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    Sheyna, a 14 anni crea un gel che elimina oltre il 90% delle microplastiche nell’acqua

    Appassionata di materie STEM – Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica – e di tutela ambientale, Sheyna Patel, 14 anni studentessa delle scuole medie a Longwood in Florida, ha ideato un idrogel innovativo e non tossico, capace di catturare e distruggere oltre il 93% delle microplastiche presenti nell’acqua. L’idea è nata osservando l’enorme diffusione di plastica nei mari e la difficoltà di rimuoverla in modo efficace.

    Queste minuscole particelle, invisibili a occhio nudo, rappresentano una minaccia sempre più crescente per gli oceani e la biodiversità marina. Attraverso test di laboratorio, il gel ha dimostrato un’efficacia superiore al 93% nella rimozione delle microplastiche PET. L’idrogel creato da Sheyna funziona come una spugna, intrappolando e rimuovendo le microplastiche, offrendo così una soluzione concreta a un problema ambientale globale. La sua invenzione è tra le dieci finaliste al concorso 3M Young Scientist Challenge 2025, la principale competizione scientifica per le scuole medie degli Stati Uniti, che si svolgerà a St. Paul, Minnesota, a fine ottobre.

    Per sviluppare il progetto, Sheyna ha collaborato con la scienziata Deborah Isabelle, i ragazzi finalisti della competizione vengono infatti affiancati da esperto che li segue e lavora a stretto contatto con loro durante tutta l’estate, per trasformare la loro idea da concept a prototipo. La giovane inventrice ha spiegato come la sua mentore l’abbia aiutata a credere maggiormente nella sua capacità e soprattutto a superare gli ostacoli nella messa a terra del progetto. Questo affiancamento ha permesso a Sheyna di affinare la sua idea, trasformandola in un prototipo funzionante e sicuro, pronto per essere testato in contesti reali. A chi le ha chiesto dove si vede tra 15 anni, Sheyna ha risposto “Con un ruolo di leadership in un campo che mi appassiona, promuovendo l’innovazione climatica, facendo da mentore ad altri e contribuendo a progressi scientifici significativi che avvantaggiano la tutela del nostro martoriato Pianeta”. LEGGI TUTTO

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    In Europa c’è meno smog, ma l’ambiente ancora soffre

    Sono stati compiuti progressi significativi nella riduzione delle emissioni di gas serra e dell’inquinamento atmosferico, ma lo stato generale dell’ambiente in Europa non è buono, soprattutto per quanto riguarda la natura, che continua a subire degrado, sfruttamento eccessivo e perdita di biodiversità. Anche gli impatti dell’accelerazione dei cambiamenti climatici rappresentano una sfida urgente, secondo il rapporto più completo dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) appena diffuso sullo “stato dell’ambiente” in Europa. Le prospettive per la maggior parte delle tendenze ambientali “sono preoccupanti e pongono gravi rischi per la prosperità economica, la sicurezza e la qualità della vita in Europa”, avverte Aea.

    Il rapporto sottolinea che i cambiamenti climatici e il degrado ambientale rappresentano una minaccia diretta per la competitività dell’Europa, che dipende dalle risorse naturali.
    Aggiunge che il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 dipende anche da una gestione migliore e responsabile del territorio, dell’acqua e di altre risorse. Proteggere le risorse naturali, mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici e ridurre l’inquinamento rafforzerà la resilienza delle funzioni sociali vitali che dipendono dalla natura, come la sicurezza alimentare, l’acqua potabile e la difesa dalle inondazioni.

    Il rapporto sollecita l’accelerazione dell’attuazione delle politiche e delle azioni a lungo termine per la sostenibilità già concordate nell’ambito del Green Deal europeo. Tali azioni sono in linea con le priorità della commissione europea in materia di innovazione, decarbonizzazione e sicurezza, definite dalla bussola della competitività.

