18 Novembre 2024

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    Gladiolo, come coltivarlo per una super fioritura

    In qualsiasi ambiente si trovi il gladiolo infonde eleganza e dona un tocco di colore. Questa pianta è dotata di un’incredibile bellezza, una grande resistenza e presenta dimensioni importanti, tanto da raggiungere anche il metro di altezza. I gladioli, per via della loro forma allungata e affilata, sono noti anche con il nome di spade di gladiatore. Coltivarli in giardino o terrazza è semplice, ma richiede particolari accorgimenti e cure, ripagando tuttavia con grandi soddisfazioni.

    Coltivazione in giardino e in vaso del gladiolo
    I gladioli consentono di abbellire giardini e terrazzi e sono anche piuttosto facili da coltivare. Per quanto riguarda la coltivazione in giardino bisogna in primo luogo preparare il terreno che deve essere ben drenato e privo di sassi e detriti, rimuovendo anche eventuali grumi di terra, per assicurare alla pianta una crescita rigogliosa. Si procede interrando i bulbi con l’estremità appuntita verso l’alto, a una profondità di semina di 10-15 centimetri e distanziandoli di almeno 15 centimetri tra di loro, in modo tale che abbiano tutto lo spazio necessario per espandersi. Le semine possono essere effettuate tra marzo e aprile anche a intervalli di circa 2 settimane per ottenere una fioritura prolungata.

    In merito alla coltivazione in vaso del gladiolo, si tratta anche in questo caso di un’operazione semplice: è necessario ricorrere a un contenitore con del terreno drenato e ricco di sostanze nutritive, ponendo sul fondo dell’argilla espansa e in seguito collocando i bulbi a circa 10 centimetri di profondità. Il periodo migliore per eseguire questa operazione è tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, anche se può essere effettuata durante l’autunno in quelle zone dove il clima è mite. Prima della fioritura, la pianta va concimata ogni 15 giorni. Oltre che ricorrendo ai semi, i gladioli si possono riprodurre tramite i bulbilli presenti alla base del bulbo: questi vengono raccolti nel momento in cui i bulbi sono estratti dal terreno durante la stagione autunnale.

    Gladiolo: l’esposizione giusta e quando piantarlo
    Originari dell’Africa meridionale, i gladioli sono contraddistinti da fiori molto decorativi dalla forma a trombetta. I loro petali sono tubolari e larghi e si trovano in molteplici colori quali azzurro, blu, lilla, giallo oro o bianco, a seconda della varietà. Il gladiolo ama i luoghi soleggiati, essendo abituato a crescere in zone calde, tanto da svilupparsi spontaneamente in Italia lungo le coste del Mezzogiorno. Pertanto, il clima ideale per coltivarlo è asciutto e caldo. Bisogna anche sottolineare come il gladiolo tema il freddo e il vento: il periodo migliore per piantarlo è dopo l’inverno quando le temperature si sono stabilizzate intorno ai 15 gradi e le gelate ormai non possono più fare la loro comparsa, come anche i cambiamenti repentini di temperatura e i venti freddi.

    In merito al luogo in cui posizionare la pianta, per ottenere una fioritura rigogliosa, è importante sceglierne uno soleggiato o di mezz’ombra, evitando punti ombreggiati che potrebbero limitarne la crescita. Altro aspetto da considerare è l’ampiezza dell’area in cui andremo a collocarla, in quanto richiede tanto spazio per crescere. In merito al terreno questo dovrebbe essere fertile, leggermente acido e ben drenato, evitando i ristagni d’acqua, responsabili dell’insorgere di malattie fungine. Questa pianta perenne e bulbosa, appartenente alla famiglia delle Iridaceae, fiorisce a partire da giugno. Per quanto riguarda la raccolta dei fiori del gladiolo deve essere eseguita in estate, quando i fiori si sono sviluppati, ma non sono aperti totalmente, meglio se di primo mattino. I fusti vanno tagliati con delle forbici da giardinaggio oppure un coltello affilato, lasciando delle foglie sulla pianta. I fiori raccolti vanno posti nell’acqua e mantenuti in un luogo ombreggiato, per preservare la loro freschezza e farli durare a lungo.

    Ogni quanto innaffiare la pianta?
    Da quando viene messo a dimora fino all’estate, è necessario dare da bere al gladiolo con regolarità. Questa operazione va eseguita ogni settimana, ma se necessario anche ogni 2 o 3 giorni: è importante, infatti, mantenere sempre il terreno umido. Tuttavia, malgrado la pianta richieda di essere bagnata con costanza, è davvero importante evitare i ristagni idrici responsabili dei marciumi radicali, che possono contribuire alla presenza di muffe e di parassiti. Nel corso dell’inverno, grazie alle piogge soventi, le annaffiature vanno ridotte notevolmente. L’irrigazione può essere interrotta nel momento in cui le foglie diventano appassite durante l’autunno.

