15 Novembre 2024

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    Fittonia, come curare la pianta del mosaico

    La fittonia è un genere di pianta erbacea sempreverde che appartiene alla famiglia delle acantacee, al quale appartengono diverse specie che provengono dall’America centro-meridionale e, in modo particolare, delle foreste tropicali di Colombia, Bolivia e Perù. Il nome della pianta è un tributo alle sorelle Elisabeth e Sara Mary Fitton, note per aver scritto il libro “Conversations on Botany”. La fittonia è caratterizzata da foglie dalla colorazione variegata e, soprattutto, con le nervature ben marcate, che contribuiscono a renderla nota anche con l’appellativo di “pianta del mosaico”.

    L’esposizione ideale
    Per far crescere bene la fittonia, ricordiamoci di preferire un luogo in cui ci sia un buon livello di luminosità, ma non il soleggiamento diretto. La pianta si adatta comunque a crescere anche in ambienti in penombra. È per contro importante che sia sistemata in un ambiente costantemente umido. La pianta non tollera invece in alcun modo le correnti d’aria, che possono provocare il danneggiamento delle foglie. Ricordiamoci infine che la fittonia proviene da aree con temperature particolarmente miti. Alle nostre latitudini, dobbiamo coltivarla in casa, avendo cura di mantenere una temperatura minima tra i 18-20 gradi durante l’inverno. In estate, invece, la fittonia privilegia delle temperature comprese tra i 24-28 gradi.

    Il terreno per la coltivazione della fittonia
    Per coltivare la fittonia possiamo preferire un terreno con un buon livello di fertilità, nel quale sia disponibile una piccola quantità di humus o, idealmente, con una parte importante di torba. La pianta non ama tuttavia i ristagni idrici, motivo per il quale dobbiamo prevedere di inserire dei cocci o dell’argilla espansa sul fondo del vaso, per favorire il corretto drenaggio dell’acqua usata per l’innaffiatura. Ricordiamoci di preferire sempre dei vasi non particolarmente profondi: le radici della fittonia si sviluppano infatti nella parte più superficiale del terreno. A causa della caratteristica crescita dal portamento che ricade, la fittonia può essere coltivata in vasi sospesi.

    Innaffiatura, concimazione e come potare
    La fittonia ha bisogno di un’innaffiatura costante, con un apporto di acqua che sia sufficiente a mantenere sempre inumidito il terreno, tanto durante la stagione calda quanto in quella fredda. In estate, è molto importante assicurare un buon tasso di umidità alla pianta, ricorrendo alla nebulizzazione di acqua sulle foglie. Un altro accorgimento utile è quello di sistemare un po’ di ghiaia nel sottovaso e, quindi, lasciare sempre almeno 1-2 dita di acqua, affinché la fittonia possa avere un ambiente con un tasso di umidità ideale. Per la concimazione della fittonia possiamo aggiungere un po’ di fertilizzante liquido all’acqua usata per l’innaffiatura, con una cadenza quindicinale, solo nei mesi tra la primavera e l’estate. In linea di massima, la fittonia non richiede potature specifiche. Ricordiamoci però di rimuovere tutte le foglie secche o che presentano comunque dei segni di danneggiamento: in questo modo, potremo prevenire eventuali attacchi da parte di parassiti.

    Parassiti e malattie
    La fittonia può essere colpita in modo particolare da parassiti come gli afidi, cocciniglie e gli acari. Nel primo caso, ci accorgiamo della loro presenza osservando semplicemente la pianta, poiché presenta delle macchiette bianche, con sfumature tra il giallo e il verde. La fittonia può anche manifestare alcuni sintomi dei più comuni errori colturali. Ad esempio, quando le foglie tendono a scolorirsi e presentano della marcescenza sugli steli, significa che abbiamo esagerato con la quantità di acqua d’irrigazione. Un’altra problematica piuttosto comunque è quella dell’ingiallimento delle foglie e la successiva caduta. In questo caso, significa che la pianta è stata esposta a temperature minime eccessivamente basse, oppure, che la fittonia si trova in un ambiente dove si verificano correnti d’aria. LEGGI TUTTO

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    Piante aromatiche, dal vaso alla cucina per dare sapore ai cibi

    Cimentarsi nella coltivazione delle piante aromatiche perenni non è così difficile, ma è necessario conoscere bene la specie di cui ci si desidera prendere cura. Scopriamo quali sono le piante aromatiche perenni e come comportarci per farle crescere al meglio.

