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    L’aglaonema, come coltivare la “pianta del buio”

    L’aglaonema è una delle piante da appartamento più amate, grazie alle sue foglie variopinte e al suo aspetto elegante. La sua facilità di coltivazione la rende perfetta sia per la casa, sia per l’ufficio. Originaria delle foreste tropicali e subtropicali dell’Asia, questa pianta è nota anche come “pianta del buio” per la capacità di sopravvivere anche in condizioni di scarsa luminosità. Pur non richiedendo attenzioni complesse, l’aglaonema necessita di alcune cure specifiche per mantenersi sana e rigogliosa. Ecco come prendersene cura al meglio.

    Aglaonema, l’intramontabile sempreverde cinese: le caratteristiche
    Appartenente alla famiglia delle Araceae, l’Aglaonema comprende circa 50 varietà differenti. Conosciuta anche come “sempreverde cinese”, è caratterizzata da foglie oblunghe e lanceolate, spesso variegate con sfumature che vanno dal verde al bianco, dal giallo al rosa o al rosso vivo. La pianta produce infiorescenze a spadice simili a quelle della Calla: ciò che vediamo come “fiore” è in realtà lo spadice centrale, avvolto da brattee bianche o verdi, che proteggono e valorizzano la struttura floreale. Questa caratteristica, insieme alla bellezza del fogliame, rende l’aglaonema un elemento decorativo apprezzato in ogni ambiente.

    Le principali varietà di Aglaonema
    Grazie alla sua versatilità e resistenza, l’aglaonema è scelta sia per gli appartamenti, sia per gli uffici. Tra le varietà più diffuse e apprezzate, è giusto citare, delle cinquanta esistenti, queste:

    ·Aglaonema Silver Queen: foglie verde scuro con venature argentate. Resistente e adattabile a diversi livelli di luce;
    Aglaonema Red Valentine: verde con bordi e venature rosso fuoco, ideale per chi cerca un tocco di colore intenso;
    Aglaonema Maria: foglie verde scuro con venature chiare, utile anche per purificare l’aria dagli agenti inquinanti domestici;
    Aglaonema Pictum Tricolor: varietà esotica con foglie dai toni verde, bianco e rosa; richiede maggiore umidità e temperature moderate;
    Aglaonema Emerald Beauty: verde luminoso e lucido, molto resistente, tollera scarsa luce e periodi di siccità.

    La scelta della varietà dipende dal tipo di ambiente e dalla disponibilità di luce, ma tutte condividono la facilità di coltivazione tipica dell’Aglaonema.

    Cura e manutenzione dell’aglaonema
    Anche se facile da coltivare, l’aglaonema richiede attenzioni di base per prosperare a lungo senza soffrire.

    Dove coltivare l’aglaonema: esposizione e temperatura
    La coltivazione ideale è in appartamento. L’aglaonema non ama temperature inferiori ai 15° e va protetta dalle correnti d’aria fredda in inverno. Il suo soprannome “pianta del buio” deriva dalla capacità di crescere anche con poca luce, pur apprezzando una luminosità indiretta. A beneficiare di un po’ più di sole è però la varietà tricolore: le foglie diventano più luminose e intense quando a colpirle sono i raggi solari. D’estate, invece, è fondamentale evitare il sole diretto che potrebbe bruciare il fogliame e seccare la pianta.

    Annaffiatura: quanto e come innaffiare
    L’aglaonema richiede annaffiature regolari, ma senza eccessi. Prima di bagnarla, è importante verificare l’umidità del terreno: se i primi centimetri sono asciutti, la pianta va annaffiata; se sono umidi, è meglio attendere. Da tenere in considerazione anche il fattore “frequenza”: sarà maggiore nella stagione primaverile e in quella estiva, mentre durante l’autunno e l’inverno si abbasserà nettamente. Invece, per quanto riguarda la nebulizzazione, è bene ricordarsi che è un passaggio molto utile per mantenere il fogliame lucido e compatto, specialmente nelle varietà più delicate.

    Coltivare l’aglaonema in vaso: consigli pratici
    Una volta acquistata, l’aglaonema può essere rinvasata in un vaso adatto, utilizzando terriccio specifico per piante d’appartamento. La concimazione è fondamentale: utilizzate un fertilizzante liquido ogni 15 giorni in primavera-estate, mentre basterà una volta al mese nei mesi freddi. Per garantire un benessere e una crescita dell’aglaonema al top, sarebbe meglio utilizzare del concime a bastoncino o a cessione programmata.