    Europe’s environment 2025 è l’analisi più completa sullo stato attuale e le prospettive per l’ambiente, il clima e la sostenibilità del continente, basata su dati provenienti da 38 Paesi. Il rapporto evidenzia che l’Unione europea è leader mondiale negli sforzi per il clima, riducendo le emissioni di gas serra e l’uso di combustibili fossili e raddoppiando la quota di energie rinnovabili dal 2005. Negli ultimi 10-15 anni sono stati compiuti notevoli progressi anche nel miglioramento della qualità dell’aria e nell’aumento del riciclaggio dei rifiuti e dell’efficienza delle risorse. Anche i progressi su una serie di fattori che consentono la transizione verso la sostenibilità, come l’innovazione, l’occupazione verde e la finanza sostenibile, danno motivo di speranza.
    “Non possiamo permetterci di abbassare le nostre ambizioni in materia di clima, ambiente e sostenibilità – avverte Leena Ylä-Mononen, direttrice esecutiva dell’agenzia europea dell’ambiente – il nostro rapporto sullo stato dell’ambiente, co-redatto con 38 Paesi, espone chiaramente le conoscenze scientifiche e dimostra perché dobbiamo agire. Nell’unione europea disponiamo delle politiche, degli strumenti e delle conoscenze, oltre a decenni di esperienza nella collaborazione per il raggiungimento dei nostri obiettivi di sostenibilità. Ciò che facciamo oggi plasmerà il nostro futuro”.

    “Questo rapporto è un duro monito che l’Europa deve mantenere la rotta e persino accelerare le proprie ambizioni in materia di clima e ambiente- dice la vicepresidente esecutiva della Commissione Ue per una transizione pulita, giusta e competitiva, Teresa Ribera – i recenti eventi meteorologici estremi mostrano quanto fragili diventino la nostra prosperità e sicurezza quando la natura si degrada e gli impatti climatici si intensificano. Ritardare o posticipare i nostri obiettivi climatici non farebbe altro che aumentare i costi, approfondire le disuguaglianze e indebolire la nostra resilienza. Proteggere la natura non è un costo. È un investimento nella competitività, nella resilienza e nel benessere dei nostri cittadini. Intensificando gli interventi ora, possiamo costruire un’Europa più pulita, più equa e più resiliente per le generazioni future”.

    Il caso

    Amazzonia in crisi: tra deforestazione e una COP30 piena di guai

    di Giacomo Talignani

    05 Settembre 2025

    “Nonostante i progressi compiuti, lo stato del nostro ambiente è un chiaro invito ad agire per continuare a ridurre l’inquinamento, ripristinare la natura e proteggere la biodiversità – dice la commissaria ue per l’ambiente, la resilienza idrica e un’economia circolare competitiva, Jessika Roswall – dobbiamo ripensare il legame tra ambiente ed economia e considerare la protezione della natura come un investimento, non come un costo. Una natura sana è la base per una società sana, un’economia competitiva e un mondo resiliente, ed è per questo che l’Ue si impegna a mantenere la rotta sui propri impegni ambientali”.
    “Questo rapporto ribadisce l’urgente necessità per l’Ue di mantenere le sue ambizioni in materia di clima. Essendo il continente con il riscaldamento più rapido, l’Europa ha assistito in prima persona all’impatto devastante del cambiamento climatico, più di recente attraverso i gravi incendi boschivi che hanno devastato l’estate. I costi dell’inazione sono enormi e il cambiamento climatico rappresenta una minaccia diretta alla nostra competitività. Mantenere la rotta è essenziale per salvaguardare la nostra economia”, conclude il commissario ue per il clima, le emissioni nette zero e la crescita pulita, Wopke Hoekstra.

    La biodiversità sta diminuendo negli ecosistemi terrestri, d’acqua dolce e marini in Europa a causa delle persistenti pressioni dovute a modelli di produzione e consumo non sostenibili, come dimostra in particolare il sistema alimentare, rileva il rapporto Aea. Guardando al futuro, si prevede che il deterioramento dello stato della biodiversità e degli ecosistemi europei continuerà, con obiettivi politici concordati che difficilmente saranno raggiunti entro il 2030, afferma il rapporto.

    Cosa succede al pianeta

    Perché sul riscaldamento globale neghiamo l’evidenza dei fatti

    di Paola Arosio

    14 Agosto 2025

    Analogamente, le risorse idriche europee sono sottoposte a forti pressioni, con uno stress idrico che colpisce un terzo della popolazione e del territorio europeo. Mantenere sani gli ecosistemi acquatici, proteggere i bacini idrografici e garantire il ripristino delle falde acquifere è fondamentale per garantire la futura resilienza idrica dell’Europa, afferma il rapporto.

