19 Novembre 2024

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    Alluvioni, l’intelligenza artificiale prevede il disastro 6 ore prima: un modello italiano

    Il disastro senza precedenti a Valencia, le alluvioni devastanti in Emilia Romagna e nelle Marche, la siccità e le piogge intense in Sicilia. Sono i segnali evidenti, se ci fosse ancora qualche dubbio, che il clima non solo sta cambiando, ma è già cambiato. Quello che si può fare ora, è mitigarne l’impatto – dove possibile – e cercare di prevedere quello che potrebbe accadere utilizzando la tecnologia più evoluta: l’intelligenza artificiale, anche in questo caso. Dall’Università di Pisa, insieme al Consorzio di Bonifica Toscana Nord, uno studio in cui gli algoritmi di calcolo intelligenti sono stati applicati ai cambiamenti climatici, con l’obiettivo di poter prevedere con un anticipo di almeno sei ore, le alluvioni provocate da fiumi minori e torrenti, cioè quei corsi d’acqua che lambiscono molte città e comuni del nostro Paese e che sono molto difficili da gestire e monitorare. Questo studio complesso, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, potrebbe risultare determinante in tutte quelle situazioni di calamità che distruggono edifici e vite umane.

    Secondo Monica Bini, docente del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, che ha coordinato la ricerca “le forti precipitazioni concentrate in breve tempo e su aree ristrette rendono difficile la gestione dei corsi d’acqua minori, dove la rapidità di deflusso delle acque piovane aumenta il rischio di piene improvvise; basti pensare agli eventi alluvionali avvenuti nel novembre 2023 nella provincia di Prato dove sono esondati i torrenti Furba e Bagnolo e, più recentemente, a quelli che hanno colpito la Valdera e la provincia di Livorno”. Ma purtroppo, gli esempi sono anche molti altri, e come sappiamo non hanno coinvolto solo la regione toscana. L’allerta idrogeologica è in gran parte delle regioni italiane.

    Crisi climatica

    L’Italia perde 2,8 miliardi di euro all’anno per frane e alluvioni

    di redazione Green&Blue

    15 Novembre 2024

    Nello specifico l’area di studio è situata nell’Italia centrale, nei pressi di Carrara, zona “particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici, a causa della presenza dell’area ciclonica del Golfo di Genova dei ripidi rilievi ortogonali alla direzione dei venti dominanti – si legge nello studio -. L’area è caratterizzata dalla presenza delle Alpi Apuane, una catena montuosa con ampi pendii e un complesso sistema carsica. La regione è caratterizzata da una complessa rete fluviale, da un lago costiero (Lago di Massaciuccoli) e da zone umide. L’area è soggetta a elevate precipitazioni annue (anche superiori a 3000 mm), tra le più elevate del Mediterraneo, e talvolta molto intense. Inoltre, a causa della presenza delle Alpi Apuane, si verificano spesso fenomeni idrogeologici quali alluvioni, colate detritiche e frane”.

    In questa parte d’Italia vivono circa 300.000 abitanti, che salgono a 3 milioni nel periodo estivo, e gli intricati sistemi carsici rendono difficile da prevedere le dinamiche fluviali, anche a causa dei ripidi pendii delle montagne che inducono rapidi tempi di deflusso. Uno dei problemi dei modelli predittivi è la pioggia, la principale variabile di input correlata al tempo, motivo per cui “i modelli di apprendimento automatico tendono a sottostimare i flussi durante il tempo di previsione, a causa di incertezze dei dati e potenziali distorsioni” dice lo studio dell’Università di Pisa.

    Ma in cosa sono così utili questi modelli di IA in grado di fare previsioni prima e meglio dell’uomo? Tutto dipende dai dati, come sempre, dall’addestramento svolto su queste macchine in grado di macinare un’enorme quantità di dati e di elaborarli in poco tempo, offrendo a chi deve gestire eventuali emergenze, quel lasso di tempo (sempre poco) per diramare l’allerta. I modelli sono stati addestrati con il data base pluviometrico e idrometrico fornito del Servizio Idrologico Regionale della Toscana, da qui lo sviluppo successivo di un software semplificato, utilizzabile dagli operatori per conoscere prima le criticità dei corsi d’acqua in seguito a piogge a carattere alluvionale e quindi di mitigare i danni.

