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    L’Italia investe sugli alberi: oltre 3 milioni piantati nel 2024

    L’Italia continua ad investire nel verde: sono oltre 3 milioni i nuovi alberi piantati nel 2024 per un totale di quasi 4 mila ettari. Un investimento in capitale naturale: si prevede infatti un ritorno economico di più di 20 milioni di euro all’anno in servizi ecosistemici per ciascuno degli anni di vita degli impianti messi a dimora. È quanto emerge dalla quinta edizione dell’Atlante delle Foreste, il rapporto annuale realizzato da Legambiente e AzzeroCO2 con il supporto tecnico di Compagnia delle Foreste. LEGGI TUTTO

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    Emissioni, finanza, foreste: i temi in discussione in una Cop in bilico

    La 30esima Conferenza Onu sul clima, pur prevista in una location amazzonica altamente simbolica, in questi mesi preparatori non è riuscita a darsi un obiettivo altrettanto emblematico. Al contrario delle due edizioni che l’hanno preceduta. Nel 2023 a Dubai c’era da definire il global stocktake, una valutazione periodica dei progressi compiuti a livello mondiale in materia di azione per il clima. E, grazie a una inedita triangolazione Usa-Cina-Arabia Saudita, si inserì per la prima volta nella storia delle Cop un riferimento esplicito all’uscita dai combustibili fossili, con l’espressione transition away. L’anno successivo, a Baku, la Cop29 è stata totalmente dedicata alla finanza climatica: i Paesi ricchi hanno promesso 300 miliardi di dollari alle nazioni in via di sviluppo e ai piccoli Stati insulari entro il 2035. Più altri mille miliardi di investimenti privati non meglio definiti.

    Editoriale

    Cop30 – “L’ultimo appello”. Un’istituzione da difendere

    di Federico Ferrazza

    03 Novembre 2025

    E quest’anno a Belém? Il rischio è che si continuino a fissare obiettivi e a prendere impegni senza che poi vengano centrati e mantenuti. È venuto il momento di non fare più annunci, perché di traguardi collettivi ne sono stati concordati molti, ma di usare le Cop per verificare chi tra le singole nazioni si è davvero mosso per raggiungerli. E in effetti il Brasile ha dichiarato di voler passare “dalla fase negoziale a quella attuativa degli obiettivi”. Impresa tutt’altro che semplice, in un momento in cui gli Usa si stanno ritirando dagli Accordi di Parigi e il mondo è meno concentrato sull’azione per il clima.

    I tagli alle emissioni
    Se si rimane alle “promesse”, a Belém si conteggeranno quelle relative ai tagli delle emissioni di gas serra che ogni nazione si è impegnata a fare. Oltre la metà delle parti che hanno firmato l’Accordo di Parigi, inclusa la Cina, ha presentato i propri nuovi Ndc. La Ue, così come l’India, ha mancato la scadenza di settembre. Ma Bruxelles ha promesso che arriverà in Brasile con un nuovo target. Gli Usa avevano presentato il loro Ndc in anticipo, sotto l’Amministrazione Biden, ma poi è arrivato Trump… Prima dell’inizio di Cop30 l’Onu conteggerà tutte le promesse di riduzione delle emissioni e mostrerà quanto si sia lontani dall’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C. È probabile che ci si fermi non molto al di sotto dei 2,5 °C e questo dato allarmante sarà certamente al centro dei negoziati di Belém. Si farà qualcosa per correggere la rotta che ci porta al naufragio? Dopo mesi di resistenza, il Brasile sta iniziando ad accettare l’idea di negoziare una cosiddetta cover decision, un preambolo vincolante per le parti, che affronti il divario di temperatura. Ma finora c’è poca chiarezza su cosa sarà incluso, anche perché alle Cop si decide per consenso, non a maggioranza, ed è già nota la strenua opposizione a un documento del genere dei petro-Stati guidati dai sauditi. E c’è anche chi contesta lo strumento: l’eventuale cover decision sarebbe l’ennesimo documento politico che prende impegni per il futuro, quando invece è necessario agire oggi.

    Verso Cop30

    Cop30, strada in salita ma il dibattito sul clima è centrale in Europa

    di Luca Fraioli

    30 Ottobre 2025

    La finanza climatica
    Anche qui promesse: chi ha mantenuto quelle fatte a Baku? E come mobilitare il fantomatico miliardo di dollari di investimenti pubblici? Nella capitale Azera era stata varata una Roadmap from Baku to Belém, che avrebbe dovuto rispondere a tali quesiti. Dove abbia condotto tale roadmap lo scopriremo dal 10 al 21 novembre. Sarebbe bene che gli investimenti pubblici si concentrassero sull’adattamento, anziché sulla mitigazione. Perché creare campi fotovoltaici in Paesi in via di sviluppo è un business redditizio e ci saranno sempre imprese private pronte a investirci. Mentre creare infrastrutture che mettano persone e proprietà al riparo dagli eventi estremi, innescati dal riscaldamento globale, è un intervento che non ha ritorni economici nel breve termine che solo la finanza pubblica si può permettere. Non sembra plausibile a Cop30 un accordo su un nuovo obiettivo di finanza climatica sull’adattamento, tuttavia i negoziatori potrebbero lavorare per ridurre gli indicatori di resilienza ai cambiamenti climatici dagli attuali 400 a circa 100, in modo da rendere più semplici gli investimenti e le rendicontazioni.

