Giovani, con un grado di istruzione elevato e con un’elevata tendenza ad adottare comportamenti pro-ambientali quotidiani come la raccolta differenziata e consumi sostenibili, dandosi obiettivi raggiungibili, inclini a fare gruppo e fare rete in favore dell’ambiente e a cercare il più possibile il contatto con la natura: è questo l’identikit della persona che tende maggiormente a percepire l’eco-ansia, l’ansia da clima.
È quanto emerge da uno studio condotto presso l’Università Cattolica, campus di Roma dal dottor Matteo Innocenti, della Sezione di Igiene, Dipartimento di Scienze della Vita e Salute Pubblica dell’Università Cattolica, campus di Roma.
Cos’è l’eco-ansia
L’eco-ansia è una risposta di disagio emotivo al cambiamento climatico che si manifesta con sintomi molto simili a quelli dell’ansia generalizzata, come tristezza, paura e senso di impotenza e mancanza di controllo. Il cambiamento climatico ha implicazioni importanti per la salute e il futuro dei bambini e dei giovani, i quali però hanno poco potere per limitare i suoi danni, rendendoli quindi vulnerabili all’ansia climatica. Il primo studio su larga scala sull’ansia climatica a livello globale, apparso di recente su Lancet Planetary Health, che ha coinvolto 10.000 giovani (di età compresa tra 16 e 25 anni) in dieci paesi (Australia, Brasile, Finlandia, Francia, India, Nigeria, Filippine, Portogallo, Regno Unito e USA; 1000 partecipanti per paese), ha evidenziato che in tutti i paesi era diffusa la preoccupazione per il cambiamento climatico (il 59% era molto o estremamente preoccupato e l’84% era almeno moderatamente preoccupato). Più del 50% del campione ha riportato ciascuna delle seguenti emozioni: tristezza, ansia, rabbia, impotenza, senso di abbandono e colpa. Più del 45% dei partecipanti ha affermato che i loro sentimenti riguardo al cambiamento climatico influivano negativamente sulla loro vita quotidiana e sul funzionamento, e molti hanno riportato un alto numero di pensieri negativi sul cambiamento climatico (ad esempio, il 75% ha detto di pensare che il futuro sia spaventoso e l’83% ha detto di pensare che le persone abbiano fallito nel prendersi cura del pianeta).
Lo studio
Lo studio dell’Università Cattolica ha esaminato il fenomeno dell’eco-ansia in un campione italiano e cercato di tratteggiare le varie modalità con cui esso si declina, inoltre di validare una scala di misura ad hoc per misurare i livelli di eco-ansia e di eco-paralisi.
Infatti, sebbene sia stato dimostrato che l’ansia per il cambiamento climatico può potenziare i comportamenti in favore dell’ambiente (pro-ambientali o PEB) in alcuni soggetti, in altri può indurre la cosiddetta eco-paralisi, portando così gli individui a evitare qualsiasi forma di impegno in azioni contro il cambiamento climatico. In questo studio gli esperti della Cattolica hanno chiarito quali fattori influenzano la relazione tra l’ansia per il cambiamento climatico e la predisposizione ai PEB. Gli esperti hanno condotto uno studio trasversale su 394 soggetti sani che vivono in Italia, i quali hanno completato questionari di valutazione come la Scala dei Comportamenti Pro-Ambientali (PEBS), la Scala dell’Autoefficacia Generale (GSE) e la Scala dell’Ansia per il Cambiamento Climatico (CCAS).
In primis è emerso che generalmente, così come la consapevolezza sul cambiamento climatico genera eco-ansia, questa a sua volta induce comportamenti pro-ambientali che a loro volta riducono l’eco-ansia; un po’ come avviene prima di un esame, l’ansia da esame serve da stimolo per studiare.
“Tuttavia – spiega Innocenti – abbiamo visto che non tutti gli individui interessati da eco-ansia adottano comportamenti autoefficaci; per esempio i giovani che hanno aspettative troppo ambiziose e che credono di poter modificare alla radice la situazione del cambiamento climatico, che però è un fenomeno complesso e non si può risolvere individualmente, possono avere una paralisi. In genere – precisa Innocenti – queste finiscono poi per essere le persone che adottano meno spesso comportamenti pro-ambientali. In genere si tratta di giovani dai 15 ai 35 anni, soprattutto le donne perché tipicamente nutrono preoccupazioni non solo per il loro futuro ma anche per le generazioni future e quindi per i propri potenziali figli.
Questi risultati mostrano che l’ansia per il cambiamento climatico ha contemporaneamente due effetti diversi sugli individui: direttamente incoraggia i PEB e indirettamente può avere effetti dannosi sui PEB, come l’eco-paralisi. Di conseguenza, gli approcci terapeutici per trattare l’ansia per il cambiamento climatico non dovrebbero mirare a razionalizzare i pensieri irrazionali, ma piuttosto ad aiutare i pazienti a sviluppare strategie di coping come i PEB che, a loro volta, favoriscono l’autoefficacia. Il senso di autoefficacia deve essere altresì alimentato dalle istituzioni e dai decisori, attuando strategie anche collettive, in modo che si passi dall’autoefficacia a quello di efficacia collettiva, conclude Innocenti.