    L’elenco delle piante aromatiche perenni
    Tra le piante più comuni che si possono inserire nel giardino oppure in vaso nel proprio balcone vi sono senz’altro le piante aromatiche perenni. Si tratta di arbusti che riescono a mantenere le foglie durante l’anno intero, anche quando il clima si fa più freddo. È bene prendere alcune accortezze con le piante aromatiche perenni, anche se generalmente si possono coltivare con estrema facilità in giardino e in vaso.
    Ecco l’elenco delle piante aromatiche perenni:
    · Origano
    · Salvia
    · Rosmarino
    · Alloro
    · Menta
    · Anice
    · Ginepro
    · Dragoncello
    · Santoreggia
    Qui di seguito parliamo delle piante aromatiche perenni che si trovano comunemente nei vivai e si possono coltivare in pieno sole, ma in posizione riparata.

    1. Origano
    Quando si parla di questa pianta aromatica perenne non si può fare a meno di menzionarla per condire la pizza, la salsa di pomodoro oppure la carne. Questa pianta si presenta come un piccolo arbusto con foglie piccoline e fiori di colore rosa. Esistono diverse varietà di origano che si possono acquistare nei vivai: per esempio, quella variegata con foglie bianche e verdi, ma anche l’origano aureo che ha foglie verde chiaro e germogli gialli. Questa pianta ama l’esposizione al sole, ma con il sopraggiungere del caldo più intenso è meglio ripararla, giacché i raggi solari diretti potrebbero danneggiarla. Per quanto riguarda il terriccio, invece, deve essere drenante: l’origano non ama i ristagni idrici che potrebbero addirittura portare alla sua morte. Va comunque annaffiato 2-3 volte a settimana in estate e una sola volta durante la primavera e autunno. La raccolta delle foglie di origano si può eseguire in qualunque momento dell’anno, prendendo le foglie oppure tagliando lo stelo intero una volta che ha terminato la fioritura. Dopodiché si può far essiccare al buio e all’asciutto ed utilizzare come pianta aromatica in cucina. L’origano può essere attaccato da alcuni parassiti come gli afidi che succhiano la ninfa danneggiando le foglie oppure le cicaline che fanno seccare e cadere le foglie.

    2. Salvia
    La salvia è un’altra pianta aromatica perenne ramificata che produce foglie che sono utilizzate per tante ricette. Basta pensare ai piatti con la selvaggina oppure a un classico come la pasta burro e salvia. È una pianta che ama essere collocata al sole oppure mezz’ombra, in grado di resistere al freddo e al caldo. Non va mai messa in prossimità di una piantina di rosmarino: le due piante non amano stare vicine. La salvia officinalis richiede annaffiature non abbondanti, considerando che è una specie che riesce a sopravvivere anche ai periodi di siccità. Va comunque detto che, anche in questo caso, è necessario offrire alla pianta un terreno drenante, poiché non sopporta i ristagni d’acqua. Anche in questo caso si può effettuare la raccolta delle foglie quando si vuole, considerando che prima della fioritura le foglie hanno un profumo più intenso. Le foglie si possono usare fresche oppure secche. Anche se è una pianta robusta, a volte i parassiti come cimici, acari o tripidi possono attaccarla. È importante essere tempestivi e trattare la salvia con il prodotto giusto.

    3. Rosmarino
    Un’altra pianta aromatica sempreverde molto comune nei giardini e nei balconi è il rosmarino. Si tratta di un arbusto a portamento cespuglioso che consente di avere tutto l’anno degli aghi profumati da utilizzare per condire le patate o, perché no, impreziosire la pizza o piatti a base di carne. Si può utilizzare fresco oppure lasciarlo essiccare. Per un’ottima coltivazione del rosmarino è importante selezionare un terreno drenante e una posizione soleggiata. Il rosmarino è una pianta che apprezza essere coltivata sia in vaso sia nel giardino: l’importante è offrire un habitat accogliente per la sua crescita. Questa pianta ama i climi caldi e riesce a sfruttare l’umidità nell’aria; di conseguenza, non è necessario irrigare troppo, ma solo quando si presentano le giornate più calde. Come nel caso delle altre piante aromatiche perenni, anche il rosmarino può essere colto quando lo si desidera. Basta tagliare le cime dei rami della pianta, anche durante la fioritura, e si potrà sfruttare per condire i propri piatti. Grazie alla raccolta, si riuscirà stimolare la crescita di nuovi getti. La pianta, purtroppo, può incorrere in avversità come l’ingiallimento delle foglie, dovuto alla scelta del luogo sbagliato oppure mancanza d’acqua. Gli acari o afidi possono attaccare la pianta, anche se generalmente si tratta di un arbusto resistente a questo tipo di parassiti. LEGGI TUTTO

