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    La Cassazione dice sì a Greenpeace: “Chi contribuisce alla crisi del clima può essere processato”

    Da ora in poi chi contribuisce alla crisi climatica inquinando a livello di emissioni potrebbe dover rispondere, anche in Italia, delle proprie azioni. Quella appena pubblicata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è una sentenza storica: i giudici hanno dato ragione – nell’ambito de “La Giusta Causa” a Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini – sulle corrette intenzioni e sulla possibilità del procedere nella causa intentata nel 2023 contro Eni, ma anche Cassa Depositi e Prestiti e ministero dell’Economia e delle Finanze, per metterle davanti alle loro responsabilità legate alla crisi climatica. “Da oggi – dicono Greenpeace e ReCommon, parlando di decisione “storica” – in Italia è finalmente possibile ottenere giustizia climatica”. Lo scorso febbraio c’era stato il ricorso, da parte dell’associazione ambientalista, di ReCommon e dei cittadini, nei confronti di Eni, Cdp e Mef che sostenevano come né un giudice ordinario, né alcun altro giudice italiano potessero avere la giurisdizione per decidere su “La Giusta Causa”, “rischiando così di rendere inammissibile l’intero procedimento. Un esito che potrebbe impedire future cause climatiche in Italia contro lo Stato o imprese private” spiegavano allora gli ecologisti.

    La Cassazione però ha dato ragione a Greenpeace: anche la giurisdizione italiana deve permettere cause di questo tipo, le ormai famose “climate litigation” che si tengono in tutta Europa per mettere di fronte chi inquina alle conseguenze climatiche del proprio operato. “Questa sentenza storica dice chiaramente che anche in Italia si può avere giustizia climatica – commentano Greenpeace Italia e ReCommon. Nessuno, nemmeno un colosso come Eni, può più sottrarsi alle proprie responsabilità. I giudici potranno finalmente esaminare il merito della nostra causa: chi inquina e contribuisce alla crisi climatica deve rispondere delle proprie azioni” spiegano. Se si è arrivati a questa sentenza, è anche e soprattutto per un precedente creato dalle ormai famose “Anziane per il clima”, un gruppo di oltre duemila attiviste svizzere di età media 75 anni che aveva denunciato il proprio paese per inazione contro la crisi climatica, ottenendo il consenso da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Anche nella sentenza della Cassazione in Italia si legge infatti un richiamo alla “giustiziabilità della pretesa azionata, richiamando la sentenza della Corte EDU del 9 aprile 2024, Verein KlimaSeniorinnen Schweiz c. Suisse, che, nel dichiarare ammissibile la domanda di un’associazione di diritto svizzero e di alcuni cittadini, volta a far valere omissioni delle autorità statali nel settore dei cambiamenti climatici e ha riconosciuto la complementarità dell’intervento giudiziario rispetto ai processi democratici, affermando che, pur non potendo sostituire l’azione del Potere legislativo ed esecutivo, il compito della magistratura consiste nel garantire il rispetto dei requisiti legali”.

    Il caso

    “La salvaguardia del clima è un diritto umano”: storica sentenza a Strasburgo, vincono le “signore dell’ambiente”

    Giacomo Talignani

    09 Aprile 2024

    Inoltre la Cassazione, fra le righe, ribadisce il concetto che “ormai vi è certezza in ordine all’esistenza di un cambiamento climatico di origine antropica, che rappresenta una grave minaccia per il godimento dei diritti umani e richiede l’adozione di misure urgenti che coinvolgono sia il settore pubblico che quello privato, al fine di limitare l’aumento della temperatura a 1,5° C” ricordando infine l’Accordo di Parigi e l’obbligo “d’intraprendere rapide riduzioni in linea con le migliori conoscenze scientifiche e della progressività della riduzione della produzione di gas climalteranti”. Azioni, quella della produzione di emissioni climalteranti, che secondo Greenpeace e ReCommon portano grandi aziende legate ai combustibili fossili, come Eni, così come lo Stato e gli azionisti che finanziano determinate operazioni, ad essere “responsabili della crisi climatica. Eni ha significativamente contribuito alla crisi con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole”.

