrata nei paesi occidentali industrializzati e 350 (circa il 60% del totale) si trovano negli Stati Uniti. Come anticipato, dalle analisi è emerso che questi movimenti tendono a nascere proprio nei Paesi che si impegnano maggiormente nella lotta la cambiamento climatico. I ricercatori hanno infatti osservato una correlazione positiva con tutti i parametri sopracitati, come il numero di organizzazioni ambientaliste nazionali, il numero di leggi o politiche di mitigazione del cambiamento climatico che vengono promulgate ogni anno.

    Lo scenario

    Enrico Giovannini: “Così usano dati corretti per raccontare balle sul riscaldamento globale”

    di  Luca Fraioli

    07 Ottobre 2024

    E forse non è nemmeno così sorprendente: secondo i risultati dello studio, i movimenti negazionisti nascono in sostanza come reazione opposta alle politiche di contrasto al cambiamento climatico. Un aspetto interessante emerso dalla ricerca, inoltre, è che non sembra esserci una particolare correlazione fra la nascita di questi movimenti e gli interessi economici dei paesi presi in esame, nel contesto per esempio delle emissioni di gas serra o della dipendenza dalle risorse petrolifere. E lo stesso discorso sembra valere per altri fattori analizzati dai ricercatori, come il livello di sviluppo economico o di disuguaglianza del reddito, o l’ideologia della leadership politica. Gli autori concludono esortando i governi e in particolare gli organi predisposti alle politiche di contrasto al cambiamento climatico a indagare in modo sistematico i modi in cui i loro sforzi potrebbero innescare movimenti reazionari controproducenti e a pensare questi ultimi come parte di un unico processo: “Piuttosto che vedere le strutture e le politiche pro-ambiente come completamente separate dal movimento contrario – si legge nella pubblicazione – la nostra enfasi sulla cultura e sull’identità suggerisce che entrambi i movimenti sono intrecciati e si evolvono in tandem l’uno con l’altro come parte di un processo dinamico”. LEGGI TUTTO

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    Dagli audiolibri ai prestiti, come diventare lettori green

    Un libro è un viaggio, un nuovo inizio, un buon amico. È un maestro paziente, un dialogo con il passato e uno sguardo verso il futuro. Anche leggere ha, però, un impatto ambientale, a cominciare dalla carta. Secondo il report del 2023 di Paper based packaging, proprio quest’ultima è responsabile del 35% degli alberi abbattuti nel mondo. Oltre alla materia prima, ci sono poi colle, inchiostri, finiture. In proposito, Carl-Otto Gensch, studioso dell’Oko-Institut, istituto per l’ecologia applicata di Friburgo, in Germania, ha calcolato che la produzione di dieci libri di 200 pagine l’uno con carta vergine genera circa undici chili di emissioni di anidride carbonica, che diventano nove nel caso dei volumi realizzati con carta riciclata.
    Al termine della fase produttiva, c’è poi quella distributiva: un percorso che va dalla tipografia all’utente finale per un totale di oltre 650 chilometri in media, secondo la ricerca del gruppo Aware (Assessment on waste and resources) del Politecnico di Milano. La buona notizia è che i lettori possono fare molto per rendere la lettura più sostenibile, mettendo in pratica alcuni semplici consigli.
    E-book solo per accaniti lettori
    Libro di carta o digitale? È questo il dilemma, quando si tratta di impatto sul nostro pianeta. Sul tema sono state svolte varie ricerche, ma la risposta non è univoca. Perché, come ha sottolineato Anthropocene Magazine in uno studio del 2020, tutto dipende dalle abitudini di lettura. In sintesi, si può dire che i lettori occasionali dovrebbero preferire il cartaceo, mentre i topi di biblioteca, che leggono due o più libri al mese, dovrebbero optare per il digitale. Avendo cura, una volta acquistato un e-reader, di utilizzarlo il più a lungo possibile, evitando di sostituirlo precocemente con un nuovo modello.
    Il bello (e il buono) degli audiolibri
    Chi, invece, ama ascoltare saggi e romanzi senza avvalersi del testo scritto può puntare sugli audiolibri, l’opzione senza dubbio più sostenibile, visto che non comporta l’acquisto di una specifica tecnologia (i libri si possono fruire da smartphone o da computer) e che l’impatto di streaming e archiviazione dei file è minimo. È stato, in proposito, calcolato che il flusso di dati audio di un audiolibro della durata di circa dieci ore genera solo 0,026 chili di anidride carbonica.
    Via libera agli acquisti di seconda mano
    La copia di Orgoglio e pregiudizio degli anni Trenta comprata in una libreria che vende volumi di seconda mano ha senz’altro un’impronta di carbonio inferiore rispetto a quella di un best seller appena pubblicato spedito direttamente a casa. Acquistare un libro usato significa risparmiare carta, energia, carburante, senza rinunciare ad arricchire la propria collezione personale di volumi. Il vintage è, quindi, un’ottima idea, da attuare anche al di fuori del settore editoriale, per quanto riguarda, per esempio, abiti, arredi, tecnologie.
    Prestiti in biblioteca per risparmiare
    Recarsi in biblioteca, meglio se a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici, e prendere in prestito i libri scegliendoli dagli ampi cataloghi è un buon modo per essere lettori eco-friendly, oltre che per risparmiare. Le biblioteche offrono anche una vasta scelta di e-book e audiolibri da scaricare comodamente, e gratuitamente, da casa propria.