    Il fondo per le foreste tropicali
    Per avere almeno un risultato certo, da incassare già in apertura e da rivendicare come obiettivo centrato, in fase di bilancio a sipario calato, la presidenza brasiliana ha profuso molte energie per creare consenso intorno alla sua proposta di un “Fondo per le foreste tropicali per sempre”: 125 miliardi di dollari, per finanziare i Paesi che mantengono in vita i loro patrimoni forestali. Ma c’è chi annovera questa misura tra quelle che in ogni Conferenza Onu sul clima permettono di fare annunci, distraendo media e opinione pubblica dal vero traguardo (ridurre le emissioni di gas serra eliminando i combustibili fossili) e dall’eventuale fallimento nel raggiungerlo.

    I combustibili sostenibili
    Un altro annuncio “a effetto” da dare a Belém durante la due-giorni preliminare che vedrà sfilare i capi di Stato e di governo, potrebbe sancire la rivincita dei biocarburanti. La possibilità si è concretizzata qualche settimana fa, quando il ministero degli Esteri brasiliano ha reso pubblica l’iniziativa “Impegno di Belém per i carburanti sostenibili”, con l’obiettivo di quadruplicare la produzione e l’uso di combustibili alternativi a quelli fossili entro il 2035. Nome in codice: Belém 4x. Per “carburanti sostenibili” si intendono “biocarburanti liquidi, biogas, idrogeno rinnovabile e carburanti a base di idrogeno”. Ma considerando i costi ancora proibitivi per fare della molecola H2 una seria opzione al posto di benzina e gasolio, Belém 4x sembra voler essere soprattutto una spinta ai combustibili “bio”, quelli derivati da coltivazioni, scarti alimentari, deiezioni animali. “Cerchiamo il sostegno del maggior numero possibile di Paesi, per inviare un segnale politico, anche agli attori economici”, ha dichiarato João Marcos Paes Leme, direttore del dipartimento dell’Energia del ministero degli Esteri di Brasilia. E in effetti l’Italia, insieme a India e Giappone, ha espresso il suo supporto al progetto. D’altra parte, non è una novità che il nostro governo punti sui biocarburanti per rendere meno “traumatica” la transizione verso l’elettrificazione dei trasporti.

    Il multilateralismo
    Da anni le Cop sono messe in discussione per la lentezza con cui affrontano la crisi climatica. Non c’è da stupirsi se anche a Belém accadrà altrettanto. Ma quest’anno le Nazioni Unite, che organizzano la conferenza, dovranno fare i conti anche con il terremoto Trump che ha scosso alle fondamenta l’edificio del multilateralismo, non solo in ambito climatico. Sarà da monitorare l’eventuale nascita di nuove alleanze, con gli occhi puntati sui Brics, di cui il Brasile è un esponente importante. Ma anche sulle delegazioni europea e cinese, che in assenza degli Usa, potrebbero decidere di collaborare maggiormente in un’ottica di decarbonizzazione e di tecnologie green. Forse il vero successo di Cop30 sarebbe riuscire a dimostrare che ha ancora senso ritrovarsi, in quasi 200 Paesi, intorno allo stesso tavolo, per discutere delle sorti dell’umanità e del Pianeta. Purtroppo le defezioni annunciate di molti leader, con il declassamento della Cop a evento minore, non sono un segnale incoraggiante. LEGGI TUTTO

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    Tutte le startup di Ecomondo 2025. Il laboratorio dell’innovazione circolare

    Startup, ricerca e imprese si incontrano a Ecomondo 2025 per presentare proposte capaci di tradurre la scienza in soluzioni ambientali reali, dal ciclo dell’acqua alla bioeconomia circolare. La 28esima edizione dell’evento internazionale di Italian Exhibition Group (IEG) sulla green, blue and circular economy, in programma alla Fiera di Rimini dal 4 al 7 novembre, conferma la presenza dell’Innovation District con 40 startup italiane e internazionali, selezionate per l’alto contenuto tecnologico delle loro proposte. Dalla bioeconomia rigenerativa alla gestione intelligente dell’acqua, dal riciclo avanzato dei materiali all’agritech circolare, le giovani imprese presenti porteranno soluzioni in grado di connettere digitale, ambiente e produttività sostenibile.

    Tutte le startup di Ecomondo 2025
    L’edizione 2025 di Ecomondo riserva un ruolo strategico alle startup e alle nuove realtà imprenditoriali con l’area Innovation District. Questa sezione specializzata è un vero e proprio hub di business development, dove prende forma un ecosistema di open innovation pensato per mettere in connessione imprese, startup, centri di ricerca, istituzioni e investitori, favorendo il trasferimento tecnologico, la nascita di collaborazioni e la contaminazione tra competenze. L’Innovation District di Ecomondo è lo spazio espositivo dedicato alle tecnologie emergenti, alle startup più promettenti e alle soluzioni innovative per accelerare la transizione ecologica e l’economia circolare. Le 20 startup presenti in fiera e che hanno risposto alla call di Ecomondo 2025.