    Da parte sua, Eni “esprime la propria grande soddisfazione in merito alla decisione della Cassazione. Finalmente si potrà riprendere il dibattimento innanzi al Tribunale di Roma dove saranno smontati i teoremi infondati di Greenpeace e ReCommon sulle fantasiose responsabilità per danni attribuibili ad Eni relativi ai temi del cambiamento climatico, in un contesto rigoroso e rispettoso della legge e non a fronte degli slogan strumentali, infondati e spesso mendaci delle due associazioni”.

    Da oggi in poi, ricordano ora le associazioni, “l’importantissimo verdetto avrà impatto su tutte le cause climatiche in corso o future in Italia, rafforzando la protezione dei diritti umani legati alla crisi climatica, già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU). Non solo potrà essere decisa nel merito la causa contro Eni, Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) e ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), avviata davanti al Tribunale di Roma perché sia imposto alla società di rispettare l’Accordo di Parigi, ma la decisione indica la strada per tutte le future azioni giudiziarie nel nostro Paese”.

    Diritti e ambiente

    Non solo Greenpeace: aumentano le SLAPP, le cause contro gli ambientalisti

    20 Marzo 2025

    In tutta Europa, dall’Olanda alla Germania, dalla Francia al Portogallo, sono ormai oltre 200 le “climate litigation” aperte per denunciare inazione o responsabilità contro chi contribuisce ad alimentare il riscaldamento globale: finora in Italia però, con la situazione “in stallo” de “La Giusta Causa”, sono stati pochissimi i tentativi di cause di questo genere. Adesso però, aggiunge Greenpeace, “le Sezioni Unite chiariscono che i giudici italiani sono competenti anche in relazione alle emissioni climalteranti emesse dalle società di Eni presenti in Stati esteri, sia perché i danni sono stati provocati in Italia, sia perché le decisioni strategiche sono state assunte dalla società capogruppo che ha sede in Italia. Ora grazie alla presente azione e alla decisione della Suprema Corte a Sezioni Unite l’Italia si allinea agli altri paesi più evoluti in cui il clima e i diritti umani trovano una tutela giurisdizionale”. Il prossimo passo è dunque l’attesa, da parte delle associazioni, che “il giudice ordinario a cui spetta tornare a decidere su ‘La Giusta Causa’ superi ogni altra eccezione preliminare ed entri finalmente nel merito, come già avvenuto nei tribunali dei più importanti Paesi europei”. LEGGI TUTTO

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    La crisi del clima fa impennare i prezzi del cibo: verdure, olio e riso fino al 70% in più

    Nel 2024 le ondate di caldo estremo nell’Asia orientale hanno contribuito all’aumento del 70% del costo del cavolo in Corea del Sud e del 48% del riso in Giappone ma sono alla base anche del +30% del costo delle verdure in Cina tra giugno e agosto 2024. Cina , Corea del Sud e Giappone sono tra i tanti Paesi ad aver vissuto l’anno più caldo mai registrato nel 2024.

    L’indagine

    Cresce lo spreco alimentare. I surgelati possono essere un rimedio?

    di Paolo Travisi

    14 Luglio 2025

    Negli Stati Uniti una siccità “senza precedenti” verificatasi in California e Arizona nel corso del 2022 ha contribuito a un aumento dell’80% dei prezzi della verdura tra novembre 2021 e novembre 2022. E ancora: la siccità nell’Europa meridionale nel 2022-23 ha causato un aumento del 50% del prezzo dell’olio d’oliva in tutta l’Ue da gennaio 2023 a gennaio 2024. La Spagna è il maggiore produttore mondiale di olio d’oliva, seguita dall’Italia: entrambi i Paesi sono stati gravemente colpiti da una crisi idrica.

    Questi alcuni dei risultati di uno studio dell’impatto del cambiamento climatico e degli eventi estremi sui prezzi di alcune delle principali materie prime agroalimentari. Il dossier, pubblicato su Environmental Research Letters, analizza 16 esempi di aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari in tutto il mondo a seguito di periodi di caldo estremo, siccità o piogge nel periodo 2022-2024.