    Viceversa, chi possiede un libro che ha già letto e che non desidera conservare nel proprio studio o in salotto può donarlo alla biblioteca di zona, ma pure alla scuola pubblica di quartiere, magari facendo prima una telefonata per accertarsi che accettino la donazione. Spesso anche le piccole caffetterie locali e i centri per anziani accolgono volentieri i libri dati in regalo.
    Il riciclo creativo tra bijoux e ghirlande
    Se un libro è giunto alla fine della sua vita e non può essere donato, può sempre essere trasformato. Basta un po’ di creatività (e qualche tutorial su Internet) per realizzare bijoux, ghirlande, buste, carta da parati. Così davvero i libri non muoiono mai. LEGGI TUTTO

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    “Il Green Deal aiuta l’Europa a non pagare l’energia a prezzi assurdi, altro che imbroglio”

    “Il Green deal non è affatto un imbroglio”. Andrea Tilche oggi insegna Clean Technologies for the Energy Transition all’Università di Bologna, ma per vent’anni ha lavorato alla Commissione europea, dove per lungo tempo è stato anche responsabile dei programmi di ricerca sui cambiamenti climatici. In quel ruolo ha rappresentato la Ue presso il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici dell’Onu. Insomma, ha contribuito anche lui ad accumulare le conoscenze scientifiche che hanno portato l’Unione a varare il suo piano di decarbonizzazione.

    Professor Tilche, ieri a Davos il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha invece definito il Green deal proprio un imbroglio. Perché non è così?
    “Chi attacca le politiche climatiche dimentica che, sia negli Usa che in Europa, sono state varate per rispondere a precisi impegni internazionali, quelli determinati dall’Accordo di Parigi, accordo che si basa su una valutazione scientifica di quanto sta succedendo: abbiamo ancora un tot di carbonio che possiamo emettere, prima che le temperature superino la soglia di 1,5 gradi o 2 gradi. Altro che imbroglio, il Green deal è stato un approccio molto razionale della Commissione e dei Paesi membri per dire: negoziamo una serie di politiche per aiutare tutti le nazioni a stare dentro questo percorso, con la migliore combinazione tra impegni climatici e crescita economica”.

    Perché allora il green deal è nel mirino?
    “Perché attacca l’industria dell’oil&gas, è solo questo. Attacca un oligopolio, che in Italia è un monopolio rappresentato dall’Eni, il quale domina il settore energetico con petrolio e gas naturale. E’ un mondo potentissimo che ha al suo servizio molta parte della politica. Naturalmente poi ci sono sullo stesso fronte altre industrie fortemente dipendenti dall’oil&gas, a cominciare dall’automotive”.