    ParaStruct GmbH (Austria, settore Waste as Resource)
    Azienda che sviluppa materiali da costruzione a basso impatto ottenuti da flussi minerali e residui biogeni. La tecnologia consente di realizzare prodotti strutturali come lo screed con funzioni di “carbon sink”, sostituendo sabbia e cemento con materiali riciclati. La soluzione combina alte prestazioni, economicità e sostenibilità, rispondendo alle esigenze dell’edilizia del futuro e riducendo le emissioni di CO2.

    4peopleHolding SRL (Trentino-Alto Adige, settore Water Cycle & Blue Economy)
    Ha sviluppato HydraX, un sistema di depurazione basato sulla cavitazione controllata e sull’insufflazione di ozono on-demand. La tecnologia riduce drasticamente la produzione di salamoie e i consumi energetici rispetto ai dissalatori tradizionali, garantendo al tempo stesso un’efficace rimozione di sostanze nocive e una migliore qualità delle acque reflue, rendendole riutilizzabili in ottica circolare.

    Agricolture Biodiversity and Technologies – Abit Agritech (Lombardia, settore Site & Soil Restoration)
    Propone una piattaforma digitale che misura e valorizza la salute del suolo, integrando dati georeferenziati, analisi fisico-chimiche e algoritmi di intelligenza artificiale. Lo strumento fornisce KPI ESG utilizzabili lungo la filiera agroalimentare, certifica pratiche rigenerative e supporta la compliance normativa, distinguendosi per l’approccio scientificamente validato e la verticalità sul tema della biodiversità del suolo.

    Aqua Farm (Piemonte, settore Bioenergy & Agriculture)
    Progetta impianti acquaponici ad alta efficienza che consentono la produzione integrata di ortaggi e pesce con consumi minimi di acqua ed energia. Il sistema, brevettato e automatizzato, integra monitoraggio IoT e controllo remoto, abbattendo i costi operativi e garantendo tracciabilità completa. Si distingue per la capacità di ridurre drasticamente l’uso di suolo e agrofarmaci, offrendo una soluzione scalabile e sostenibile.

    CDC Studio (Toscana, settore Waste as Resource)
    Specializzata nel riciclo circolare degli scarti tessili, ha brevettato soluzioni che trasformano rifiuti complessi in polimeri ad alte prestazioni e coating innovativi. I processi non richiedono separazione delle fibre né additivi, risultando compatibili con impianti industriali esistenti. L’azienda offre così nuove materie prime per moda, arredo, design e automotive, riducendo costi e impatti ambientali.

    CENTROTERRA (Emilia-Romagna, settore Site & Soil Restoration)
    Produce biofertilizzanti rigenerativi derivati da scarti agricoli attraverso un processo brevettato a basso consumo energetico. I prodotti migliorano la ritenzione idrica e la resilienza dei suoli, risultando idonei sia per agricoltura biologica e rigenerativa sia per applicazioni domestiche e hobbistiche. L’innovazione risiede nella rapidità del processo statico e nelle proprietà specifiche come la presenza di struvite e il rilascio bilanciato dell’azoto.

    D.W.S (Emilia-Romagna, settore Water Cycle & Blue Economy)
    Presenta CONSTANCE, un sistema brevettato di controllo automatico per impianti di depurazione convenzionali. Basato su sensori economici e affidabili (pH, redox, ossigeno disciolto), permette di ridurre i consumi energetici fino al 60% e ottimizzare i processi biologici. L’uso di algoritmi di machine learning assicura monitoraggio continuo e gestione intelligente delle risorse.

    Dabohn (Emilia-Romagna, settore Water Cycle & Blue Economy)
    Ha sviluppato un software operativo ibrido che controlla in tempo reale macchine e impianti industriali, apprendendo nel tempo e garantendo ottimizzazione continua. La soluzione integra intelligenza artificiale, modelli matematici e machine learning, agendo come un vero “pilota automatico” degli impianti e migliorando sia l’efficienza energetica sia la manutenzione predittiva.

    Eco8 (Trentino-Alto Adige, settore Bioenergy & Agriculture)
    Propone un applicativo cloud che collega in tempo reale tutti gli attori della filiera del biogas, monitorando logistica e prescrizioni di settore e calcolando la carbon footprint secondo standard certificati. La soluzione è modulare, intuitiva e scalabile, con l’obiettivo di rendere più efficiente e sostenibile l’intero ecosistema del biogas.

    Etrash (Veneto, settore Waste as Resource)
    Offre un sistema integrato composto da un cestino intelligente con visione artificiale e una piattaforma cloud. Il cestino riconosce i rifiuti con una precisione superiore al 95%, attiva lo smistamento automatico e invia dati su KPI ambientali ed ESG. La tecnologia riduce fino al 40% l’indifferenziato, taglia i costi e migliora la sostenibilità delle aziende clienti.