    Alimentazione

    Il riscaldamento globale modifica i valori nutrizionali dei cibi: lo dimostrano rucola e spinaci

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    08 Luglio 2025

    Tra queste commodities c’è ovviamente il cacao, il cui prezzo è salito alle stelle a livello globale negli ultimi due anni. Ciò è dovuto a una serie di fattori, afferma lo studio, tra cui le condizioni meteorologiche estreme in Ghana e Costa d’Avorio, dove viene coltivato oltre il 60% del cacao mondiale. Molte parti dei due paesi dell’Africa occidentale hanno sperimentato temperature “senza precedenti” fino a 50 °C nel febbraio 2024 e dopo la prolungata siccità del 2023. Ma anche le patate del Regno Unito sono diventate notevolmente più costose dopo gli eventi meteorologici degli ultimi anni.

    Il team di ricerca ha selezionato casi di studio in cui gli effetti sono così evidenti che non è necessaria un’analisi statistica quantitativa sostanziale per vederli. Chi è sul campo può vedere che questo è ciò che sta accadendo” ha spiegato a Carbon Brief Maximilian Kotz, ricercatore post-doc al Barcelona Supercomputing Center e autore principale del nuovo studio. Gli autori dello studio sottolineano che, sebbene El Niño del 2023-24 “abbia probabilmente svolto un ruolo nell’amplificazione di alcuni di questi eventi estremi”, l’aumento dell’intensità e della frequenza degli eventi è “in linea con gli effetti previsti e osservati del cambiamento climatico”.

    Il nuovo studio esamina anche l’aumento dei prezzi del caffè dopo il caldo estremo in Vietnam nel 2024 e la siccità in Brasile nel 2023. Kotz ha affermato che gli esempi più notevoli di aumento dei prezzi hanno riguardato materie prime come il cacao e il caffè, disponibili a livello globale ma prodotti in aree concentrate, il che apre la “possibilità di una maggiore volatilità” in caso di eventi meteorologici estremi.

    Crisi del clima

    La siccità miete vittime e alimenta ingiustizie sociali: l’allarme dell’Onu

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    02 Luglio 2025

    Uno studio del 2024 condotto dallo stesso Kotz e dai ricercatori della Bce (Banca centrale europea) ha rilevato che le alte temperature hanno aumentato l’inflazione alimentare “in modo persistente” – per 12 mesi – dopo gli eventi estremi sia nei Paesi ad alto che in quelli a basso reddito. Il nuovo studio è dunque un “proseguimento” di questa ricerca, poiché esamina alcuni degli altri fattori che influenzano i prezzi dei prodotti alimentari, come gli elevati costi di trasporto in Etiopia, nonché l’aumento dei costi di produzione e l’elevata domanda turistica che contribuiscono all’impennata dei prezzi del riso in Giappone.

    Agricoltura

    Crisi climatica e allevamenti intensivi: 15 milioni di animali morti in sei anni per eventi estremi

    di Pasquale Raicaldo

    25 Giugno 2025

    Questi risultati sono un “duro promemoria del fatto che il cambiamento climatico sta già esercitando una pressione significativa sulla produzione agricola a livello globale”, ha sottolineato Jasper Verschuur, professore associato di Ingegneria e sicurezza climatica alla Delft University of Technology nei Paesi Bassi.

    “Questo studio sottolinea inoltre che gli impatti degli shock sul settore agricolo possono avere ripercussioni intersettoriali, ad esempio sulla salute, sulla stabilità politica e sulla politica monetaria, che raramente vengono rilevate negli studi di modellizzazione. Sebbene la comprensione degli impatti locali degli eventi meteorologici estremi sulle rese e sui prezzi dei raccolti sia migliorata, gli impatti più ampi e i doppi effetti degli shock climatici e non climatici non sono ancora ben compresi”.