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    Il denim diventa compostabile. “I nostri jeans stretch biodegradabili in 6 mesi”

    “Sareste pronti a mangiare i vostri jeans?” È la provocazione lanciata ai Green Carpet Fashion Awards 2024 di Los Angeles dalla supermodella Amber Valletta mentre agli ospiti veniva servito un piatto di pasta con pomodori coltivati grazie a un fertilizzante speciale: il compost ottenuto dai residui di un denim compostabile. Un’immagine forte, che ha fatto il giro del mondo, per raccontare un legame inedito tra moda e sostenibilità agricola, un futuro dove l’economia circolare non è solo un’idea, ma una realtà concreta.

    “Perché innovazioni tanto rivoluzionarie vengano comprese, è necessaria una comunicazione incisiva e disruptive, capace di tradurre innovazioni complesse in messaggi chiari e immediati” spiega Simon Giuliani, Direttore Marketing dell’azienda e massimo esperto di sostenibilità manifatturiera nel fashion. È questo l’approccio di Candiani Denim, storica azienda italiana a Robecchetto con Induno, paesino di 5 mila anime alle porte di Milano, l’ultimo grande produttore verticale di denim in Europa, che ha posto le basi per un domani in cui i jeans non solo non inquinano, ma arricchiscono il suolo, in cui il denim non solo veste, ma rispetta l’ambiente. Quel futuro si chiama Coreva, il primo denim stretch compostabile e biodegradabile, un tessuto destinato a cambiare le regole del gioco. Fondata nel 1938 Candiani Denim è cresciuta a stretto contatto con la comunità e il territorio in cui insiste, che nel 1974 è stato dichiarato area naturale protetta del Parco del Ticino.

    L’iniziativa

    Il sistema moda lancia l’allarme: “Sulla sostenibilità siamo in ritardo di 8 anni”

    di Vittorio Emanuele Orlando

    25 Ottobre 2024

    “La famiglia Candiani ha intrapreso un percorso di investimenti per reingegnerizzare il processo produttivo, adottando il principio delle “3 R” — Ridurre, Riusare e Riciclare — per minimizzare sprechi e costi. Questo impegno ha portato alla creazione di un modello virtuoso e innovativo. Con l’arrivo della quarta generazione, l’attenzione si è spostata sull’intera filiera: scelta del cotone, sviluppo del cotone rigenerativo e implementazione di tecnologie e processi sostenibili, con un focus sulle materie prime e sulle tecniche agricole rispettose dell’ambiente”. LEGGI TUTTO

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    Ue, rinviata la legge contro la deforestazione: cosa c’è da sapere

    L’Europa si spacca sul “no” alla deforestazione. La plenaria del Parlamento europeo ha adottato con 371 voti a favore, 240 contrari e 30 astenuti la proposta di rinvio di un anno dell’attuazione della legge, con alcune modifiche al testo proposte dal gruppo Ppe, tra cui la richiesta di aggiungere una categoria di ‘’Paesi a rischio zero’’ a cui garantire requisiti semplificati. Una categoria che – denunciano le associazioni ambientaliste, Wwf in primis – “aprirebbe la porta ad abusi di vasta portata”.

    Proprio in queste ore la Commissione europea sta analizzando gli emendamenti “prima di prendere una posizione ufficiale”, come chiarito dal portavoce della Commissione Ue Adalbert Jahnz. A votare a favore del rinvio dell’attuazione della legge contro la deforestazione, con alcune modifiche al testo proposte dal gruppo Ppe, i Popolari, dei Conservatori, dei Patrioti e dell’ultra destra dell’Europa delle Nazioni Sovrane. Compatte le delegazioni italiane: favorevoli al rinvio Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia in linea con Ecr, Patrioti e Ppe; contrari gli eurodeputati del Pd, dei Verdi e delle Sinistre dell’Unione europea.

