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    Verso Cop30, a Venezia la Dolomite Conference sul clima

    Veniamo da una estate attraversata da ondate di calore mortali, da mesi di incendi che hanno devastato Canada e penisola iberica, da alluvioni che hanno sconvolto Asia ed Europa e i mari, tutt’ora, sono talmente caldi da lasciarci presagire nuovi ed impattanti fenomeni meteo estremi futuri sui nostri territori. Anche se è un tema che appare oscurato dalle politiche negazioniste di Donald Trump o dimenticato davanti all’urgenza dei conflitti e le tensioni politiche mondiali, la crisi del clima è sempre presente e avanza senza sosta, ricordandoci l’impellenza di agire. L’ultimo appello per provare a trovare accordi internazionali per governarla ha un data precisa: l’11 novembre in Brasile, nel cuore dell’Amazzonia a Belém, inizia la Cop30, la grande conferenza delle parti sul clima. Come si arriva a questo incontro? Cosa si può ancora fare per trovare una visione comune e soluzioni utili ad arginare l’avanzata del riscaldamento globale? E come si può riaccendere il necessario dibattito sul cambiamento climatico?

    Tutte domande che proveranno ad avere una prima risposta in Italia, a Venezia, dal 16 all’18 ottobre quando si terrà la quarta edizione della Dolomite Conference su “Global Governance del Climate Change and Sustainability – Venice Edition: da Venezia le idee per ripensare e rendere più forte l’agenda sul cambiamento climatico e sulla sostenibilità”. Una tre giorni internazionale che, coinvolgendo esperti, professori, politici e anche studenti, proverà a tracciare un cammino di risposte in vista della Cop30, proponendo anche soluzioni concrete.

    La conferenza è organizzata dal think tank Vision che da anni, nonostante “il dibattito sul cambiamento climatico sia oggi sospeso tra le reazioni politiche contrarie e l’accelerazione di una crisi che sta colpendo più duramente il cosiddetto sud globale”, tenta di mettere in cima all’agenda delle priorità la questione climatica. La nuova edizione della Dolomite Conference si terrà quest’anno sull’isola di San Servolo e, tra i tanti partecipanti attesi c’è anche il presidente della Cop30, André Corrêa do Lago, così come Izabella Teixeira dell’International Advisory Board at CEBRI ed ex ministra dell’Ambiente del Brasile, e Ibrahima Cheikh Diong dell’UN Fund for Responding to Loss and Damage) e poi l’ex sindaco di Bergamo ed europarlamentare Giorgio Gori, l’ex ministro Renato Brunetta, oggi presidente del Venice Sustainability Foundation, il professor Carlo Carraro della Ca’ Foscari University e autore dei working group dell’IPCC e molti altri.

    Nella Venezia simbolo del cambiamento climatico che combatte da anni contro l’innalzamento dei mari proponendo anche soluzioni pragmatiche come il Mose, la conferenza darà un ruolo centrale anche alle imprese che puntano ad aumentare la loro sostenibilità come leva strategica dell’economia. Inoltre, uno dei punti chiave sarà la presentazione di soluzioni concrete sviluppate da studenti universitari dopo mesi di lavoro e di webinar dedicati, un progetto che passa attraverso i sei gruppi di lavoro chiamati PSSG nati per parlare di agrifood, riciclo, mobilità sostenibile, città del futuro, transizione energetica e loss and damage (il fondo perdite e danni per i Paesi meno sviluppati). Da quest’ultimo impegno degli studenti nascerà poi, come nelle edizioni passate, un elaborato chiamato Venice Manifesto che verrà discusso anche alla Cop30 in Brasile nel cuore dell’Amazzonia.Infine, diversi panel della Dolomite Conference saranno dedicati al ruolo dell’Europa e all’attuale stallo del Green Deal, ma anche alla contrapposizione, per esempio, fra le politiche climatiche di Usa e Cina.

    Per Francesco Grillo, direttore del think tank Vision, “l’esistenza del cambiamento climatico non avrebbe, in realtà, neppure, bisogno della scienza. Basta un termometro e l’esperienza che tutti – da Venezia a Los Angeles, da Cervia a Shanghai – ne facciamo. Un mondo sostenibile è nell’interesse delle giovani generazioni ed è un’urgenza che già attraversa confini e settori produttivi diversi, dalle assicurazioni all’agricoltura, passando per l’edilizia. È evidente però che quest’agenda ha bisogno di linguaggi, di incentivi, di misurazioni diverse. E l’uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi rende il cambiamento climatico l’occasione per ripensare al modo in cui governiamo la globalizzazione”.