    Per quanto riguarda i cambiamenti climatici, l’Europa è il continente che si sta riscaldando più rapidamente del pianeta. Il clima sta cambiando a un ritmo allarmante, minacciando la sicurezza, la salute pubblica, gli ecosistemi, le infrastrutture e l’economia. La crescente frequenza e portata delle catastrofi legate al clima, nonché la consapevolezza che il clima continuerà a cambiare nonostante gli ambiziosi sforzi di mitigazione dell’Ue, sottolineano l’urgente necessità di adattare la società e l’economia europee, garantendo al contempo che nessuno venga lasciato indietro.

    “Queste sfide cruciali richiedono la necessità di ripensare i legami tra la nostra economia e l’ambiente naturale, il territorio, l’acqua e le risorse naturali, afferma il rapporto. Solo ripristinando l’ambiente naturale in Europa sarà possibile mantenere un’economia competitiva e un’elevata qualità della vita per i cittadini europei”, segnala Aea.

    Secondo il rapporto Aea, è urgentemente necessario un cambiamento radicale nei sistemi di produzione e consumo – decarbonizzare l’economia, passare alla circolarità, ridurre l’inquinamento e gestire in modo responsabile le risorse naturali. Le politiche dell’Ue, incluso il Green Deal, indicano un percorso chiaro verso la sostenibilità.

    Il rapporto punta in particolare agli sforzi per ripristinare gli habitat attraverso soluzioni basate sulla natura, che rafforzeranno la resilienza e contribuiranno anche agli sforzi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Aea sottolinea inoltre la necessità di decarbonizzare i settori economici chiave, in particolare i trasporti, e di affrontare il problema delle emissioni provenienti dall’agricoltura. L’aumento della circolarità ha il potenziale per ridurre la dipendenza dell’Europa dalle importazioni di energia e materie prime essenziali.

    Inoltre, investendo nella transizione digitale e verde dell’industria europea, l’Ue può migliorare la produttività e diventare un leader globale nell’innovazione verde, sviluppando tecnologie per decarbonizzare settori difficili da ridurre come l’acciaio e il cemento. LEGGI TUTTO

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    Frane e alluvioni, così l’Italia centrale mitiga il rischio

    “In Italia sono state censite 650 mila frane, due terzi del numero complessivo europeo: questo è un Paese fragile, per morfologia, e la presenza di 50 bacini idrici, con 370 corsi d’acqua minori, rappresenta un costante, potenziale rischio di inondazione per 650 mila cittadini. Non ci sono, complici gli effetti del cambiamento climatico, aree a rischio zero. Per questo, i nostri due nuovi Pai (acronimo di Piano per l’Assetto Idrogeologico) rappresentano una svolta epocale”. Marco Casini è il segretario generale dell’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale (Aubac), ente pubblico responsabile della programmazione e della pianificazione territoriale per la gestione del rischio idrogeologico, la gestione e la tutela delle risorse idriche, la difesa delle coste, l’uso sostenibile del suolo dell’Italia centrale per una superficie complessiva di oltre 42 mila chilometri quadrati, 49 bacini idrografici limitrofi, incluse le rispettive acque sotterranee e costiere, all’interno delle regioni Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Molise, Toscana e Umbria.

    Marco Casini, segretario generale dell’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale (foto: Renato Franceschin/Aubac)  LEGGI TUTTO

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    Idroponica zero-waste: le piante crescono in un “idrogel” naturale

    L’ultimo miglio mancante per un’agricoltura idroponica davvero sostenibile sta per essere percorso. Finora per il vertical farming, fondamentale per ridurre il consumo di acqua, suolo, pesticidi e fertilizzanti, sono sempre state utilizzate strutture in materiale plastico, quindi inquinanti, ma una ricerca sviluppata dall’università di Bolzano e l’Istituto italiano di tecnologia di Genova ha prodotto un sistema biodegradabile e biosostenibile.

    Le piante crescono in un “idrogel”, una sorta di sacchetto gelatinoso capace di trattenere fino al 7000% di acqua rispetto al proprio peso, realizzato con una materia prima: l’alga rossa, molto presente nei nostri mari e già utilizzata nell’industria alimentare per dare consistenza o stabilità (ad esempio nei latticini, nelle bevande vegetali o nella carne rossa confezionata). La sostanza di base è la carragenina, un polisaccaride ricavato proprio dall’alga e che stimola i processi naturali della pianta migliorandone la resistenza a stress e carenze nutrizionali.