    Nello studio i ricercatori analizzano alcuni dei “rischi sociali a catena” derivanti dall’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, come la crescente disuguaglianza economica, la malnutrizione e l’aumento generale dell’inflazione. Non per nulla anche la Food Foundation, un ente di beneficenza del Regno Unito coinvolto nello studio, sottolinea che “gli shock dei prezzi sempre più frequenti dovuti al cambiamento climatico potrebbero aggravare ulteriormente l’insicurezza alimentare e le disuguaglianze sanitarie”. LEGGI TUTTO

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    Il cioccolato diventa sostenibile

    Per capire come nasce il “cioccolato green” bisogna andare lontano. Quasi 32 mila tonnellate di cacao lavorate, proveniente da oltre 20 filiere di approvvigionamento nel mondo e, in particolare, da Uganda e Perù. È qualche numero dietro a Icam, azienda italiana specializzata nella produzione di cioccolato nata in provincia di Lecco nel 1946 e guidata dalla famiglia Agostoni-Vanoni. La parola “sostenibilità” è entrata da tempo tra gli obiettivi dell’azienda, che punta innanzitutto al primo tassello della filiera: i paesi di origine e le comunità locali.

    I numeri
    È quello che emerge dalla presentazione del settimo bilancio di sostenibilità. Ancora qualche numero: nel 2024, il 62% del cacao è stato certificato Biologico, Fairtrade o Rainforest Alliance. Il 74% del cacao viene acquistato da filiere dirette o integrate. Sono oltre 27 mila gli appezzamenti mappati nei Paesi d’Origine, in linea con il nuovo Regolamento europeo contro la deforestazione (EUDR). Le emissioni di Scope 1 e Scope 2 sono diminuite del 30% rispetto al 2020, grazie agli investimenti in efficienza energetica e in produzione di energia rinnovabile. Infine, per quanto riguarda il packaging, il 93% è riciclabile e compostabile.

    Modelli “agroecologici”
    Dal 2022, sono 600 le famiglie ugandesi coinvolte in “Sustainable Farming”. Si tratta di un progetto pilota che ha lo scopo di migliorare l’impatto ambientale delle aziende agricole del territorio. L’area interessata coinvolge 310 ettari di piantagioni di cacao distribuite in 31 villaggi del distretto di Bundibugyo. L’obiettivo è permettere la transizione verso modello “agroecologici”, piantando alberi da ombra, colture complementari al cacao e vegetazione autoctono. Un sistema che permette di proteggere i suoli, migliorare la fertilità naturale e, non da ultimo, regolare la temperatura e incrementare la biodiversità.

    Parità di genere
    Ma la sostenibilità ambientale deve tenere il passo con quella sociale. Sono 15 milioni i piccoli agricoltori in America Latina e Africa, responsabili di oltre il 90% della produzione mondiale di cacao. L’obiettivo è “creare un ambiente lavorativo equo, dignitoso e capace di offrire opportunità di crescita, stabilità e benessere diffuso”, spiega Icam. Come fare? Uno dei primi nodi, è quello dell’inclusione. Nelle comunità, secondo le stime, oltre il 70% delle attività è svolto da donne, eppure, anche qui, nei ruoli apicali la presenza femminile è ancora molto bassa. Ecco perché un’altra gamba del progetto “Sustainable Farming” in Uganda è mirato a favorire la parità di genere. Per farlo, l’azienda ha lavorato con la Ong Solidaridad per diffondere una pianificazione condivisa del lavoro tra lavoratori e lavoratrici delle piantagioni. I risultati sembrerebbero quasi più incoraggianti rispetto a quelli che si vedono alle nostre latitudini: all’interno dei gruppi coordinati dagli agronomi ugandesi dell’azienda, almeno uno dei tre ruoli di vertice (presidente, segretario, tesoriere) è ricoperto da una donna.