    Prendersi cura del gladiolo: altri aspetti da tenere in considerazione
    Nell’ambito della cura del gladiolo, non è necessaria una potatura vera e propria. È importante ricordarsi di tagliare gli steli sfioriti alla base dopo la fioritura della pianta per mantenerla in salute. Dopo l’estate, stagione in cui si sviluppa in modo rigoglioso, le foglie diventano naturalmente secche e gialle con l’autunno: quando foglie e fiori sono totalmente appassiti si possono rimuovere, recuperando i bulbilli da conservare in un luogo e asciutto per poi trapiantarli durante la primavera successiva. Pur essendo resistente, il gladiolo sfiorisce in fretta e, inoltre, è soggetto a malattie fungine, come per esempio il marciume dei cormi e la muffa grigia. Quest’ultima si presenta sulle foglie e fiori con macchie grigie: per rimuoverla bisogna agire sulle parti infette ricorrendo a fungicidi ad hoc. I funghi nel terreno possono portare al marciume dei cormi, dovendo rimuovere quelli colpiti e occupandosi di migliorare il terreno a livello del drenaggio. Per scongiurare questa problematica si possono applicare dei fungicidi sui cormi prima del trapianto. Il gladiolo è soggetto anche all’attacco di parassiti come gli afidi, che succhiano la linfa dei fiori e danneggiano le foglie. Per contrastarli è necessario ricorrere prontamente a trattamenti specifici. LEGGI TUTTO

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    Conifere, una guida per curare pini e abeti

    Il mondo delle conifere raccoglie una vasta quantità di piante che in Italia vivono in alta montagna o sul litorale, dove è presente un clima freddo o mite. Diamo uno sguardo nel dettaglio per conoscere meglio le conifere, i loro nomi e la differenza con le piante latifoglie.

    Che cosa sono le conifere?
    Le conifere sono piante arboree, contraddistinte proprio da foglie dalla forma di un ago e devono il loro nome al fatto che producono pigne, dette anche coni. Questi arbusti sono caratterizzati da una struttura che è in grado di resistere alle temperature rigide, con un fusto alto tra i 20-30 metri con al suo interno resina. I rami delle conifere si innescano nel fusto e, man mano che si va verso l’alto diventano più corti. In questa maniera, si nota la forma a cono, utile proprio per far scivolare facilmente la neve. Le foglie delle conifere sono aghi verdi di lunghezza massima 2 cm e sono distribuite a ciuffi lungo i rami. Come si può ben immaginare, le conifere sono delle piante sempreverdi ovvero che hanno un continuo ricambio degli aghi, così che i rami sono sempre coperti, ad eccezione del larice che è l’unica conifera che perde gli aghi.

    La differenza tra conifere e latifoglie
    Le conifere hanno un tronco cilindrico regolare, slanciato verso l’alto, mentre le latifoglie si presentano anche loro con un tronco cilindrico che in un certo punto si dividere per dare vita a più rami che danno la tipica forma rotondeggiante alla pianta. Un altro aspetto che differenzia le conifere dalle latifoglie riguarda l’altezza: infatti, le prime possono arrivare fino a 20-30 m, mentre le altre riescono addirittura a superare questa soglia diventando molto più maestose.

    L’elenco delle conifere
    Non tutti conoscono le conifere più comuni sul territorio italiano. Ecco allora una lista utile che consente proprio di individuarle e riconoscerle. Tra le varietà più comuni, ne indichiamo qui di seguito:
    · Abete rosso
    · Abete bianco
    · Larice
    · Pino marittimo
    · Pino domestico
    · Pino d’Aleppo
    · Pino silvestre
    · Cedro
    · Tasso
    Conosciamo da vicino alcune delle conifere più diffuse sul nostro territorio che si possono coltivare anche in vaso. In tal caso, è da considerare che la pianta non raggiuge l’altezza massima che arriva ad avere generalmente la conifera.

    1. L’abete rosso
    Quando si parla di abete rosso, in realtà ci riferiamo proprio al classico albero di Natale, caratterizzato da una corteccia tendente per l’appunto alla tonalità del rosso. Questa conifera si presenta con foglie appuntite distribuite densamente sui rami. I coni pendono proprio dai rami e, una volta maturi, cadono a terra interi. È una pianta che raggiunge anche i 45 metri d’altezza e troviamo comunemente tra i 1000 e 2000 metri di quota sulle Alpi e richiede un terreno fertile, leggermente acido, ma ben drenato. Nonostante ciò, il terreno deve essere umido per offrire la giusta umidità alla pianta, ma mai saturo di acqua, giacché in questo modo si rischia il marciume dell’apparato radicale o la comparsa di malattie fungine. In merito all’esposizione, invece, l’abete rosso ama zone soleggiate o parzialmente ombreggiate. Per quanto riguarda i pericoli per questa pianta, oltre ai ristagni idrici già accennati, vi è il bostrico. Questo insetto si presenta come un coleottero che danneggia in maniera pesante la flora boschiva. Anche gli afidi possono attaccare l’abete rosso, specie se è indebolito da annaffiature eccessive. Questi insetti succhiano a livello degli aghi e fanno ingiallire gli aghi vicini al tronco.