    L’evento, dal 16 al 18 ottobre a San Servolo, è organizzato da Vision in collaborazione con il CEBRI (Centro Brasileiro de Relações Internacionais) , diverse Università (tra cui Bocconi, Politecnico di Milano, Luiss e le varie università di Venezia) e tanti partner sia del mondo dell’industria che dei media internazionali (tra cui The Conversation e Illuminem e GEDI e RAI che trasmetteranno alcuni contenuti e copriranno l’evento). L’idea finale della Conferenza, per tutti i partecipanti, è comune: fornire idee e stimoli, nella battaglia alla crisi climatica, direttamente a tutti i leader e i Paesi che si riuniranno l’11 novembre in Brasile per la conferenza delle parti sul clima targata Onu. LEGGI TUTTO

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    “Siccità, alluvioni, inquinamento dell’acqua: alto il prezzo pagato dall’Italia”

    Siccità, alluvioni e inquinamento costano cari all’Italia. Dietro l’immagine dei boschi devastati dagli incendi, dei laghi e i fiumi in secca, si nasconde un prezzo altissimo che l’Italia sta pagando e che rischia di crescere nei prossimi anni. Secondo la Banca Centrale Europea, solo la siccità 2025 costerà una perdita complessiva di 6,8 miliardi di euro che salirà 17,5 miliardi nel 2029. Cifra a cui vanno aggiunti 210,5 milioni di euro già pagati per gli inadempimenti rispetto alla Direttiva europea Acque reflue e altri 300 milioni da sborsare, per le multe che scadranno alla fine 2030 riguardanti sempre la gestione della risorsa idrica nel nostro Paese. I calcoli sono esatti visto che arrivano direttamente dai magistrati della Corte dei Conti.

    Lo studio

    Entro il 2100 carenze idriche gravi nelle aree siccitose

    a cura della redazione di Green&Blue

    23 Settembre 2025

    Ma non si potevano spendere tutti questi soldi per migliorare ad esempio l’efficienza idrica, proteggere il ciclo dell’acqua, mitigare gli effetti della siccità e della crisi del clima, magari perfino rafforzare il controllo e il monitoraggio sugli scarichi agricoli e industriali? È quanto si domandano i ricercatori di Legambiente che hanno deciso di dedicare la VII edizione del Forum Acqua organizzato oggi a Roma al costo economico provocato da siccità, alluvioni e inquinamento. Un report dal titolo “La resilienza idrica in Italia” pieno di dati e grafici che fotografa la situazione dalla Val d’Aosta a Pantelleria a tre mesi dall’adozione da parte della Commissione europea (il 3 giugno scorso) della Strategia per la Resilienza Idrica. Obiettivo della Ue per il 2030: non solo rafforzare la gestione dell’acqua nell’Unione in risposta ai rischi legati alla scarsità idrica, inondazioni e inquinamento delle falde, ma anche costruire una economia “water-smart” con la costruzione di infrastrutture verdi e soprattutto garantire l’accesso all’acqua potabile ed economica a tutti i cittadini. Vista dall’Italia, la situazione appare molto complicata. Anche perché entro dicembre 2025 anche noi dovremmo spiegare a Bruxelles cosa stiamo facendo sul fronte della risorsa idrica, visto che per quella data è stato già programmato il Water Resilience Forum che avrà cadenza biennale.

    Riscaldamento globale

    Agosto 2025 il terzo più caldo mai registrato per gli oceani

    a cura della redazione di Green&Blue

    04 Settembre 2025

    “La resilienza idrica al centro dell’agenda politica”
    Per Stefano Ciafani presidente di Legambiente non ci sono dubbi: “La resilienza idrica deve essere messa al centro dell’agenda politica italiana, con i principi fondamentali richiamati dalla Strategia europea di ridurre i consumi e migliorare l’efficienza. Da qui il nostro appello al Governo Meloni al quale indirizziamo 10 proposte che indicano una direzione chiara da intraprendere per rendere il ciclo integrato e resiliente delle acque uno dei pilastri su cui costruire il Clean Industrial Deal made in Italy”. Queste le dieci proposte di Legambiente divise in tre capitoli.

    Governance
    La resilienza idrica deve essere al centro dell’agenda politica italiana, dando piena implementazione della Direttiva Quadro Acque e tutte le normative collegate alla gestione della risorsa e all’adattamento ai cambiamenti climatici. Anche la priorità finanziaria deve essere data alla tutela del territorio e della risorsa idrica.
    È necessario varare una volta per tutte Piani anti-alluvione e Piani per la gestione della siccità che vanno condivisi tra istituzioni e comunità locali, integrando buone pratiche, competenze scientifiche ed eccellenze tecnologiche. È necessario inoltre definire chiaramente ruoli e responsabilità.
    Conoscenza, trasparenza e comunicazione per coinvolgere attivamente i cittadini, imprese e istituzioni locali in una governance collaborativa e multilivello. Accelerare sulla costruzione dei bilanci idrici, fornendo informazioni sulla quantità e la qualità dell’acqua per gestire le risorse idriche e soprattutto allocare le risorse in maniera più equa e sostenibile. Introdurre una tariffazione progressiva e trasparente.
    La gestione della risorsa idrica deve tenere conto della sua natura di diritto fondamentale per la vita. Necessario gestire il ciclo globale dell’acqua come un bene comune globale, da proteggere. La crisi climatica e la sua gestione poco sostenibile è un problema che, seppur abbia ricadute gravi in aree del mondo già vulnerabili, riguarda tutti i paesi, anche l’Italia.

