Agosto 2024

Monthly Archives

consigliato per te

  • in

    Plumbago: coltivazione, cura, potatura e consigli

    Opera d’arte della natura che ammalia con la sua cascata di fiori azzurri, il plumbago è molto apprezzato per la sua bellezza spettacolare e la coltivazione semplice, che lo rende alla portata anche di chi è alle prime armi con il giardinaggio. Si tratta di una pianta ornamentale, appartenente alla famiglia delle Plumbaginaceae, che può presentare un portamento cespuglioso o rampicante, dalla resistenza notevole, caratteristica racchiusa nella sua denominazione di “fiore di piombo”.

    Chiamata anche gelsomino azzurro, piombaggine e geranio azzurro, a fronte della somiglianza dei suoi fiori con i gerani, è una pianta tropicale originaria del Sudafrica e delle zone subtropicali e si adatta anche a climi mediterranei, resistendo alla siccità e alle diverse condizioni del suolo. In Italia la varietà più diffusa è quella del plumbago auriculata. Il plumbago è molto versatile: può essere usato come ricadente oppure rampicante e coltivato sia in giardino, che in vaso.

    Plumbago, una nuvola azzurra: le caratteristiche
    Dallo sviluppo vigoroso, il plumbago può raggiungere anche i 3 metri di altezza. Questa meravigliosa pianta sempreverde viene impiegata per abbellire pergolati, muretti, staccionate, pareti imponenti, verande e ringhiere, oltre a essere coltivata in vaso impreziosendo balconi e angoli verdi. Si tratta di una pianta perenne che cresce e fiorisce per più di due anni: gode di una fioritura abbondante e longeva, che dura per tutta l’estate e dove il clima è mite talvolta fino all’autunno.

    La pianta presenta rami sottili, flessibili, lunghi e grappoli fitti. I suoi fiori sono simili a quelli del phlox e dei gerani e fioriscono dalla primavera e alla fine dell’autunno: riuniti in infiorescenze tondeggianti a forma di spiga, sono tinti da splendide tonalità dell’azzurro, che virano anche al lilla. In alcuni esemplari i fiori si possono trovare rossi, nel caso della variante del plumbago indica, rosati, nel plumbago europaea, oppure bianchi.

    Dove posizionare il plumbago?
    Se si desidera impreziosire il proprio giardino oppure il balcone con il plumbago, innanzitutto, bisogna considerare la posizione dove collocarlo. È necessario porre la pianta in un luogo soleggiato oppure semi ombreggiato, assicurandosi che riceva giornalmente almeno 6 ore di luce solare e che sia al riparo dai venti freddi. Altro elemento da considerare è il terreno: il plumbago richiede un substrato ben drenato, dotato di materia organica e leggermente acido, seppur riesca a crescere anche in terreni sabbiosi e argillosi. La pianta si adatta anche al clima mediterraneo e tollera la siccità e la salsedine. Bisogna tenere in conto che, pur resistendo alle temperature rigide, con il gelo potrebbe perdere le sue foglie per poi recuperare il suo aspetto rigoglioso con la primavera. Proprio per questo, se è coltivata in vaso, durante la stagione invernale è indicato spostarla in un luogo riparato, visto che soffre sotto i 5 gradi.

    Plumbago e la coltivazione, cosa sapere
    La coltivazione del plumbago è semplice, può essere effettuata in giardino oppure in vaso e il suo periodo di semina coincide con la primavera. Per quanto riguarda la coltivazione in vaso è necessario dotarsi di un contenitore grande e profondo e con fori di drenaggio adeguati, riempiendolo con un terreno ben drenato e leggero. Prima di piantare i semi, questi vanno messi in ammollo nell’acqua per rendere il loro rivestimento più morbido. In seguito si pongono nel terreno a una profondità di 0,5 cm e a distanza di circa 75-100 cm l’uno dall’altro. La temperatura ideale per la germinazione è tra i 20 e i 25 gradi e di solito avviene tra le 2 e le 4 settimane.

    Quando le piantine sono germogliate, se si desidera spostarle in una collocazione definitiva, vanno trapiantate prima in vasi singoli e dopo in piena terra. Nel corso del processo di crescita, la pianta va fertilizzata in modo costante per far sì che il terriccio sia sempre umido, evitando però i ristagni d’acqua che potrebbero portare al marcire delle radici.