    I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista ACS Agricultural Science & Technology dell’American Chemical Society. “Il nostro obiettivo era sviluppare un materiale biodegradabile che interagisse attivamente con le piante – spiega la ricercatrice di Iit e UniBolzano Camilla Febo– rilasciando acqua e nutrienti in modo graduale. È un passo concreto verso un’agricoltura più resiliente”. Il senso del materiale compostabile è proprio quello di coltivare senza produrre rifiuti: “Quando termina il ciclo di vita della pianta, l’impalcatura può essere riutilizzata o compostata” dice Luisa Petti, docente e responsabile del Sensing Technologies Lab di UniBolzano, dove sono stati svolti gli esperimenti. LEGGI TUTTO

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    In Svezia il primo centro commerciale al mondo che vende solo oggetti riciclati

    In Svezia, a un centinaio di chilometri da Stoccolma, sorge la città industriale di Eskilstuna. Qui si trova ReTuna, il primo centro commerciale al mondo dedicato a prodotti riciclati e di seconda mano, che proprio nel 2025 spegne dieci candeline. All’ingresso troneggia un’installazione artistica realizzata con materiali riutilizzati, mentre passeggiando tra i negozi si possono scoprire giocattoli, libri, arredi per la casa, abiti vintage, elettronica. Non manca un ristorante in cui rifocillarsi con piatti rigorosamente sostenibili.

    Boom di fast deco, l’arredamento che sfrutta materie prime e lavoratori

    29 Giugno 2024

    Un progetto finanziato dall’amministrazione
    L’idea è stata lanciata nel 2010 come parte della strategia ambientale della cittadina svedese, decisa a reinventarsi come capitale del consumo circolare. Grazie a finanziamenti pubblici di circa 7,5 milioni di euro, nel 2014 sono iniziati i lavori di realizzazione della struttura. È stata anzitutto costruita una nuova stazione ecologica, dove i cittadini possono conferire oggetti dismessi, apparecchi rotti o beni non più utilizzati. Accanto a quest’ultima, è stato riadattato un capannone esistente, trasformandolo in un complesso di vendita, nel quale gli articoli ancora in buono stato vengono selezionati, riparati e rimessi in commercio. LEGGI TUTTO

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    Come ridurre il consumo di carta

    È possibile ridurre il consumo di carta? Sì, ma intanto bisogna volerlo. In media, lo dicono i dati statistici, ogni italiano consuma circa duecento chili di carta. La realtà dei fatti è dunque palese: è uno spreco enorme. Basterebbe porre una maggiore attenzione ad alcuni aspetti della vita quotidiana e mostrare un po’ più di sensibilità sul tema, carissimo a tutti, ambiente e mondo in primis. Ridurre lo spreco di carta dovrebbe essere un obiettivo comune, un’azione positiva che mira alla salvaguardia dell’ecosistema e protegge ovviamente le risorse boschive mondiali. Ma come si può fare per ridurre lo spreco di un materiale così diffuso e soprattutto così utilizzato? Qui alcune riflessioni mirate.

    Come sprecare meno carta: qualche consiglio pratico
    Provare a sprecare la carta è un atto davvero semplice, se applicato nei piccoli gesti quotidiani. Quante volte, ad esempio, tendiamo a stampare file che potrebbero comodamente essere consultati online? E quanto spesso poi capita di stampare evitando il fronte/retro? Per quanto possano sembrare banalità, in realtà è proprio da queste decisioni che parte lo spreco maggiore. Se quindi l’obiettivo finale è ridurre il consumo di carta e di conseguenza sprecarne meno, ecco segnalati tutti i consigli più pratici ed efficaci per raggiungerlo.

    Stampare il meno possibile
    La prima azione da eseguire per cercare il più possibile di ridurre il consumo di carta è certamente diminuire la stampa dei file. Se un tempo l’idea di avviare la stampante balenava alla mente subito, oggi l’attenzione a questa soluzione dovrebbe essere maggiore. Lavorando quasi al 100% a livello virtuale, stampare non è poi così necessario. Dipende dai casi e dai contesti, ma dove possibile cerchiamo di evitare di stampare fogli che potrebbero tranquillamente rimanere online e consultati facilmente da pc, smartphone, tablet e così via. Discorso valido anche per la ricezione delle bollette: è possibile farsele inviare telematicamente, risparmiando così circa 300 grammi di carta alla volta.