    Ma in cosa consiste la legge contro la deforestazione, che entrerà in funzione il 30 dicembre 2025 per le grandi aziende, e il 30 giugno 2026 per le Pmi? E quali sono i nodi cruciali sui quali la politica non ha una visione concorde?

    Perché è importante interrompere i processi di deforestazione?
    Per il contrasto al cambiamento climatico e per la protezione e il ripristino della biodiversità. Secondo una stima dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), tra il 1990 e il 2020, 420 milioni di ettari di foreste – un’area più grande dell’intera estensione dell’Unione Europea — sarebbero stati convertiti da foreste in terreni per uso agricolo. I consumi dell’UE sono responsabili di circa il 10% di questa deforestazione globale. Olio di palma e soia sono responsabili per oltre due terzi della deforestazione.

    In particolare, l’Unione Europea sarebbe responsabile del 10% della deforestazione mondiale: una mancata entrata in vigore del regolamento si tradurrebbe – secondo le stime – a una deforestazione annua di 284 mila ettari di deforestazione, per un totale di 32 milioni di tonnellate annue, secondo le stime di TDi Sustainability.

    In cosa consiste il regolamento europeo contro la deforestazione?
    La normativa, che prende le mosse dall’esigenza di contrastare i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità, impone alle imprese di garantire che i prodotti venduti nell’UE non siano all’origine di deforestazione. Il Parlamento europeo aveva approvato in via definitiva una legge che prevede che le aziende potranno vendere nell’UE solo i prodotti il cui fornitore abbia rilasciato una dichiarazione di “diligenza dovuta” (due diligence, in inglese) che attesti che il prodotto non proviene da terreni deforestati e non abbia contribuito al degrado di foreste, comprese le foreste primarie insostituibili, dopo il 31 dicembre 2020. Le imprese dovranno inoltre verificare che tali prodotti siano conformi alla legislazione pertinente del paese di produzione, anche in materia di diritti umani, e che i diritti delle popolazioni indigene interessate siano stati rispettati.

    Quali sono le principali cause della deforestazione?
    Secondo le stime del Wwf, quasi il 90% della deforestazione, soprattutto nelle zone tropicali e subtropicali ricche di biodiversità, è causata dai nostri consumi: l’Unione europea è il secondo maggiore “importatore” di deforestazione tropicale al mondo dopo la Cina, l’Italia è il secondo maggiore consumatore di materie prime a rischio di distruzione di natura, essendo responsabile – secondo il Wwf – della deforestazione di quasi 36.000 ettari all’anno. Ogni italiano con i propri consumi alimentari è responsabile della deforestazione di 6 metri quadrati l’anno.

    Quali sono i prodotti interessati dalla nuova normativa?
    Si tratta di una pluralità molto eterogenea di prodotti. Sono citati, per esempio, capi di bestiame, cacao, caffè, olio di palma, soia e legno, ma anche tutti i prodotti che contengono, sono stati alimentati con o sono stati prodotti utilizzando questi prodotti (ad esempio cuoio, cioccolato e mobili), come da proposta originale della Commissione. Durante i negoziati, i deputati sono riusciti a far includere anche gomma, carbone di legna, prodotti di carta stampata e a diversi derivati dell’olio di palma. Entro due anni dall’entrata in vigore del regolamento si valuterà l’eventuale inclusione del granturco e dei biocarburanti nell’ambito di applicazione, l’estensione di quest’ultimo ad altri ecosistemi naturali e se sia necessario imporre obblighi specifici agli istituti finanziari.

    Come avverranno i controlli?
    Il regolamento prevede che la Commissione classifichi i singoli paesi, o parti di essi, come a basso rischio, rischio standard o alto rischio sulla base di una valutazione obiettiva e trasparente entro 18 mesi dall’entrata in vigore del nuovo regolamento. Per i prodotti provenienti da paesi a basso rischio è prevista una procedura di diligenza dovuta semplificata. La percentuale dei controlli sugli operatori è in funzione del livello di rischio del paese: 9% per i paesi ad alto rischio, 3% per i paesi a rischio standard e 1% per i paesi a basso rischio. Le autorità competenti dell’UE avranno accesso alle informazioni fornite dalle società, come ad esempio le coordinate di geolocalizzazione. Effettueranno inoltre controlli con strumenti di monitoraggio via satellite e analisi del DNA per verificare la provenienza dei prodotti.