    In merito alla moltiplicazione per talea, il processo è semplice: basta ricorrere a un rametto di 10 centimetri della pianta madre (togliendo le foglie inferiori), da posizionare in un vaso con del terriccio umido. Quando la talea ha radicato si trapianta in un vaso di dimensioni più grandi e dopo in piena terra.

    Plumbago: potatura e innaffiatura
    Nel corso della sua fioritura, il plumbago necessita di essere irrigato con regolarità. Malgrado sia resistente alla siccità, quando fa molto caldo bisogna sempre assicurarsi che il terreno sia umido. Tra un’innafiattura e l’altra è importante che non diventi mai completamente asciutto. Se da aprile a ottobre l’innaffiatura deve essere costante, e può essere necessaria anche ogni giorno durante l’estate, in inverno bisogna limitarsi solo a mantenere il terriccio umido.

    Il plumbago è una pianta che cresce in modo rapido e disordinato: se non si controlla, può diventare invasiva e, pertanto, bisogna potarla in modo regolare per mantenere la forma desiderata, un aspetto compatto e la fioritura rigogliosa. Questo processo va ripetuto nel periodo della nuova crescita, quando incomincia la primavera e al termine della stagione invernale. Durante le operazioni di potatura, è importante ricordarsi di eliminare i fiori appassiti e i rami danneggiati, oppure vecchi, e intervenire su quelli eccessivamente lunghi, accorciandoli per permettere la fioritura dei germogli nuovi.

    Plumbago: altri consigli per prendersene cura
    Pur essendo molto resistente, il Plumbago non è esente dall’attacco di parassiti come cocciniglie, acari e afidi. Pertanto, deve essere monitorato regolarmente, intervenendo subito con prodotti specifici qualora presentasse dei problemi. Un’esposizione troppo prolungata al sole, unita alle temperature elevate, spesso comporta l’attacco da parte dei ragnetti rossi.

    Inoltre, la pianta è colpita da malattie fungine come l’oidio e la muffa grigia: per prevenirle bisogna assicurare una corretta circolazione dell’aria e annaffiare la sua base, evitando le foglie. Nell’ambito della sua manutenzione è fondamentale che il terreno sia sempre irrigato, evitando però i ristagni d’acqua, che potrebbero causare problemi: per esempio, se l’acqua nel sottovaso è in eccesso, la pianta potrebbe ammalarsi di oidio. LEGGI TUTTO

  • in

    Al via i bonus per impianti fotovoltaici delle aziende agricole

    Al via il nuovo bonus per rendere sempre più green i processi di produzione in agricoltura. Nell’ambito della misura “Parco Agrisolare”, finanziata con i fondi del PNRR, arriva infatti un nuovo bando da 250 milioni di euro con contributo a fondo perduto per l’istallazione di impianti fotovoltaici sui fabbricati aziendali a scopo di autoconsumo.

    Il bonus è riservato alle aziende che si trovano nelle regioni del Mezzogiorno, ossia Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Le domande di partecipazione al bando potranno essere presentare dal 16 settembre prossimo sul sito del Gse.

    Le imprese interessate
    I finanziamenti sono riconosciuti alle imprese del settore agricolo primario, ossia quelle di coltivazione di cereali, barbabietola da zucchero, aziende vitivinicole, frutticole, orticole e di floricoltura, nonché agli allevamenti. Possono partecipare gli imprenditori agricoli, sia singolarmente che in forma societaria, le imprese agroindustriali, e le cooperative agricole. La misura “Parco Agrisolare” prevede l’installazione entro il 2030 di 80 GW di produzione elettrica rinnovabile di cui circa 50 provenienti dal fotovoltaico. A fine 2023 risultavano installati impianti per la produzione di circa 30 Gigawatt, e di cui il 10% realizzati proprio dalle imprese del settore agricolo primario. D’altra parte per queste imprese i costi energetici rappresentano in media il 20% dei costi variabili, di qui l’interesse per questa tipologia di finanziamenti.

    A giugno scorso, infatti, erano già stati assegnati circa 1,5 miliardi di euro con i precedenti bandi, che hanno interessato più di 15.000 imprese agricole e di trasformazione. Entro giugno 2026, poi, è attesa una produzione di 1,3 GW di nuova potenza derivante proprio dagli interventi del Parco Agrisolare.