    Tutorial

    Dalla doccia alla lavastoviglie, i 10 consigli per non sprecare acqua

    di Paola Arosio

    11 Ottobre 2025

    Qualità ed efficienza idrica
    Ridurre i consumi e migliorare l’efficienza idrica, sono i principi che devono tornare alla base dell’approccio all’uso della risorsa idrica in Italia. Serve mantenere il giusto equilibrio tra approvvigionamento idrico e domanda di acqua di adeguata qualità. Improrogabile ridurre le perdite, utilizzare dispositivi efficienti dal punto di vista idrico e aumentare il riutilizzo dell’acqua.
    Protezione e ripristino del ciclo dell’acqua e degli ecosistemi, dalla qualità dipende anche la quantità dell’acqua a disposizione. Priorità alle Soluzioni Basate sulla Natura per migliorare la ritenzione idrica dei suoli e mitigare gli effetti di siccità e alluvioni: ricarica delle falde, nuovi accumuli, rinaturalizzazione degli alvei, ripristino delle zone umide e drenaggio sostenibile urbano. Garantire il deflusso ecologico e impedire la sottrazione delle risorse al ciclo naturale.
    Ogni comparto produttivo deve contribuire alla sostenibilità idrica, a partire da quelli maggiormente idrovori, riducendo la richiesta e aumentando l’efficienza. In agricoltura occorrono pratiche irrigue efficienti, formazione e supporto tecnico alle imprese agricole e la diversificazione colturale in funzione del rischio idrico. Nelle produzioni industriali è fondamentale integrare la resilienza idrica nelle decisioni aziendali: la gestione sostenibile dell’acqua deve essere considerata al pari della neutralità climatica, dell’assorbimento delle emissioni e della capacità di mantenere la competitività. Anche il settore dell’edilizia deve includere misure sistematiche, all’interno delle regolamentazioni, finalizzate al risparmio e al riuso dell’acqua.
    Promuovere una strategia di mitigazione delle immissioni di inquinanti, ad esempio a livello agricolo, relativamente all’inquinamento da FPAS proseguendo i lavori verso il bando universale. Rafforzare l’applicazione del principio “Chi inquina paga”, anche agli scarichi agricoli e industriali, e accelerare sulle bonifiche dei siti di interesse nazionale e delle aree contaminate da PFAS in Veneto.

    Politiche green

    Così la siccità ci mette tutti a rischio

    di Giacomo Talignani

    07 Agosto 2025

    Investimenti e infrastrutture
    Rafforzare controllo e monitoraggio sull’uso e sugli scarichi nei settori agricolo, industriale ed edilizio. Investire nell’innovazione tecnologica per il monitoraggio in tempo reale della qualità e della quantità usata di acqua.
    Rilanciare a livello nazionale e su scala locale la costruzione e la messa in regola dei sistemi fognari e di depurazione. Promuovere il riutilizzo delle acque reflue, grazie al Decreto del Presidente della Repubblica di prossima promulgazione, ampliando l’applicazione per agricoltura, industria e usi civili non potabili (lavaggi stradali, antincendio, verde urbano) ove possibile, senza compromettere il deflusso ecologico.

    Alluvione in Emilia Romagna (2023)  LEGGI TUTTO

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    Le emissioni di gas serra legate agli stili di vita sono 7 volte superiori gli obiettivi climatici

    L’Accordo di Parigi rimane la bussola che indica la direzione alle politiche climatiche. Ma la maggior parte dei Paesi viaggia su una rotta che, almeno nel breve termine, va in un’altra direzione. L’ultima conferma arriva da un rapporto (A Climate for Sufficiency: 1.5-Degree Lifestyles) secondo il quale le emissioni medie globali di gas serra, legate agli stili di vita, sono 7 volte superiori all’obiettivo di tenere, nel 2035, il riscaldamento entro 1,5 gradi in più rispetto all’era preindustriale. Se poi si considerano Paesi ad alto reddito, come Stati Uniti, Australia e Canada, la loro impronta carbonica arriva a essere anche 17 volte superiore ai livelli auspicabili. Il che, oltre a rappresentare un serissimo problema per il raggiungimento degli obiettivi climatici, segnala anche enormi disparità tra aree ricche e aree povere del Pianeta.