    Clima

    Ondate di calore, siccità, incendi e alluvioni: perché è colpa del cambiamento climatico

    di  Pasquale Raicaldo

    15 Novembre 2024

    “L’intelligenza artificiale si è rivelata uno strumento prezioso per dare preallerta in piccoli bacini anche con sei ore di anticipo in 8 punti di monitoraggio, ma resta fondamentale che le decisioni operative siano sempre supervisionate da esperti”, ha sottolineato Marco Luppichini, primo autore dell’articolo e assegnista di ricerca del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ateneo di Pisa.

    Nello specifico, i modelli di deep learning utilizzati hanno commesso solo errori molto piccoli, sbagliando di pochi centimetri e con diverse ore di previsione. Infatti l’ateneo pisano è riuscito a sfruttare le potenzialità dell’IA prevedendo estremi anche 4/6 ore prima dell’evento in bacini idrografici caratterizzati da rapide variazioni delle portate fluviali. Per ridurre eventuali danni da alluvioni dunque, l’applicazione dei modelli diventerà sempre più importante con lo sviluppo dell’Internet of Things, cioè con l’uso di sensori che forniranno sempre più informazioni a livello temporale e spaziale, oltre alle necessarie manutenzioni ordinarie e alle opere straordinarie. LEGGI TUTTO

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    Riscaldamento: dal 2025 stop agli incentivi per caldaie a gas

    Stop alle detrazioni per l’installazione di caldaie a gas. Niente più ecobonus casa per gli impianti che utilizzano il gas come unico combustibile dal prossimo anno. Con un emendamento presentato da alcuni parlamentari di maggioranza alla manovra all’esame del Parlamento viene proposta la cancellazione definitiva di questi incentivi, in applicazione della direttiva Case green. Una […] LEGGI TUTTO

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    Entro il 2050 i rifiuti in plastica gestiti male raddoppieranno: 8 misure per evitarlo

    Nel 2020 il consumo globale di plastica ha raggiunto i 547 milioni di tonnellate e, senza interventi mirati a invertire il trend attuale, potrebbe arrivare a 749 milioni di tonnellate nel 2050. Nello stesso arco di tempo i rifiuti di plastica gestiti in modo scorretto potrebbero addirittura duplicare e le emissioni associate alla produzione, al […] LEGGI TUTTO

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    Dove vivete ci sono abbastanza alberi? Per scoprirlo c’è la regola del “3+30+300”

    Ovunque voi siate provate a guardare fuori dalla vostra finestra: riuscite a vedere almeno 3 alberi? E secondo voi, all’incirca, la copertura arborea ombreggia almeno il 30% del quartiere in cui vi trovate? E ancora: c’è un parco a 300 metri di distanza?. Se a tutte queste tre domande la risposta è “sì” allora potrebbe esserci speranza – nel vostro contesto urbano – di una buona e necessaria presenza di alberi. In tempi di crisi climatica e perdita della biodiversità, sappiamo benissimo quanto le “chiome” siano importanti per le nostre vite: dalla loro funzione di mitigazione e di assorbimento della CO2, sino alla capacità di mantenere i nostri quartieri più freschi e più ricchi di specie, gli alberi insieme ad oceani ed impollinatori sono elementi naturali indispensabili per la vita sul Pianeta.

    Nonostante ciò però per anni abbiamo continuato a deforestare, a prediligere solo determinate specie e a cementificare laddove prima spopolavano tronchi: il risultato, ci dice una recente report dello IUCN, Unione internazionale per la conservazione della natura, è che ad oggi nel mondo una specie su tre di alberi è a rischio estinzione. Dati che – nella Giornata nazionale dell’albero che si celebra il 21 novembre – dovrebbero farci riflettere sull’importanza di lavorare di più per la conservazione delle piante.

