Il gender gap dell’inquinamento
Un’automobile in corsa, una bistecca al sangue, un volo prenotato senza pensarci due volte. La crisi climatica è anche una questione di genere, visto che gli uomini inquinano più delle donne. Lo dimostrano vari studi internazionali che collegano stili di vita, consumi, impatto ambientale, tracciando un gender gap che passa anche dalla tavola e dai trasporti.
Il programma
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Secondo una ricerca recentemente condotta dal Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment di Londra su circa 15mila persone, le abitudini maschili generano in media 5,3 tonnellate di emissioni e quelle femminili 3,9, cioè il 26% in meno. Un divario che dipenderebbe soprattutto da comportamenti socialmente e culturalmente consolidati, che incidono sull’equilibrio ambientale complessivo. Anche dopo aver considerato altri fattori che possono contribuire a generare tale scostamento, la differenza si riduce ma non scompare: resta un 18% di discrepanza, di cui il 6,5-9,5% attribuibile in modo specifico all’assunzione di proteine animali e all’impiego quotidiano dell’auto.
“È sorprendente che il gap tra uomini e donne nelle emissioni sia paragonabile a quello osservato tra le persone agiate e quelle svantaggiate”, osserva Marion Leroutier, economista al Center for Research in Economics and Statistics dell’École nationale de la statistique et de l’administration économique di Parigi e coautrice del lavoro. Chi dispone di maggiori risorse economiche tende, infatti, a mangiare più spesso fuori casa, ad avere un’alimentazione più ricca di carne e pesce, a spostarsi più frequentemente con mezzi privati. Il confronto suggerisce che, al pari delle disuguaglianze di reddito, anche le differenze di genere possono influire sull’impatto individuale. “Politiche ambientali elaborate senza tener conto di queste diversità rischiano di ignorare le reali fonti di inquinamento e di risultare, quindi, meno efficaci”, osserva Ondine Berland, economista della London School of Economics and Political Science e coautrice del documento.
I protagonisti
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A risultati simili era giunto anche uno studio pubblicato nel 2021 sul Journal for Industrial Ecology e condotto da ricercatori svedesi che hanno analizzato l’impatto sul Pianeta dei consumi di uomini e donne. Ebbene, i primi emettono il 16% in più di gas serra rispetto alle seconde. Ciò è principalmente dovuto al fatto che, a parità di cifra sborsata, la popolazione femminile investe di più in prodotti e servizi a basse emissioni, come assistenza sanitaria, arredamento della casa, abbigliamento, mentre quella maschile spende maggiormente per beni ad alte emissioni, tra cui carburante, alcol, tabacco.
Una prospettiva interessante è anche quella offerta da uno studio pubblicato nel 2024 su Scientific Reports. In questo caso, gli esperti hanno analizzato i dati di oltre 20mila persone in 23 Paesi distribuiti in quattro continenti, rilevando che gli uomini tendono a consumare carne più frequentemente rispetto alle donne, con il maggiore impatto che ne consegue in termini di cambiamento climatico, rischio di pandemia, carenza di acqua pulita, ingiustizia verso gli animali da allevamento. Significativo il fatto che, rispetto a questo trend, facciano eccezione Cina, Indonesia, India. “Nelle culture che offrono maggiore libertà alle donne, la popolazione femminile tende a consumare una quantità ridotta di proteine animali», commenta Christopher J. Hopwood, docente del dipartimento di Psicologia dell’Università di Zurigo, in Svizzera, e coautore della ricerca. “E questo perché nelle nazioni in cui lo sviluppo e l’uguaglianza di genere sono più elevati, potrebbero esserci più opzioni per soddisfare i bisogni nutrizionali senza mettere nel piatto la carne e minori aspettative che le donne si adeguino alle stesse preferenze alimentari degli uomini”.Va anche rilevato che, in generale, l’universo femminile mostra più attenzione alla sostenibilità rispetto a quello maschile. Non a caso, una ricerca?pubblicata sul Journal of corporate finance nel 2022?ha messo in luce che le imprese che hanno più donne ai vertici riducono l’inquinamento del 5% in più circa rispetto a quelle in cui prevalgono manager uomini. Inoltre, le banche con più donne nei consigli di amministrazione tendono a indirizzare una maggiore quantità di fondi verso investimenti sostenibili. E ancora, i Paesi con una rappresentanza femminile più consistente nei Parlamenti hanno più probabilità di ratificare trattati internazionali riguardanti questioni ambientali.
Sono molte, insomma, le analisi che sottolineano che il genere può effettivamente avere un impatto significativo sugli equilibri ecologici. Nonostante ciò, non mancano figure pubbliche che tendono a minimizzare queste evidenze. È il caso di James D. Vance, vicepresidente degli Stati Uniti, o di alcuni influencer, come Andrew Tate, che arrivano perfino ad accusare gli uomini progressisti di essere deboli e poco mascolini.
L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno)
La partecipazione al G&B Festival è gratuita previa registrazione. LEGGI TUTTO