    Quali sanzioni sono previste a chi viola il regolamento?
    Le sanzioni in caso di violazione delle nuove regole prevedono un’ammenda massima pari ad almeno il 4% del fatturato annuo totale nell’UE dell’operatore o commerciante.

    Perché non si trova unanimità sul percorso della legge?
    C’è chi ritiene che i 18 mesi dalla sua approvazione non siano un periodo sufficiente affinché l’industria si prepari al tracciamento della filiera. Si è anche fatta larga una polemica sulle linee guida, con accuse alla commissione di una pubblicazione tardiva, avvenuta solo il 2 ottobre, vale a dire nel terzultimo dei 18 mesi date a Stati e aziende per prepararsi. Va tuttavia specificato che non sono poche le realtà che avrebbero già provveduto ad adottare gli investimenti necessari a tracciare la filiera per adeguarla alle nuove normative, ostacolando dunque i processi di deforestazione.

    Quale era stato sin qui l’iter della legge?
    Nell’ottobre 2020 il Parlamento aveva chiesto alla Commissione di presentare una proposta legislativa per porre fine alla deforestazione globale causata dall’UE. L’accordo con i paesi dell’UE sulla nuova legge era stato raggiunto il 6 dicembre 2022. In questi giorni sulle modifiche al testo proposte dal gruppo Ppe si è spaccata la maggioranza. Ora i colegislatori – Parlamento e Consiglio – hanno tempo fino alla fine di dicembre per trovare un accordo sulle modifiche. Senza un accordo, il regolamento dovrà essere attuato a partire dal 2025, come inizialmente previsto. La Commissione europea ha preso tempo per analizzare gli emendamenti adottati prima di adottare una posizione ufficiale. LEGGI TUTTO

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    Nel 2023 spesi 78,7 miliardi di euro in sussidi ambientalmente dannosi

    “Nel 2023, nonostante il calo delle risorse dedicate all’emergenza energetica, il Paese ha speso 78,7 miliardi di euro in sussidi ambientalmente dannosi (Sad) destinati ad attività, opere e progetti connessi, direttamente e indirettamente, alle fossili. Una somma pari al 3,8% del Pil nazionale. Una spesa, negli ultimi 13 anni, costata all’Italia 383,4 miliardi di euro”. Questa la fotografia scattata da Legambiente, mentre è in corso la Cop 29 a Baku, con la XIII edizione del report Stop sussidi ambientalmente dannosi.

    Tra i settori più interessati, “al primo posto si conferma quello energetico: 43,3 miliardi di euro, con una crescita rispetto all’anno precedente della componente non emergenziale (da 8 a 10 miliardi di euro). Segue il settore dei trasporti (2,1 miliardi di euro), di cui le voci più critiche rimangono il differente trattamento fiscale tra benzina e gasolio (3,1 miliardi di euro) e Gpl e metano (3,6 miliardi di euro) e le agevolazioni fiscali per auto aziendali (1,2 miliardi di euro); il settore edilizia (18 miliardi di euro, un aumento di un miliardo rispetto al 2022); quello agricolo (3,2 miliardi di euro) e canoni, concessioni e rifiuti (1,6 miliardi di euro)”.

    “A pesare la voce dei sussidi emergenziali: nel 2023 elargiti 33 miliardi per il settore energetico (per complessivi 50 interventi) e 374 milioni di euro per il settore trasporti; per un totale di 84 miliardi in due anni che, se investiti per solo un quarto (20 miliardi) in rinnovabili, avrebbero portato a circa 13,3 GW di nuova potenza installata e una produzione di 30 TWh di energia pulita; pari al fabbisogno di 12 milioni di famiglie e la metà del fabbisogno elettrico domestico italiano, con un risparmio annuo di 4 miliardi di metri cubi di gas”, spiega Legambiente.

    Economia e ambiente

    Incentivi green, gli esperti: “Alcuni sussidi nascondono un rischio per l’ambiente”

    07 Ottobre 2024

    Analizzando 119 voci di sussidi, l’associazione ambientalista stima che “25,9 miliardi di euro dei 78,7 spesi nel 2023 possono essere eliminati e rimodulati entro il 2030; lanciando l’appello al governo Meloni di sfruttare l’occasione della Legge di Bilancio 2025 per intervenire subito almeno sui sussidi eliminabili subito, come quelli legati alle trivellazioni, il Capacity Market e alle caldaie a gas”.