    Ad oggi è difficilissimo trovare città per esempio, nel mondo, con il giusto equilibrio di alberi presenti. Attraverso il metodo “canopy tree”, quello delle tre domande anche conosciuto come “3+30+300” e che stabilisce uno standard minimo per ottenere benefici per la salute urbana, una recente indagine di The Conversation ha mostrato come su otto grandi città esaminate solo una aveva il corretto rapporto di alberi presenti. Esaminando la copertura arborea di Melbourne, Sydney, New York, Denver, Seattle, Buenos Aires, Amsterdam e Singapore solo quest’ultima è risultata soddisfacente nel rispondere alla formula stabilita nel 2022 dal professore olandese Cecil Konijnendijk, colui che ha ideato questo parametro oggi sempre più utilizzato soprattutto in Europa.

    Il sondaggio

    Un italiano su tre non sa che gli alberi assorbono CO2 e non solo

    di redazione Green&Blue

    19 Novembre 2024

    Singapore è la metropoli che è riuscita a rispondere con più “sì” alle tre domande e l’analisi ricorda che per rispettare la regola 3+30+300 servono solitamente alberi “più grandi, più sani e più longevi” piantati vicini tra loro. Serve anche differenziare le specie, così come è necessario investire nella pavimentazione permeabile che consente alla pioggia di infiltrarsi nel terreno, oppure ragionare sulla gestione delle radici. Ma soprattutto serve distribuzione: gli alberi devono essere presenti in tutti i quartieri, non solo quelli più ricchi o centrali. Ed è fondamentale la tecnologia per pianificare: nella stessa Singapore, dove la copertura arborea è intorno al 50%, tramite tecnologie come la startup Greehill per esempio fanno modelli digitali dei quartieri e simulano scenari su come le piante messe a dimora risponderanno nel tempo. Per proteggere gli alberi e di conseguenza la nostra salute, ogni formula tecnologica può dunque essere utile se si considera che attualmente il 38% degli alberi al mondo è a rischio estinzione, ci dice la Global Tree Assessment della Lista rossa IUCN.

    “Una valutazione completa che presenta il primo quadro globale dello stato di conservazione degli alberi e che ci consente di prendere decisioni di conservazione più consapevoli e di agire per proteggere gli alberi dove è urgentemente necessario” ha spiegato Malin Rivers, responsabile della valutazione globale degli alberi del Botanic Gardens Conservation International, ricordando che spesso è sulle isole dove si trova il più alto numero di alberi minacciati d’estinzione.

    Biodiversità

    Un albero su tre è a rischio estinzione, come l’abete delle Madonie

    di  Fabio Marzano

    04 Novembre 2024

    In Italia, ci ricordano infine i dati del report Ecosistema Urbano 2024 di Legambiente, sono solo 9 le città capoluogo che possono vantare più di 100 mq di verde urbano pro capite. Ad oggi le realtà più verdi sono “Isernia, Rieti, Trento e Sondrio con oltre 300 metri quadri” mentre quelle con minore superficie verde sono “Savona e Imperia in Liguria insieme a Lecce, Bari, Foggia, Chieti, Siracusa, Trapani, Messina e Crotone”. Per tutte le città italiane, anche per soddisfare i criteri 3+30+300, serve però più programmazione e più consapevolezza sulla necessità della gestione degli alberi nei territori. Conoscenza che si potrà approfondire in dozzine di eventi che la stessa Legambiente, in occasione della Festa dell’Albero, organizzerà in questi giorni in tutta Italia (qui la mappa degli eventi) con lo scopo finale di piantare almeno 5000 nuovi alberi. LEGGI TUTTO

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    Un italiano su tre non sa che gli alberi assorbono CO2 e non solo

    Nelle grandi città italiane cresce il desiderio degli abitanti di avere più alberi, ma quanto ne sanno dei benefici che questi apportano? Purtroppo, non abbastanza. Quasi 3 intervistati su 4 (73%) sanno che gli alberi abbassano la temperatura laddove sono piantati, limitando la formazione delle cosiddette “isole di calore”.

    Quasi un italiano su 5 non sa che gli alberi sono in grado di mitigare gli effetti della pioggia intensa e limitare gli allagamenti, mentre 1 su 3 non sa che gli alberi nelle città sono in grado di assorbire la CO2.

