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    Come allontanare le vespe dal giardino

    Dall’inconfondibile colore giallo e nero, le vespe presentano una forma slanciata, che si restringe tra il torace e l’addome, e con i loro pungiglioni generano ansia e paura, essendo tra gli insetti più temuti. Le loro visite in giardino sono un problema diffuso, che porta a mettere in campo disparate strategie pur di allontanarle. Tenere le vespe alla larga dalle nostre oasi verdi può sembrare complesso, ma con le giuste accortezze e avvalendosi di una serie di rimedi diventa semplice.

    Vespe, gli aspetti da tenere in considerazione
    Insetti infestanti, la loro superficie non è pelosa, possono pungere diverse volte, si nutrono di altri insetti e del nettare dei fiori e mostrano un temperamento aggressivo di fronte a pericoli. Le vespe appartengono alla famiglia dei Vespidi e sono presenti sul Pianeta in molte specie, che si distinguono tra solitarie e sociali.

    Malgrado sia necessario mettere in campo le giuste strategie per allontanare le vespe dal giardino, è importante non eliminarle, vista la loro importanza per l’ecosistema. Le vespe si nutrono di insetti, rappresentando dei disinfestanti naturali, cacciando zanzare, afidi e mosche, contenendo così i parassiti e la loro azione nociva per l’uomo e l’agricoltura. Oltre a questo, contribuiscono all’impollinazione delle piante, anche se in misura inferiore rispetto alle api, e sono preda di specie di uccelli protetti.

    Le vespe sono attive da aprile a settembre, con giugno e luglio che rappresentano i loro mesi di picco. Qualora si possieda un giardino, in questi periodi dell’anno ci si può ritrovare a fare i conti con la loro presenza, non solo per via di eventuali nidi nelle vicinanze, ma anche in quanto attratte dai fiori e dai frutti degli alberi. In queste situazioni è necessario correre ai ripari, allontanando le vespe dal giardino per scongiurare incontri ravvicinati con loro, rischiando di essere punti, eventualità che si verifica quando le vespe diventano aggressive per proteggere il nido, oppure se vengono allontanate con gesti bruschi o toccate in modo inavvertito.

    I rimedi per allontanare le vespe dal giardino
    Con la stagione calda gli insetti diventano spesso un problema in giardino. Nel caso in cui si debba fare i conti con le vespe, se la situazione non è grave e ci si trovi ad affrontare visite limitate da parte di queste, è possibile allontanarle affidandosi a una serie di accorgimenti.
    Per mettere in campo soluzioni naturali e non invasive un alleato su tutti è il caffè che, grazie al suo aroma intenso, funge da repellente per questi insetti: basta inserirne un cucchiaio all’interno di un contenitore realizzato con della carta stagnola per poi dargli fuoco, generando così un fumo il cui odore è sgradito dalle vespe, allontandole facilmente.

    Altro ingrediente della cucina utile per liberare il giardino dalle vespe è l’aglio, da usare in polvere, aggiungendolo in uno spruzzino con dell’acqua per poi usare il composto per irrigare le piante, facendo così in modo che le vespe scappino. Anche il cetriolo è un repellente per le vespe: se adagiato su un foglio di alluminio, da porre nel giardino, emana un odore cattivo per questi insetti.

    Qualora si cerchi una soluzione naturale più profumata ci si può affidare agli oli essenziali, come quello di alloro o di eucalipto, capaci di svolgere un’azione repellente. Inoltre, si possono posizionare in punti strategici del giardino dei sacchetti con all’interno pastiglie di canfora oppure naftalina. Un’altra possibilità è aggiungere nella nostra oasi verde piante come citronella, eucalipto e lavanda che, con il loro odore forte, sono particolarmente efficaci per allontanare gli insetti.

    Si può inoltre ricorrere a uno spray casalingo creato con acqua, aceto bianco e una piccola quantità di candeggina, usando dei guanti quando lo si prepara per proteggere la pelle. Dopo averlo agitato, si procede spruzzando il composto nelle zone del giardino in cui sono presenti le vespe: l’odore pungente di questo mix le allontanerà.

    Per evitare incontri ravvicinati con le vespe mentre si mangia all’aperto si può accendere una candela di citronella, capace di farle fuggire, permettendoci di consumare il pasto indisturbati.