    “Altra priorità è l’aggiornamento del Catalogo dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (Sad) e Favorevoli (Saf), che per obbligo di legge dovrebbe aggiornare ogni anno, ma fermo da almeno due con dati riferiti al 2021, quantificando la spesa per i 16 sussidi su cui ad oggi non si hanno informazioni e aggiungendo quelli mancanti (tra cui Capacity Market) pari a 17,1 miliardi di euro; altra priorità per l’esecutivo è una puntuale valutazione nello Pniec visto che, a fronte dei 78,7 miliardi di sussidi censiti da Legambiente, solo il 2,5% (1,97 miliardi) sono identificati ‘da valutare per riforme'”, avverte l’associazione.

    “In piena Cop 29 e durante la discussione parlamentare della Legge di Bilancio 2025, il governo Meloni imbocchi la strada giusta – dichiara Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – con un impegno serio sul clima e una giusta e rapida transizione energetica verso un futuro libero dalle fossili; smettendo di finanziare un modello energetico sbagliato, basato su gas, carbone e petrolio e di puntare su rigassificatori, Cattura e Stoccaggio del Carbonio (Ccs) e il nucleare facendo gli interessi delle lobby del fossile. Non è vero, come ha dichiarato la premier alla Cop29, che non c’è alternativa, questa esiste già. Dirotti al più presto risorse nella direzione dell’innovazione, dell’efficienza energetica, sulle reti, sugli accumuli e rinnovabili, semplificando i processi autorizzativi, con l’obiettivo del 91% di copertura delle fonti rinnovabili nel settore elettrico entro il 2030 e del 100% entro il 2035”.

    Clima

    Useremo sempre più aria condizionata e questo aumenterà le disuguaglianze sociali

    16 Settembre 2024

    “Il governo, vista anche l’ultima manovra di bilancio in cui ha dichiarato la scarsità delle risorse disponibili, deve necessariamente intraprendere una strada di misure strutturali che vadano nella direzione di aiuto e supporto a famiglie, imprese e allo stesso sistema Paese – aggiunge Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente – Dopo due anni, non è più giustificabile continuare a spendere miliardi di euro in misure della durata di pochi mesi, quando esistono soluzioni e tecnologie in grado di trasformare l’emergenza in occasione di innovazione, sostegno, sicurezza e indipendenza energetica. I sussidi ambientalmente dannosi, tra quelli eliminabili e quelli rimodulabili, rappresentano risorse economiche importanti che il Paese dovrebbe saper sfruttare meglio e in linea con le emergenze che stiamo vivendo: climatica, energetica e sociale”.

    Oltre al piano per la rimodulazione e cancellazione di tutti i Sad entro il 2030, l’aggiornamento annuale del Catalogo dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (Sad) e Favorevoli (Saf) e una Riforma degli oneri di sistema in bolletta, Legambiente chiede al governo di: “Riformare le accise e le tasse sui diversi combustibili fossili in modo che il costo finale medio annuale sia progressivamente proporzionale alle emissioni di gas serra (CO2eq) generate nella loro combustione e cancellare le esenzioni e/o detrazioni concesse sino ad ora, trasformandole in incentivi per interventi di efficienza o uso di fonti rinnovabili; reperire, per il periodo 2023-2025, attraverso il taglio dei sussidi alle fossili, almeno 4,7 miliardi l’anno per l’aiuto ai Paesi poveri per far fronte all’impegno collettivo di 100 miliardi dei Paesi industrializzati stabilito dall’Accordo di Parigi; mettere in sicurezza energetica il Paese, con misure strutturali e investendo su soluzioni e tecnologie sostenibili di sostegno per famiglie e imprese per i prossimi 20/25 anni; riformare il sistema incentivante per il settore edilizio, dirottando i sussidi su incentivi per la decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento, per l’efficienza energetica e l’autoconsumo, supportando famiglie (specie quelle a basso reddito) e imprese”. LEGGI TUTTO

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    L’Italia perde 2,8 miliardi di euro all’anno per frane e alluvioni

    Il cambiamento climatico costa caro, soprattutto nell’Europa mediterranea e in Italia. Il prezzo da pagare si calcola innanzitutto in vite umane, ma anche in miliardi di euro. Secondo quanto emerge dal nuovo rapporto di Greenpeace Italia “Quanto costa all’Italia la crisi climatica?”, dal 2013 al 2020 le Regioni italiane hanno avuto 22,6 miliardi di danni causati da frane e alluvioni – gli unici rischi ambientali legati agli eventi climatici estremi per cui esistono dati in Italia -, per una media di circa 2,8 miliardi di euro l’anno. La Regione che ha registrato più danni nel periodo di tempo preso in considerazione è stata l’Emilia-Romagna, seguita da Veneto, Campania, Toscana e Liguria.

