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    Dai pannelli alle caldaie: aumentano gli impianti finanziati dal “Conto termico”

    Stop ai contributi per l’acquisto delle caldaie a gas e via libera a quelli per i pannelli solari se installati insieme ad un impianto di riscaldamento a pompa di calore. Cambia volto il Conto Termico, la misura che consente di avere il rimborso immediato delle spese per l’efficientamento energetico in alternativa alla detrazione fiscale. La […] LEGGI TUTTO

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    Il congegno che monitora l’auto e insegna a inquinare meno quando si guida

    Ridurre le emissioni inquinanti dei veicoli per raggiungere l’obiettivo decarbonizzazione è un’urgenza. Ma è possibile farlo, senza dover acquistare un nuovo veicolo elettrico o ibrido? A quanto pare si, secondo uno studio del Politecnico di Milano, che ha sviluppato un apposito sistema di monitoraggio di virtual sensing, in grado di stimare sia le emissioni di anidride carbonica (CO?) sia gli ossidi di azoto (NOx), con estrema precisione, e con una strumentazione molto semplice e low-cost.

    Lo studio, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, offre un punto di vista diverso sulla mobilità sostenibile, ma soprattutto rende consapevole ogni automobilista sia dell’impatto ambientale del suo veicolo, che della possibilità di diminuirne l’inquinamento prodotto solo cambiando abitudini di guida. Come? “L’idea è partita dalla volontà di definire un modo più preciso di calcolare le emissioni clima alteranti e ci siamo concentrati sugli ossidi di azoto, il principale prodotto delle emissioni della combustione, particolarmente nocivo in ambiente urbano perché rimane nell’aria e causa molti problemi respiratori”, spiega Silvia Strada, prima autrice dello studio del Polimi, che si è chiesta “perché l’impatto in termini di emissioni delle auto private debba dipendere solo dalla classe euro e non essere centrato invece sul veicolo individuale? Questo metodo permetterebbe di stimare con maggiore accuratezza quello che produce la singola auto”.

    L’aria nelle città

    L’inquinamento sta migliorando ma il rischio per la nostra salute resta

    di Nicolas Lozito

    07 Ottobre 2024

    La tecnologia per consentire questo cambio di paradigma ed un bel passo in avanti di ogni singolo conducente di veicoli è già disponibile, anche perché “in laboratorio o nei test le emissioni delle auto vengono misurate con degli apparati ingombranti che vengono attaccati al tubo di scappamento e misurano con precisione, ma sono costosissimi, quindi non è possibile che ognuno abbia uno strumento di questo tipo” sottolinea Strada, che invece col suo gruppo di ricerca, si è focalizzata su un piccolo dispositivo dotato di GPS per la localizzazione e di unità inerziale per la misura di accelerazioni, che rileva le emissioni basandosi sul modo in cui ciascuno di noi guida. “Si tratta di una piccola black box, che già si usa per scopi assicurativi, che si installa sulla batteria dell’auto, e misura accelerazioni in maniera continua nel tempo e dopo un certo campionamento i dati sono spediti a un server, raccolti e elaborati. La scatola nera misura velocità, chilometri percorsi e stile di guida contando le accelerazioni o decelerazioni brusche, in base a queste informazioni, abbiamo costruito e definito un algoritmo che calcola le emissioni inquinanti”.

    Per lo studio sono stati raccolti i dati, da oltre 8.000 veicoli privati già dotati di black box che sono stati analizzati per oltre 11 milioni di viaggi, dopodiché gli algoritmi hanno calcolato l’impatto ambientale reale di ogni veicolo. Il sistema, infatti, fa riferimento a tre indicatori di performance principali: il consumo di carburante, le emissioni di CO? e le emissioni di ossidi di azoto. E qui c’è un altro tassello interessante dello studio, che si collega ad un altro fattore, “scientificamente provato” che si chiama green speed, una fascia compresa tra i 50 e i 70 chilometri all’ora, in cui si consuma ed inquina meno, mentre al di sopra o al di sotto di questa fascia, avviene esattamente il contrario per una serie di fattori legati all’impatto ed alle forze aerodinamiche”.