    Nido di vespe in giardino: come intervenire
    Nel caso in cui ci si ritrovi davanti a una situazione più grave e si debba fare i conti con un nido di vespe in giardino è essenziale affrontare la situazione con preparazione. La calma e la cautela sono fondamentali quando si parla di vespe, tenendo conto che i movimenti bruschi aumentano le possibilità di essere punti.

    Durante l’intervento di rimozione è necessario vestirsi in modo adeguato, coprendosi il più possibile, creando poi una fonte di fumo che porterà le vespe ad allontanarsi. Per farlo si può ricorrere a un contenitore di metallo senza coperchio, da posizionare sotto il nido di vespe, facendo bruciare al suo interno della carta. Una volta che le vespe si sono allontanate si può procedere rimuovendo il nido con un bastone oppure un manico di scopa, facendolo cadere in un sacco di plastica per poi chiuderlo con attenzione e gettarlo. Quando le vespe scappate torneranno sul posto, non trovando più il nido, se ne andranno cercando un’altra dimora. Se il nido è molto grande oppure si trova in una posizione difficile da raggiungere è bene affidarsi a un’impresa specializzata nella disinfestazione delle vespe.

    Come prevenire la presenza delle vespe in giardino
    Per far sì che le vespe non siano una presenza fissa in giardino è importante agire in ottica di prevenzione, controllando di tanto in tanto i punti in cui potrebbero creare dei nidi e sigillando eventuali crepe, fessure e buchi. Inoltre, angoli nascosti e grondaie devono essere puliti regolarmente e liberati da detriti in cui si potrebbero insidiare le vespe con un nuovo nido.
    Altro aspetto cruciale è imparare a gestire correttamente i rifiuti alimentari che fungono da esche per questi insetti. Il cibo non dovrebbe essere mai lasciato incustodito nel giardino per evitare che sia invaso dalle vespe, che sono attratte dagli odori degli alimenti, soprattutto di quelli dolci. Oltre a questo, se i bidoni della spazzatura si trovano all’esterno è cruciale chiuderli correttamente e assicurarsi che non fuoriescano resti di cibo, che potrebbero attirare le vespe. LEGGI TUTTO

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    Un filtro per l’acqua potabile che rimuove anche i PFAS

    Scoperta una nuova tecnologia di filtraggio per rendere l’acqua potabile sempre più sicura. Anche a casa. La qualità idrica in Europa è generalmente elevata, ma molti fattori contribuiscono ad aumentare il numero di contaminanti rilasciati nell’ambiente resistenti alle tecnologie di purificazione convenzionali. È tutta italiana questa innovativa tecnica basata sull’ossido di grafene, per sviluppare un nanomateriale, in grado di rimuovere contaminanti dall’acqua potabile a livello domestico. Concepito proprio per garantire a tutti un’acqua di rubinetto sicura. Infatti, dopo un lungo periodo di ricerca, il Consiglio nazionale delle ricerche insieme all’azienda Medica, è stato sviluppato un filtro speciale a base di fibre capillari cave, che può catturare i contaminanti. L’obiettivo principale è affrontare la crescente presenza di sostanze inquinanti, come pesticidi, farmaci, metalli pesanti e composti perfluorurati, meglio noti come PFAS, che non sono facilmente rimovibili con le attuali tecnologie di depurazione tradizionali.

    La legge

    In arrivo un decreto per limitare l’inquinamento da Pfas dell’acqua potabile

    di Giacomo Talignani

    28 Marzo 2025

    Cosa finsice nell’acqua potabile
    Secondo un’indagine indipendente condotta da Greenpeace Italia, tra settembre e ottobre 2024, su 260 campioni di acqua potabile prelevati in 235 città italiane, ben il 79% dei campioni è risultato contaminato da PFAS, noti anche come inquinanti eterni. Sostanze nocive che aumentano il rischio di patologie gravi come il tumore ed interferenze con il sistema endocrino. Una contaminazione che non salva nessuna regione italiana e che ha risparmiato solo 54 campioni, pari al 21% del campione. L’indagine ha coperto le reti degli acquedotti in tutte le regioni, dove finiscono gli inquinanti contenuti in farmaci, prodotti agricoli, filtri solari, cosmetici e molto altro. Da questo contesto si capisce il valore dello studio del CNR, pubblicato sulla rivista scientifica Nature Water. Infatti i filtri progettati rimuovono dall’acqua destinata all’uomo, sia le per- e polifluoroalchiliche (PFAS), antibiotici chinolonici e piombo. Ma soprattutto, quello che è stato sperimentato, è che la nuova tecnologia si presta a uno sviluppo a carattere industriale che può integrarsi con le linee di produzione esistenti, a costi contenuti e con l’uso minimo di ossido di grafene nelle membrane filtranti.