    Quando rinvasare l’aglaonema
    Dopo circa due anni dall’acquisto, è consigliabile spostare la pianta in un vaso leggermente più grande, sostituendo eventualmente il terriccio. Questo aiuta le radici a svilupparsi meglio e mantiene le foglie rigogliose e luminose.

    Problemi comuni e come risolverli: come curare l’aglaonema
    L’aglaonema è una pianta piuttosto resistente, ma come le altre piante anche lei potrebbe essere attaccata da alcuni “nemici”. Tra i più comuni ci sono gli acari, gli afidi e le cocciniglie. Per prevenire questo tipo di infestazioni, potrebbe essere molto utile trattare la pianta con sapone molle. In caso di attacco, eventualmente, si possono utilizzare estratti di ortica o oli vegetali. Altri segnali di stress della pianta includono foglie macchiate o malattie fungine, spesso causate da irrigazioni eccessive o esposizione solare diretta. In questi casi, il rinvaso con terriccio fresco aiuta a recuperare la salute della pianta. LEGGI TUTTO

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    Olimpiadi invernali in arrivo, appello degli scienziati per gli ermellini: “Aiutateci a salvarli”

    C’è una sfida che i Giochi Olimpici invernali di Milano Cortina 2026, ormai alle porte, potrebbero raccogliere. Se ne fanno involontarie portavoce le due simpatiche mascotte, Tina e Milo: sono due ermellini (una ha il manto bianco, l’altro marrone), espressione della biodiversità montana ma anche, ahiloro, delle inesorabili conseguenze che la crisi climatica può produrre sugli ecosistemi alpini.Proprio per questo, a lanciare un appello al Coni, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, e alle regioni ospitanti (Lombardia e Veneto) è ora il mondo dei ricercatori, preoccupati per le sorti del mustelide e persuasi dall’idea che una potenziale ondata di popolarità riflessa possa, in qualche modo, innescare un circolo virtuoso.

    Tina e Milo, i due ermellini espressione della biodiversità mascotte delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026  LEGGI TUTTO

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    Fondi del caffè per produrre pannelli risparmiando il legno

    Da rifiuto a preziosa risorsa, come economia circolare vuole. E tutto è iniziato con una tazzina di caffè. Si, perché i fondi del caffè diventano uno strumento in più per combattere le emissioni di CO2, quindi il cambiamento climatico. Come? Un’innovativa azienda austriaca, la startup Sturc, ha trovato il modo per usare gli scarti del caffè e trasformarli in materiale utile per la produzione dei pannelli MDF, acronimo di Medium Density Fibreboard.

    Sostenibilità

    Una pelle vegana dagli scarti del caffè, che si ricicla

    di Dario D’Elia

    25 Settembre 2025

    Si tratta di un derivato del legno, da molti anni diffusissimo nell’industria, che viene prodotto attraverso la lavorazione di fibre finissime di legno, spesso scarti di lavorazione, pressate ad alte temperature insieme a colle e resine per formare un pannello compatto e omogeneo. Un materiale particolarmente usato nella produzione di mobili, che fanno ricorso all’MDF per abbassare i costi finali, senza ricorrere a del nuovo legno. La sua composizione con fibre finissime lo rende estremamente liscio e uniforme, oltre ad essere particolarmente versatile, più semplice da lavorare e sagomare, senza le classiche “sbriciolature” che invece si possono riscontrare in altri pannelli come il truciolato.

    Ma torniamo ai fondi del caffè. Sturc ha sviluppato un metodo che permette di usare il 45% dei fondi di caffè riciclati nella produzione di pannelli in MDF, riducendo del 50% l’emissione di CO2, quasi della metà l’uso del legno vergine, oltre ad abbassare anche i livelli di formaldeide, una sostanza chimica tossica presente in molti materiali da costruzione. Il risultato è un prodotto chiamato WMC, sigla di WoodMeetsCoffee, tradotto letteralmente, “il legno che incontra il caffè”. Un’idea che ha portato alla nascita di questa azienda austriaca, fondata da Claudia M. Heinzl e Robin Skala, entrambi lucidi sostenitori dell’economia circolare. Ad ispirare il progetto, le conversazioni tra Claudia e suo zio, un coltivatore di caffè in Brasile.