    2. Larice
    Un’altra delle piante classificate come conifere è il larice. Le foglie di questa pianta si presentano anch’esse come degli aghi raggruppati sui rami, di un verde chiaro. Come accennato in precedenza, si tratta di una conifera particolare, poiché è l’unica che con il sopraggiungere dell’autunno ingiallisce e resta priva di aghi durante la stagione fredda. Anche questa pianta si trova comunemente sulle Alpi tra i 1000 e 2000 metri, anche se è possibile vederla a 450 metri ed a un massimo di 2600 metri. Il larice, che può raggiungere i 45 metri d’altezza, può essere coltivato in qualunque terreno, anche se apprezza particolarmente quelli sabbiosi o ghiaiosi. L’esposizione preferita è a mezz’ombra, mentre per quanto riguarda l’irrigazione è meglio fare attenzione. Infatti, questa conifera deve essere irrigata moderatamente e più di frequente durante la stagione calda. Il larice è una pianta particolarmente resistente alle malattie, anche se può comunque incorrere in dei problemi. Per esempio, la ruggine del larice causa la perdita delle foglie ed è importante trattare correttamente la pianta per evitare qualunque problema. Anche in tal caso, parassiti e coleotteri rappresentano un pericolo per la pianta, dato che possono indebolire rami e foglie della conifera, portando addirittura alla morte.

    3. Pino marittimo
    Il pino marittimo è una pianta tipica della macchia mediterranea che si presenta con un fusto dritto che raggiunge i 20 metri e una chioma che ricorda vagamente un ombrello rovesciato. A differenza dell’abete, non deve far scivolare la neve, giacché questa pianta vive in climi miti e temperati. Gli aghi di questa pianta sono lunghi e riuniti a due a due. Questa pianta si adatta molto al clima, tanto che riesce a vivere in aree dove le temperature raggiungono i 35°C. Questa conifera tollera bene l’esposizione all’aria salmastra e gradisce il pieno sole. Per quanto riguarda la tipologia di terreno preferita dal pino marittimo, possiamo dire che gradisce suoli poveri ed aridi. Per quanto riguarda l’irrigazione, invece, il pino marittimo non ha particolari problemi: ha bisogno di più acqua con l’arrivo dell’estate e, se si presenta un periodo privo di piogge, è necessario annaffiare una volta alla settimana. Questa conifera, come tutte le altre, può essere attaccata dai parassiti: in particolare, la cocciniglia può attaccare il pino marittimo nella parte della corteccia, succhiando la sua linfa. Inoltre, i pini sono soggetti alla processionaria, ai distruttori di gemme e ai coleotteri. LEGGI TUTTO

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    Pandemie, cosa hanno a che fare gli animali spazzini e il Ginkgo biloba con la diffusione dei virus

    Ginkgo biloba, albero primitivo quasi estinto in natura, il Covid e una serie di carnivori notturni che nelle tenebre si nutrono di carcasse e marciumi di vario genere. Piante, animali e virus sono coinvolti in prima linea nella diffusione delle malattie. È un circolo antico, che risale a un periodo remoto nella storia dell’evoluzione. Un buco nero che poi emerge, in tutta la sua violenza, con le pandemie umane.

    È nella dieta disgustosa di alcuni mammiferi elusivi delle foreste dell’estremo Oriente che oggi viene ricercata l’origine dello spillover, il salto di specie dagli animali agli umani di virus come la SARS e il Covid-19. Una delle portate principali di questi menù sono i semi di Ginkgo o meglio l’involucro carnoso e maleodorante in cui sono avvolti. In termini botanici si chiama sarcotesta ed è un contorno rivoltante per la maggior parte degli animali ma pietanza ricercata per questi mammiferi che poi rilasciano il seme con le feci contribuendo così alla propagazione della specie. Questo menù esclusivo, perché destinato a pochi, nel corso di milioni di anni avrebbe trasformato questi animali in ordigni biologici a orologeria.