    Tutorial

    Dal rossetto allo smalto, i consigli per smaltire i cosmetici

    di Paola Arosio

    20 Aprile 2025

    L’ossido di grafene
    Considerato uno dei materiali più efficaci nella purificazione dell’acqua grazie alle sue eccezionali proprietà fisiche e chimiche. Il primo grande vantaggio è rappresentato dalla sua superficie: ogni grammo di ossido di grafene può offrire fino a 2.600 metri quadrati di area disponibile per interagire con le molecole inquinanti. Questo permette di catturare una quantità molto elevata di contaminanti in uno spazio ridotto, aumentando notevolmente l’efficienza del filtraggio.
    Un altro elemento che lo rende unico è la presenza di numerosi gruppi chimici funzionali sulla sua superficie, che gli conferiscono una reattività chimica che attrae e trattiene diverse categorie di sostanze tossiche. Inoltre l’ossido di grafene agisce come una sorta di spugna molecolare, grazie alla sua struttura atomica che riesce a trattenere molecole molto diverse tra loro, comprese quelle organiche complesse. Infine le sue proprietà antibatteriche, che non solo filtrano le impurità chimiche, ma limitano la proliferazione di batteri all’interno dei sistemi di filtraggio, prevenendo la formazione di biofilm e altre contaminazioni secondarie.

    Inquinamento

    La mappa della contaminazione da PFAS delle acque potabili

    di Pasquale Raicaldo

    22 Gennaio 2025

    La ricerca
    L’aspetto determinante di questa ricerca combinata, lunga 10 anni, è stata l’integrazione con il polisulfone, (polimero plastico ad alte prestazioni), che ha permesso lo sviluppo di membrane innovative, fino alla realizzazione di una linea di produzione semi-industriale, nell’ambito del progetto europeo Graphil, finanziato da Graphene Flagship, che ha consentito di portare la tecnologia dai prototipi di laboratorio fino alla fase commerciale curata da Medica, per migliaia di filtri all’anno. “Si tratta di un esempio efficace di come la ricerca fondamentale, se orientata verso i bisogni industriali e sostenuta da finanziamenti pubblici mirati, possa portare a risultati tecnologici concreti,” ha dichiarato Vincenzo Palermo, uno degli autori del lavoro e direttore dell’ Istituto per la sintesi organica e fotoreattività del Cnr di Bologna (Cnr-Isof).

    La normativa

    La Francia mette al bando i Pfas in cosmetici e tessuti

    a cura della redazione di Green&Blue

    21 Febbraio 2025

    L’adsorbimento chimico
    Infatti nel 2024, la collaborazione tra Cnr e l’azienda Medica ha portato al lancio del Graphisulfone, una nuova generazione di membrane composite polisulfone-grafene-ossido, in grado di combinare ultrafiltrazione e adsorbimento in un’unica tecnologia. Nel primo caso, le fibre cave della membrana agiscono come un setaccio, rimuovendo batteri e virus con elevati livelli di ritenzione; nel secondo, l’adsorbimento chimico (diverso dall’assorbimento) è un processo in cui molecole, atomi o ioni si attaccano alla superficie di un materiale, in questo caso contaminanti chimici, come metalli pesanti, PFAS, antibiotici e pesticidi, che vengono trattenuti, purificando l’acqua. L’obiettivo, dunque, è produrre filtri innovativi per l’acqua che possano essere facilmente collegati direttamente al lavandino di casa o utilizzati come dispositivi portatili di depurazione dell’acqua, per garantire un facile accesso all’acqua potabile a costi sostenibili. LEGGI TUTTO

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    Scrub, come scegliere il più eco

    Ginocchia ruvide, gomiti ispessiti, volto dal colorito ingrigito e spento. Casi in cui è d’obbligo uno scrub che, applicato con un leggero massaggio, permette di rimuovere impurità e cellule morte, regalando una pelle più liscia e luminosa, pronta per assorbire meglio la crema o il siero applicati successivamente. Un trattamento necessario soprattutto quando fa capolino la bella stagione, per prepararsi a un’abbronzatura al top.