    Preferire il fronte/retro (se necessaria la stampa)
    Nel caso in cui la stampa sia necessaria (documenti medici e altro), sarebbe utile cercare di impaginare il file occupando meno spazio possibile e poi stampare il file fronte/retro. In questo caso si andrà a ridurre il consumo di carta, risparmiando sulle quantità di fogli stampati.

    Fare la raccolta differenziata
    Non dovrebbe essere ribadito, ma è importante ricordarsi di fare la raccolta differenziata a casa. Con gli appositi cestini per plastica, carta, vetro e naturalmente umido, andare sempre a dividere la spazzatura in base al tipo di materiale. Inoltre, quando si va a buttare la carta nel bidone, bisognerebbe cercare di appiattire il più possibile il volume, in modo da facilitarne la divisione. Infine, ma non per minore importanza, prima di buttare giornali, magazine, quotidiani o qualsiasi altra rivista che si ha in casa, perché non provare a regalarla a qualcuno o lasciarla in qualche spazio pubblico che potrebbe esserne interessato? Luoghi come la parrucchiera, l’estetista, le sale d’attesa sono perfetti per questo tipo di “riciclo” cartaceo. Se si può dare nuova vita alla carta facendo del bene, perché evitarlo?

    Utilizzare più carta riciclata
    Strettamente legato al punto precedente c’è ovviamente il riciclo della carta. Nel caso della stampa necessaria o anche quando si ha bisogno di lavorare su carta (fogli, quaderni, block notes etc.) sarebbe sempre meglio scegliere carta riciclata. In commercio ormai se ne trovano tantissimi (anche vere e proprie confezioni di fogli) ed è sempre un’ottima soluzione anche per ridurre il consumo di carta in ufficio.

    Fare attenzione all’uso della carta igienica
    Potrà sembrare strano, ma anche l’uso della carta igienica impatta sull’ambiente e sulla sua salvaguardia. Questo accade sia tra le mure di casa, sia e forse soprattutto nei bagni pubblici. A casa, intanto, sarebbe meglio non sprecare la carta igienica srotolandola all’infinito e utilizzandone una quantità esagerata a ogni pit stop in bagno. Discorso simile e/o uguale per i bagni pubblici: al posto delle salviette per asciugarsi le mani, sarebbe meglio utilizzare il phon o, se la temperatura esterna lo permette, lasciare asciugare le mani all’aria. Basta davvero poca carta per compiere questi piccoli gesti quotidiani nel rispetto dell’ambiente.

    Prediligere la stoffa
    Per quanto riguarda invece tutta la questione cura personale e, a volte durante l’anno, raffreddore, sarebbe sempre meglio prediligere la stoffa al posto della carta. Ad esempio, invece dei fazzoletti classici, perché non utilizzare quelli in stoffa? È sempre meglio il “riutilizzo” dell’usa e getta, ma non a tutti piace la consistenza della stoffa sul naso. Sarebbe comunque una bella mossa ecologica da provare.

    Evitare gli imballaggi (vale anche per la plastica)
    Al supermercato spesso è molto complesso trovare prodotti senza imballaggio (a parte le verdure), ma sarebbe meglio sempre acquistare prodotti sfusi laddove possibile. E, cosa ancora più importante, riutilizzare sempre gli imballaggi vecchi, come per esempio i cartoni utilizzati per il trasporto delle uova o altri simili.

    Preferire la comunicazione online rispetto alle lettere/posta
    Per quanto scrivere su carta sia qualcosa di insostituibile e nulla regala più emozioni della penna che scorre sul foglio bianco, bisogna ammettere che usare i fogli rappresenta uno spreco. Chiaramente non è sempre così e tutto dipende da come ogni persona sceglie di vivere ragionevolmente, ma ciò non toglie che utilizzare fogli senza riempirli tutti e poi buttarli e stampare a raffica senza criterio non sono esattamente un buon esempio di salvaguardia ambientale. Piuttosto, dove possibile, cerchiamo di utilizzare la virtualità quando rappresenta un vantaggio. E-mail di lavoro, e-mail di comunicazione pubblicitaria, comunicazione telematica a tutto tondo. Non sempre sarà possibile (anche per una questione anagrafica e di adattamento), ma provare è sempre un buon punto di partenza verso la riduzione di consumo di carta.