    GEOMATRIX (Trentino-Alto Adige, settore Waste as Resource)
    Sviluppa compound polimerici ad alte prestazioni ottenuti da materie prime riciclate come plastiche e scarti legnosi. La tecnologia brevettata riduce fino al 50% le emissioni di CO? rispetto all’ABS vergine, mantenendo competitività economica. I materiali possono essere riciclati più volte senza perdita di caratteristiche, rappresentando una soluzione innovativa nel settore delle plastiche rigide.

    InnoChem srl (Lombardia, settore Waste as Resource)
    Porta avanti la tecnologia TextInOL, che consente di trattare e valorizzare rifiuti tessili misti post-consumo e industriali, trasformandoli in biocarburanti e nuove molecole chimiche. Il processo non richiede pretrattamento meccanico ed è integrabile in filiere esistenti, riducendo costi di trasporto e impatto ambientale.

    Re.Nova Plast (Marche, settore Waste as Resource)
    Introduce OLIFOUR, un polimero termoplastico riciclato ad alte prestazioni per il settore calzaturiero. La proposta si fonda su un approccio di eco-progettazione che prevede il recupero e il riuso degli stessi materiali a fine vita, chiudendo il ciclo produttivo e trasformando le calzature in veri prodotti circolari.

    SIEve (Lombardia, settore Water Cycle & Blue Economy)
    Ha sviluppato un filtro innovativo a base di red mud, scoria metallurgica rigenerabile, capace di rimuovere metalli pesanti, inquinanti organici e micro-patogeni dalle acque reflue. Il sistema è modulare e riduce costi e complessità impiantistiche, trasformando un rifiuto industriale in risorsa utile per la depurazione.

    STE – Sanitizing Technologies and Equipments (Marche, settore Waste as Resource)
    Presenta Sanify, un sistema che sanifica e insacchetta automaticamente i rifiuti ospedalieri, riducendone la classificazione da pericolosi a speciali. La tecnologia garantisce maggiore sicurezza per gli operatori, abbattimento dei costi di smaltimento e tracciabilità del processo, rappresentando un’innovazione nel settore sanitario.

    TERAMODUS (Abruzzo, settore Waste as Resource)
    Ha sviluppato un kit retrofit e una stazione di battery swap per convertire mezzi con motori termici in veicoli elettrici, con particolare applicazione nel settore della raccolta rifiuti. L’approccio consente di ridurre sprechi, abbattere i costi di ricarica e prolungare il ciclo di vita dei veicoli, offrendo una soluzione sostenibile e scalabile.

    The EEM Team Spin-Off company (Lombardia, settore Environmental Monitoring & Earth Observation)
    Spin-off universitario che sviluppa software e soluzioni per l’analisi di dati geofisici ed elettromagnetici, integrando AI e modellistica idrogeologica. Le applicazioni riguardano la gestione delle acque sotterranee, l’esplorazione mineraria e la resilienza delle georisorse, con strumenti avanzati integrabili in piattaforme GIS.

    Vortex (Piemonte, settore Waste as Resource)
    Ha brevettato un processo di upcycling che trasforma matrici vegetali deperibili in farine e ingredienti funzionali ad alto valore aggiunto per food, petfood e cosmetica. La tecnologia preserva le proprietà bioattive e si caratterizza per modularità, scalabilità e utilizzo di energia rinnovabile, riducendo sprechi e impatti ambientali.

    W.N.T. (Lombardia, settore Circular & Regenerative Bio-Economy)
    Sviluppa rivestimenti nanotecnologici anticorrosivi a base ceramica che sostituiscono la cromatura tradizionale, altamente impattante. La soluzione garantisce prestazioni comparabili in termini di resistenza e durezza, ma con maggiore sostenibilità, trovando applicazione in settori come automotive e aerospace.

    We are bi-rex (Lombardia, settore Circular & Regenerative Bio-Economy)
    Ha brevettato una tecnologia per estrarre fibra cellulosica da scarti agroalimentari senza processi chimici, offrendo una valida alternativa alla cellulosa da legno. La materia prima ottenuta è già validata per applicazioni industriali nel packaging e nel tissue, con vantaggi in termini di disponibilità, sostenibilità e tracciabilità.

    Sempre all’interno dell’Innovation District, saranno presenti anche 20 startup selezionate nell’ambito del progetto Lab Innova for Africa “Luca Attanasio”, promosso da Agenzia ICE in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le realtà, provenienti da Marocco e Tunisia, operano nei settori della green economy e dell’economia circolare, rafforzando il ponte tra Europa e Mediterraneo che Ecomondo presidia da anni. LEGGI TUTTO

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    Un’istituzione da difendere

    Cosa succederà a Belém, la sede amazzonica della trentesima Conference of the Parties (Cop), l’appuntamento annuale sul clima delle Nazioni Unite che si svolgerà nella città del nord del Brasile dal 10 al 21 novembre, è difficile da prevedere. È complicato perché ci si arriva con un quadro geopolitico ed economico molto incerto. Ai conflitti […] LEGGI TUTTO