    Questi sono solo alcuni dei dati emersi da un’inedita ricerca elaborata dalla divisione Annalect di Omnicom Media Group per Prospettiva Terra, il progetto non-profit fondato dal professor Stefano Mancuso, accademico e divulgatore scientifico e da Marco Girelli, CEO di Omnicom Media Group Italia – con la partecipazione di realtà quali McDonald’s, Henkel, Ricola, Acone Associati, Publitalia’80 ed il contributo di Pnat, come partner scientifico e BAM – Biblioteca degli Alberi di Milano, come Botanical Partner – con l’obiettivo di fare rete contro la crisi ambientale grazie agli alberi. L’indagine, realizzata su un campione di 1.000 intervistati residenti in cinque grandi città italiane, Milano, Torino, Roma, Napoli e Palermo, ha l’obiettivo di investigare il grado di conoscenza dei cittadini sul ruolo che gli alberi ricoprono nel contrastare e mitigare gli effetti del cambiamento climatico in occasione della Giornata Nazionale degli Alberi (21 novembre).

    Biodiversità

    Un albero su tre è a rischio estinzione, come l’abete delle Madonie

    di  Fabio Marzano

    04 Novembre 2024

    I giovani meno preparati sulle foreste
    Andando ad approfondire i dati della ricerca, si scopre che 6 italiani su 10 affermano che le foreste molto estese nel mondo sono in grado di assorbire grandi quantità di CO2, consapevolezza che cala – a sorpresa – sul target dei giovani 18-24enni (58%), sempre attenti ai temi ambientali, rispetto a quello dei 55-64enni (65%).
    “Sappiamo ancora troppo poco del nostro pianeta e questa ricerca ce lo dimostra – afferma il professor Stefano Mancuso – Il disastro di Valencia o le alluvioni in Emilia-Romagna e in Sicilia, tanto per citare i gravi fatti più recenti, ci impongono un’azione forte e non più rimandabile. Il 2024 sarà l’anno più caldo di sempre ed il primo con una temperatura media globale di 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali. Per questo bisogna educare le persone, fare formazione e informazione su come proteggere il nostro pianeta e limitare i danni: questo è l’obiettivo di Prospettiva Terra, con cui stiamo costruendo un modello cooperativo e diffuso, simile alle reti vegetali, in cui delle imprese private decidono di farsi carico del futuro che ci aspetta, lavorando nell’unica direzione possibile, ossia la partecipazione diretta a progetti di innovazione scientifica”.

    Tutorial

    Conifere, una guida per curare pini e abeti

    19 Novembre 2024

    Centro e periferie: come cambia la percezione della presenza arborea nella città
    Tre abitanti su 4 dichiarano che nel proprio quartiere gli alberi sono molto o abbastanza diffusi (75%). Tuttavia, i dati sono molto diversi da città a città: a Torino e a Roma la percentuale è del 90%, a Milano dell’80%, a Palermo del 63% e a Napoli soltanto del 51%. In effetti, Torino ha la più alta percentuale della superficie comunale occupata da aree verdi (18,2%), mentre Palermo si ferma al 4,8%.
    Inoltre, la percezione cambia anche in base alla zona della città in cui si vive: il dato è più forte man mano che dal centro (72%) ci si avvicina al semi-centro della città (75%), fino alla periferia (77%). In particolare, la percezione della forte presenza degli alberi cresce – anche fino al 30% – in periferia, mentre nelle aree centrali e semi-centrali si attesta intorno al 20%.

    Sostenibilità

    Alla Biblioteca degli Alberi di Milano il premio LivCom Award for SDGs

    di redazione Green&Blue

    13 Novembre 2024

    Nove cittadini su 10 chiedono più alberi
    Napoli e Palermo sono le città in cui gli alberi sono più desiderati (rispettivamente 93% e 87%). Sebbene nelle altre città gli alberi sono percepiti come più presenti, le percentuali restano alte: a Torino e a Milano la percentuale di chi vorrebbe più verde in città si attesta intorno al 75% e a Roma al 69%. L’altro dato molto rilevante è quello della posizione rispetto alla città: il desiderio di avere più alberi, senza differenze sostanziali tra nord, centro e sud, è molto più sentito nel centro della città (87%) rispetto al semi-centro (80%) e, soprattutto, rispetto alla periferia (68%) dove la presenza degli alberi è tipicamente più forte.