    Non basta il motore elettrico: per la mobilità del futuro servono dati e infrastrutture

    di  Dario D’Elia

    27 Settembre 2024

    La pubblicazione del Politecnico di Milano, senza nulla togliere alla certezza che la transizione ecologica richiede dei veicoli con motorizzazioni meno inquinanti, dimostra però, che anche un’auto più datata può avere degli effetti importanti sulla sostenibilità, se guidata rispettando la green speed e per distanze limitate. Sappiamo, infatti, che l’Ue ha fissato obiettivi ambiziosi, concentrandosi sulla riduzione delle emissioni nei trasporti del 90% entro il 2050, come prevede il Green Deal, ma avere già oggi un sistema ecologico ed economico potrebbe comunque fare la sua parte nel contrasto all’inquinamento.

    “Nessuna tecnologia di veicolo è vietata a priori. E’ chiaro che se uno sceglie un veicolo elettrico ha una maggiore libertà di utilizzo rispetto alle emissioni, perché ne emette un decimo considerando tutta la catena di produzione, ma questo sistema pone la responsabilità nell’individuo” spiega ancora Silvia Strada, “ciascuno potrebbe avere una sorta di budget annuale in emissioni di CO2 e NOx spendibili nel tempo. Facendo un esempio, se in un giorno si fanno 5.000 km poi il budget a disposizione è finito”. Il sistema sviluppato dal Politecnico di Milano potrebbe avere numerose applicazioni per le amministrazioni urbane, che potrebbero utilizzarlo per gestire le emissioni nelle strade a traffico limitato, regolando accessi e tariffe di parcheggio in base all’impatto ambientale dei veicoli, ma senza vietare a priori la circolazione a nessuno, mentre si potrebbero premiare con incentivi i conducenti più virtuosi. LEGGI TUTTO

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    Natale green, se non si ricicla non lo compro

    Non si ricicla? Allora non lo compro. Il 51% dei consumatori italiani ha confessato che nel momento dell’acquisto cambia brand se il packaging non è riciclabile. Deviando le proprie scelte sulle confezioni più sostenibili. Sì perché secondo le ultime tendenze evidenziate da una ricerca condotta da Pro Carton, l’associazione europea dei produttori di cartone e cartoncino condotta in cinque paesi (UK, Francia, Germania, Italia e Spagna) “non è solo la differenziata a fare la differenza”, ma le dinamiche legate al riciclo. La parola d’ordine per il Natale 2024 è dunque niente sprechi, ma soprattutto ridurre il più possibile i rifiuti e l’utilizzo delle materie prime. Fatto non secondario, visto che secondo gli analisti i consumatori scelgono di fare acquisti in modo sempre più consapevole, al punto da eliminare dal carrello ciò che finisce nell’indifferenziato. Buone consuetudini che stanno coinvolgendo sempre più famiglie: il 59% degli italiani dichiara infatti di riciclare di più rispetto a 12 mesi fa, posizionando l’Italia al primo posto tra i Paesi europei analizzati. In pratica il motto delle 3R “riduci, riusa, ricicla” sembra stia influenzando in misura crescente i modelli di consumo soprattutto dei più giovani sensibili alla sostenibilità ambientale.

    Ambiente

    Festeggiamo il Natale (tanto paga la Terra)

    di  Fiammetta Cupellaro

    05 Dicembre 2024

    A Natale inquiniamo di più
    A Natale si sa, tra cene, regali e luminarie, inquiniamo di più. Il periodo fino al 7 gennaio è infatti uno dei momenti dell’anno in cui i rifiuti soprattutto quelli costituiti dai packaging raggiungono il picco, tra confezioni regalo, imballaggi alimentari e spedizioni. In due giorni, tra il 25 e il 26 dicembre in Italia vengono prodotti 75 mila tonnellate di carta e cartone. Praticamente la capacità di una discarica di dimensioni medie piccole. Secondo Comieco, il consorzio di recupero e riciclo dei materiali cellulosi, 25 milioni di famiglie produrranno ognuna tra Natale e Santo Stefano più di 3 chilogrammi di rifiuti da imballaggi, confezioni di panettoni, scatole di oggetti arrivati online, regali. Ma a leggere i dati della ricerca di Pro Carton un cambiamento è possibile. I consumatori italiani dimostrano di essere particolarmente attenti all’impatto ambientale delle loro scelte di acquisto e alle dinamiche di riciclo. Quel 59% che ha risposto di riciclare di più rispetto a 12 mesi fa dimostra un impegno crescente verso comportamenti responsabili, ancora più evidente se confrontato con altri Paesi, come la Germania, dove solo il 30% degli intervistati ha incrementato le proprie abitudini di riciclo.