    Finanziamenti fino all’80% della spesa
    Il bando punta alla realizzazione di nuovi impianti senza consumo del suolo, dal momento che potranno essere finanziati esclusivamente quelli installati sulle coperture dei fabbricati agricoli. Sarà possibile installare pannelli fotovoltaici con una potenza di picco non inferiore a 6 kWp e non superiore a 1000 kWp. Il bonus è costituito da un contributo a fondo perduto potrà raggiungere l’80% delle spese ammissibili con una spesa massima per beneficiario fissata a 2,33 milioni di euro. Nell’elenco delle voci ammesse, oltre al costo dei pannelli e alla copertura delle spese per la progettazione, la realizzazione, l’installazione del nuovo impianto, e il suo monitoraggio, rientrano anche quelle per l’acquisto delle batterie di accumulo e di colonnine di ricarica per la mobilità elettrica.

    Ammessi al finanziamento anche interventi di tipo edilizio come l’eliminazione di eventuali coperture in amianto e realizzazione di sistemi di aerazione e isolamento termico dei tetti, anche finalizzati al benessere animale.

    Sì all’autoconsumo condiviso
    Il bando è finalizzato alla realizzazione degli impianti destinati all’autoconsumo ma sarà possibile anche adottare soluzioni di autoconsumo condiviso. In questo caso le imprese potranno partecipare in forma aggregata, ossia sotto forma di associazioni temporanee di imprese (A.T.I.), raggruppamenti temporanei di impresa (R.T.I), reti d’impresa. Ammesse anche le comunità energetiche rinnovabili (CER).

    Domande e termini
    Le domande dovranno essere presentate sul portale del GSE dalle ore 12 del 16 settembre 2024 fino alle ore 12 del 14 ottobre 2024. Le pratiche saranno concluse entro la fine dell’anno con l’obiettivo di assegnare l’intera dotazione finanziaria prevista entro il 2024, come da scadenza europea. LEGGI TUTTO

  • in

    Da Ikea a eBay, quando i prodotti di seconda mano aiutano l’ambiente

    Riusare e rivendere anziché produrre da zero. Non solo vestiti, ma anche oggetti e mobili: un trend che continua a crescere e che dopo aziende come Decathlon ora vede scendere in prima linea anche Ikea, colosso che ha appena lanciato il suo progetto Preowned (che partirà prima in Spagna e Norvegia, poi anche in Italia) per vendere mobili usati o prodotti che non ci servono più.
    Oltre al business, che impatto ambientale può avere la scelta di grandi aziende che investono nel mercato della seconda mano? La risposta è complessa perché mancano ancora molti dati nel campo per esempio di oggetti o mobili, mentre per i vestiti ci sono già indicazioni importanti. Come noto, da anni diverse piattaforme online, ma anche aziende, stanno offrendo la possibilità di aumentare gli acquisti di seconda mano soprattutto nel mondo del fashion. Un mondo, quello della moda, che come produzione vergine di capi potrebbe impattare nel 2050 per quasi un quinto delle emissioni climalteranti.

    Boom di fast deco, l’arredamento che sfrutta materie prime e lavoratori

    di Paola Arosio

    29 Giugno 2024

    Anche per questo, ricordava uno studio Oxfam del 2023, è importante cominciare a rendersi conto di quanto riusare può fare bene all’ambiente: se per esempio tutti gli adulti del Regno Unito acquistassero metà dei loro vestiti in circuiti di seconda mano, si eviterebbero addirittura 12,5 miliardi di chili di emissioni di CO2 in atmosfera. Praticamente è l’equivalente di fare a meno di un aereo che fa il giro intorno al mondo oltre 17mila volte. Un bel risparmio, meno semplice da individuare – anche per gli impatti dei trasporti e legati alla compravendita – per altri prodotti, magari più ingombranti. Nel 2022 Subito ha però fatto realizzare dall’Istituto di ricerca ambientale svedese uno studio, chiamato “Second Hand Effect”, proprio per ottenere delle cifre e stimando alla fine come per circa 20 milioni di prodotti usati rivenduti si siano risparmiate 2,7 milioni di tonnellate di CO2.