    Il dietrofront di Trump rispetto all’Amministrazione Biden rischia di contagiare anche l’Europa?
    “L’Europa non ha nessuna convenienza a seguire Trump perché il Vecchio Continente non ha risorse proprie in fatto di oil&gas. Anzi, è nel nostro interesse investire sulle rinnovabili per far scendere i prezzi dell’energia. In questo momento compriamo tantissimo gas naturale liquefatto proprio dagli Usa a prezzi assurdi. Se poi si guarda agli investimenti privati per cambiare il sistema energetico, questi si stanno concentrando sulle cose che costano meno, che sono l’eolico e fotovoltaico. Insomma, la strada è quella segnata dal Green deal, una strada molto studiata e molto discussa con tutti gli stati membri. Chi afferma che sia stato imposto dice una balla colossale”.

    I paesi

    Cop29, Unione europea: indietro dal Green Deal non si può tornare

    di  Claudio Tito

    09 Novembre 2024

    Si dice che le destre populiste puntino sulla paura per guadagnare consensi? Ma la paura della fine del mese fa più paura della fine del mondo?
    “Sì, dicono che gli investimenti per il Green deal costano troppo. E che l’auto elettrica costa di più dell’auto a benzina o a gasolio. Ma non è vero. Se si calcola il costo totale di possesso di un’auto elettrica che percorre 15.000 km all’anno e che è ricaricata a casa, si scopre che si risparmia tantissimo: ha un’efficienza energetica quattro volte superiore e non richiede quasi manutenzione. Senza contare i costi sanitari che oggi paghiamo con l’inquinamento da combustibili fossili delle nostre città”.

    Ha appena pubblicato online un appello nel quale critica la premier Meloni e il suo governo per la loro “fobia” contro il cosiddetto ‘ambientalismo ideologico’. Cosa l’ha spinta a scriverlo?
    “Proprio mentre si sta scatenando la guerra al Green deal, ho voluto aiutare a fare chiarezza. Un marziano che non conoscesse la nostra politica si chiederebbe perché gli strali della presidente del Consiglio sono scoccati contro gli ambientalisti e non contro le grandi compagnie di petrolio e gas, per i quali l’Italia è totalmente dipendente dall’estero e in balia della volatilità dei prezzi. Nonostante Meloni pochi mesi fa abbia firmato dichiarazioni molto impegnative sul clima da presidente di turno del G7, continua a parlare di neutralità tecnologica, gas naturale, ‘decarbonizzazione non deve comportare la desertificazione economica’. Viene da chiedersi se con la sua partecipazione plaudente all’insediamento di Trump, non abbia voluto dare anche il suo assenso al nuovo abbandono statunitense degli Accordi di Parigi”.

    Quelle a cui stiamo assistendo sono solo turbolenze, o possono compromettere seriamente i Green deal statunitense ed europeo?
    “Non è facile rispondere. La transizione può essere molto conveniente anche dal punto di vista economico, ma bisogna volerla. Se invece la politica si mette di traverso può creare grandi problemi problemi. Da noi c’è l’esempio delle automobili: quando hanno incominciato a dare incentivi anche all’Euro 6 hanno bloccato di fatto le vendite di auto elettriche”. LEGGI TUTTO

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    Verdure e legumi già nella dieta dei nostri antenati preistorici

    Una dieta più simile a quella di un bovino che a qualsiasi altro carnivoro. Ovvero, a base vegetale. Parliamo dell’alimentazione degli australopitechi (primate della famiglia degli ominidi) che vissero in Sudafrica più di tre milioni di anni fa in quella che oggi chiamiamo “Culla della Civiltà”. Rimasta fino a oggi sconosciuta oppure solo ipotizzata, ma meritevole di indagini. Se infatti le discussioni sul consumo di carne si concentrano soprattutto sugli aspetti salutistici (soprattutto per quella rossa), ambientali ed etici, per gli autori della ricerca appena pubblicata su Science il tema è tutt’altro.
    L’evoluzione scritta nei denti
    Quale ce lo ricorda Alfredo Martínez-García del Max Planck institute for Chemistry, tra gli autori dello studio: “Quando i nostri antenati hanno iniziato a mangiare carne? L’inizio è stato collegato ad un aumento del volume del cervello?”. A stupire i ricercatori e a convincerli ad indagare sulle abitudini alimentari degli australopitechi, è stata la scoperta dell’eccezionale resistenza dello smalto dei loro denti. Il consumo di carne, scrivono gli autori dello studio, è infatti particolarmente indicativo, non solo per il possibile collegamento con l’aumento del volume del cervello, ma anche con quello della statura e la riduzione dell’intestino. Il motivo dunque per andare a studiare i denti degli australopitechi è essenzialmente questo: capire quando ebbero inizio quei cambiamenti negli stili di vita che ci avrebbero pian piano avvicinato a oggi.