    Ambiente

    Festeggiamo il Natale (tanto paga la Terra)

    di  Fiammetta Cupellaro

    05 Dicembre 2024

    Packaging sostenibile: un impegno per i brand
    Nel mondo del packaging la sostenibilità rappresenta un tema centrale: ogni step nella fase della progettazione deve tener conto dell’impatto ambientale e della scelta dei materiali impiegati. Su questo punto, il 66% degli italiani ritiene che aziende e retailer stiano facendo progressi per introdurre packaging più sostenibili, ma solo il 13% è pienamente convinto di un impegno deciso. Tuttavia c’è ancora spazio di miglioramento, perché il 34% dei consumatori italiani è ancora scettico sulle iniziative attualmente messe in atto dai brand per progettare soluzioni innovative più sostenibili. Infatti, l’80% dei consumatori preferirebbe che i brand sviluppassero packaging biodegradabili in cartone che possano essere riciclati, rispetto al 20% che privilegerebbe materiali plastici riutilizzabili.

    Alla ricerca di prodotti sempre più green
    E se il packaging non riciclabile è il motivo principale per cui il 51% degli italiani sceglie di cambiare brand. Seguono l’uso eccessivo di plastica (42%) e l’imballaggio superfluo (42%). Invece, il motivo che guida i consumatori esteri a scegliere un altro brand o un prodotto è la considerazione che il prodotto sia confezionato con un imballaggio non necessario. Per aziende e retailer, questo significa una possibilità concreta di rafforzare il legame con i clienti attraverso pratiche più sostenibili, come l’adozione di imballaggi riciclabili come il cartone o il cartoncino che nel 2022 ha raggiunto un tasso di riciclo dell’83,2% (dati Eurostat). In questo contesto, gli italiani dimostrano anche una solida conoscenza dei materiali riciclabili: l’87% si sente sicuro di sapere quali tipi di packaging possono essere riciclati, che si declina nella preferenza per materiali come il cartone ondulato (89%) e la carta e il cartone (86%). LEGGI TUTTO

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    L’Artico da bianco sta diventando blu: fra soli tre anni potrebbe restare senza ghiaccio

    Fra soli tre anni, nella peggiore delle ipotesi, gli scienziati stimano che potrebbe accadere qualcosa di finora inimmaginabile: passare da “un Oceano artico bianco” a un “Oceano artico blu”, in poche parole un Artico senza più ghiaccio. Una previsione inquietante, quella raccontata su Nature da due ricercatrici, Céline Heuzé del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Goteborg e Alexandra Jahn, esperta di scienze atmosferiche e oceaniche dell’Università del Colorado Boulder. Le stime si basano su dolorosi calcoli che, partendo come base dai dati raccolti nel 2023, dimostrano come agli attuali ritmi e tendenze di perdita di ghiaccio se per l’impatto del riscaldamento globale e delle attività antropiche si supereranno (cosa probabile) le perdite raggiunte finora c’è un’alta probabilità che l’Oceano artico rimanga senza ghiaccio “inevitabilmente entro i prossimi 20 anni”, con una possibilità estrema che ciò accada già a partire dal 2027.

    Il ritmo attuale di perdita è già superiore al 12% per ogni decennio, di conseguenza il giorno che simboleggerà una “pietra miliare minacciosa per il Pianeta”, scrivono le esperte, potrebbe essere centrato purtroppo in un lasso di tempo molto breve. Le conseguenze, nel tempo, sarebbero devastanti: non solo la perdita di ghiaccio può influire su circolazioni dell’aria e meccanismi del clima, aggravando determinate condizioni, ma come sappiamo è già letale per la sopravvivenza degli ecosistemi, dagli orsi polari sino alle altre creature che vivono nell’Artico fino alla sussistenza per le comunità che oggi abitano il Nord del mondo. Più in generale il ghiaccio marino mondiale ha un ruolo cruciale nella regolazione delle temperature dell’oceano e dell’aria e nell’alimentazione delle correnti oceaniche che trasportano calore e sostanze nutritive in tutto il mondo, per cui le ripercussioni sarebbero di natura “globale” e non locale. La causa principale della perdita e dello scioglimento è, come noto, legata alle emissioni climalteranti create dalle attività dell’uomo, quelle che contribuiscono al riscaldamento globale: anche se oggi facessimo un immediato passo indietro sulle emissioni di gas serra, i processi che porteranno l’Artico a trasformarsi in un “oceano blu” sono già avviati e molto probabilmente ciò si verificherà “entro nove o vent’anni dal 2023”, con proiezioni estreme che parlano appunto di una scomparsa già entro soli tre anni.