    Consumo di carta in Italia: perché non bisogna sprecarla
    In tutto questo obiettivo comune, gli italiani restano grandi consumatori di carta, nonostante internet e la digitalizzazione. Basti pensare che ogni cittadino in media consuma circa 80 risme di fogli A4; ad esempio, una famiglia di quattro persone consuma, da sola, la carta ricavata da due alberi. Il risultato? Che nel nostro Paese continuano a essere stampate più di trenta pagine al giorno per abitante.

    Numeri che pesano sull’ambiente: per produrre una tonnellata di carta bianca servono 440 mila litri d’acqua, con un impatto che non riguarda solo le foreste ma anche gli ecosistemi acquatici, danneggiati dalle sostanze chimiche impiegate nella lavorazione. Un consumo eccessivo che contribuisce così sia alla deforestazione, sia al depauperamento delle risorse idriche.

    In Italia il fabbisogno quotidiano sfiora gli otto milioni di chili di carta. A questo dato si aggiunge la crisi internazionale della cellulosa, che sta mettendo in difficoltà editori e tipografie. I costi sono saliti oltre il 70% e le difficoltà di approvvigionamento non si sono ancora risolte. La pandemia, tra il 2020 e il 2021, ha interrotto catene di fornitura già fragili; il conflitto in Ucraina e l’aumento dei prezzi energetici hanno fatto il resto. Oggi, per giornali e libri, la carta è più scarsa e più cara. LEGGI TUTTO

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    Questa ghiandaia è un ibrido. “L’accoppiamento tra specie a causa della crisi climatica”

    Dopo milioni di anni di evoluzione, due specie distinte di uccelli oggi si sono di nuovo riunite. A dircelo è un rarissimo uccello, frutto appunto dell’accoppiamento tra una ghiandaia verde femmina e una ghiandaia azzurra maschio. L’ibrido naturale, appena descritto dai ricercatori dell’Università del Texas, ad Austin, è la testimonianza di come due specie, separate da ben 7 milioni di anni di evoluzione e da areali distinti, si siano riunite con l’espansione dei loro territori causata dai cambiamenti climatici. I dettagli sono raccolti in uno studio pubblicato sulla rivista Ecology and Evolution.

    Le due specie di ghiandaie
    La ghiandaia azzurra (Cyanocitta cristata), un uccello temperato diffuso in tutta la parte orientale degli Stati Uniti, e la ghiandaia verde (Cyanocorax yncas), un uccello tropicale diffuso in tutta l’America Centrale, sono due specie che hanno il primo antenato comune vissuto almeno 7 milioni di anni di fa. I loro areali, inoltre, non si sono sovrapposti fino a pochi decenni fa. In particolare, negli anni ’50 l’areale delle ghiandaie verdi si estendeva dal Messico fino al Texas meridionale, mentre l’areale delle ghiandaie azzurre si estendeva solo fino a Houston. Non sono, quindi, quasi mai entrate in contatto tra loro, fino a quando, con la migrazione delle ghiandaie verdi verso nord e delle ghiandaie azzurre verso ovest, i loro areali si sono avvicinati, appunto, a San Antonio, in Texas.

    I cambiamenti climatici
    Il raro uccello, identificato proprio in un giardino a San Antonio, potrebbe essere tra i primi esempi di un animale ibrido esistente risultato dei recenti cambiamenti climatici, che hanno sostanzialmente stimolato l’espansione di entrambe le specie progenitrici. “Riteniamo che sia il primo vertebrato osservato che si è ibridato a seguito dell’ampliamento del proprio areale da parte di due specie, a causa, almeno in parte, del cambiamento climatico”, ha spiegato Brian Stokes, primo autore dello studio.

    L’uccello ibrido
    Per capirlo, i ricercatori hanno per prima cosa catturato lo splendido uccello, dal colore blu con una mascherina nera e il petto bianco, che inizialmente assomigliava a una ghiandaia azzurra, ma era chiaramente diverso. Da qui, hanno prelevato dei campioni di sangue, le cui successive analisi genetiche hanno rivelato che si trattava di un ibrido maschio, figlio di una ghiandaia verde e di un ghiandaia azzurra.