    La mostra

    Viaggio negli ecosistemi italiani: la (bio)diversità va in scena a Roma

    di  Sandro Iannaccone

    29 Novembre 2024

    La ricerca
    Nel loro studio Martínez-García e colleghi della University of the Witwatersrand guidati da Tina Lüdecke hanno deciso di concentrarsi su alcuni australopitechi vissuti tra i 3,7 e i 3,3 milioni di anni fa e provenienti dall’area di Sterkfontein, in Sudafrica. Per indagare le loro abitudini alimentari hanno analizzato la composizione isotopica del carbonio e dell’azoto dei loro denti (indicativa di cosa veniva mangiato e della sua natura, se vegetale o animale) e li hanno confrontati con quella dei denti dei fossili di altri animali (erbivori o carnivori) dell’area. In più, raccontano, hanno anche ripescato analisi simili effettuate su mammiferi moderni.

    Ricerca

    Antartide, raggiunto il ghiaccio più antico: risale a 1,2 milioni di anni fa

    di redazione Green&Blue

    09 Gennaio 2025

    Verdura e legumi nell’alimentazione della preistoria
    Procedendo in questo modo gli autori sono riusciti a farsi un’idea della dieta di quegli australopitechi. E il responso è che, sebbene siano stati trovati indizi circa il possibile uso di strumenti per macellare animali tra ominidi arcaici, d’abitudine questi studiati oggi avevano una dieta vegetale. Molto variabile, forse per stagionalità, approvvigionamento del cibo da aree molto diverse, ma tendenzialmente povera di carne, scrivono gli autori, magari arricchita da qualche legume e insetto.

    Non è escluso però che altrove i menù dei nostri antenati fossero già all’epoca diversi, puntualizzano gli autori. Non resta che scoprirlo, grazie ai denti ancora, che si sono mostrati utili già in passato per far luce non solo sull’alimentazione degli australopitechi, ma anche sui loro comportamenti in fatto di cure parentali. LEGGI TUTTO

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    Educare alla sostenibilità, il Wwf lancia un corso e un manuale online gratuiti

    Gli abiti che si accumulano nell’armadio, cumuli di plastica che galleggiano negli oceani, lo spreco quotidiano di acqua potabile. Basterebbero queste poche immagini per capire quanto sia insostenibile il nostro stile di vita in un pianeta dalle risorse illimitate e quanto sia necessario trovare un nuovo modo di ripensare il nostro rapporto con l’ambiente. Fin da bambini. Considerazioni che hanno convinto gli esponenti del Wwf a dare il via alla campagna “Our Values” proprio in occasione della Giornata mondiale dell’educazione con due progetti: il Manuale della Rete Educazione e la nuova piattaforma One Planet School3 con il primo corso completamente gratuito sul cambiamento climatico. Accessibile a tutti, nel sistema sarà possibile scoprire e approfondire temi trasversali, interdisciplinari e sinergici che riguardano sia la conoscenza che la tutela attiva della Natura. Obiettivi della campagna: educare alla sostenibilità, far crescere una consapevolezza ecologica e etica verso l’ambiente e collettività, combattere la disinformazione.

    La Natura al centro dei valori
    “Vogliamo dare il via a una vera e propria rivoluzione culturale che riporti la natura al centro dei nostri valori, impegnando le istituzioni nella sua tutela, diffondendo conoscenza e promuovendo una maggiore sensibilità attraverso le attività educative – spiegano – l’educazione rappresenta, per il Wwf, il filo conduttore che unisce ogni azione di conservazione della biodiversità, ogni battaglia per la tutela degli ecosistemi e ogni iniziativa volta a garantire un futuro sostenibile”.
    “Per vivere in un mondo più sostenibile è fondamentale dunque che ognuno di noi diventi protagonista del cambiamento dotandosi di conoscenza, sensibilità, valori e attitudini, per essere capace di prendere decisioni informate e di agire responsabilmente – ha dichiarato Alessandra Prampolini, direttrice generale Wwf Italia –. Con la campagna “Our Values” vogliamo accompagnare le persone e le comunità in un percorso di consapevolezza perché possano scegliere comportamenti sostenibili in ogni settore e momento della vita civile”.