    Gli analisti del think tank Hot or Cool Institute, che ha sede a Berlino, hanno preso in considerazione 25 Paesi, dalla Nigeria agli Usa, stimando le emissioni derivanti dagli stili di vita dei loro abitanti. “L’impronta di carbonio media legata allo stile di vita è di 7,1 tonnellate di CO2 equivalenti per persona per anno”, si legge nel rapporto , “ben al di sopra delle 1,1 tCO2 e per persona/anno compatibili con l’obiettivo di 1,5 °C entro il 2035. Ciò richiede una riduzione media delle emissioni dell’85% nel prossimo decennio”.

    Se poi si considerano società con alto tenore di vita il divario cresce. Primi incontrastati in questa classifica delle emissioni sono gli Usa con 18,1 tonnellate di CO2 equivalenti per persona per anno, a causa “della dipendenza dall’auto, dei frequenti viaggi aerei, dell’elevato consumo di carne e da case di grandi dimensioni”. Seguono l’Australia (13,2) e il Canada (11,3). Un po’ staccati dal podio, la Corea del Sud (8,9) e, a sorpresa l’Italia che conquista il quinto posto con 8,6 tonnellate di CO2 equivalenti per persona per anno, riconducibili all’uso dell’auto, ai viaggi aerei, al consumo di carne bovina, suina e formaggio, al riscaldamento ad alto consumo di combustibili fossili. Quindi 8 volte superiore all’obiettivo: per allinearsi, le emissioni in Italia dovrebbero diminuire dell’88% entro il 2035. Il nostro Paese supera dunque la Germania (8,1), il Regno Unito (7,8) e la Francia (7).

    Alimentazione sostenibile

    Una dieta “universale” per salvare la Terra: può evitare 40mila morti premature al giorno

    di Luca Fraioli

    03 Ottobre 2025

    E i grandi inquinatori asiatici? Se si fanno i calcoli delle emissioni pro capite, evidentemente scendono in classifica. La Cina si colloca al 18esimo posto (5,5 tCO2 e per persona/anno) e l’India al 22esimo (3,2 tCO?e per persona/anno). Perfino Paesi a basso reddito come la Nigeria e il Kenya sono al di sopra dell’obiettivo, anche se di pochissimo: rispettivamente 1,4 e 1,5 volte. Ma, fanno notare da Hot or Cool, “ciò è dovuto in gran parte per l’accesso limitato all’energia e ai beni di consumo, piuttosto che per scelte consapevoli”.

    Uno scenario che, alla viglia di Cop30, pone i governanti di fronte a un dilemma: come garantire nel breve termine l’attuale stile di vita delle persone (o incrementarlo nel caso dei Paesi in via di sviluppo) evitando al tempo stesso che su tempi più lunghi l’innalzamento delle temperature globali mette in crisi i modelli economici correnti.

    Ambiente

    Come aiutare i genitori a compiere scelte low-carbon

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    03 Ottobre 2025

    L’Hot or Cool Institute, per allineare gli obiettivi climatici alle esigenze di benessere delle persone, raccomanda un “approccio di sufficienza”, incentrato sul soddisfacimento dei bisogni umani senza eccessi. “I governi devono impegnarsi con urgenza a tornare alla soglia di 1,5 °C, con piani concreti, verificabili e vincolanti dal punto di vista giuridico, che includano riduzioni obbligatorie per le imprese”, auspica Lewis Akenji, direttore esecutivo dell’Istituto e autore principale del rapporto. “Sono necessarie misure più radicali di quelle attuate finora per garantire un futuro equo, sicuro e prospero per tutti entro la soglia di 1,5 °C”. LEGGI TUTTO

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    Oxccu, la startup che trasforma la CO2 in carburante per aerei

    Gli aerei moderni inquinano. Avere aerei che volano utilizzando al posto del cherosene l’anidride carbonica di scarto, è l’ultima innovazione della startup OXCCU. Nata nel 2021 da uno spin off del Dipartimento di Chimica dell’Università di Oxford, questa giovane impresa ha brevettato un processo rivoluzionario per convertire CO2 e idrogeno verde direttamente in carburante sostenibile per l’aviazione, a costi decisamente inferiori rispetto ai metodi attuali. Una notizia cruciale per un settore, quello aereo, che vede nel SAF (Sustainable Aviation Fuel – carburante per aviazione sostenibile prodotto da materie prime rinnovabili e di scarto) uno strumento chiave per la propria decarbonizzazione.