    La quercia è l’albero più noto come alleato contro la crisi climatica
    Scelta da oltre 6 italiani su 10, la quercia risulta essere l’albero che più di tutti, nell’immaginario collettivo, è in grado di contrastare gli effetti del cambiamento climatico, superando nettamente l’abete (39%) ed il pino (37%). Fuori dal podio sono i tigli (25%), i cipressi (24%) e i frassini (23%).
    “Le piante sono vere e proprie macchine in grado di stoccare CO2 nei propri tessuti legnosi e assorbire alcuni inquinanti atmosferici, come il monossido di carbonio ed il particolato atmosferico – afferma Camilla Pandolfi, CEO e R&D Manager Pnat – La farnia, ovvero la quercia più conosciuta (Quercus robur), è un albero in natura molto longevo ed è in grado di apportare numerosi benefici nell’arco della sua vita. Anche tigli e frassini sono in realtà molto performanti per quanto riguarda la rimozione degli inquinanti, grazie a particolari caratteristiche delle foglie e dei rami che permettono alle particelle fini di depositarsi sulla loro superficie, rimuovendole così dall’atmosfera. Non dimentichiamoci però delle specie sempreverdi (abeti, pini e cipressi) che, a differenza degli alberi caducifoglie, mantengono la chioma fogliata tutto l’anno e apportano notevoli benefici ambientali anche nei mesi in cui le altre piante sono meno attive, ovvero durante la stagione invernale”.

    Alberi alleati anche del benessere mentale
    Una cosa sicuramente mette tutti d’accordo da nord a sud: l’idea che essere circondati da alberi possa donare benessere mentale, serenità e gioia, per la quasi totalità del campione (96%). Napoli, una delle due città che lamentano una scarsa presenza di alberi, è quella in cui viene associata di più agli alberi l’idea di maggior aiuto per il benessere mentale e la serenità. E quando agli italiani viene chiesto quali pensieri e stati d’animo associano agli alberi, in generale, la risposta è un sentimento di serenità e di leggerezza: la prima idea, infatti, è quella del relax (33%), seguita dalla purezza (22%) e dai concetti di forza (17%), spiritualità (9%) e gioia (7%). LEGGI TUTTO

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    “Il cambiamento c’è già. L’accordo sull’aiuto ai Paesi vulnerabili si troverà”

    “Come finirà Cop29? Con un accordo che innalzerà a 200 o 300 miliardi di dollari, dagli 100 attuali, il contributo dei Paesi ricchi alla finanza climatica. Con un meccanismo volontario di contribuzione per i Paesi in via di sviluppo ma economicamente forti, in modo da allargare la base dei donatori. E penso anche con un contributo specifico alle piccole isole, le nazioni più vulnerabili ai cambiamenti climatici”. Francesco La Camera dal 2019 è direttore generale dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena). Conosce bene la Cina, dove negli ultimi anni eolico e fotovoltaico hanno registrato un boom senza eguali. Ma anche i petrostati del Golfo: Irena ha il suo quartier generale negli Emirati Arabi Uniti. Ed ha una certa dimestichezza con la diplomazia climatica che va in scena nelle Conferenze delle parti sul clima: “L’anno scorso, in quella di Dubai, abbiamo supportato la presidenza emiratina di Sultan Al Jaber”, ricorda La Camera. “Gli impegni presi a Cop28 su triplicazione delle rinnovabili e raddoppio della efficienza energetica si basavano sulle analisi di Irena”.

    Direttore La Camera, torniamo alla Cop29 di Baku: l’esito che lei prevede è conseguenza del G20 appena conclusosi a Rio de Janeiro?
    “Non credo. L’impegno dei Grandi a sostenere la presidenza della Cop29 e a portare a termine con successo i negoziati a Baku, potrebbe al contrario voler dire che in Brasile non è stato raggiunto un accordo su questi temi e che si rimanda la soluzione alle trattative in corso qui”.