    Sempre Subito – con una indicazione che potrebbe valere anche per il nuovo Preowned lanciato da Ikea – ipotizzava come per esempio comprare e usare un letto usato possa far risparmiare 36 kg di CO2, mentre un armadio intorno ai 58 chilogrammi. Altre analisi, come quella fatta su una delle prime piattaforme per la compravendita di oggetti usati, già da fine anni Novanta, ovvero Craigslist, sostengono che l’impatto dei prodotti di seconda mano porti a ridurre la produzione giornaliera di rifiuti di circa un terzo.

    Sempre osservando la grande quantità di prodotti che grazie a una seconda vita evitano di finire in discarica, e dunque in un circolo negativo per l’ambiente, uno dei principali colossi nelle vendite di oggetti usati – eBay – nel 2021 aveva calcolato in un solo anno di aver salvato quasi 87 milioni di articoli, in pratica 18mila tonnellate in meno di oggetti destinati a discariche o inceneritori. Inoltre, anche se bisognerebbe calcolare caso per caso, nella maggior parte delle operazioni di compravendita di oggetti di seconda mano – che piacciono sempre di più sia ai clienti che alle aziende – c’è una riduzione degli sprechi, di inquinamento ed energia legate alla produzione, di impatto sul territorio con l’estrazione di materie prime, così come una minor impronta sulle risorse idriche.

    Sempre secondo l’Osservatorio Second Hand Economy in Italia il mercato di seconda mano è ormai consolidato e in crescita, dato che quasi il 60% degli italiani lo scorso hanno ha scelto prodotti usati, un aumento di oltre il 16% rispetto a dieci anni fa e il volume d’affari complessivo viene stimato intorno a 26 miliardi di euro. A questo punto, quando Ikea aprirà anche in Italia Preowned, sarà interessante comprendere i volumi di una rivoluzione, anche in termini ambientali. Finora l’azienda svedese certifica, per esempio negli store sperimentali di riuso aperti in Svezia, di aver “evitato fino al 90% delle emissioni di CO2e rispetto all’acquisto di un prodotto nuovo”, così come di aver rivenduto quasi 32 milioni di prodotti nei propri hub circolari. LEGGI TUTTO

  • in

    I segreti del larice, il gigante della montagna

    Resistenza e bellezza si incontrano nel larice, albero elegante dal portamento snello, molto longevo e dalle dimensioni imponenti, che raggiunge altezze anche di 50 metri. Appartenente alla famiglia delle Pinacee, di cui fanno parte anche il pino, il cedro e l’abete, è contraddistinto da una notevole resistenza alle temperature rigide ed è capace di adattarsi a svariati tipi di suolo. Del genere delle conifere, si tratta di un albero definito deciduo, ovvero che perde le foglie durante l’autunno e l’inverno, a differenza della gran parte delle specie sempreverdi della sua famiglia. Il larice è originario delle zone fredde dell’Europa e del Nord America ed è comune in Italia nelle Alpi, dove cresce anche oltre i 2500 metri. Il nome botanico dell’arbusto è Larix decidua. La forma unica, le sue caratteristiche e gli usi, rendono il larice un albero molto apprezzato, in particolare per il suo legname pregiato.

    Come riconoscere il larice e le caratteristiche
    In Italia, tra le vette delle Alpi sono custoditi larici millenari. L’alta montagna, con la sua aria limpida, è l’habitat perfetto per questo splendido albero che cresce a quote altissime, formando spesso lariceti oppure mescolandosi con i pini, dando vita a boschi misti. Raro esemplare di conifera a foglie caduche, si tratta di una specie longeva che può arrivare a vivere anche fino a 800 anni. Il larice presenta una chioma piramidale, che con lo scorrere degli anni diventa più allargata, e un tronco dalla forma cilindrica.

    Le sue foglie sono aghi morbidi riuniti in mazzetti di piccole dimensioni, disposti a spirale intorno ai rami, e rendono il larice facilmente riconoscibile visto che, durante la primavera e l’estate, si colorano di uno splendido verde brillante, mentre in autunno assumono una nuance giallo oro. Nel periodo invernale, invece, l’albero diventa spoglio: è l’unica conifera in Europa a perdere le foglie. Proprio questa peculiarità permette alla pianta di sopportare le basse temperature, tanto che resiste fino a -50 gradi. Con la primavera l’albero emette nuovi aghi e, proprio per questo, è legato al concetto di rinnovamento e al lasciar andare il passato per intraprendere un nuovo percorso.