    Riscaldamento globale

    Danni irreversibili alla criosfera, lo scioglimento dei ghiacciai non è più sostenibile

    di  Pasquale Raicaldo

    13 Novembre 2024

    “Il primo giorno senza ghiaccio nell’Artico non cambierà subito le cose in modo radicale ma mostrerà che abbiamo fondamentalmente alterato una delle caratteristiche distintive dell’ambiente naturale nell’Oceano Artico, ovvero che è coperto da ghiaccio marino e neve tutto l’anno, attraverso le emissioni di gas serra” ha spiegato la coautrice dello studio Alexandra Jahn. Nell’Artico che oggi si sta riscaldando quattro volte più velocemente rispetto ad altre zone del mondo, il passaggio da bianco a blu potrebbe inoltre significare la perdita dell’effetto albedo, dato che superfici più scure riflettono meno la radiazione solare. Lo studio, che si basa su dati e osservazioni satellitari, oltre che su 11 modelli climatici e algoritmi elaborati dalle ricercatrici, indica come l’impatto della crisi del clima potrebbe portare diverse aree dell’Artico oltre il limite di ghiaccio di 0,3 milioni di miglia quadrate, cifra che viene considerata per definire un’area libera dai ghiacci. Rispetto al periodo tra il 1979 e il 1992, quando si contava una estensione di ghiaccio di almeno 2,6 milioni di miglia quadrate, ora siamo già passati a 1,6 milioni e il declino è costante. Nove delle simulazioni (su 366 totali) effettuate dalle ricercatrici stimano che se i tassi attuali di perdita peggioreranno, cosa possibile dato che anche il 2024 è stato un nuovo anno da record per temperature medie globali elevate, allora il primo giorno di “Artico senza ghiaccio” potrebbe arrivare già “tra tre e sei anni”. Dunque prima o poi, entro il 2030, questo giorno arriverà ma, stimano gli esperti, non tutto è perduto. Lavorare a livello planetario sulla riduzione delle emissioni infatti “contribuirebbe a preservare il ghiaccio marino” sostiene Jahn. Parallelamente, proprio nel tentativo di preservare i ghiacci, un gruppo di scienziati e imprenditori sta anche sperimentando nell’Artico candese un nuovo sistema per provare a pompare acqua marina sottostante e congelarla in superficie.

    Crisi climatica

    La fusione dello strato di ghiaccio sull’Artico potrebbe influenzare le correnti oceaniche

    di Sara Carmignani

    01 Novembre 2024

    Nella zona di Nunavut sta operando infatti la start-up britannica Real Ice e, con l’obiettivo di rallentare o addirittura invertire la perdita di ghiaccio estiva e primaverile il gruppo punta – anche se con metodi criticati perché secondo alcuni non potrebbero funzionare su larga scala – a congelare sempre più acqua estratta per invertire quella rotta che ha portato dagli anni Ottanta ad oggi a ridurre la quantità di ghiaccio spesso di quasi il 95%. Per ora, come ha raccontato l’italiano Andrea Ceccolini, che è co-Ceo di Real Ice, si tratta di un tentativo arduo ma “possibile” per “lasciare un mondo migliore ai miei figli” anche se altri scienziati criticano la possibilità che questo metodo possa funzionare appunto su larga scala. L’unica certezza, osservando i modelli attuali, resta purtroppo l’attesa di un giorno: quello da passaggio da “bianco a blu” che appare sempre più vicino. LEGGI TUTTO

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    La pianta che resiste da 60mila anni