    Il Manuale
    Il Manuale della Rete Educazione è stato realizzato anche grazie al contributo di educatrici e educatori Wwf sul territorio che hanno partecipato al corso di formazione. Si presenta come una piattaforma di competenze, visioni e strumenti, valorizzando il contributo di ciascuno per dare vita a schede che riflettono le migliori pratiche e l’esperienza collettiva della Rete. “Questo manuale è una guida che accompagna chi ci ascolta verso scelte consapevoli e sostenibili, per dare forma a una società che non solo rispetti la natura, ma che si senta profondamente parte di essa”, spiegano gli operatori.

    Un corso per capire il cambiamento climatico
    Il Wwf lancia sempre il 24 gennaio anche il nuovo corso dedicato al cambiamento climatico, realizzato in collaborazione con esperte ed esperti italiani del settore, membri della Comunità scientifica del Wwf (Nicola Armaroli, Susanna Corti, Luca Mercalli, Paola Mercogliano, Antonio Navarra, Mario Tozzi e Riccardo Valentini). Si tratta di un punto di partenza per comprendere le basi scientifiche di questo fenomeno globale e quale può essere il ruolo di ognuno. Il corso è disponibile su One Planet School. “In questo momento storico, di fronte alle grandi sfide ambientali, climatiche e sociali, l’educazione ambientale e alla sostenibilità diventa il fattore abilitante di un cambiamento necessario e urgente”.

    Inquinamento

    Ogni anno bruciamo 30 milioni di tonnellate di plastica

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    06 Settembre 2024

    L’importanza dell’educazione
    Che l’argomento interessi non ci sono dubbi. Le ricerche confermano infatti che oltre l’80% degli italiani considera la tutela dell’ambiente molto importante per il proprio benessere e per il 67% rappresenta anche un’azione efficace per ridurre gli effetti del cambiamento climatico. I giovani italiani in particolare sono molto preoccupati per la crisi climatica e chiedono al Governo di fare di più perseguendo l’obiettivo “100% rinnovabili” per l’approvvigionamento energetico. Quindi secondo il Wwf è giusto dare risposte fin da giovanissimi. “È l’educazione che ci permette di superare l’indifferenza, di accendere la consapevolezza e di promuovere comportamenti responsabili. È grazie all’educazione che possiamo ispirare stili di vita sostenibili, capaci di rispondere alle crisi globali e costruire un futuro in cui le generazioni di oggi e di domani possano prosperare – afferma Martina Alemanno, responsabile programma educazione del Wwf Italia – sia il Manuale sia il nuovo corso sul cambiamento climatico rientrano negli sforzi del Wwf per essere la voce, la guida e l’esempio di un’educazione che trasforma, per creare il futuro che sogniamo insieme: un futuro ricco di biodiversità e sicuro per tutti”.

    Il manifesto “Our Values”
    Sono tre i punti fondamentali lanciato dal Wwf con la campagna “Our Values”:
    . Conoscere è potere, perché l’educazione gioca un ruolo imprescindibile per contrastare l’eccessiva semplificazione e la proliferazione di fake truth (le informazioni divulgate senza fondamento scientifico);
    . Assicurare il diritto al benessere, e dunque impegnare il sistema istituzionale nella tutela della natura e delle persone, con specifico riferimento alle riforme costituzionali del febbraio 2022, quanto la tutela dell’ambiente e della biodiversità sono entrate nei principi generali della nostra carta (art.9);
    . Verso il 2030: laddove il WWF si propone di seguire con attenzione gli appuntamenti istituzionali e raccontare le loro implicazioni sulla nostra realtà di tutti i giorni. “Perché riguarda ognuno di noi”. LEGGI TUTTO

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    Allevamenti intensivi, Greenpeace vince la causa contro il governo olandese

    Il tribunale dell’Aja ha ordinato al governo olandese di ridurre drasticamente le emissioni di azoto entro il 2030. La causa è stata portata avanti da Greenpeace Olanda, secondo cui nel Paese non sarebbero state adottate misure adeguate per ridurre i livelli di emissioni di ossido di azoto nell’ambiente causati dagli allevamenti intensivi e dall’uso massiccio […] LEGGI TUTTO