    Avvolto in un fascino unico, il larice si distingue anche per i suoi fiori maschili, gialli e di dimensioni contenute, e quelli femminili, contraddistinti da una forma ovale e allungata e sfumature rosate, e in grado di generare delle pigne che possono rimanere sulla pianta per anni. Il larice è noto per la sua grande resistenza. Tra le conifere il suo legno è quello più duro e crescendo tende a diventarlo ancora di più. Presenta un colore rossastro nel cuore, mentre all’esterno risulta giallastro. Non da ultimo, questa meravigliosa conifera è avvolta in una fragranza inebriante, emanando un profumo delicato e resinoso.

    Larice: proprietà e usi
    Dagli aghi della pianta si può ottenere un olio essenziale impegnato nel settore della cosmesi, molto apprezzato per la sua azione rinfrescante, stimolante e tonificante. Se usato in diffusione negli ambienti porta una ventata di freschezza e svolge un’azione antisettica, migliorando anche la qualità dell’aria.

    Dalla bellezza naturale, maestoso e impermeabile, il larice trova largo impiego nella costruzione di rivestimenti, barche, pavimenti, ponti, recinzioni e gazebo. Di facile lavorazione, il legno del larice è usato nell’edilizia, anche in ambienti umidi come cucine e bagni, pergolati, balconi, scale, porte, finestre e mobili. Indicato per le costruzioni esposte agli agenti atmosferici, negli ultimi anni è spopolato anche per i rivestimenti per esterni. Inoltre, viene usato per dare vita a sculture e manufatti artistici.

    Larice e la coltivazione
    La coltivazione del larice richiede luoghi freschi e umidi, visto che l’albero ama le temperature fredde, prosperando dove gli inverni sono rigidi e le estati miti. Inoltre, necessita di essere ben soleggiato: l’ombra ne rallenta la crescita, portando anche alla caduta precoce di rami e foglie. Pianta che prevalentemente cresce allo stato selvatico, se si coltiva nel proprio terreno bisogna tenere in conto di come richieda uno strato di terra davvero profondo, per permettere alle sue radici di svilupparsi correttamente, e come possa raggiungere un’altezza notevole. Piantati in autunno oppure all’inizio della primavera, quando il clima è più mite, i larici richiedono un terreno fertile, ben drenato e leggermente acido.

    Per quanto riguarda le annaffiature sono richieste solo in estate quando il clima è arido e secco ed esclusivamente per le piante giovani: le radici dell’albero e la sua chioma sono in grado di sfruttare, infatti, l’acqua delle piogge. Durante l’inverno invece la caduta degli aghi permette al larice di sopravvivere quando l’acqua del suolo è ghiacciata. In presenza di terreni poveri, la pianta va concimata solo durante la fase di impianto. Il larice può essere colpito da malattie fungine e parassiti: gli afidi e le cocciniglie non lo mettono in pericolo a differenza dell’attacco delle larve della tortrice del larice, responsabili della sua totale defogliazione. LEGGI TUTTO

  • in

    Scuola, rientro dal 5 settembre a rischio colpo di calore: tutte le aule d’Italia sono senza condizionatori

    Aule piene di Lim e digital board, ma senza condizionatori d’aria. E il rientro a scuola di sette milioni di alunni italiani si preannuncia caldissimo. Soprattutto nelle regioni meridionali dove il caldo non ha dato tregua e la siccità che sta funestando i raccolti si aggiunge ai tanti problemi della scuola statale. LEGGI TUTTO

  • in

    La paulownia: varietà, cura e consigli

    La paulownia – conosciuta anche come paulonia o l’albero della principessa – è una pianta appartenente alla famiglia della paulowniacee. Questa pianta deve il suo particolare nome al fatto che è stata dedicata ad Anna Pavlovna, già Regina dei Paesi Bassi, ottava figlia dello zar Paolo I.Le sue origini sono da ricercare, in modo particolare, tra il Bangladesh, Cina, l’area dell’Indocina e Taiwan. Si tratta di un albero che cresce in modo importante in altezza e in larghezza, con una fioritura particolarmente generosa che si sviluppa nel periodo compreso tra i mesi di aprile e maggio. La paulonia si caratterizza per le sue foglie caduche e, negli esemplari adulti, per una rusticità molto importante: può sopportare infatti temperature che toccano i -20 gradi. È ormai coltivata in tanti paesi del mondo, tra i quali anche l’Italia.