    Prossimi passi
    La chief sustainability officer Sara Agostoni spiega: “Il bilancio di sostenibilità riflette la continuità del nostro impegno, caratterizzato dalla consapevolezza di una responsabilità attuale e intergenerazionale che implica la collaborazione a tutti i livelli e la cultura, intesa come competenza e come condivisione di valori. Il 2024 è stato un anno caratterizzato da crescita e consolidamento, abbiamo implementato la governance strategica, rafforzando la presenza della sostenibilità nelle decisioni aziendali, e continuato a portare avanti iniziative che non solo tutelano l’ambiente, ma promuovono anche il benessere delle comunità lungo tutta la filiera”. Tra gli obiettivi in calendario, la decarbonizzazione dell’intera filiera, lo sviluppo di modelli agricoli rigenerativi e il contenimento dell’impatto industriale. Entro il 2027, infine, è previsto il completamento di un nuovo Innovation Center di 2 mila metri quadri e un ampliamento dello stabilimento produttivo di Orsenigo per un totale di 23 mila mq che porterà la capacità produttiva dell’azienda a oltre 60 mila tonnellate annue. LEGGI TUTTO

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    Lampioni che ascoltano il traffico: -65% dei consumi energetici

    Il rumore del traffico cittadino è una risorsa che può essere sfruttata per ridurre i consumi energetici dei lampioni, monitorare l’ambiente e potenziare la smart city. Ne è convinto Massimo Rebernig, CEO e co-fondatore di Trailslight, startup innovativa bolognese specializza in sistemi di illuminazione adattiva per strade urbane ed extraurbane. “Il segreto è in un dispositivo che assomiglia a una capsula per il caffè, ma leggermente più grande. Si aggancia al lampione tramite la base da 40 mm nel rispetto dello standard Zhaga, ormai ampiamente diffuso nel settore. E così si può trasformare un comune lampione in una sorta di orecchio intelligente addestrato a riconoscere alcune firme sonore”, spiega Rebernig. La “capsula” è già impiegata sul mercato ma solo per ospitare la tradizionale diagnostica dei sistemi di illuminazione; la startup italiana ha aggiunto altri elementi, fra cui la porta sonora e reti di intelligenza artificiale. LEGGI TUTTO

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    Vietato il torso nudo e surf per pochi: da Malaga alle Filippine le nuove regole per i turisti

    Paese che vai, nuove regole di comportamento che trovi. Il tutto in nome di un maggiore rispetto per i residenti e soprattutto, contro quelle over tourism che d’estate può cambiare radicalmente in peggio le città. L’ultima in ordine di tempo a proporre nuove regole turistiche è Malaga, città andalusa dove il numero di visitatori è in costante aumento. Come altre città spagnole e sulla scia di quelle italiane – vedi Portofino e i suoi nuovi divieti – la municipalità di Malaga ha appena diffuso nuove regole aggiornate che i tanti turisti dovranno rispettare: pena, anche 750 euro di multa. Ovunque, dai giardini ai monumenti e i luoghi di culto, i visitatori sono invitati a tenere “pulita la città” scrive Ciudad de Malaga. Inoltre è doveroso rispettare – soprattutto se si usano biciclette o monopattini – le piste ciclabili: attenzione a non invaderle mai, non andare in due sui monopattini e a dare sempre precedenza ai pedoni. E poi banali ma fondamentali regole di rispetto comune: non gridare, cantare o ascoltare musica a tutto volume, rispettare gli orari di riposo dei vicini e ricordarsi sempre di non disturbare i cittadini, “dagli anziani agli studenti ai lavoratori”. Evitare comportamenti scorretti significa anche rispettare, scrivono dal municipio, il giusto dress code: non andare in giro per esempio a torso nudo, vestirsi in maniera appropriata e “sia in luoghi pubblici che nelle strade avere sempre la parte superiore del corpo coperta”, rispettando regole di buon gusto e igiene. Chi infrange queste regole rischia una multa che può arrivare anche a 750 euro se si abbandonano rifiuti, si compiono atti di ubriachezza molesta o altre infrazioni.