    Il report

    Cambiamenti climatici: mai così forte l’impatto sulla salute globale

    di  Simone Valesini

    30 Ottobre 2024

    Come spiega nel rapporto Alessandro Trigila di Ispra, oltre alla naturale propensione del nostro territorio al dissesto ambientale (legata alle sue caratteristiche morfologiche, geologiche, geografiche e sismiche), si aggiunge il fatto che l’Italia è un Paese fortemente antropizzato. Il risultato è che, secondo i dati raccolti da Ispra, il 93,9% dei comuni italiani comprende aree soggette al dissesto idrogeologico. Oggi 1,3 milioni di abitanti vivono in zone a rischio frane, mentre 6,8 milioni risultano minacciati dalle alluvioni, ed entrambi i fenomeni sono aggravati dai cambiamenti climatici.

    “La nostra analisi dimostra che sono le persone comuni a subire le conseguenze più pesanti della crisi climatica: talvolta con la vita o con la perdita di persone care, ma anche con la perdita di case, ricordi, legami con la propria terra e con danni economici tali da compromettere qualsiasi prospettiva futura”, dichiara Federico Spadini della campagna Clima di Greenpeace Italia. “A pagare il prezzo della crisi climatica dovrebbero invece essere i veri responsabili: il governo italiano, che fa di tutto per ostacolare la transizione ecologica di cui abbiamo urgente bisogno, e le grandi aziende del petrolio e del gas, come Eni, che continuano ad alimentare il disastro climatico con le loro emissioni fuori controllo”.

    La crisi

    Riscaldamento globale, in quali regioni del pianeta il cambiamento climatico sta uccidendo

    di  Giacomo Talignani

    31 Ottobre 2024

    La situazione è resa ancora più critica dal fatto che i fondi pubblici messi a disposizione per far fronte a queste emergenze, di Greenpeace, “sono assolutamente insufficienti: dal 2013 al 2020, sono stati trasferiti alle Regioni per risanare il territorio 2,3 miliardi di euro, pari solamente al 10% dei danni causati da alluvioni e frane messe insieme. Anche sommando a questa cifra il contributo arrivato al nostro Paese dal Fondo di Solidarietà Europeo, le misure di compensazione economica arrivano solo 2,8 miliardi in otto anni”.

    “Lo stesso – dice ancora l’organizzazione – vale per il denaro speso in opere di prevenzione: dal 2013 al 2020, sono stati investiti in prevenzione 4,5 miliardi di euro, una cifra in crescita ma non ancora sufficiente per coprire i bisogni del Paese. Intanto, anche le assicurazioni contro gli eventi estremi restano una rarità: nel 2024, l’83,8% delle polizze esistenti non prevede ancora alcuna estensione per il rischio di catastrofi naturali e solo il 10% permette di assicurarsi contro il rischio di alluvione”. LEGGI TUTTO

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    Ondate di calore, siccità, incendi e alluvioni: perché è colpa del cambiamento climatico

    Il cambiamento climatico c’entra, eccome. Perché il rapporto causa-effetto sugli eventi meteorologici estremi che interessano il Pianeta, e non risparmiano il nostro Paese, è a prova di negazionisti. Dalle ondate di calore che rendono invivibili le metropoli d’estate alla siccità, le cui conseguenze – in primis in Sicilia – sono diventate una priorità, fino alle alluvioni, con un conto salatissimo in termini di vite umane, come a Valencia: la comunità scientifica non ha alcun dubbio sui motivi alla base dell’intensificarsi, per frequenza e consistenza, di fenomeni climatici avversi. Per certificarli è attiva la World Weather Attribution (WWA), una collaborazione accademica nata proprio per calcolare l’impatto del cambiamento climatico su eventi meteorologici estremi: i suoi studi ‘fotografano’ la situazione attuale, auspicando una consistente riduzione delle emissioni, condizione essenziale per contrastare il climate change.

    Come si forma una “cupola di calore”  LEGGI TUTTO