    Le varietà di paulownia
    All’interno del genere della paulownia, troviamo diverse specie, tra le quali alcune più note rispetto ad altre. La paulownia tomentosa – probabilmente la più conosciuta – si caratterizza per i suoi fiori tubulari di colore viola tenue e la sua particolare rusticità. La paulownia elongata è un’altra specie abbastanza nota: in questo caso, la fioritura è di colore bianco con sfumature violetto. Meno note sono invece le altre varietà di paulonia e, cioè:

    catalpifolia (fiori bianchi con puntini violacei);
    fargesii (simile all’elongata, ma con fiori più chiari);
    fortunei (fioritura di colore bianco-avorio);
    kawakamii (i fiori sono più grandi, bianchi, con striature e puntini viola);
    x taiwaniana (la fioritura ha una tonalità sfumata tra bianco e violetto).

    La paulownia è una pianta invasiva?
    A causa della sua crescita particolarmente veloce, della sua rusticità e della capacità di riproduzione e di adattamento la paulownia è ritenuta una specie invasiva in alcuni paesi.

    I pro e contro della paulownia

    crescita molto veloce;
    produzione di un legno alternativo a quello di balsa;
    coltivabile anche in aree inquinate;
    foglie particolarmente ricche di azoto (ottime per il foraggio).

    produzione molto abbondante di semi;
    capacità di invadere gli ecosistemi con piante dalla crescita più lenta e potenziali ricadute negative sulla biodiversità locale;
    legno non particolarmente robusto (a rischio di rottura a causa della neve o dei venti);
    richiede una notevole quantità di spazio per svilupparsi correttamente (senza dover ricorrere a potature eccessive).

    La coltivazione e la cura della paulownia
    Premesso che diverse specie paulownia sono in grado di raggiungere (e superare) i dieci metri di altezza, la messa a dimora deve avvenire in piena terra. Vediamo nelle prossime righe alcuni consigli utili per coltivare la pianta della principessa.

    Il terreno adatto alla paulownia
    La paulownia non è una pianta particolarmente esigente in termini di terreno, sebbene prediliga quelli con un buon drenaggio, ricchi di humus e piuttosto tendenti al neutro. Non è difficile trovarla ai margini dei boschi, oppure, anche in aree incolte o in prossimità dei fiumi e sui pendii. Si tratta di una pianta che sviluppa l’apparato radicale soprattutto lateralmente, motivo per cui è talvolta scelta per contrastare l’erosione del terreno.

    L’esposizione ideale per la paulownia
    La paulonia predilige la messa a dimora in luoghi particolarmente luminosi, tanto in pieno sole quanto in mezza ombra. Non è per contro particolarmente indicata per la piantumazione in ambienti in cui i raggi del sole siano schermati da altre fronde sovrastanti.

    La potatura dell’albero della paulownia
    Il miglior momento per potare la paulonia è compreso tra la seconda metà di marzo e la prima metà di aprile. La potatura è utile per eliminare le parti di pianta che non fossero particolarmente sane e per imprimere una guida allo sviluppo dell’albero.

    L’irrigazione e la concimazione della paulonia
    Si tratta di una pianta che richiede un’attenzione particolare soltanto durante la prima fase di sviluppo: una volta attecchita, può sopportare periodi siccitosi senza particolari difficoltà. Nei terreni più poveri, si può prevedere la concimazione mediante l’uso di un concime in granuli a rilascio lento.