    “L’ibridazione è probabilmente molto più comune nel mondo naturale di quanto i ricercatori pensino”, ha commentato Stokes. “Ed è probabilmente possibile in molte specie che semplicemente non vediamo perché sono fisicamente separate l’una dall’altra e quindi non hanno la possibilità di provare ad accoppiarsi”.

    Gli altri ibridi
    Sebbene in questo caso i ricercatori non abbiano scelto un nome all’ibrido, ricordiamo che altri ibridi naturali, che sono principalmente il risultato dell’attività umana (come per esempio l’introduzione di specie invasive), hanno avuto soprannomi come “orso grolar” per l’ibrido tra orso polare e grizzly, “coywolf” per una creatura in parte coyote e in parte lupo e “narluga” per un animale con genitori sia narvali che beluga. LEGGI TUTTO

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    Perché ancora sprechiamo più di 130 kg di cibo all’anno

    Se vogliamo ridurre gli sprechi di cibo non basta comprare meno, comprare meglio, programmare i pasti e riutilizzare gli avanzi. Servono sforzi a più livelli, che non riguardano solo i consumatori. E questi sforzi dovrebbero essere diversi a seconda dei contesti sociali ed economici: perché lo spreco di cibo è un riflesso di queste condizioni, e ogni paese potrebbe ridurlo agendo, con priorità diverse, su fattori diversi. A discutere di tutto questo, sottolineando come il problema dello spreco di cibo stia diventando sempre più pressante nei paesi a reddito medio-basso, è un commento apparso sulle pagine di Cell Reports Sustainability, che anticipa di pochi giorni la Giornata internazionale della consapevolezza delle perdite e degli sprechi alimentari del 29 settembre.

    Il rapporto

    Nel mondo un miliardo di tonnellate di cibo va discarica ma in Italia lo spreco diminuisce

    di Fiammetta Cupellaro

    25 Settembre 2025

    Il nodo delle discussioni di Emiliano Lopez Barrera e di Dominic Vieira della Texas A&M University è l’assottigliamento dello spreco alimentare tra i paesi ad alto reddito e quelli a basso e medio reddito. I dati sullo spreco alimentare riportati dagli autori arrivano da un rapporto delle Nazioni Unite e dicono questo: mediamente sprechiamo 132 kg di cibo ogni anno a testa, di cui la gran parte (circa il 60%) avviene a livello casalingo (e in misura minore nella ristorazione, 28%, e tra i rivenditori, 12%). E proprio a livello casalingo, in base ai dati disponibili, non si osservano grandi differenze a livello di sprechi tra paesi a reddito alto, medio-alto e medio-basso. E questo perché negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescente urbanizzazione nei paesi a medio reddito – come India, Cina e Brasile – e “lo spreco alimentare è un problema cittadino”, stressa il report.

    I motivi sono diversi. Il processo di urbanizzazione, legato alla crescita economica, cambia il rapporto con il cibo, scrivono gli autori, a partire dal suo approvvigionamento: si compra più spesso, di più, in confezioni più grandi, anche grazie alla diffusione dei supermercati. Inoltre, la vita cittadina a differenza di quella rurale, incoraggia il consumo di cibi processati e confezionati, e scoraggia il riutilizzo di avanzi. Anche la maggiore diffusione delle catene del freddo, laddove avvenuta a livello di distribuzione, rischia di diventare un boomerang per gli sprechi, spiegano Lopez Barrera e Vieira. Lo diventa nel momento in cui l’accesso a cibi deperibili a livello del consumatore non è accompagnato da pratiche adeguate di conservazione ed educazione.

    Ecco allora che combattere gli sprechi significa sia incentivare la diffusione di sistemi adeguati di conservazione e confezionamento, laddove questi ancora manchino, che incentivare acquisti adeguati alle esigenze e riutilizzo degli avanzi, scrivono gli autori. Ma anche altre soluzioni che non coinvolgano direttamente i consumatori, come programmi di donazione di cibo o riutilizzo in modi diversi – per esempio in strategie di bioenergia – potrebbero contribuire a ridurre gli sprechi e valorizzare le risorse alimentari, si legge ancora nel commento. L’essenziale, concludono gli autori, è agire, in maniera mirata, a più livelli, e coinvolgendo tutti: non solo i consumatori, ma anche le istituzioni, i produttori e i distributori. LEGGI TUTTO