    Il focus

    Il nuovo regolamento dell’Ue obbliga le aziende a contrastare la deforestazione

    di Stefano Comisi

    21 Ottobre 2025

    Il racconto di migliaia di tonnellate di fondi di caffè, che una volta esauriti venivano bruciati lasciando fumi acri e qualche problema ambientale, ha fatto sorgere la domanda: “Non possiamo dare una seconda vita a questo scarto?” Da qui il confronto con suo marito Robin, che come architetto conosceva bene la crescente crisi della deforestazione, il deperimento dell’abete rosso e l’aumento dei prezzi nel settore dei prodotti in legno.Le stime attuali indicano che a livello globale vengono abbattuti tra i 10 e i 15 miliardi di alberi all’anno per lasciare spazio alle colture, ma anche per la produzione di legname, mobili, carta, solo per citare i settori principali. A livello dell’Unione Europea, ad esempio, il legno (che include anche l’uso per i mobili) rappresenta circa l’8,6% dei prodotti importati con provenienza da terreni disboscati.

    L’idea innovativa di Claudia e Robin, dunque era semplice, ma molto potente. Smettere di bruciare il caffè e iniziare a trasformarlo in pannelli che consentissero di risparmiare il legno. “Per affrontare questa crisi serve una trasformazione profonda dell’industria manifatturiera. Dobbiamo progettare materiali e tecnologie che riducano il nostro impatto sull’ambiente e valorizzino l’ambiente costruito” sostengono i due imprenditori.

    Dopo un periodo di ricerca e sviluppo è nato il pannello WMC, già pronto all’uso, (attualmente in attesa della certificazione di brevetto in Austria) che rispetta tutti gli standard europei e può essere utilizzato specialmente nel campo dell’arredamento: tavoli, scaffali e armadi. Ma anche all’interno degli esercizi commerciali, per gli allestimenti di mensole ed ancora nell’edilizia di interni per pannelli decorativi e rivestimenti. Insomma, tutti gli impieghi per cui attualmente sono usati i pannelli in MDF.

    Il progetto austriaco dimostra, che basta una buona idea, per arginare lo spreco di risorse naturale, innovare processi industriali puntando sui principi di economia circolare. L’innovazione di Sturc, infatti, si rivolge sia ai giganti della produzione di mobili che ai produttori di caffè, perché può connettere due settori fino ad oggi distanti, e senza nulla in comune. Ebbene, ora una tazzina di caffè unisce mondi distanti migliaia di chilometri. LEGGI TUTTO

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    Lasse Jonasson: “Clima, Ai e giustizia: l’umanità esca dalla modalità difensiva”

    “Se non volete vivere nel futuro di qualcun altro, dovete creare il vostro”. Per Lasse Jonasson questo motto è una promessa ma anche un avvertimento. Chief Foresight Officer del Copenhagen Institute for Futures Studies, era in Piemonte lo scorso venerdì 24 ottobre, ospite del “Summit della Sostenibilità e dell’Innovazione” di Confartigianato Imprese Cuneo, in dialogo con Valentina Boschetto Doorly, coordinatrice scientifica del master in Future & Foresight di Ca’ Foscari. Jonasson è al suo primo incontro pubblico in Italia, ed è in “tour” in Centro Europa tra associazioni di categoria, banche e istituti. Le sue consulenze servono a imprimere nuove visioni e, soprattutto, a fornire un metodo per trasformare l’orizzonte di dieci anni in decisioni immediate.

    Scenari climatici inevitabili
    Il futuro del Pianeta è più caldo e Jonasson è netto: “Non c’è un futuro credibile in cui possiamo evitare cambiamenti profondi. La differenza è il percorso e quanto saremo preparati”. Gli studi del Copenaghen Institute sono chiari. Il declino della biodiversità è documentato da decenni; l’inquinamento atmosferico provoca circa sette milioni di morti premature all’anno; grano e mais mostrano già rese inferiori rispetto ai trend storici. Senza adattamento, entro il 2050 le rese agricole globali rischiano di essere circa il 7% sotto i livelli attesi, mentre per nutrire il Pianeta servirebbe un aumento della produzione intorno al 60% entro metà secolo. In parallelo, 33 Paesi si avviano verso un grave stress idrico per il 2040. Per Jonasson la sostenibilità non è più un capitolo a parte nei piani strategici, ma un criterio di competitività. “Se riduciamo le emissioni trasformiamo tecnologie, filiere e stili di vita. Se non lo facciamo, dovremo comunque adattarci a impatti crescenti”.