    Le avversità che colpiscono la paulownia
    Per quanto la paulownia non sia spesso attaccata da particolarità avversità, può succedere che la pianta venga infestata dall’oidio. In questi casi, è importante sottoporre la paulonia ad un trattamento con uno specifico prodotto fitosanitario a base di zolfo. L’albero della principessa può essere anche attaccato dal fungo dell’armillaria, una problematica solitamente causata dalla pesantezza e compattezza del terreno, che facilita il ristagno idrico. In questo caso, bisogna migliorare il drenaggio o prevedere delle innaffiature meno abbondanti e più infrequenti. LEGGI TUTTO

  • in

    Una startup australiana usa i funghi per la lotta contro il cambiamento climatico

    La scienza trova continue conferme di cambiamenti senza precedenti del clima mondiale. Il riscaldamento globale sta provocando un aumento delle mutazioni nelle correnti oceaniche, nell’andamento delle precipitazioni e nei regimi eolici in tutte le regioni del mondo; in alcuni casi si tratta di cambiamenti irreversibili. Temperature più elevate ed eventi meteorologici estremi comportano costi enormi per l’economia del mondo, oltre a incidere sulla capacità di produzione alimentare dei paesi. Lottare contro i cambiamenti climatici è essenziale per il futuro del mondo. Partendo da questo presupposto, nel cuore agricolo dell’Australia sta prendendo piede un approccio insolito: impiegare la potenza della microbiologia per affrontare le minacce del cambiamento climatico, sfruttando i ‘’superpoteri’’ di minuscoli viticci sotterranei dei funghi per estrarre l’anidride carbonica dall’aria e immagazzinarla nei terreni.

    Tecnologie green

    Ci vestiremo di funghi, ecologici e sensibili alla luce

    di Giacomo Talignani

    06 Febbraio 2021

    L’idea, nata dalla startup Loam Bio specializzata in agricoltura del carbonio, affonda le sue radici in solidi studi secondo cui la reintroduzione della biodiversità microbica nel suolo possa accelerare del 64% la crescita delle piante facendo salire a sua volta il sequestro del carbonio.

    Loam Bio utilizza il suolo per rimuovere l’anidride carbonica, e lo fa attraverso una nuova tecnologia biologica “CarbonBuilder”, una polvere di trattamento per sementi realizzata per creare carbonio stabile nel suolo. Sfruttando il potere benefico dei funghi, la polvere tech rappresenta una svolta nell’agricoltura sostenibile, dando vita a benefici ambientali a lungo termine, poiché aumenta la quantità di carbonio immagazzinata nel suolo, migliorando la produttività e la resilienza dei sistemi di coltivazione.

    “Stiamo realizzando la prossima generazione di strumenti necessari per aumentare la quantità di carbonio rimosso dall’atmosfera e immagazzinato nei terreni, per le aziende agricole di tutte le dimensioni. Vogliamo realizzare azioni climatiche misurabili”, ha precisato Tegan Nock, fondatrice di Loam Bio.

    Questo percorso fa parte di una grande scommessa su cui imprenditori e investitori di tutto il mondo stanno puntando negli ultimi tempi: l’uso di tecnologie impattanti nel settore agricolo che siano in grado di offrire pratiche sostenibili per aiutare gli agricoltori a mitigare, cioè ridurre le emissioni, ove possibile. L’agricoltura “intelligente” dal punto di vista climatico è un approccio che mira a guidare le pratiche agricole in modo da tener conto degli effetti del cambiamento climatico e della crescente popolazione mondiale.

    Il biosequestro del carbonio (nel terreno)

    Fondata nel 2019 ad Orange, nel Nuovo Galles del Sud, da Tegan Nock e Guy Hudson (attuale CEO), Loam Bio è composta da una squadra di scienziati, agricoltori e imprenditori che lavorano tra l’Australia e il Nord America con l’obiettivo principale di immagazzinare quante più tonnellate possibili di CO2 nei terreni agricoli, attraverso il biosequestro del carbonio. Per un’economia a zero emissioni.

    La startup australiana ha come obiettivo di rivoluzionare i metodi di coltivazione potenziando la capacità naturale delle piante di immagazzinare carbonio nel terreno. L’accumulo di carbonio nel terreno apporta benefici in termini di produttività e resilienza climatica ai contadini e, può ridurre la quantità di fertilizzante azotato utilizzato nella produzione agricola, riducendo ulteriormente le emissioni.
    “La scienza microbica ha il potenziale per svolgere un ruolo chiave nella riduzione delle emissioni, attraverso il biosequestro del carbonio. E la tecnologia microbica di Loam BIO consente di immagazzinare maggiori volumi di carbonio nei terreni per periodi di tempo più lunghi”, racconta Tegan Nock. LEGGI TUTTO