    È una delle specie più rare di Angiosperme, la più grande divisione di piante oggi presenti sul nostro pianeta. Sono quelle che fioriscono e si riproducono grazie agli impollinatori. Ma non in questo caso. I semi di Andryala laevitomentosa sono quasi tutti sterili. Tanto che ne rimangono poco più di tremila esemplari su un solo […] LEGGI TUTTO

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    Più turbolenze nei nostri cieli, così il cambiamento climatico cambia il nostro modo di volare

    Tra le conseguenze del cambiamento climatico potrebbe esserci anche l’incremento dei rischi sulle rotte aeree. Proprio così: i cambiamenti della circolazione atmosferica e i suoi effetti sulla turbolenza aerea nei cieli europei, inclusi quelli italiani, sono strettamente legati al climate change. E’ il risultato di uno studio condotto da un team di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, recentemente pubblicato su “Geophysical Research Letters”, che sottolinea come potrebbero esserci “diverse implicazioni per la sicurezza dei voli”. La ricerca esamina gli episodi di turbolenza moderata o forte registrati negli ultimi 44 anni: il trend in aumento è evidente nei cieli del Regno Unito, dell’Europa settentrionale e nell’intera regione mediterranea, Stivale compreso.

    In particolare, insieme con gli episodi di turbolenza convettiva – fenomeno causato dai moti verticali dell’aria dovuti a un intenso riscaldamento della superficie terrestre, spesso associato alla formazione di nuvole cumuliformi e fenomeni temporaleschi – crescono anche gli episodi di turbolenza d’aria chiara (l’acronimo è CAT). Un fenomeno, quest’ultimo, che si verifica in assenza di segnali visibili, quindi imprevedibile sia ai radar che agli occhi dei piloti, ed è provocato dalle forti variazioni verticali nella velocità del vento, generalmente legate all’attraversamento delle correnti a getto. “Un fenomeno particolarmente pericoloso – spiega Tommaso Alberti, ricercatore Ingv – poiché difficile da individuare e da prevedere e che può rappresentare un rischio per piloti e passeggeri”. Nessuna psicosi, certo. Ma lo studio sottolinea come la turbolenza moderata o forte possa causare bruschi cambiamenti di altitudine o rotta, “mettendo in pericolo la sicurezza e il comfort dei passeggeri, aumentando anche il rischio di danni strutturali agli aeromobili”, annota Alberti.

    Il caso del Golfo del Myanmar e i rischi per chi viaggia
    Tra gli esempi citati, quello dello 20 maggio scorso, quando il volo SQ381 Singapore Airlines, mentre sorvolava il Golfo del Myanmar, si è imbattuto in “una improvvisa e importante turbolenza”, con il bilancio di un morto e 85 feriti. Ma anche il recente volo della Scandinavian Airlines SK957 che è stato costretto ad invertire la sua rotta e atterrare all’aeroporto di Copenaghen dopo aver attraversato una zona di forte turbolenza vicino alla Groenlandia. “Le variazioni nei movimenti e nella direzione delle masse d’aria a causa del cambiamento climatico generano diversi impatti su diversi settori, inclusa l’aviazione, che si ritrova ad affrontare sia un aumento della probabilità di eventi di turbolenza ma anche della loro intensità, soprattutto nelle vicinanze delle correnti a getto”, spiega il ricercatore. Un incremento che si è accompagnato inoltre ad una maggiore estensione delle aree interessate dalla turbolenza, “con episodi distribuiti praticamente quasi su tutto lo spazio aereo europeo, seppur con diversa frequenza”.

    “Indiziata” numero uno per le nostre regioni è la corrente a getto subtropicale, nelle cui vicinanze le probabilità di una turbolenza moderata o forte passano dall’1,5% al 4%: è a quella che dobbiamo guardare, in particolare, nelle regioni meridionali dello spazio aereo europeo. “La corrente a getto subpolare è invece responsabile degli eventi di turbolenza MOG (acronimo di turbolenza moderata o forte, ndr) vicino al Regno Unito e nelle aree del Nord Europa”. Ma l’ampliamento delle zone a rischio è evidente ai ricercatori: “Tipicamente ci si aspetta di incontrare maggiori turbolenze quando si sorvolano gli oceani, specialmente l’Atlantico e l’Indiano, o quando si attraversano le regioni tropicali. Il nostro studio invece sottolinea che anche quando voliamo entro i confini dell’Europa è possibile incontrare eventi di turbolenza MOG, su una potenziale regione di incidenza che va dall’Atlantico settentrionale alle regioni scandinave, fino al Mediterraneo centrale e meridionale, con l’interessamento anche dell’Italia. – rileva lo studio – Gli effetti variano a seconda della stagione, più intensi d’inverno, soprattutto nella nostra regione, e più tenui durante il periodo estivo, con una quasi assenza di episodi di turbolenza MOG”.