    Andrew Symes, Ceo di OXCCU  LEGGI TUTTO

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    New York vieta le carrozze trainate dai cavalli, per sostituirle con mezzi elettrici

    Nell’agosto del 2022, nonostante il caldo torrido tra asfalto e cemento nella città di New York, il vecchio ed emaciato Ryder, un cavallo, è stato costretto a trasportare la solita carrozza per le strade di Manhattan per il divertimento dei turisti. Finché Ryder non è crollato a terra, sulla 9th Avenue. Esausto, il cavallo ha avuto un collasso, mentre chi portava la carrozza lo incitava ad alzarsi e continuare. Le immagini di Ryder, anziano di 30 anni, sono ancora su YouTube come monito di un trattamento disumano. Ma il caso di Ryder non è isolato: in molte città del mondo, Roma, Milano, Palermo, i cavalli che portano a spasso i turisti sono ancora ampiamente usati. Non più a New York, dove l’Animal Legal Defense Fund, supportata da cittadini e celebrità d Hollywood, sta finalmente offrendo tutto il suo supporto a un disegno di legge per restituire dignità a questi nobili animali.

    Il sindaco della Grande Mela, Eric Adams, infatti, è tra i sostenitori del Ryder’s Law che dal 2026 cambierà le regole e farà scomparire il binomio carrozze-cavalli. Secondo il disegno di legge, la gestione di carrozze trainate dai cavalli, molto popolare dentro il polmone verde newyorchese di Central Park, sarà interdetta dal 1° giugno 2026.

    La normativa “imporrebbe un trattamento rispettoso dei cavalli da carrozza, vietandone la vendita o il trasferimento a fini di macellazione o di utilizzo in altre attività di trasporto di cavalli” si legge sul sito di Animal Legal Defense Fund che perora la causa animalista. A proporre per primo la Ryder’s Law è stato il consigliere comunale Robert Holden, che ha proposto sia di trasferire quei cavalli in luoghi di cura, sia di supportare la formazione professionale dei conducenti delle carrozze per nuove opportunità lavorative.

    A supporto della proposta, Animal Legal Defense Fund ha svolto un sondaggio tra gli elettori di New York, secondo cui il 71% sarebbe favorevole alla legge, seguendo l’esempio di altre importanti città del Paese, come Chicago e Key West. Per contro il sindacato dei conducenti di carrozze, il Transport Workers Union, che rappresenta 170 lavoratori del settore ha lanciato una dura campagna contro il sindaco Adams, accusandolo di avere legami con i gruppi animalisti che vogliono la legge. In tutta risposta il primo cittadino di Ny ha sottolineato che le carrozze non sono più compatibili con un parco urbano trafficato e moderno, evidenziando anche incidenti recenti in cui cavalli impauriti sono fuggiti in modo pericoloso per la loro incolumità, ma anche per i pedoni.

    E allora, se le carrozze trainate dai cavalli sono l’immagine di un’America antica, e di un’Europa di altri tempi che ritroviamo anche nelle nostre città, la legge che porta il nome di Ryder, il cavallo morto poco dopo quel drammatico incidente, mira a sostituire le carrozze con alternative al passo con i tempi, cioè elettriche, proteggendo gli animali e garantendo la sicurezza pubblica. A supporto della legge, oltre la gran parte degli abitanti della Grande Mela, c’è anche un appello firmato da molte celebrities tra cui Joaquin Phoenix, Ricky Gervais, Billie Eilish, Hilary Swank e Christopher Walken.

    Secondo Stephen Wells, direttore esecutivo dell’Animal Legal Defense Fund “la sua sofferenza (di Ryder, ndr) era impossibile da negare. Le sue condizioni di deperimento, disidratazione ed esaurimento non sono state il risultato di un giorno, una settimana o un mese di maltrattamenti, ma piuttosto di un prolungato periodo di abbandono, costretto a trainare carretti nelle affollate strade cittadine”.

    Già prima dell’incidente dell’agosto 2022, l’associazione animalista aveva contribuito all’approvazione del disegno di legge che proibisce ai cavalli di condurre carrozze quando l’indice di calore raggiungeva i 32 °C. Ma la situazione non è migliorata e il caso Ryder ne è la dimostrazione.