    Una tesi affascinante, che invita ad altre domande, proposta sull’ultimo numero della rivista scientifica internazionale Plants, People, Planet da Peter Del Tredici, decano dell’arboreto della Harvard University e uno dei maggiori conoscitori di questo albero leggendario. Gli imputati dello spillover, oltre al Ginkgo, sarebbero la civetta mascherata della palme (Paguma larvata), lontana parente dello zibetto, e il procione asiatico (Nyctereutes procyonoides). Entrambi gli animali sono allevati in Cina sia per la pelliccia che per il consumo di carne ed erano un piatto forte dei wet market, dove si vendevano animali vivi e dove si ritiene sia avvenuto il salto di specie del Covid.

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    Gli allevamenti di animali da pelliccia sono un possibile veicolo di pandemie: lo studio

    di Sandro Iannaccone

    16 Settembre 2024

    Nel 2003 la civetta è stata identificata come ospite intermedio per la trasmissione della SARS mentre il procione è considerato uno tra i possibili vettori animali della diffusione del Covid agli esseri umani nel 2019. In realtà, almeno per il Covid, non è mai stata chiarita del tutto l’origine animale del virus e non è stata ancora esclusa del tutto l’ipotesi della fuga di laboratorio dal Wuhan Institute of Virology, a poco più di dieci chilometri di distanza dal mercato epicentro della pandemia. LEGGI TUTTO

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    La Danimarca verso una carbon tax sugli allevamenti: “Primo paese al mondo”

    Il governo danese ha annunciato un accordo tra i partiti di maggioranza sull’introduzione di una carbon tax sugli allevamenti nel 2030, che sarebbe una prima mondiale, come parte di un piano per rendere l’agricoltura più verde. I partiti di maggioranza in parlamento hanno concordato i dettagli di un accordo per tassare le emissioni di metano, il secondo gas serra più potente nell’atmosfera, causate dalle flatulenze dei bovini e dei suini danesi a partire dal 2030, ha dichiarato il ministro in conferenza stampa.

    “Saremo il primo Paese al mondo a introdurre una carbon tax sull’agricoltura”, ha dichiarato il ministro del Clima Lars Aagaard presentando l’accordo, denominato ‘’Tripartito verde’’. A partire dal 2030, le emissioni di metano provenienti dagli allevamenti saranno tassate con un’aliquota di 300 corone (40,2 euro) per tonnellata di CO2 equivalente, che salirà a 750 corone per tonnellata nel 2035.

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    Incentivi green, gli esperti: “Alcuni sussidi nascondono un rischio per l’ambiente”

    07 Ottobre 2024

    Grazie a una detrazione fiscale del 60%, il costo per gli agricoltori passerà da 120 corone per tonnellata nel 2030 a 300 corone nel 2035. Questa decisione fa parte di un testo più ampio sulla transizione ecologica nell’agricoltura, che dovrebbe ridurre le emissioni di azoto di 13.780 tonnellate all’anno entro il 2027. Un primo accordo di principio è stato raggiunto alla fine di giugno tra il governo e i rappresentanti degli allevatori, dell’industria e dei sindacati. Il testo presentato oggi tra il governo e i quattro partiti di maggioranza deve ancora essere votato in Parlamento.

    In una dichiarazione, i firmatari hanno descritto l’accordo come “il più grande cambiamento del paesaggio danese da oltre 100 anni”. “La natura danese cambierà in un modo che non abbiamo mai visto da quando le zone umide sono state prosciugate nel 1864”, ha dichiarato il ministro responsabile dell’accordo, Jeppe Bruus. Circa il 10% delle terre coltivate sarà restituito alla natura, compresa la piantumazione di 250.000 ettari di foresta, ovvero un miliardo di alberi, l’equivalente di “38 volte il giro del pianeta”, ha dichiarato Bruus.

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    Nei paesi ricchi basterebbe il 13% in meno di carne bovina per ridurre la CO2

    di  Anna Lisa Bonfranceschi

    06 Novembre 2024

    Secondo un rapporto parlamentare, circa il 60% della superficie della Danimarca è attualmente coltivato, il che la rende il Paese con la più grande quota di terra coltivata, insieme al Bangladesh. Secondo il Consiglio danese per l’agricoltura e l’alimentazione, la Danimarca è uno dei principali esportatori di carne suina, che rappresenta quasi la metà delle esportazioni agricole del Paese. LEGGI TUTTO

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    Scuola, un professore o un preside picchiati ogni 2 giorni. L’emergenza delle aggressioni in classe

    ROMA — Il conteggio delle aggressioni nel 2024 a un lavoratore della scuola, un insegnante, un preside, un collaboratore amministrativo, è stato reso pubblico dal ministero dell’Istruzione e del Merito soltanto fino al 29 marzo. Bastano quei numeri, comunque, per comprendere il livello di allarme: 46 violenze in tre mesi. LEGGI TUTTO