    Nella campagna lanciata da Malaga chiamata “Disfruta al maximo de Malaga” c’è il concetto generale di “non dare nell’occhio”, insomma: usufruire dei servizi cittadini ma senza impattare sulla vita quotidiana dei residenti, uno dei grandi problemi dell’overtourism. Una campagna che segue, da Barcellona fino alle Baleari o alle Canarie, diverse proteste che in Spagna si sono susseguite negli anni contro gli impatti del turismo di massa. Tra i dettagli della nuova campagna nel codice di comportamento c’è anche quello di “non bere alcolici per strada o attirare l’attenzione” ma anche l’idea di rispettare chi, con i turisti, ci lavora. Così viene chiesto di “essere comprensivi e gentili con i lavoratori del settore turistico: commessi, camerieri, receptionist, tassisti, guide turistiche, addetti alle pulizie… Tutti lavorano duramente per offrire i migliori servizi possibili”. Infine la città chiede ai visitatori di “esplorare, sostenere e rispettare” le attività commerciali e gli eventi locali, come i festival, senza interferire con il normale svolgimento delle attività. La campagna era già stata lanciata lo scorso anno ma nel 2025 le regole sono aumentate per evitare tensioni fra turisti e residenti già alterati per la carenza di alloggi e impennata del caro affitti, oppure per i costi ambientali legati al sovraffollamento.

    I temi

    Impatto ambientale e distruzione dei ghiacciai, anche il turismo deve essere sostenibile

    di Michele Sasso

    24 Maggio 2025

    Dall’onda vietata all’occhio alle jeep da guerra legali, il mondo vira contro l’overtourism
    Contemporaneamente altrove nel mondo altri Paesi stanno tentando – attraverso regole precise a seconda dei luoghi – di modificare alcuni comportamenti eccessivi dei turisti che impattano sulle popolazioni locali. Interessante il caso limite di Siargao, dove è stata in sostanza “vietata un’onda”. L’isola delle Filippine negli ultimi anni è diventata sempre più famosa per le sue onde accogliendo turisti da tutto il mondo pronti a cavalcare. Uno degli spot da surf più famosi, “Cloud9”, un tempo mecca dei surfisti locali, con l’arrivo dei turisti è radicalmente cambiato: le acque sono state invase da scuole surf e da beginners, coloro che iniziano a surfare, mettendo in difficoltà uno spot dove per anni i surfisti più esperti, attraverso codici e regole che fanno parte della cultura del surf sono sempre riusciti a destreggiarsi, ma che adesso sta diventando incontrollato e con troppi rischi (anche di collisione) per gli stessi surfisti. Così, con una mossa che potrebbe essere apripista anche per altri luoghi, a Siargao “Cloud9” è stato vietato per scuole surf e principianti e anche i negozi locali sono invitati a non noleggiare tavole a surfisti inesperti, ma a concenderle solo in caso di lezioni che, comunque, dovranno tenersi in punti predisposti. Un modo per tutelare sia chi già pratica questo sport – come i residenti locali – sia chi vuole imparare e potrà ovviamente farlo, solo “un po’ più in là”.In Vietnam invece il Comitato nazionale per la sicurezza stradale ha invitato le commissioni provinciali e comunali per la sicurezza a porre un freno al noleggio e uso di grandi jeep nelle strade: nel Paese spesso sono i turisti ad usarle, talvolta anche quelle – ammodernate a scopi turistici – che provengono dal periodo della guerra. In una direttiva del 17 luglio le autorità osservano come “in diverse destinazioni turistiche” circolano oggi troppi veicoli Jeep e “UAZ”, spesso obsoleti, privi di permessi di trasporto o corrette registrazioni, il che aumenta i problemi per la sicurezza, e hanno chiesto un giro di vite soprattutto contro le Jeep turistiche con illeciti. Infine, restando in Asia, in Thailandia da inizio luglio l’Autorità per il Turismo della Thailandia (TAT) ha aggiornato le norme sugli alcolici per i viaggiatori: anche qui, nel tentativo di migliorare i comportamenti dei turisti, sono stati modificati i luoghi e gli orari in cui è consentito vendere o consumare alcolici in modo da migliorare la sicurezza pubblica e agevolare un turismo responsabile. LEGGI TUTTO

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    Ecomondo diventa più internazionale, nuove tappe estere prima della Fiera di novembre

    Ecomondo, la grande fiera dedicata alla sostenibilità, diventa sempre più internazionale. La fiera di Rimini che unisce il mondo delle aziende, la ricerca e le istituzioni sui temi green e dell’economia circolare, per l’edizione 2025 organizzata da Italian Exhibition Group (IEG) si terrà dal 4 al 7 novembre: 30 i padiglioni previsti su oltre 166mila […] LEGGI TUTTO