    Il 14 luglio 2022, il consigliere comunale Robert Holden ha proposto la norma per vietare il rilascio di nuove licenze e sostituirle con mezzi elettrici, un’alternativa che offrirebbe un’opzione sicura e responsabile all’interno di Central Park e in alcune aree di Manhattan. “New York City è sempre stata all’avanguardia nell’innovazione e nella cultura, ma siamo indietro quando si tratta di questi poveri cavalli. È ora che diventiamo un modello per le altre città” le parole del consigliere. Che New York sia d’esempio. LEGGI TUTTO

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    “In Trentino è come se i vitigni di montagna fossero scesi di 200 metri per le temperature”

    “È come se i vigneti di montagna in Trentino, a causa del cambiamento climatico, nel giro degli ultimi 20-30 anni si fossero ‘abbassati’ dal punto di vista della temperatura più a valle: come fossero scesi di 200 metri”. Così i ricercatori che hanno partecipato ad uno studio sulla viticoltura di montagna condotta qualche tempo fa dalla Fondazione Edmund Mach insieme all’università di Trento e la Fondazione Bruno Kessler hanno spiegato cosa sta accadendo ai vigneti in Trentino, che coprono le valli tra i 300 e gli 800 metri di altezza. E anche se la vendemmia 2025 è appena terminata e tutti sembrano soddisfatti per come è andata, agricoltori e produttori devono però fare conti ancora una volta sull’impatto della crisi del clima sui vigneti. Si perché al Nord non ci sono solo i ghiacciai che si stanno sciogliendo e un’economia turistica, soprattutto invernale, da ripensare, anche l’agricoltura di montagna deve fare i conti con le temperature che stanno aumentando.

    I numeri parlano chiaro. Nei report della Provincia di Trento tra il 1991 e il 2020 rispetto al periodo 1961-1990 le temperature medie sono cresciute di 1° C. E più si alzano i gradi, più gli agricoltori per ritrovare quell’habitat di montagna giusto per le bollicine stanno spostando le vigne a quote più elevate: nel territori dove una volta venivano considerati troppo freddi per l’agricoltura di qualità. Ora sono si trovano vigneti a 900 metri. Una sfida. “Sì perché oltre un certo limite non si può andare – ha spiegato Stefano Fambris presidente dell’Istituto Trento Doc che raccoglie 67 cantine – mica si possono piantare le viti a 1500 metri. Perché a quel punto sorgerebbero altri problemi”.

    Tanti alberi quanti sono gli abitanti
    Dal punto di vista ambientale il caso del Trentino è esemplare: il 70% della superficie si trova sopra i 1000 metri, il 20% sopra i 2000. Ci sono 93 vette oltre i 3000 metri e circa 500 mila alberi, tanti quanti sono gli abitanti. In questo contesto così impervio dove si pratica la cosiddetta viticultura “eroica” – le viti crescono su terrazzamenti o piccole isole sorretti da 700 chilometri di muretti a secco, con una pendenza superiore al 30% – viene prodotto uno spumante pregiato. Non è solo una ricorsa economica importante per tutto il territorio, ma una sorta di custode di biodiversità, simbolo di un’economia d’alta quota. Difenderlo è la priorità. Ma quello che sembrerebbe a prima vista un microclima ideale non è così, visto che i ricercatori hanno detto chiaro e tondo che negli ultimi 50 anni la temperatura da queste parti si è alzata di 1° C. Tutto l’ambiente ne ha risentito, vigneti compresi. Un esempio? Negli anni recenti si è registrato un anticipo marcato della fioritura dei vigneti e questo potrebbe alterare tutto il ciclo fenologico. Per difenderli dallo stress climatico vengono costantemente monitorati e studiati.

    In Trentino la viticoltura è considerata “eroica” a causa della pendenza  LEGGI TUTTO

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    Biocatrame, da rifiuto tossico a fonte di energia pulita

    È un residuo “scomodo” derivante dal processo di riscaldamento della biomassa – legno, residui colturali e altre materie organiche – per la produzione di energia: si chiama bio-tar, o biocatrame, e si tratta di un sottoprodotto appiccicoso e tossico che ostruisce facilmente le condutture, danneggia le attrezzature e inquina l’atmosfera. Per decenni i ricercatori hanno cercato modi per neutralizzarlo o eliminarlo, e oggi forse ci sono riusciti: un gruppo di scienziati della Chinese Academy of Agricultural Science sostiene infatti di aver finalmente ideato un nuovo approccio non solo per sbarazzarsene, ma per trasformarlo in risorsa. In un articolo pubblicato sulla rivista Biochar, gli esperti cinesi hanno infatti illustrato un metodo per trasformare il biocatrame in “biocarbonio”, un materiale che potrebbe trovare applicazioni nel settore della purificazione dell’acqua e dello stoccaggio di energia.

    “Il nostro lavoro” ha spiegato Zonglu Yao, uno degli autori della ricerca appena pubblicata, “mostra che la trasformazione del biocatrame in biocarbonio non solo risolva un problema tecnico per l’industria bioenergetica, ma apra le porte alla produzione di materiali carboniosi avanzati con elevato valore economico”.