    Benessere a tavola

    Microplastiche, quei pericolosi “intrusi” che frutta e verdura possono aiutare a contrastare

    di Giorgio e Caterina Calabrese

    11 Aprile 2025

    Fino a 94.500 particelle nello scarico
    In questo cosmetico, dalla fine degli anni Novanta, vengono utilizzate, come agenti esfolianti, microsfere con un diametro di circa 200-400micrometri (un millesimo di millimetro), composte principalmente da materiali plastici, come polietilene o polipropilene. Secondo una recente stima, fino a 94.500 particelle potrebbero finire nello scarico in un singolo utilizzo, delle quali il 2-10% sfugge al trattamento delle acque reflue, con un conseguente rilascio nell’ambiente marino.
    Dati, questi, che hanno indotto i legislatori di vari Paesi del mondo a prendere provvedimenti. Divieti di produzione, importazione e vendita di prodotti contenenti tali particelle sono entrati in vigore negli Stati Uniti, in Canada, in Nuova Zelanda, nel Regno Unito tra il 2018 e il 2019, mentre nel 2020 si sono aggiunti all’elenco Finlandia, Francia, Islanda, Irlanda, Lussemburgo, Norvegia, Svezia e anche l’Italia.
    Fatta la legge trovato l’inganno
    Tutto bene, dunque? Non proprio. In uno studio pubblicato nel 2025 su Environmental Science and Pollution Research, i ricercatori hanno esaminato la composizione di 28 scrub per il viso provenienti da diverse nazioni, in presenza e in assenza di divieti. Ebbene, oltre la metà contiene microsfere.
    Inoltre, nei Paesi in cui è in vigore un divieto, ben sei prodotti su otto contengono ancora queste particelle dannose per l’ambiente. “Tali risultati evidenziano la necessità di un’applicazione più rigorosa della legislazione, in modo da orientare la formulazione dei preparati da parte dell’industria di settore”, commentano gli autori della ricerca.

    Ambiente e salute

    Microplastiche nella placenta, livelli più alti nei bimbi nati prematuri

    31 Gennaio 2025

    La silice è la migliore alternativa
    Nel frattempo, i consumatori possono fare molto a favore della sostenibilità, prediligendo i prodotti eco-friendly. In uno studio pubblicato nel 2020 su Nature Sustainability, gli esperti dell’Imperial College di Londra sostengono che la silice, reperibile in natura in forme dure e cristalline, come granelli di sabbia e pietre di ossidiana, sia il miglior sostituto delle microsfere di plastica, in base agli effetti sull’ambiente e sulla salute. Un parere corroborato da Skin Deep dell’Environmental Working Group, secondo il quale questo materiale può essere un esfoliante delicato ed efficace.

    Le microplastiche mettono a rischio la fertilità femminile

    di Simone Valesini

    28 Febbraio 2025

    Da evitare gusci di noce e canna da zucchero
    Tra le migliori alternative sostenibili si annoverano anche pietra pomice, argilla bentonitica, bambù, perle di jojoba, mentre gusci di noce e canna da zucchero, nonostante la loro popolarità negli scrub fatti in casa, sono sconsigliati, perché le loro particelle grandi o di forma irregolare possono causare microlesioni della pelle.
    Infine, una recentissima sperimentazione, pubblicata nel 2025 su Sustainable Chemistry and Pharmacy, si è focalizzata sulla conversione di scarti alimentari, come fondi di caffè, residui di malto, resti di luppolo, avanzi di melograno, in scrub per il viso a base di lipogel. I campioni di materiale sono stati sottoposti a essicazione, macinazione, setacciatura per generare polveri con granulometrie variabili (da 420 a 1.000 micrometri) e poi testati su un gruppo di volontari. Con risultati positivi. LEGGI TUTTO

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    Dalle chiese agli hotel, i vantaggi degli edifici mangia-smog