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    “Un bioreattore per trasformare lino e canapa in fibra da riusare al posto della plastica”

    Fibre liberiane. Bioreattori. Macerazione. No, non è un test delle associazioni verbali di Jung, ma i tre ingredienti chiave della startup milanese Sylfib. “Semplicemente estraiamo da lino, canapa e altre piante la fibra nobile che può essere reimpiegata nel tessile, nell’edilizia per pannelli termoisolanti, nell’industria cartaria e nel ramo bioplastico. Il tutto abbinando anche una personalizzazione che incide sulle prestazioni finali”, spiega Emanuele Bertolotti, co-fondatore e Ceo di Sylfib. Potrebbe essere uscito dall’universo di Star Trek, ma il primo prototipo avrebbe ricordato di più la vasca da bagno di Fred Flintstone.

    Le fibre liberiane sono le fibre tessili vegetali che si ottengono dalla corteccia interna del fusto di alcune piante, come lino, canapa, ortica, ginestra, kenaf e ramiè. Sono caratterizzate da resistenza e versatilità, e grazie alla lavorazione di Sylfib possono acquisire ulteriori attributi. “Oggi riforniamo soprattutto società di filatura o direttamente aziende tessili, nonché cartiere. Però questa seconda materia prima può essere in ogni ambito dove si punti su biocompositi”, aggiunge Bertolotti. Sylfib sta per System Luxury Fiber, “perché secondo noi è un lusso poter utilizzare delle fibre realmente sostenibili, realmente naturali e che effettivamente possano in qualche modo sostituire la plastica”.

    Come funziona il bioreattore di Sylfib
    Un bioreattore genericamente è un dispositivo in cui si inducono e gestiscono reazioni biologiche, principalmente tramite l’azione di microrganismi, cellule o enzimi, in un ambiente controllato. La versione di Sylfib, grande come un container di 4 x 2,5 metri (comunque modulare), non solo è dotata di sensori avanzati che ne consente anche la gestione in remoto, ma può essere impiegata per occuparsi totalmente della fase di macerazione delle piante che consente poi di ottenere la fibra per i successivi usi. Il tutto ovviamente con un procedimento naturale, senza enzimi e additivi, a differenza di quanto avviene ad esempio in Cina dove la soda caustica domina il processo. E così si spiega perché il lino low-cost è bianco e fine. LEGGI TUTTO

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    Quanto durano i contenitori di plastica e come riciclarli

    Negli ultimi anni la coscienza ambientale è cresciuta, ma basta fare caso alla quotidianità per rendersi conto di quanto anche la plastica continui a occupare la vita di chiunque. Nonostante le alternative ecologiche ai soliti contenitori di plastica, questo materiale è comunque piuttosto presente e lo si vede anche dalle piccole cose. Gli imballaggi di plastica ci sono e ci saranno sempre, sono parte integrante della vita di ognuno e la loro distribuzione è, appunto, mondiale. Ma quanto durano mediamente questi contenitori e come si può fare per riciclarli?

    Contenitori di plastica: quanto durano nella media?
    In realtà parlare di “durata” della plastica è un concetto non proprio semplice, perché essa dipende da molti fattori. Bisogna infatti considerare il tipo di plastica, le condizioni d’uso, gli stress termici, i graffi, l’esposizione a luce ultravioletta e tutte le sollecitazioni meccaniche a cui può andare incontro. Insomma, non tutti i contenitori di plastica sono uguali, quindi anche la durata sarà diversa. Ad esempio, le bottiglie monouso in PET dovrebbero durare circa uno/due anni se la conservazione è corretta (senza considerare l’esposizione al sole che potrebbe danneggiarle). Se invece parliamo di contenitori di plastica più durevoli (propilene PP, ad esempio), la durata aumenta di diversi anni. I pallet di plastica, invece, possono arrivare a durare anche quattro anni. Questo discorso non ha nulla a che vedere con la degradazione del materiale nell’ambiente. È risaputo infatti che la plastica impiega tantissimi anni per “sciogliersi” in natura, ed è proprio uno dei motivi per i quali gettare un qualsiasi rifiuto in giro per le strade etc. è considerato altamente nocivo per l’ambiente e il suo futuro.

    Quanto durano i contenitori di plastica alimentari
    Nei contenitori che usiamo quotidianamente per conservare alimenti (es. plastica alimentare), ci sono accortezze specifiche da considerare. Ad esempio, i materiali più sicuri (come PP, HDPE) tendono a resistere meglio all’uso ripetuto rispetto a plastiche più fragili o sottili. Come capisco quando è ora di buttare un contenitore alimentare? Quando appare scolorito, rigato, deformato o con odori persistenti che non vanno via neanche dopo diversi lavaggi. Anche l’uso del microonde o della lavastoviglie potrebbe accelerare il rilascio di sostanze indesiderate. Meglio dunque non aspettare anni, ma sostituire i contenitori quando mostrano chiari segni di usura.