    Cosa possiamo fare?
    Già, ma cosa fare allora? Insieme con il contrasto al riscaldamento globale, occorre – spiega la ricerca – sviluppare nuove tecniche di previsione e strategie di mitigazione, al fine di migliorare la sicurezza e il comfort dei passeggeri, riducendo così anche i costi operativi delle compagnie aeree. E i viaggiatori, cosa possono fare? “Tenere sempre tenere allacciate le cinture di sicurezza anche quando il segnale viene spento, la CAT non avvisa e la bravura dei piloti ad oggi non basta per evitarla”, suggerisce Alberti. Anche perché “l’incremento della frequenza e dell’intensità della turbolenza continua ad avere un impatto economico rilevante, ed in futuro le spese potrebbero aumentare ulteriormente”. Senza contare, naturalmente, l’esigenza di un futuro più sicuro e sostenibile per l’aviazione. LEGGI TUTTO

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    Un prof di Princeton ha costruito la sua casa green al 100%

    Il professor Forrest Meggers è talmente convinto che con una buona progettazione si possano costruire edifici davvero amici dell’ambiente che ha deciso di sperimentare la sua teoria trasformando la sua casa in una abitazione davvero “green” completamente da solo. Tre anni fa, questo professore di ingegneria e architettura che insegna alla Princeton University, ha dato via a un progetto per realizzare, in piena Princeton, una casa in grado di impattare con pochissime emissioni.

    Meggers, 43 anni, sposato e con quattro figlie, per iniziare a dar vita alla sua visione due anni fa ha iniziato a scavare nel cortile della sua proprietà di Princeton nel New Jersey (Usa). L’obiettivo era trovare l’acqua: grazie alle falde, poteva infatti installare un sistema di riscaldamento e raffreddamento geotermico per la sua casa, una base di partenza per rendere tutto più efficiente ed autonomo. Tenendo un corso chiamato “Progettare sistemi sostenibili” il professore di Princeton voleva infatti passare dalla realtà alla pratica e dimostrare anche ai suoi studenti come poter migliorare l’efficienza energetica di una abitazione. LEGGI TUTTO

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    Trivelle più facili e più vicine alle coste: il decreto Ambiente 2024 diventa legge

    Trivellazioni più facili. Il decreto Ambiente, varato a ottobre dal governo Meloni, è definitivamente legge. La Camera il 10 dicembre lo ha approvato (con 141 voti a favore, 81 contrari, tre astenuti) mentre il Senato lo aveva fatto pochi giorni fa. Il provvedimento contiene diverse novità: introduce infatti modifiche al Testo Unico sull’Ambiente del 2006, e prevede la controversa riduzione delle distanze di protezione dalle coste per le trivellazioni marine, che passano da da 12 a 9 miglia. In particolare, si vietano i nuovi permessi di ricerca ed estrazione di gas e petrolio, ma per quelli già esistenti, si abbassa la distanza minima dalle coste. Sbloccata, inoltre, la corsia preferenziale per le valutazioni ambientali relative a progetti di ”preminente interesse strategico nazionale”, tra cui rientrano anche gli impianti di stoccaggio, cattura e trasporto di anidride carbonica. Il dl affronta anche il tema delle energie rinnovabili, dell’economia circolare e del dissesto idrogeologico, ma, secondo le opposizioni, si tratta di “un’occasione mancata”.