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    Encubator, dai RAEE alla moda circolare: le 7 startup premiate per l’ambiente

    Si è tenuto ieri, presso il Palazzo Giureconsulti a Milano, l’evento di premiazione delle startup competition Encubator e INNO4GOV, che hanno coinvolto complessivamente 214 startup provenienti da tutto il mondo. A valutare i migliori progetti una giuria composta da Camera di commercio, PoliHub, Politecnico di Milano e dai Partner del programma, oltre che da diversi esperti del mondo dell’industria, del venture capital e della tutela della Proprietà Intellettuale.

    Alle 7 startup vincitrici di Encubator un grant in denaro del valore di 40 mila euro e un programma di accelerazione, di 4 mesi, organizzato, coordinato e co-finanziato da PoliHub, a sostegno della crescita tecnologica e alla validazione della struttura di business della startup stessa, in collaborazione con Camera di commercio e Politecnico.

    Una concreta opportunità di crescita per lo sviluppo di idee innovative che spaziano da soluzioni per la generazione di energia green, alla produzione di materiali sostenibili, fino a sistemi di economia circolare e gestione virtuosa dei rifiuti.

    Le startup vincitrici di Encubator

    Agreenet progetta e sviluppa materiali innovativi a base vegetale per la protezione e l’imballaggio degli alimenti freschi, con l’obiettivo di prolungarne la durata e la conservazione attraverso l’utilizzo di biopolimeri attivi. La startup sia aggiudica inoltre il Premio Speciale Corepla, Innovation Partner, che consente l’accesso al percorso di accelerazione di Encubator.
    Orbita Technologies rivoluziona il riciclo dei RAEE sviluppando un sistema che utilizza la robotica e l’intelligenza artificiale per estrarre automaticamente chip, componenti elettronici e materie prime dai rifiuti elettronici.
    Hyper Wind aumenta l’efficienza delle turbine fino a +15%, migliorando la produzione di energia eolica, riducendone i costi e i consumi.
    Alagae Scope crea biorivestimenti a base di alghe marine (che sostituiscono le pericolose sostanze chimiche PFAS) per la produzione di tessuti idrorepellenti, ignifughi e ad alte prestazioni. Una soluzione altamente efficace, competitiva in termini di costi, biodegradabile in ambiente marino e naturale al 100%.
    Zerow nasce dalla volontà di guidare un cambiamento sostenibile nell’industria della moda. Una piattaforma B2B che trasforma le scorte di lusso in opportunità sostenibili. Consente ai marchi di rivendere i materiali in eccesso, ridurre gli sprechi e monitorare l’impatto ambientale, promuovendo un’economia della moda circolare.
    Alkelux, attiva nella produzione di bio-additivi utili alla per la produzione di imballaggi e in grado di aumentare la freschezza degli alimenti.
    Limenet ha sviluppato una soluzione in grado di rimuovere la CO2 dall’atmosfera e immagazzinarla permanentemente in mare sotto forma di bicarbonati, contrastando l’acidificazione degli oceani.

    Premiate anche Metis e Handy Signs
    Metis e Handy Signs sono invece le vincitrici della prima edizione di INNO4GOV, il programma ideato dalla Camera di commercio per innovare la PA che ad oggi necessita di una profonda trasformazione dei sistemi operativi dei servizi pubblici.
    Metis ha ideato Legenda4Gov una smart data room per l’esplorazione di documenti per la produttività e compliance. L’utente potrà effettuare ricerche su documenti specifici, policy, e normativa vigente aggiornata automaticamente in un ambiente cybersicuro conforme a GDPR e SOC2.
    La startup innovativa Handy Signs ha sviluppato l’unico assistente digitale della Lingua dei Segni Italiana basato su AI in grado di tradurre in tempo reale dalla LIS all’italiano e nel contempo è in grado di migliorare l’accessibilità dei servizi dei cittadini Sordi e la loro inclusione nella società e sul lavoro.
    Oltre a un grant da 50.000 euro una delle due startup vincitrici sarà affiancata dalle business unit della Camera di commercio Milano Monza Brianza Lodi, nel processo di sperimentazione del progetto, in un percorso di co-innovazione. LEGGI TUTTO