    Quali sono i fattori che accorciano la durata dei contenitori di plastica
    Abbiamo visto che i contenitori in plastica per alimenti potrebbero iniziare a perdere la loro efficacia anche (ma non solo) a causa di fattori specifici da osservare nel corso del tempo. L’occhio vuole sempre la sua parte, ma questo vale per tutti i contenitori fatti di questo materiale. A che cosa, quindi, prestare attenzione per capire se sia o meno il caso di sostituire i contenitori in plastica? Ma soprattutto, quali sono i fattori che accorciano la loro durata?
    Shock termico: passare da caldo a freddo, microonde, congelatore e lavastoviglie danneggiano la struttura molecolare;
    Lavaggio intenso o abrasivo: spugne ruvide o detergenti aggressivi favoriscono graffi microscopici;
    Luce solare / UV: la radiazione degrada i polimeri, rendendoli più fragili;
    Acidi, oli, cibi pigmentati: alimenti fortemente acidi (pomodoro, agrumi) o coloranti aggressivi possono interagire con la plastica;
    Tipo di plastica: non tutte le plastiche sono uguali. Alcuni polimeri resistono meglio, altri sono più vulnerabili.

    Come si producono i contenitori di plastica
    La produzione degli imballaggi in plastica inizia dalla lavorazione di petrolio e metano, da cui si ricavano i monomeri (carbonio e idrogeno). Questi, attraverso la polimerizzazione, si trasformano in resine come polietilene, polipropilene e PET, le plastiche più diffuse. Le resine vengono poi fuse e modellate con tecniche diverse (estrusione, iniezione, soffiaggio sono alcuni esempi) per dare forma a buste, contenitori alimentari o flaconi per detergenti. Durante il processo possono essere aggiunti coloranti e additivi per migliorarne resistenza e durata, ad esempio contro raggi UV o alte temperature. Oggi, la sfida principale dell’industria è ridurre l’impatto ambientale, puntando sempre più sull’uso di granuli di plastica riciclata e su soluzioni sostenibili.

    Come riciclare correttamente un contenitore di plastica
    Gettare i contenitori di plastica nell’apposito cassonetto dovrebbe essere la base per una sana civiltà. Eppure, ci sarebbero anche altre piccole-grandi azioni da compiere se si volessero fare le cose nel modo più perfetto possibile.
    Riconoscere il tipo di plastica
    Spesso sul fondo del contenitore c’è un simbolo a forma di triangolo con un numero (da 1 a 7): si tratta del codice RIC (Resin Identification Code), che permette di capire se il materiale è facilmente riciclabile. Ad esempio, PET (codice 1) e HDPE (codice 2) sono tra i più riciclati. Plastiche con codice 3, 6 o 7 possono essere più difficili da trattare.
    Pulizia e separazione
    Dicono che si potrebbe anche non fare, ma sarebbe meglio sciacquare tutti i contenitori di plastica prima di buttarli nel bidone. Importantissimo, per quanto banale, ricordare di rimuovere eventuali etichette, tappi diversi se, ovviamente, in materiale che non sia la plastica.
    Schiacciare e/o comprimere quando possibile
    Come per la carta, anche la plastica dovrebbe essere schiacciata prima di essere buttata. Questo comporta una maggiore facilità e praticità nella gestione dei cassonetti e di conseguenza nei centri di raccolta.
    Favorire plastiche riciclabili
    Quando si sceglie un contenitore nuovo, sarebbe meglio prediligere quelli con codici RIC ben gestiti localmente (quindi 1,2,4 e 5). Da evitare, se possibile, materiali multistrato (quindi plastica e alluminio insieme) se non sono riciclabili nella zona in cui si abita. LEGGI TUTTO

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    Crisantemi, i colori dell’autunno: come prendersene cura

    Con le loro mille sfumature, i crisantemi decorano giardini e balconi, portando una ventata di colore anche durante l’autunno e l’inizio dell’inverno, periodo in cui molti fiori vanno in letargo. Questa meravigliosa pianta ornamentale si distingue per i suoi grandi fiori profumati e dalle tonalità variegate, che fioriscono dalla primavera a novembre. Accanto alla sua bellezza suggestiva, tra i punti di forza del crisantemo spiccano la notevole resistenza e la longevità: di seguito vediamo come prendersene cura al meglio e i consigli pratici per contare su una sua fioritura di successo.

    Crisantemi: peculiarità e colori
    Appartenente alla famiglia delle Asteraceae e chiamato a livello scientifico Chrysanthemum morifolium, il crisantemo è originario dell’Asia Orientale. Insieme al ciclamino abbellisce giardini, aiuole, balconi, terrazzi e composizioni floreali anche durante la stagione autunnale. Tra i fiori più apprezzati in Giappone, qui è ritenuto un simbolo di gioia e piacere ed è chiamato anche come fiore autunnale. In molti paesi è considerato invece una pianta da cimitero, per esempio in Italia è associato al 2 novembre, il giorno dei morti, ma infonde comunque vivacità e allegria agli ambienti, tanto da essere molto diffuso.

    Esistono molteplici varietà di crisantemo che si differenziano in base a caratteristiche come dimensioni, altezza e colore. Presente in circa 200 specie, può avere forme diverse tra le quali a margherita, a ragno, ovvero con i petali appuntiti e allungati, globoso e a pompon. I suoi fiori possono essere dotati di uno strato di petali o più strati, diventando vistosi e pieni.