    L’equilibrio tra economia e giustizia sociale
    La svolta può arrivare dall’economia. Jonasson cita i green swans, espressione coniata dal ricercatore John Elkington che significa “cigni verdi”: aziende la cui crescita migliora insieme profitti, persone e pianeta. “Non è idealismo, è gestione del rischio”. Chi resta fermo su asset ad alto impatto ambientale si espone a svalutazioni e perdita di competitività. In parallelo cresce l’attenzione alla distribuzione degli oneri e dei benefici: se la transizione non è giusta, la frizione sociale aumenta. “Seguite i soldi, perché i grandi investimenti si stanno già spostando verso tecnologie e soluzioni sostenibili. Ma cambiate le metriche”. Il conto trimestrale non basta più: accanto ai bilanci entrano i costi del rischio climatico (premi assicurativi, giorni di fermo impianto), l’intensità di CO? dei prodotti, la quota di fatturato a basso impatto di carbonia, la tenuta delle filiere e la capacità di trattenere competenze. Per i territori la domanda è altrettanto semplice: l’aria è più respirabile? Le ondate di calore colpiscono meno i quartieri fragili? I chilowatt prodotti sui tetti vengono davvero condivisi nelle comunità energetiche? Se questi indicatori migliorano con continuità, il capitale arriva e resta.

    La “fase due” dell’intelligenza artificiale
    Negli ultimi anni Jonasson ha studiato a lungo anche l’impatto dell’intelligenza artificiale. Il futurologo danese divide il percorso in due fasi. Fase uno: l’Ai ci fa risparmiare tempo. Automatizza compiti, riassume documenti, sbriga pratiche, libera ore. È utile, ma non cambia il gioco. Fase due: l’Ai ci permette di fare cose nuove. “La tecnologia diventa un motore di idee, non solo di efficienza”, spiega. Entrano in scena agenti che agiscono per nostro conto, la capacità di progettare servizi che prima non esistevano, modelli di business che nascono dal dialogo continuo tra sistemi e persone. Gli esempi non mancano: Jonasson porta il caso di una banca norvegese con cui ha collaborato. Oggi usa l’Ai per velocizzare i contratti; domani punta a una consulenza finanziaria proattiva e personalizzata per l’intera base clienti, famiglie e imprese. Lo stesso passaggio può valere per l’energia, con comunità energetiche rinnovabili che ottimizzano domanda e offerta tra quartieri grazie a tariffe dinamiche e accumuli condivisi; o per i Comuni, che possono usare agenti Ai sia per assistere i cittadini nelle pratiche complesse, sia per leggere i segnali del territorio, dal caldo urbano alla fragilità idrica.

    Uscire dalla “modalità difensiva”
    Jonasson invita a “esporci ai cambiamenti che abbiamo davanti, e questo richiede pensiero di lungo periodo e una vera comprensione delle dinamiche future. L’alternativa è restare in modalità difensiva, provare a impedire che il futuro accada”. Una missione impossibile. La bussola è pratica: guardare a dieci anni, scegliere poche metriche che contano davvero e sperimentare dove il ritorno ambientale e sociale è misurabile. Soprattutto nelle città, il vero laboratorio della transizione, e nelle aziende, piccole e grandi, che hanno in mano la leva del cambiamento. “Ci sono segnali chiarissimi là fuori”, conclude. “Basta aprire gli occhi e non nascondersi più”. LEGGI TUTTO

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    Il biologo ucraino che vuole proteggere i mari arrestato. “Primo prigioniero politico in Antartide”

    Lo hanno definito il “primo prigioniero politico della storia dell’Antartide”. Eppure, Leonid Pshenichnov, biologo ucraino di 70 anni, con la politica ha ben poco a che fare: la sua storia è quella di un conservazionista, uno scienziato che da anni si batte per proteggere e conservare le specie e le popolazioni ittiche nelle terre dei ghiacci.

    A settembre Pshenichnov era in procinto di partecipare a una conferenza sulla protezione della fauna marina antartica in Australia ma non è mai riuscito a lasciare la Crimea dove viveva. Lì, in quella zona occupata dai russi, è stato arrestato e imprigionato dai militari russi con l’accusa di alto tradimento. Il motivo? Secondo il Cremlino, per i suoi studi e le sue posizioni, starebbe tentando di danneggiare l’economia di Mosca, in sostanza di “ostacolare la pesca industriale russa di krill in Antartide”.L’arresto di Pshenichnov ha fatto insorgere la comunità scientifica che chiede il suo immediato rilascio e definisce la sua detenzione come “illegale”. Il biologo, da decenni, con diversi studi e pubblicazioni su riviste internazionali, lavora fornendo informazioni e sostegno all’importanza delle aree marine protette della regione antartica. I suoi studi hanno contribuito anche a rimarcare l’importanza di non abusare, in quelle aree remote, della pesca del krill, crostacei che sono alla base dell’alimentazione di molti cetacei e pesci e fondamentali nella catena alimentare.