    Nel loro lavoro, gli scienziati hanno esaminato attentamente le reazioni chimiche e i componenti del biocatrame, in particolare quelli ricchi di ossigeno come carbonili e furani: si tratta di sostanze che promuovono naturalmente la polimerizzazione, il processo in cui molecole piccole si legano tra loro per formare strutture più grandi e stabili. L’analisi ha mostrato che regolando attentamente temperatura, tempo di reazione e additivi è possibile “trasformare” il biocatrame in biocarbonio con proprietà personalizzate, in particolare elevato contenuto di carbonio, basso contenuto di ceneri e altre caratteristiche strutturali che lo rendono particolarmente adatto al riutilizzo in altri ambiti.

    Secondo i ricercatori, il biocarbonio così ottenuto potrebbe fungere da base per assorbenti per la purificazione di acqua e aria, intrappolando nutrienti pesanti e contaminanti organici, ma anche da materiale per elettrodi per supercondensatori di nuova generazione (essenziali per l’accumulo di energia rinnovabile) e per catalizzatori che accelerano le reazioni chimiche industriali in modo più sostenibile rispetto alle opzioni “tradizionali” basate sui combustibili fossili. Infine, ultimo ma non meno importante, il biocarbonio potrebbe essere usato anche per la realizzazione di combustibili con minori emissioni di ossidi di azoto e di zolfo e di altre sostanze nocive.

    A fare da contraltare a queste promesse, però, restano ancora da risolvere diverse sfide e complessità scientifiche e tecnologiche. Il processo suggerito per la conversione del biocatrame e per il controllo completo del processo di polimerizzazione richiede un’alta precisione e al momento ancora non è possibile pensare a una sua estensione su larga scala: a questo proposito, gli autori del lavoro hanno in mente, come prossima fase della ricerca, di combinare nuovi esperimenti di laboratorio con simulazioni computerizzate per ottimizzare i percorsi di reazione e progettare biocarbonio con funzioni più specifiche.

    “La polimerizzazione del biocatrame”, ha concluso Yuxan Sun, un altro ricercatore coinvolto nello studio, corroborando quanto affermato del suo co-autore, “non ha solo a che fare con il trattamento di questa sostanza di scarto, ma rappresenta anche una nuova frontiera per la creazione di nuovi materiali sostenibili a base di carbonio. Speriamo che con ulteriori ricerche questo approccio possa migliorare significativamente l’efficienza dei sistemi energetici a biomassa, fornendo al contempo nuovi strumenti per la tutela ambientale e per le tecnologie pulite”. LEGGI TUTTO

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    Daniel Gros: “Non saranno i dazi di Trump a fermare la globalizzazione”

    LUCCA – “La globalizzazione è finita?”. “No.”, risponde secco il professor Daniel Gros sul palco della Sala Tobino di Palazzo Ducale ospite, con Marianna D’Aprile, del Pianeta Terra Festival di Lucca, un incontro a cura di Sofidel. E sgombra subito il campo dai dubbi: “Non lo ha fatto la Brexit e non lo farà Donald Trump: la globalizzazione non si fermerà. Perché conviene. Alla fine si torna sempre a scambiare le merci e le idee per guadagnare in efficienza e vivere tutti un po’ meglio”.

    L’economista tedesco dirige l’Institute for European Policymaking dell’Università Bocconi di Milano ed è consulente del Parlamento europeo. Ha lavorato presso il Fondo Monetario Internazionale e si può dire che ha visto nascere l’Euro, come consulente del Comitato Delors, che introdusse la moneta unica in circolazione dal 2002.

    Nel 2001 ci fu il G8, ricorda Marianna D’Aprile al professore, sul palco per spiegare gli effetti e la vitalità della globalizzazione in un contesto geopolitico ed economico profondamente mutato. Allora i No Global misero a ferro e fuoco Genova per protestare contro un nemico. Oggi la globalizzazione non lo è più? “In realtà non si sapeva bene cosa sarebbe accaduto. Le grandi multinazionali non erano quelle di oggi. Il mondo non ha mai uno sviluppo lineare.”, spiega Gros – “Guardando indietro, abbiamo avuto venti anni di cambiamenti tutto sommato lenti, ad eccezione della Cina, che ha visto una crescita esponenziale, diventando in poco tempo una potenza economica pari alla somma di Stati Uniti ed Europa”.