    Il Palazzo Italia dell’Expo del 2015 a Milano, la chiesa Dives in Misericordia a Roma, la chiesa dell’ospedale di Bergamo dedicata a San Giovanni XXIII, le pavimentazioni dei lungomari della riviera Adriatica. Ma anche le facciate dell’Hôtel de Police a Bordeaux e i pannelli dell’Air France all’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi. E ancora, le corsie ciclabili e i parcheggi a Blue Island Avenue e a Cermak Road, a Chicago, negli Stati Uniti. Infrastrutture molto diverse tra loro, che hanno in comune un’importante caratteristica: sono tutte realizzate con il cemento mangia-smog, dagli esperti chiamato fotocatalitico. Una storia iniziata nel 1996, quando il chimico Luigi Cassar ebbe l’idea di aggiungere alla miscela di cemento piccole particelle di biossido di titanio, un composto bianchissimo e a basso costo. Brevettato da Italcementi, oggi Heidelberg Materials, questo innovativo agglomerato è disponibile sul mercato dal 2006 con il nome di Tx Active.

    Il libro

    Dagli algoritmi alle auto ecologiche, quando la natura ispira la tecnologia

    di Pasquale Raicaldo

    22 Aprile 2025

    “Grazie alla luce naturale o artificiale, tale materiale è in grado di accelerare i processi di ossidazione, trasformando le sostanze organiche e inorganiche nocive, come ossido di azoto, biossido di zolfo, monossido di carbonio, ozono, in composti meno dannosi, come carbonati, nitrati, solfati, che vengono in seguito rimossi dall’acqua piovana”, spiega Anna Laura Pisello, ingegnere edile, docente di Fisica tecnica ambientale all’Università di Perugia e componente del network tecnico-scientifico di Federbeton, la Federazione di Confindustria che rappresenta la filiera del cemento e del calcestruzzo. “In questo modo il conglomerato contribuisce al miglioramento della qualità dell’aria. Inoltre, evitando l’accumulo e l’adesione dei contaminanti, è anche in grado di mantenere pulite le superfici degli edifici, valorizzandone l’aspetto estetico”.

    Il cemento che illumina le città
    Oltre a quello fotocatalitico, ci sono altri calcestruzzi creati in nome della sostenibilità ambientale. Tra questi, il calcestruzzo fotoluminescente, una miscela che contiene fosfori ottenuti dagli scarti del vetro, capaci di assorbire i raggi solari durante il giorno e di riemetterli sotto forma di luce, generando un’illuminazione passiva.
    “Un materiale ideale per realizzare edifici, marciapiedi, sentieri pedonali e ciclabili, piazze e parcheggi in zone scarsamente illuminate, incrementando così la visibilità e la sicurezza dei cittadini”, prosegue l’ingegnere. “A ciò si aggiunge la capacità di ridurre la temperatura del suolo e delle costruzioni durante l’estate, mitigando gli effetti del sovrariscaldamento urbano con benefici per la salute degli abitanti. In proposito, il nostro ateneo due anni fa si è aggiudicato un finanziamento dell’European Research Council per lo sviluppo del progetto Helios, finalizzato all’ideazione di materiali innovativi in grado di produrre raffrescamento passivo”. Calcestruzzo di questo tipo è stato, per esempio, impiegato per la pista ciclabile di Peccioli, nei pressi di Pisa, e per la pista ciclo-pedonale di Caravate, in provincia di Varese.

    Sostenibilità

    Lavori green, il bioarchitetto: “Costruiamo secondo le leggi della natura”

    di Marco Angelillo

    28 Marzo 2025

    Drenare l’acqua e ridurre le temperature
    Un altro esempio di calcestruzzo amico dell’ambiente è quello drenante che, a differenza dei due casi precedenti, non richiede di per sé l’aggiunta di specifici additivi, ma in cui è importante la dimensione dei grani (granulometria), che determina l’interazione dei vuoti e dei pieni. È usato soprattutto per realizzare pavimentazioni stradali porose, che permettono il deflusso dell’acqua piovana. “In tal modo, si riduce il rischio di impermeabilizzazione del terreno, assicurando una maggiore resilienza in caso di inondazioni e impedendo il fenomeno dell’acqua planning, pericoloso per i veicoli”, chiarisce Pisello. “Questo tipo di agglomerato, utilizzabile anche per piazze, giardini, percorsi ciclo-pedonali, spazi condominiali, ha inoltre il vantaggio di ridurre la risalita delle radici delle piante, di rispettare l’ecosistema nei substrati del suolo, di favorire il riciclo dei materiali a fine vita”.
    Infine, l’acqua assorbita dal terreno, che poi evapora (fenomeno di evapo-traspirazione), contribuisce a ridurre l’effetto “isola di calore” nelle città, responsabile dell’innalzamento dei consumi energetici e delle emissioni: grazie a tale componente, le temperature del suolo, che nei periodi più caldi possono raggiungere i 50 gradi, scendono a 5-20 gradi. Con questo materiale è stata pavimentata una parte del Parco Biblioteca degli alberi di Milano, con benefici estesi anche all’area circostante.