    Lo scienziato, che vive a Kerch in Crimea, ora conquistata dalle truppe russe, viene descritto dal Cremlino come un “cittadino della Federazione russa che è passato dalla parte del nemico” e che “dalla parte della delegazione ucraina” era appunto in procinto di partecipare al CCAMLR, la conferenza sulla conservazione delle risorse marine in Antartide a Hobart in Tasmania. Per i russi Pshenichnov con i suoi studi e le sue ricerche avrebbe indebolito la pesca russa di krill in Antartide perché intenzionato a sostenere una proposta ucraina di limitazione della pesca. Con questa posizione il biologo avrebbe dunque danneggiato “gli interessi economici russi”. Il ricercatore rischia ora tra i 12 e i 20 anni di carcere e la situazione è stata definita da alcuni suoi colleghi, che chiedono il rilascio immediato, come “estremamente critica” dato che Pshenichnov soffre di alcuni problemi di salute poco compatibili con la detenzione.

    Sempre secondo i colleghi scienziati, a Pshenichnov “primo prigioniero politico della storia dell’Antartide” sarebbe stato volutamente impedito di partire perché alla conferenza CCAMLR avrebbe potuto appunto sostenere la tesi ucraina per la protezione delle acque antartiche. Va ricordato inoltre che Mosca ha definito lo scienziato come “russo” e dunque lo ha potuto accusare di alto tradimento, solo perché trovandosi in un territorio occupato dai militari di Putin è stato di fatto costretto ad assumere la cittadinanza russa anche se è ucraino. Pshenichnov, che vanta un lungo curriculum di ricerca all’Istituto di Ricerca Meridionale per la Pesca Marina e l’Oceanografia di Kerch, a quello per la Pesca e l’Ecologia Marina di Berdiansk e poi all’Istituto di Oceanografia di Kiev, era rimasto in Crimea solo per stare vicino alla sua famiglia. I suoi ultimi sforzi erano proprio concentrati sull’idea di istituire aree marine protette nell’Oceano antartico per limitare lo sfruttamento eccessivo delle risorse.

    Cosa succede al pianeta

    Stiamo cambiando gli equilibri della natura

    di Elena Dusi

    11 Agosto 2025

    L’arresto del biologo ha ovviamente alzato ulteriormente le tensioni diplomatiche. L’Ucraina sta facendo pressione su altri Paesi e sulla commissione CCAMLR affinché a livello internazionale spingano per il rilascio dello scienziato vittima di “un palese abuso dei diritti umani”. Il National Antarctic Research Centre sostiene che l’Ue, Norvegia, Regno Unito, Nuova Zelanda e Corea, siano uniti nel condannare l’incarcerazione da parte della Russia. Anche in apertura lavori della commissione CCAMLR, iniziata una settimana fa, c’è stato un accorato appello da parte dei ricercatori per il rilascio di Pshenichnov, “biologo e non politico” da sempre impegnato nella protezione della natura, soprattutto di quei mari dove quest’anno – per la prima volta – la quantità dei piccoli crostacei pescati nelle acque antartiche ha raggiunto un livello “insostenibile” secondo gli stessi scienziati. In questa situazione di “profondo shock”, i colleghi – che descrivono il biologo ucraino come un ricercatore “eccezionale” – fanno un appello anche alla società civile: “Facciamo tutti pressione, aiutateci a liberarlo da questa incarcerazione illegale”. LEGGI TUTTO

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    Dalla grafite riciclata al suono, arriva il diffusore acustico per smartphone

    Possono la purezza assoluta e la bellezza delle forme derivare dallo scarto? Si può realizzare un oggetto altamente funzionale plasmandolo di sola materia riciclata? “Perché no?“, risponde Susanna Martucci, vulcanica imprenditrice fondatrice di Alisea. Lei ha già fatto parlare il mondo di sé con Perpetua, la matita diventata oggetto di culto e presente persino nello store del MoMa di New York. L’idea di Perpetua (che ha venduto 3 milioni di pezzi) stava tutta in un’applicazione innovativa di pratiche sostenibili: recuperare tonnellate e tonnellate di grafite di scarto di processi produttivi industriali dei settori aerospaziale, aeronautico, ferroviario e automotive.

    Dalla rivoluzione di Perpetua nasce “dionisio”. Si tratta di un diffusore acustico per smartphone, che è insieme un oggetto di design (nato dalla creatività della designer Marta Giardini), un esempio di economia circolare (come Perpetua, anche dionisio è composto all’80% di grafite riciclata, a cui viene aggiunto un eccipiente minerale) e un modello di alta tecnologia.

