Riciclo, downcycling e upcycling: qual è la differenza?
“Il riciclo è una forma di conservazione e la conservazione è una forma di amore per la Terra”, ha affermato Gina McCarthy, ex amministratore dell’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti. Il riciclaggio consente, infatti, di trasformare un rifiuto in un nuovo oggetto, dando così nuova vita a ciò che non viene più utilizzato. Tuttavia, accanto a tale meccanismo esistono anche due alternative per gestire gli scarti: downcycling e upcycling. Mentre con il riciclo il prodotto viene trasformato per crearne uno con un valore simile, con questi processi il valore del bene finale può rispettivamente diminuire o aumentare.
Downcycling
Il termine downcycling si riferisce a un procedimento degradativo, in cui i materiali vengono riutilizzati, ma con una perdita di qualità e potenzialità. Molti prodotti vengono sottoposti a questa procedura perché la materia prima impedisce di mantenere la precedente longevità una volta riprocessata e non può, quindi, essere reinserita nel ciclo di vita originario. Un esempio è la plastica, che compone bottiglie in Pet, flaconi di detersivo, imballaggi: a ogni processo di riciclo si degrada sempre di più, riducendo la sua resistenza. Finisce così per essere usata in zerbini, moquette o pavimentazioni stradali. Questi derivati sono di rado riciclabili, il che significa che sarà, quindi, necessaria nuova plastica. Così il circuito virtuoso si interrompe, creando il cosiddetto ciclo aperto. Un altro esempio è quello del calcestruzzo frantumato in seguito alla demolizione di un edificio. Di solito viene impiegato come riempitivo stradale, un prodotto che, pur avendo il vantaggio di limitare l’uso di sabbia e ghiaia, è di complessità inferiore rispetto a quello originale. Un ulteriore esempio è quello della carta. Durante ogni processo di riciclaggio, le fibre che la compongono si accorciano progressivamente, limitandone gli utilizzi. La maggior parte della carta riciclata, inclusa quella di alta qualità, finisce, infatti, per convertirsi in cartone, carta velina o tovaglioli di carta. In sostanza, il downcycling degrada i materiali originari, senza tornare alla materia prima. Pur richiedendo comunque energia, tempo e manodopera, resta preferibile all’incenerimento o allo smaltimento in discarica. Tuttavia, sarebbe auspicabile puntare su riutilizzo diretto o ricondizionamento.
Upcycling
È, in sostanza, ciò che fa l’upcycling, termine utilizzato per la prima volta dall’ingegnere tedesco Reiner Pilz in un articolo del 1994 e diventato un concetto consolidato nel 2002, grazie al libro “Cradle to Cradle” di William McDonough e Michael Braungart. Si tratta, in questo caso, di trasformare materiali di scarto in prodotti con maggiore valore economico, estetico o funzionale rispetto all’originale. A differenza del downcycling, l’upcycling si basa su un ciclo chiuso, in cui i rifiuti vengono riutilizzati ripetutamente senza una significativa perdita di qualità. Gli esempi virtuosi non mancano. Tra questi, c’è The Upcycle, un laboratorio di Amsterdam, in Olanda, che organizza workshop per trasformare vecchi pneumatici in cinture, borse della spesa dismesse in quaderni, biciclette rotte in lampade e mobili. C’è poi Rebottled, azienda che ricicla bottiglie di vino vuote trasformandole in bicchieri di design, con un risparmio energetico di circa 63 megawattora, una quantità sufficiente per alimentare una piccola città. Oltre a ciò, questo sistema consente di ridurre fino al 70% le emissioni di anidride carbonica correlate alla produzione di materia prima vergine, senza contare che molti progetti hanno anche un impatto sociale positivo. Per esempio, alcune cooperative impiegano persone in condizioni di fragilità per realizzare prodotti upcycled, creando lavoro e inclusione. Un caso di questo tipo in Italia è Progetto Quid, che recupera tessuti di scarto per creare nuove collezioni, offrendo un’occupazione a donne svantaggiate.
Strategie diverse
L’upcycling rappresenta oggi una delle leve più promettenti per un’economia davvero circolare. Tuttavia, il principale problema resta la scalabilità: molte iniziative rimangono confinate a contesti artigianali o di nicchia e non sempre riescono a competere, per costi e quantità, con la produzione industriale tradizionale. Inoltre, la tracciabilità dei componenti è essenziale: senza conoscere esattamente la composizione e la storia del materiale di scarto è difficile garantire qualità e sicurezza del nuovo prodotto. Il downcycling, pur essendo meno virtuoso, resta ancora indispensabile in molti settori, in cui la qualità della materia prima è compromessa o non è possibile implementare cicli chiusi. In questo caso, l’obiettivo è ridurre al minimo la perdita di valore nelle fasi di lavorazione, magari utilizzando tecnologie avanzate di separazione e purificazione dei materiali. In sintesi, upcycling e downcycling non sono solo due strategie di gestione dei rifiuti, ma rappresentano visioni opposte del futuro dei prodotti. Una sfida destinata a diventare sempre più cruciale nei prossimi decenni, che si giocherà sull’innovazione, sull’ingegneria, sulla cultura industriale. LEGGI TUTTO