    Arte e Natura

    Biennale Architettura, così il clima cambierà le nostre case

    di Fiammetta Cupellaro

    11 Febbraio 2025

    Più resistenza per i grattacieli
    Un ulteriore esempio di calcestruzzo sostenibile è quello a basso calore di idratazione per edifici alti, studiato per getti massivi al fine di garantire un’elevata durabilità delle strutture. “Una volta gettato, il calcestruzzo indurisce grazie alla reazione di idratazione del cemento, un processo che produce calore elevato, aumentando così il rischio di fessurazione dell’agglomerato, con conseguenze negative sulla costruzione stessa”, aggiunge l’esperta. “Per questo nelle circostanze che lo richiedono si utilizza un cemento in grado di sviluppare poco calore. Si tratta di un prodotto che coniuga efficienza nella realizzazione, qualità e sicurezza nel risultato, minore impatto ambientale, grazie al ridotto contenuto di clinker, un componente base, ricavato principalmente da argilla e calcare, per la produzione del cemento”.
    Questo tipo di calcestruzzo è stato, per esempio, utilizzato nella realizzazione del grattacielo Gioia 22 a Milano, composto da 26 piani fuori terra e da quattro piani interrati. LEGGI TUTTO

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    Delfini alla foce del Tevere “stressati”: i segni sulla pinna e la coda

    Come un insindacabile biglietto da visita, la salute dei delfini è tutta nei segni che portano addosso, sulla pinna dorsale, sulla coda e, soprattutto, sul dorso. Basta dunque indagarli per avere un responso. E non se la sembrano passare bene quelli che popolano la foce del fiume Tevere, nel Tirreno: già “ribattezzati” delfini capitolini, rappresentano un inno alla biodiversità a poche miglia dalla capitale, lungo la costa. Per comprendere le loro condizioni di salute, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Biologia Ambientale dell’università di Roma La Sapienza ha così analizzato, una per una, le lesioni cutanee dei singoli esemplari e la loro variazione nel corso degli anni. Arrivando a un responso non incoraggiante. “La popolazione – sintetizza la cetologa Daniela Silvia Pace – è sotto la pressione di molteplici fattori di stress, per lo più legati alle attività umane, sia direttamente, in primis la pesca, che indirettamente”.

    Biodiversità

    Gli ultimi delfini rosa di Hong Kong decimati dall’uomo

    di Giacomo Talignani

    16 Gennaio 2025

    Uno su due porta sul corpo gli effetti della pesca
    Lo studio, pubblicato sulla rivista “Aquatic Conservation” si è basato sulla fotoidentificazione dei delfini, monitorati – attraverso una tecnica evidentemente non invasiva – tra il 2016 e il 2023 nel corso di 205 distinti avvistamenti, concentrati in un’area ristretta a ridosso dell’estuario del Tevere, dove fiume apporta materia organica alle acque oligotrofiche del Tirreno, trasferendo immancabilmente anche gli inquinanti raccolti durante il transito nella città di Roma. Ma i delfini, come accade anche diverse miglia più giù alla foce del Sarno, sono fatalmente attratti dall’ecosistema costiero, e in particolare dalla presenza di pesci, che è certo più copiosa che altrove. Morale della favola: da queste parti si aggira una popolazione stimata in circa 500 esemplari, di cui circa un centinaio residenti alla foce del Tevere. E molte sono femmine con piccoli.Trentanove, nel dettaglio, i tursiopi osservati più volte e analizzati dallo studio.