    Dionisio è realizzato con una “grafite che è meglio della grafite”, la “g upgraded recycled graphite”: è un brevetto del mondo Perpetua. “Abbiamo studiato un eccipiente minerale che aumenta alcune delle caratteristiche proprie della grafite vergine – spiega Susanna Martucci – seguendo il nostro pensiero di sempre: un oggetto riciclato non deve essere meno bello e performante di quello d’origine; e non deve essere nemmeno allo stesso livello. Il nostro scopo è di migliorarne le caratteristiche per creare un reale valore aggiunto”.
    Unire estetica, performance e sostenibilità
    dionisio è l’esito di un profondo processo valoriale. È figlio del viaggio del suono nella grafite, modellato a partire dal compound zantech (è composto tecnico a base di grafite riciclata legata con polimeri, fornito in granuli iniettabili e declinabili), con stampaggio a iniezione. L’esclusivo percorso interno, ispirato a un sistema misto tra tromba retroattiva e bass reflex, e l’impiego della grafite stessa, smorzano le vibrazioni indesiderate amplificando le basse frequenze e donando un suono uniforme, fedele e avvolgente.

    Come nasce dionisio? “Era il 2013. Vittorio Ferrero, un esperto che lavora con la grafite industriale da oltre 40 anni, ci raccontò di come, dieci anni prima, avesse conosciuto Claudio Consigli. Lui, collezionista e audiofilo, aveva progettato un giradischi proprio in grafite, che è tra i migliori materiali al mondo per esaltare la qualità dei suoni. Era nato uno dei più stupefacenti (e invidiati) strumenti, sul quale appassionati di tutto il mondo hanno potuto discutere e confrontarsi. Ci siamo chiesti: perché non provare a usare il nostro zantech per metterlo a servizio della qualità del suono? Dodici anni dopo quella conversazione, ecco la nascita di dionisio” – racconta Martucci.

    Ispirato al celebre “Orecchio di Dionisio”
    Il prodotto richiama nel nome il celebre Orecchio di Dionisio, grotta calcarea artificiale nella latomia del Paradiso, nel Parco Archeologico della Neapolis di Siracusa, il grande quartiere monumentale dell’antica città. È famosa per la straordinaria acustica e, secondo la leggenda, il tiranno Dionisio vi origliava le lamentele dei prigionieri che vi aveva rinchiuso. Il nome sarebbe stato coniato dal Caravaggio nel Seicento, per la forma che ricorda un orecchio. Susanna Martucci conosce bene l’Orecchio di Dionisio: quando era giovane trascorreva molte estati in Sicilia, proprio a Siracusa. L’evocazione di quel lontano ricordo, di quel luogo dall’acustica leggendaria, le ha ispirato il richiamo alla purezza dei suoni del suo amplificatore.

    Dionisio non vuole dire solo responsabilità ambientale, ma anche nei confronti delle persone. È ideato e prodotto esclusivamente in Italia attraverso una filiera controllata; inoltre il suo confezionamento e la logistica coinvolgono la cooperativa Job Mosaico, che mira a favorire l’approccio al mondo del lavoro per promuovere autonomie e competenze di persone fragili, con disagio psicologico, sociale e economico.

    Il diffusore acustico pesa 625 grammi, 425 grammi dei quali sono di grafite altrimenti destinati allo smaltimento – con un costo non solo economico ma anche sociale e ambientale per la collettività che è tenuta, direttamente o indirettamente, a farsene carico. dionisio è made in Italy ed è progettato per alloggiare smartphone fino a 13 mm di spessore e 84 mm di larghezza.

    Il prodotto è già in vendita sullo store ufficiale di Perpetua a 75 euro; da novembre, sarà disponibile anche sul sito e presso i principali punti vendita italiani di Città del Sole. LEGGI TUTTO

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    Negli Stati Uniti il consumo di carne inquina quanto l’energia elettrica per le case

    Il consumo di carne e l’energia per alimentare le case producono livelli di emissioni di gas serra simili. Questo succede nelle città degli Stati Uniti, dove un team di ricerca dell’Università del Michigan e dell’Università del Minnesota ha scoperto che le emissioni di gas serra prodotte ogni anno da coloro che mangiano carne di manzo, pollo e maiale sono superiori a quelle totali annue dell’Italia e, come anticipato, simili alle emissioni derivanti dall’energia che serve ad alimentare le loro case. Il loro studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Climate Change.