    Il racconto

    Paolo Giordano: “Noi, nel tempo delle crisi”

    dalla nostra inviata Gaia Scorza Barcellona

    04 Ottobre 2025

    Poi, ci siamo accorti che il mondo stava cambiando davvero, tra guerre commerciali, dazi americani e sovranismi. Ma qual è il meccanismo che ci ha portato a questo? Il consumismo è la leva principale. “I giganti Tech di oggi, ad esempio, lo sono diventati perché ciascuno di noi li usa. È su questo ‘egoismo’ individuale che si basa il successo di pochi”. Facebook si è fatto largo senza lasciare posto a nessun altro social network, fino a diventare Meta e ad assorbire i “nani” come Whatsapp e Instagram. Lo stesso vale per il monopolio di Google. Ma avrebbero potuto essere altre aziende, e comunque non sappiamo quanto ancora durerà questa ribalta. Sostanzialmente, la ricetta del successo globale di Mark Zuckerberg, come quello di altri nati e cresciuti a dismisura nella Silicon Valley, si basa su un ingrediente fondamentale: il tempismo.

    Quello che spaventa ora, però, è che questi Big Tech con i loro investimenti siedono a cena con Donald Trump. Quanto incide la finanza sulla politica? La domanda sarà anche ingenua ma porta dritta alla questione dei dazi imposti dal presidente tycoon, in un quadro geopolitico sempre più offuscato dai conflitti permanenti e in continua trasformazione.
    La strategia dei dazi di Trump? Un autogol
    L’ultimo annuncio di Trump interessa la pasta, bene primario del paniere nostrano sul quale calerà la mannaia americana del 106,67%. Ma che effetto hanno avuto finora i dazi e cosa dobbiamo aspettarci? “Trump sarà anche un peso massimo negli Usa e avrà anche un ruolo cruciale nella guerra in Ucraina”, ma per quanto riguarda i dazi, Gros non ha dubbi: “Possiamo ignorarlo. Perché non è con i dazi che incide sulla bilancia dei commerci internazionali. Certo, potrà accadere forse negli States, perché i prezzi aumentano sulle produzioni ormai dismesse da anni (come l’automobile, ndr). Ma per tutti gli altri Paesi dobbiamo calcolare una media effettiva del 10-15%, mentre per la Cina tocca il 60%. Se pensiamo alle auto cinesi esportate in America, allora sì: questo può avere un impatto”.

    Quanto alla tassa sul grano duro che spaventa gli italiani, stando a Gros non va considerata più di uno spauracchio che rientra nella strategia trumpiana per restare ben saldo al centro dell’attenzione globale. “Nei dazi, in realtà, vedo più opportunità che pericoli per noi”, insiste il professore rimandando alla questione mediatica. Perché tutto sommato mass media e istituzioni fanno il suo gioco, amplificano la sua strategia, anche solo trasmettendo i rischi collegati a una misura economica che sembra a tutti gli effetti adottata “contro tutti”. Così l’opinione pubblica tende a percepire un danno prima ancora di averlo subito. “Se invece vedessimo nei dazi il potenziale danno al Paese di origine, il punto di vista economico cambierebbe radicalmente. Trump ha dato forma a questa follia, ma nessuno ha intenzione di imitarlo nel mondo. Basta non seguire l’esempio e attendere. Penso che prima o poi ci andrà a perdere”.

    Il dibattito

    “L’instabilità del Mediterraneo coincide con l’emergenza ambientale”

    dalla nostra inviata Gaia Scorza Barcellona

    04 Ottobre 2025

    Nella bilancia commerciale l’Europa può stare (quasi) tranquilla. “Cifre alla mano, paghiamo già per i servizi, anche se con flussi finanziari opachi. L’unico deficit reale che abbiamo nei confronti dell’America è sulla proprietà intellettuale. Va considerato anche che si tratta di un Paese con una lunga tradizione di isolazionismo economico, che in parte può ancora permettersi. Per esempio, grazie all’indipendenza energetica”.

    “L’Europa? Non si sa vendere”
    “L’Europa – che un suo peso politico ma non lo sa vendere – poteva svegliarsi prima, certo, ma almeno possiamo dire che non ha commesso gli errori di Trump. Il motivo è che la crescita economica è legata agli interessi degli Stati membri, che hanno sempre una visione a breve termine. Sulla geopolitica posso dire che l’Ue viene molto sottovalutata, perché è una forza in grado di mantenere un mercato aperto, soprattutto rispetto alla Cina. Mentre la guerra in Ucraina sarà determinante per il futuro dell’Europa che si gioca tanto, avendo fatto quanto l’America per gli aiuti economici, e che quindi continua a pagare”.

    E i sovranismi che spaccano l’Ue? “L’economia insegna appunto, che ciascuno fa i propri interessi. Questi possono convergere in caso di crisi. Dal punto di vista economico più che di crisi parlerei del famoso piano inclinato. La crisi del 2012 ha dimostrato che i Paesi sanno muoversi assieme quando serve. Gli ostacoli sono a livello nazionale ed è lì che bisogna convincere gli Stati come il loro interesse possa convergere con quello comune, perché conviene a tutti”. LEGGI TUTTO