    Evidenti ferite sul corpo del delfino alla foce del Tevere  LEGGI TUTTO

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    Come riciclare i fondi di caffè: idee e consigli

    I fondi di caffè, una volta bevuto il caffè, vengono solitamente gettati via. Tuttavia questi scarti possono essere un ottimo alleato nella nostra quotidianità grazie alle loro numerose applicazioni in casa, dal giardino alla cura del corpo. I possibili usi sono numerosi: ecco alcune idee e consigli su come riciclare i fondi di caffè in modo utile e sostenibile.
    Fondi di caffè come fertilizzante naturale
    I fondi di caffè, innanzi tutto, sono ricchi di azoto, un nutriente essenziale per le piante. Puoi dunque utilizzare i fondi di caffè come fertilizzante naturale per il tuo giardino, spargendoli direttamente sul terreno o mischiandoli al composto: contribuiranno a migliorare la struttura del suolo, favorendo la crescita di fiori, piante e ortaggi. Se hai delle rose in giardino i fondi di caffè saranno particolarmente utili poiché aiutano a mantenere il terreno acido, ideale per questo tipo di piante.

    Rimuovere i cattivi odori con i fondi di caffè
    I fondi di caffè sono ottimi anche per neutralizzare i cattivi odori. Metti un contenitore di fondi di caffè in frigorifero o in dispensa per assorbire gli odori sgradevoli. Puoi anche utilizzare i fondi per deodorare le scarpe o l’auto: basta lasciarli in un sacchetto di stoffa o in un piccolo contenitore dentro gli spazi da “purificare”. Il loro effetto assorbente ti aiuterà a mantenere un ambiente più fresco. LEGGI TUTTO

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    A tu per tu con una colonia di salpe, le foto nel mare di Portofino

    Corpo gelatinoso e trasparente, trascinato dalle correnti: chi non le conosce le scambia talvolta per meduse. Sono in realtà salpe (Salpa maxima il nome scientifico), organismi filtratori, ordine dei Taliacei, quelle immortalate nel mare di Portofino dal fotografo subacqueo Alessandro Grasso ad una profondità di trentacinque metri, nell’area della cosiddetta secca dell’Isuela. “In trent’anni di immersioni non ne avevo mai viste di così grandi”, racconta Grasso. Non è raro, soprattutto in occasione dei cosiddetti bloom primaverili, imbattersi nelle salpe, organismi che si muovono contraendosi e pompando l’acqua attraverso il corpo, che lascia intravedere fondali colorati, come nel caso di uno degli scatti di Grasso, dominato dal rosso delle gorgonie. A volte si osservano singoli esemplari, altre volte colonie composte, come nel caso delle foto di Portofino, da una lunga catena, per certi versi sorprendente. LEGGI TUTTO

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    “Così potete convincere chi mangia carne a diventare vegano”

    “L’istruzione è l’arma più potente che possiamo usare per cambiare il mondo”. La frase riportata nell’esergo del libro Come discutere con chi mangia carne (e convincerlo ogni volta), pronunciata da Nelson Mandela nel 1990, ben riassume l’idea al centro del volume (Sonda, pp. 352, € 19,90) scritto dall’attivista britannico Ed Winters, in libreria dal 2 maggio, la cui edizione italiana è stata curata dall’associazione Essere Animali. Una guida pratica che si rivolge non solo ai vegani, ma anche a coloro che sono curiosi di approfondire il tema, per un futuro più sostenibile e compassionevole.

    Quando è diventato vegano e perché?
    “Lo sono diventato nel 2015 per motivi etici. L’anno prima avevo scelto di diventare vegetariano in seguito a un incidente, nel quale un camion che trasportava migliaia di polli si è schiantato. Allora uno dei miei cibi preferiti era il pollo fritto, ma quando sono venuto a conoscenza dello scontro e delle sofferenze che aveva provocato a quei poveri animali ho capito che ero un ipocrita a rattristarmi per loro, mentre nel contempo pagavo perché altri venissero uccisi”.

    Ha incontrato qualche difficoltà nell’essere vegano? Per esempio, in una cena al ristorante, in un barbecue con gli amici, in un pranzo in viaggio?
    “No, non ho riscontrato particolari criticità. Certo, essere vegani può rendere alcune situazioni più impegnative, perché non è detto che si riesca a trovare cibo vegan in ogni ristorante o bar. Tuttavia, non è stato difficile al punto tale da rendere impossibile essere vegani. Inoltre, gli aspetti positivi del veganismo superano di gran lunga le eventuali difficoltà che possono sorgere”.

    La copertina di “Come discutere con chi mangia carne. E convincerlo goni volta”  LEGGI TUTTO