    Soluzione che verrà trovata?
    “Penso proprio di sì. Anche se i veri cambiamenti, più che in questi consessi, si manifestano nel mondo reale”.

    Si riferisce alle energie rinnovabili?
    “L’agenzia che dirigo si occupa di quello. La crescita a livello globale è evidente e irreversibile. Si va verso una trasformazione del mercato energetico che ruoterà intorno a eolico, fotovoltaico, biomasse e idrogeno verde”.

    Ma l’impegno sottoscritto a Dubai di triplicazione entro il 2030 è alla portata?
    “All’inizio di quest’anno la Presidenza di Cop28 ha chiesto a Irena di monitorare i progressi fatti. Purtroppo i nostri datti confermano che, fatta eccezione per il solare fotovoltaico, le nuove installazioni di energie rinnovabili a livello globale sono ben al di sotto del livello necessario a centrare l’obiettivo. E lo stesso si può dire per l’efficienza energetica. Insomma, il processo è avviato ma procede troppo lentamente”.

    La rielezione di Donald Trump frenerà ulteriormente la transizione energetica e il boom delle rinnovabili Usa?
    “Potrà rallentarlo, ma non fermarlo. Già durante il suo primo mandato le centrali a carbone americane chiudevano mentre le rinnovabili crescevano. L’Amministrazione Biden ha dato una ulteriore spinta e ora sarà davvero difficile per il nuovo presidente invertire la tendenza, soprattutto in alcuni “red states”, roccaforti repubblicane come il Texas che stanno investendo in eolico”.

    Dal G20 di Rio assist alla Cop29 di Baku: più fondi per il clima, paga anche la Cina

    di  Luca Fraioli

    19 Novembre 2024

    Si torna a parlare di nucleare. Negli Stati Uniti dove le grandi compagnie tecnologiche hanno fame di elettricità per alimentare i loro server, ma anche in Italia.
    “Rispondo con alcuni dati. Grazie ai costi inferiori e alla maggiore efficienza, il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) afferma che le energie rinnovabili, in particolare l’energia solare ed eolica, sono dieci volte più efficaci del nucleare nel ridurre le emissioni di anidride carbonica. Secondo la Stanford University, le nuove centrali nucleari costano da 2,3 a 7,4 volte di più dell’eolico o del solare terrestre per kilowattora di elettricità, impiegano dai cinque ai 17 anni per essere installate e producono da nove a 37 volte le emissioni per kilowattora dell’eolico. Le nuove centrali nucleari in un anno aggiungono la stessa quantità di elettricità che le energie rinnovabili ne aggiungono ogni pochi giorni: la Cina, per esempio, sta installando una capacità eolica e solare equivalente a cinque nuovi reattori nucleari alla settimana”.

    A proposito di Pechino, che ruolo giocherà nella transizione energetica?
    “In quel Paese hanno il 50% di tutte le rinnovabili installate nel mondo. E se prima i cinesi erano ritenuti bravi solo a copiare le tecnologie altrui, ora si dimostrano grandi innovatori”.

    Ma la Cina può davvero prendere la leadership della transizione ecologica, nel vuoto lasciato dagli Usa di Trump?
    “Potrebbe. Ma, nonostante la simpatia che nutro per i cinesi, grazie anche al loro impegno nelle rinnovabili, penso che non sia mai positivo avere un solo Paese al comando”.

    Nei giorni scorsi il meccanismo delle Cop è stato criticato e definito inadeguato: troppo lento per risolvere una crisi urgente come quella climatica. Che ne pensa?”
    “Ho trovato inopportuno un rilievo del genere con una Cop in corso. Si rischia di indebolire un processo già debole di suo. E non condivido le critiche sulla scelta dei Paesi ospitanti: Baku non è stata imposta, è stata votata. Così come Dubai. E se la Cop28 si fosse fatta in un Paese europeo anziché negli Emirati, produttori di petrolio, probabilmente non avrebbe portato agli stessi risultati, a loro modo storici: la transition away dai combustibili fossili, la triplicazione delle rinnovabili, la duplicazione dell’efficienza energetica”. LEGGI TUTTO