    L’analisi

    Le emissioni di gas serra legate agli stili di vita sono 7 volte superiori gli obiettivi climatici

    di Luca Fraioli

    07 Ottobre 2025

    Lo studio
    Per capirlo, gli autori hanno calcolato e mappato l’impatto ambientale, definito come “impronta di carbonio”, della carne per ogni città degli Stati Uniti. In particolare, hanno misurato le emissioni di gas serra associate alla consumo di carne per le città statunitensi servendosi della piattaforma Food System Supply-Chain Sustainability, o FoodS 3, inizialmente sviluppata per studiare la filiera del mais del Paese e modificata dagli autori del nuovo studio per applicarla alla carne. Dalle analisi è emerso che l’impatto climatico totale per le oltre 3500 città statunitensi prese in esame è di 329 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, mentre le emissioni totali derivanti dall’utilizzo di combustibili fossili per illuminare, riscaldare, raffreddare e alimentare gli elettrodomestici nelle case sono di 334 milioni di tonnellate (in Italia sono pari a 313 Mt).

    Il consumo di carne
    I ricercatori hanno inoltre proposto alcuni modelli per poter ridurre le emissioni legate all’alimentazione, tra cui la riduzione degli sprechi alimentari, la sostituzione della carne bovina con carni a basse emissioni o l’eliminazione della carne una volta alla settimana. Dai risultati è emerso che il modello più efficace sarebbe quello di sostituire metà della carne bovina con il pollo, riducendo così le emissioni del 33%. Sostituire metà del consumo di carne bovina con una combinazione di maiale e pollo, invece, porterebbe a una riduzione delle emissioni pari al 29%, mentre lo spreco alimentare a una diminuzione del 16% e non mangiare carne un giorno alla settimana al 14%.

    Alimentazione

    Dopo la carne, sulle nostre tavole anche il pesce coltivato in laboratorio

    di Giacomo Talignani

    17 Ottobre 2025

    Pannelli solari, ma non solo
    Sebbene lo studio sottolinei le enormi dimensioni dell’impronta di carbonio urbana americana, il nuovo studio fornisce anche informazioni che cittadini e governi possono utilizzare per ridurre l’impatto ambientale. La ricerca ha infatti, “enormi implicazioni sul modo in cui valutiamo l’impatto ambientale delle città, misuriamo tali impatti e, in ultima analisi, sviluppiamo politiche per ridurli”, ha commentato Benjamin Goldstein, tra gli autori dello studio, ricordando che i decisori politici hanno lanciato campagne e iniziative che aiutano i proprietari di case a ridurre la propria impronta di carbonio, incentivando e sovvenzionando interventi come l’installazione di pannelli solari e l’isolamento termico, che tuttavia possono costare migliaia, se non decine di migliaia, di euro.

    L’analisi

    Le emissioni di gas serra legate agli stili di vita sono 7 volte superiori gli obiettivi climatici

    di Luca Fraioli

    07 Ottobre 2025

    “Ma se si riducesse semplicemente la metà del consumo di carne bovina e magari si passasse al pollo, si potrebbero ottenere riduzioni di gas serra simili, a seconda di dove si vive”, ha concluso Goldstein. “Se riuscissimo a convincere le persone a utilizzare questo tipo di studio per riflettere su come le diete nelle città influenzino il loro impatto ambientale, ciò potrebbe avere effetti enormi in tutti gli Stati Uniti”. LEGGI TUTTO

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    Stramonio, come coltivare l’”erba del diavolo”

    Il mondo vegetale racchiude piante dal fascino misterioso, capaci di conquistare con la loro bellezza intrigante. Tra queste rientra sicuramente lo stramonio, noto anche come erba del diavolo o delle streghe, apprezzato per i fiori a forma di tromba e le foglie decorative. Chiamata a livello scientifico datura stramonium, questa pianta erbacea annuale è tanto affascinante quanto insidiosa, tenendo conto che tutte le sue parti sono altamente tossiche. Coltivata a scopo ornamentale, è semplice da curare e richiede una bassa manutenzione, dovendo però maneggiarla con cautela.

    Dove collocare lo stramonio
    Appartenente alla famiglia delle Solanaceae, lo stramonio ha origini centro-nordamericane ed è diffuso in zone dal clima caldo e temperato, compresa l’Italia dove cresce spontaneamente tra campi, terreni incolti e ruderi. Questa pianta erbacea contiene in tutte le sue parti sostanze pericolose che se ingerite possono causare intossicazioni gravi.

    La datura si distingue per i suoi fiori particolarissimi, dalla forma a imbuto e spesso tinti di bianco, ma anche da sfumature violacee, che emanano un profumo intenso e si aprono di notte o nel tardo pomeriggio. La fioritura dello stramonio avviene tra luglio e ottobre: questa è molto scenografica e vede ogni fiore durare pochi giorni, ma la pianta continua a produrne per settimane. La datura stramonium presenta un fusto eretto e ramificato, foglie ovate e grandi e dai margini dentati. I suoi frutti sono capsule ovate spinose, al cui interno si trovano semi dagli effetti allucinogeni e narcotici.