    Governo

    Via libera al decreto Ambiente: non solo eolico e fotovoltaico, per la transizione anche nucleare e idrogeno

    di  Luca Fraioli

    10 Ottobre 2024

    Le opposizioni “così si ostacolano le rinnovabili”
    Per la deputata Luana Zanella (Europa Verde): “In questo modo il governo ostacola la diffusione di fonti energetiche rinnovabili” ed “esalta quelle fossili dando il via libera alle trivellazione delle coste entro addirittura le nove miglia”. Secondo il ministro per l’Ambiente, Gilberto Pichetto-Fratin, invece l’approvazione del decreto costituisce un “risultato importante per il Paese, nella direzione di semplificare e razionalizzare settori decisivi per la nostra economia”.
    Dal testo è saltato un emendamento che era stato presentato da Forza Italia e che avrebbe aperto alla privatizzazione dell’acqua. La proposta era di permettere alle aziende private di entrare nelle società in house – pubbliche – che gestiscono l’acqua. Il tema, ha fatto sapere il governo Meloni, potrebbe rientrare comunque nella manovra 2025.

    I dati

    L’Italia migliora ma di poco: è 43esima nella classifica per la lotta alla crisi climatica

    di  Luca Fraioli

    20 Novembre 2024

    Tema caro al governo
    Quello di rilanciare le trivellazioni è un tema molto caro al governo Meloni, per il quale sarebbe una possibilità per aumentare l’autonomia energetica del Paese. Nonostante solo qualche giorno fa il TAR del Lazio ha accolto il ricorso presentato dalle associazioni ambientaliste contro il progetto di trivellazione Teodorico, che prevedeva lo sfruttamento di un giacimento al largo del Delta del Po. Tra le varie criticità, i giudici hanno rilevato in particolare numerose carenze nelle Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA) – proprio quelle che il decreto legge appena approvato punta a velocizzare e semplificare – e il danno ambientale. Una delle ragioni dello “stop” dei magistrati era stato motivato proprio in ragione della protezione degli ecosistemi marini e costieri. Nonostante il limite di distanza minima di 12 miglia nautiche delle trivelle dalla costa, fissato per arginare le conseguenze di alcuni rischi delle attività estrattive, come lo sversamento in mare di petrolio. Oggi però quella distanza scende a 9 miglia. Una distanza considerata dal ministero dell’Ambiente, Pichetto Fratin in grado di garantire “un elevato grado di sicurezza”.

    Le novità controverse: autorizzazioni ambientali più veloci
    Oltre la semplificazione delle procedure di Via viene data la priorità alla realizzazione di alcuni progetti, tra i quali quelli di stoccaggio, cattura e trasporto della CO2. Il primo progetto di questo tipo in Italia è nato a Ravenna e prevede di captare almeno il 90% della CO2 prodotta dall’impianto – stimata in circa 25 mila tonnellate l’anno – e trasportarla fino alla piattaforma offshore Porto Corsini Mare Ovest, per poi depositarla in un giacimento di gas esaurito a 3 mila metri di profondità.
    Il decreto Ambiente contiene anche norme sulle procedure di valutazione e autorizzazione ambientale da parte delle commissioni Via-Vas e Pnrr-Pniec, che si occupano di dare il via libera dal punto di vista dell’impatto sull’ambiente. In particolare, si dovrebbero velocizzare le pratiche per i progetti del valore di oltre 25 milioni di euro che hanno un “preminente interesse strategico” e che possono aiutare a ridurre la quantità di carbonio nell’atmosfera. Ma anche quelli che rispettano i criteri di affidabilità e sostenibilità tecnica ed economica, oltre agli interventi legati al Pnrr.

    Le priorità
    Saranno considerati una priorità, ad esempio, gli impianti per l’accumulo di energia idroelettrica tramite pompaggio puro, che prevedono un aumento della quantità di acqua immagazzinabile. Lo stesso vale per gli impianti di stoccaggio geologico, cioè quelli dove viene stipata CO2 in forma liquida, spesso iniettata in rocce porose, in zone molto profonde o in vecchi giacimenti ormai esauriti di idrocarburi. E anche per gli impianti con cui si cattura la CO2, quelli che vengono convertiti in bioraffinerie (che trasformano le biomasse, come rifiuti, legno o altro in biocarburanti).
    Sul tema del dissesto idrogeologico, la legge permette ai presidenti di Regione (o meglio, i commissari per il dissesto) di avere maggiori poteri; i fondi che vengono assegnati potranno essere ritirati se i lavori non vanno avanti, e le banche dati sulla tutela dei territori saranno collegate per dare più informazioni. Infine, alcune norme riguardano l’economia circolare. Ad esempio, si promuove il riutilizzo delle acque reflue raffinate, che possono essere usate per irrigare. LEGGI TUTTO