    I crisantemi presentano un portamento cespuglioso, una radice robusta e gli steli verdastri. I loro fiori sono tinti da una vasta gamma cromatica, che spazia dal bianco, al giallo, al rosso, al verde, al viola, all’arancio fino alle varianti bicolore. I petali possono presentare infatti sulla pagina superiore un colore e in quella inferiore un altro. Oltre che bellissimo, il crisantemo è molto longevo e robusto, non richiedendo cure impegnative ed essendo pertanto alla portata anche di chi è alle prime armi con il giardinaggio.

    Cura dei crisantemi
    Per una crescita lussureggiante dei crisantemi è importante mettere in campo alcune accortezze. Pur adattandosi a diversi terreni, è necessario assicurarsi che il substrato sia ben drenato e ricco di sostanza organica, tenendo conto che i ristagni d’acqua possono causare il marciume radicale.

    Altro dettaglio importante è la luce, dovendo garantire alla pianta almeno 6-8 ore al giorno di sole diretto, evitando luoghi ombreggiati, dove la sua fioritura potrebbe risentirne. La temperatura ideale per il crisantemo è tra i 15 e i 25 gradi, anche se resiste al freddo, ma va protetto dalle correnti d’aria e dai climi rigidi, dovendo coprirlo o spostarlo in un luogo riparato.

    Quanto all’irrigazione, questa deve essere regolare, ma moderata, facendo in modo che il terreno resti umido senza diventare zuppo. L’acqua stagnante va sempre evitata, visto che causa il marciume radicale: oltre agli eccessi idrici, anche la siccità è una nemica dei crisantemi, in particolare dopo la fioritura. Durante l’inverno bisogna diminuire la frequenza con cui si annaffia la pianta.

    La concimazione è un’operazione importante nella cura del crisantemo, considerando che richiede molti nutrienti. Durante la fioritura bisogna ricorrere a un fertilizzante a base di azoto, fosforo e potassio e, indicativamente da marzo a ottobre, si può somministrare ogni 15 giorni un concime per piante da fiore.
    Per ottenere una fioritura ottimale, la pianta va potata con costanza: da maggio a luglio questo intervento può essere realizzato ogni 2 settimane, avendo cura di rimuovere i fiori appassiti per stimolarne di nuovi. Un intervento definitivo di potatura va svolto invece nel momento in cui la pianta sarà del tutto sfiorita. Da marzo a maggio, quando le temperature sono sopra i 15 gradi, si può procedere con il rinvaso, ricorrendo a un recipiente più grande.

    Come coltivare i crisantemi in vaso
    Splendida pianta perenne, il crisantemo può essere coltivato sia in giardino, che in vaso. In quest’ultimo caso bisogna scegliere un recipiente abbastanza grande, alto 40 centimetri, tenendo conto che la pianta cresce rapidamente, e dotato di fori di drenaggio per permettere agli eccessi d’acqua di fluire. Per aumentare il drenaggio ed evitare i ristagni idrici si può porre uno strato di argilla sul fondo del vaso.

    I semi vanno messi a dimora in primavera o autunno interrandoli a un centimetro di profondità, per fare in modo che ricevano sufficiente luce solare, necessaria per la loro germinazione. Il vaso va posto in un luogo molto soleggiato, evitando però che riceva i raggi solari nelle ore centrali della giornata, per non bruciare le foglie. Se in estate può essere tenuto all’aperto, in inverno è meglio spostarlo in casa, posizionandolo nei pressi di una finestra.

    Crisantemi e la loro manutenzione
    Nella manutenzione dei crisantemi ci si può ritrovare ad affrontare una serie di problematiche. Tra queste si possono presentare le foglie ingiallite, causate da una carenza di ferro: in questo caso è necessario usare una volta al mese del fertilizzante liquido con alto contenuto di ferro, soprattutto se per le irrigazioni si usa acqua del rubinetto calcarea.

    La pianta è soggetta alle malattie fungine, come ruggine e muffa grigia: per prevenirle è necessario assicurarsi che l’acqua non sia accumulata sulle foglie e l’ambiente non sia eccessivamente umido. Le irrigazioni non devono essere eccessive, ma allo stesso tempo è importante non dimenticarsene.
    Altra malattia comune è l’oidio che si presenta come una polvere bianca sulle foglie, portandole a ingiallire. Per prevenire questa criticità è necessario non dare da bere alla pianta direttamente su foglie e fiori.