    Lo stramonio può essere coltivato in giardino o vaso, ma deve essere maneggiato con cura, visto che è altamente tossico, ponendolo in luoghi inaccessibili a bambini e animali.

    Resistente e versatile, la datura si adatta a molteplici ambienti. Per quanto riguarda la sua esposizione, ama il sole, prediligendo un’esposizione soleggiata e un clima caldo, anche se durante le giornate più calde beneficia di un po’ di ombra. Essendo sensibile al gelo, in inverno deve essere protetta dalle gelate. Quanto al terreno, ne richiede uno fertile, ben drenato, leggero e sabbioso.

    Stramonio e la coltivazione
    Grazie ai fiori vistosi e al fogliame ampio, lo stramonio abbellisce giardini e balconi. La sua coltivazione è semplice e può avvenire sia in piena terra, che in vaso, indossando sempre guanti protettivi quando lo si maneggia. Se coltivato all’aperto può diventare invasivo, visto che tende a riseminarsi. Il periodo migliore per interrarlo è la primavera o l’autunno.

    Per la coltivazione in piena terra, si procede eliminando dal terreno erbacce e sassi grandi, per poi aggiungere del compost per migliorare la composizione del substrato. I semi dello stramonio vanno posti a 0,5-1 centimetro di profondità, lasciando tra ciascuno 40-50 centimetri, tenendo conto che la pianta cresce in modo rapido e ampio. Se le piantine crescono troppo ravvicinate, bisogna eliminare quelle più deboli. I semi germinano in 1-3 settimane.

    Quanto alla coltivazione in vaso, è necessario scegliere un recipiente che sia abbastanza ampio, minimo 30-40 centimetri di diametro, e dotato di fori di drenaggio sul fondo. Anche in questo caso i semi vanno posti a 0,5-1 centimetri di profondità in un terreno drenante, fertile e arricchito con del concime organico. Il substrato deve essere mantenuto umido, ma non zuppo, verificando che le piante abbiano abbastanza spazio per svilupparsi, tenendo conto che crescono velocemente.

    Cura dello stramonio: irrigazione, concimazione e potatura
    Lo stramonio non richiede cure complesse nella sua manutenzione. La pianta predilige un terreno sempre leggermente umido, evitando però i ristagni idrici, suoi nemici e causa del marciume radicale. In primavera ed estate bisogna darle da bere 1-2 volte a settimana, da aumentare in caso di siccità. In autunno le irrigazioni vanno ridotte gradualmente, mentre in inverno si deve annaffiare solo quando il substrato è totalmente asciutto, mediamente ogni 3 settimane. Per quanto riguarda la concimazione, la pianta non richiede frequenti interventi, ricorrendo in primavera a del fertilizzante organico con cui stimolare la sua crescita.

    La potatura è un intervento molto importante nella cura dello stramonio. È necessario intervenire in primavera per stimolare una sua crescita compatta. Se la pianta tende a svilupparsi in modo eccessivamente invasivo è opportuno rimuovere i rami troppo lunghi, evitando di danneggiare la sua struttura principale. Inoltre, bisogna eliminare fiori appassiti e rami secchi per favorire le nuove fioriture e mantenere la pianta sana.

    Malattie e parassiti
    Nella cura dello stramonio bisogna tenere conto di alcune criticità che possono colpirlo. Pur essendo resistente, è soggetto a diversi problemi, tra cui l’attacco di parassiti come afidi, che succhiano la sua linfa e provocano ingiallimento e foglie deformate, richiedendo un intervento tempestivo con un insetticida biologico oppure soluzioni specifiche.

    Un altro problema è il ragnetto rosso, che si insidia nella parte inferiore delle foglie, facendole ingiallire: in caso di un’infezione importante è necessario ricorrere a un acaricida specifico.

    Lo stramonio può essere anche colpito da cocciniglie, da rimuovere manualmente o trattare con prodotti ad hoc. La pianta è soggetta inoltre al marciume radicale, causato da ristagni idrici o un substrato troppo compatto, che porta al deterioramento delle radici. L’oidio può insediarsi sulla pianta, ricoprendo le sue foglie con una patina biancastra: in questo caso bisogna eliminare le foglie infette o, se la situazione è grave, impiegare un fungicida specifico. LEGGI TUTTO