    I crisantemi sono soggetti agli attacchi di parassiti, tra i quali cimici dei fiori, afidi e ragnetto rosso, che possono essere rimossi a mano con un panno con dell’acqua, mentre nei casi più gravi con soluzioni a base di sapone oppure olio di neem o ancora insetticidi specifici. In ottica di prevenzione, oltre a evitare l’umidità eccessiva, è necessario assicurarsi sempre che la pianta abbia una corretta circolazione dell’aria e le parti danneggiate siano rimosse prontamente. LEGGI TUTTO

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    Svelato il segreto della balena artica. “Può aiutarci a capire come vivere più a lungo”

    Antichissimi arpioni potrebbero essere il primo tassello di un puzzle verso l’immortalità? E c’è davvero – come sognano Putin e Xi Jinping – la possibilità di vivere fino a 150 anni? Domande che di recente trovano risposte incoraggianti dallo studio di uno degli animali più longevi al mondo: la balena della Groenlandia, anche conosciuta come balena artica o polare. Fino a pochi decenni fa si credeva che questa specie, come per altri grandi mammiferi marini, potesse vivere al massimo una settantina d’anni o poco più.Negli anni Novanta però, nell’artico, è avvenuto a più riprese qualcosa di sorprendente: sono state ritrovate balene polari che avevano ancora conficcati all’interno degli arpioni. L’analisi di quegli strumenti da caccia, alcuni creati addirittura a fine Ottocento, hanno portato gli scienziati ad indagare ulteriormente e scoprire che queste balene che vivono in acque ghiacciate possono arrivare addirittura a 200 anni di vita.

    Come fanno dunque questi straordinari animali, capaci di pesare anche 80 tonnellate, a sopravvivere così a lungo? Per comprendere il segreto di questi cetacei un gruppo internazionale di ricercatori, come raccontano in uno studio da poco pubblicato su Nature, è partito da un fatto: pochissime balene sviluppavano forme di cancro.

    Indagando il perché gli scienziati sono arrivati a comprendere quella che in futuro potrebbe essere davvero una chiave per migliorare la longevità umana e anche la prevenzione dalle malattie.Bisogna infatti considerare che tutti gli organismi viventi nel corso dell’esistenza subiscono danni al DNA. Quando ciò avviene le cellule cercano di riparare il danno, non sempre riuscendoci, e l’accumulo di mutazioni nel tempo può aumentare appunto il rischio di cancro o accelerare l’invecchiamento, compromettendo sia cellule che tessuti. In questo contesto però le balene della Groenlandia si comportano diversamente. Le loro cellule infatti appaiono estremamente abili nel riparare i danni al DNA quando i filamenti della doppia elica del DNA subiscono rotture. Una abilità che significa “meno mutazioni. Quello che stiamo scoprendo è che questo tipo di riparazioni sono molto importanti per una lunga vita”, sostiene la professoressa Vera Gorbunova, biologa presso l’Università di Rochester a New York.In particolare il segreto delle balene artiche è racchiuso in una proteina chiamata CIRBP: questa viene attivata soprattutto grazie all’esposizione al freddo, facile da comprendere nel contesto gelato dei poli.

    Sarebbe dunque la CIRBP ad accelerare e permettere le riparazioni del DNA. In media, proprio grazie alle acque fredde, le balene della Groenlandia producono 100 volte più proteine CIRBP degli esseri umani. “Grazie a queste proteine avviene una strategia che non elimina le cellule danneggiate ma le ripara fedelmente e potrebbe contribuire all’eccezionale longevità e alla bassa incidenza del cancro nella balena della Groenlandia”, scrivono i ricercatori su Nature.

    Biodiversità a rischio

    Un silenzio inaspettato e preoccupante: i suoni scomparsi delle balenottere azzurre

    di Giacomo Talignani

    06 Agosto 2025

    Una volta acquisita questa informazione gli scienziati sono passati ai moscerini: un aumento di CIRBP ha mostrato l’allungamento della durata della vita e una maggiore resistenza a radiazioni che possono causare mutazioni. Infine, sempre in laboratorio, è stata la volta delle cellule umane: anche qui l’aumento della proteina ha praticamente raddoppiato la percentuale delle rotture a doppio filamento riparate dalle cellule. Quindi secondo Gorbunova “la prima conclusione che possiamo trarre è che c’è margine di miglioramento negli esseri umani. Si pensava che non potessimo migliorare la riparazione del DNA, che fosse già ottimale, ma invece la balena lo fa meglio di noi”.

    Attualmente nuovi esperimenti sono in corso sui topi. Anche qui, grazie al potenziamento della proteina CIRBP, gli esperti vogliono capire quanto a lungo possono vivere. E poi c’è un ulteriore fatto da comprendere: quanto, passare del tempo in acque fredde (comprese le docce quotidiane), aiuta ad elevare i livelli della proteina? “Dobbiamo verificare se una breve esposizione al freddo sia sufficiente, ma valuteremo anche soluzioni farmacologiche per raggiungere questo obiettivo” spiegano i ricercatori.

    Infine, al di là di sogni di immortalità, lo studio delle proteine delle balene artiche potrebbe portare anche a prevenire il cancro perché, chiosano gli esperti, “l’abbondanza di proteine come la CIRBP potrebbe un giorno consentire il trattamento dell’instabilità del genoma come fattore di rischio modificabile per le malattie. Ciò potrebbe essere particolarmente importante per i pazienti con una maggiore predisposizione genetica al cancro, o più in generale, per le popolazioni anziane a maggior rischio di sviluppare tumori”. LEGGI TUTTO