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    Il “second hand” cancella la CO2 di 3,7 milioni di auto

    Il mercato dell’usato ha un potenziale enorme sia per l’economia circolare che direttamente per l’ambiente. La conferma arriva dall’Osservatorio Second Hand Economy di BVA Doxa che ha analizzato lo scenario italiano in relazione ai comportamenti e le attività registrate nel 2024. Il primo dato eclatante è questa modalità di vendita e acquisto lo scorso anno è stata praticata da circa 27,2 milioni di persone e secondo le stime ha consentito non solo un notevole risparmio economico ma anche ridotto le emissioni di CO2 e di rifiuti, contribuendo alla conservazione di risorse.

    In sintesi è una forma di economia circolare di facile accesso, concreta e misurabile. E infatti Vaayu – la piattaforma di climate tech che supporta le aziende nel monitoraggio, misurazione e riduzione dell’impatto ambientale – è stata coinvolta da su Subito.it, la principale piattaforma per la compravendita di beni di seconda mano in Italia, per un’analisi puntuale. Un’analisi basata su un calcolo delle emissioni accurato e trasparente, affiancato alle valutazioni sul ciclo di vita dei prodotti, una mappatura più granulare delle emissioni legate al business e un sondaggio integrativo su “comportamenti in termini di trasporto e imballaggio”. Nello specifico sono finite sotto la lente le compravendite tra privati avvenute nella quasi totalità delle categorie Market ed escludendo i settori Immobili, Motori e Lavoro.

    Emissioni, 450mila tonnellate di CO2 risparmiate in un anno
    Nel 2024 su Subito.it sono stati venduti circa 11,5 milioni di oggetti e di fatto, secondo le stime, facendo risparmiare 450mila tonnellate di CO2. Praticamente come fa scomparire le emissioni di 3,7 milioni di auto che viaggiano tra Milano e Roma. Il trend è positivo perché rispetto al 2023 il risparmio è aumentato di circa il 40%, considerando una singola compravendita su Subito (pari a 39 kg di CO2). LEGGI TUTTO

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    Le api selvatiche minacciate in Europa: quasi cento specie a rischio

    Per la prima volta, le api selvatiche sono state ufficialmente classificate come ‘in pericolo’ all’interno dell’Europa: grazie a un grande lavoro di monitoraggio e raccolta dati che ha colmato una lacuna di lunga data, i ricercatori hanno esaminato lo stato di conservazione della specie Apis mellifera in sette paesi europei, stimando un calo medio delle popolazioni selvatiche del 56% in un decennio.

    Questo ha permesso di aggiornare la Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (Iucn) anche se, per quanto riguarda la regione europea, i dati rimangono molto carenti per aree come i Balcani, i Paesi Baltici, la Scandinavia e l’Europa orientale.

    I ricercatori hanno monitorato, tra il 2013 e il 2025, 698 siti sparsi in Francia, Germania, Lussemburgo, Polonia, Spagna, Svizzera e Regno Unito. Secondo i dati raccolti, l’Europa ha la più bassa densità del mondo di colonie che vivono libere in natura, dal momento che gli alveari gestiti negli allevamenti superano di gran lunga quelli selvatici, e queste già scarse colonie stanno anche vedendo diminuire i loro abitanti. Le principali minacce, come riporta la Iucn, arrivano dalla perdita di habitat a causa di agricoltura e aree abitate, da specie aliene invasive, dall’ampio uso di pesticidi, erbicidi e fungicidi e anche da alcune pratiche dell’apicoltura moderna, come il commercio di api regine.

    “Proteggere le api selvatiche non significa solo salvare una specie iconica, ma anche salvaguardare la nostra sicurezza alimentare, la biodiversità e gli ecosistemi per il futuro”, ha commentato sulla rivista The Conversation Arrigo Moro dell’Università irlandese di Galway, che ha collaborato con la Iucn per rivalutare lo stato di conservazione delle popolazioni selvatiche di Apis mellifera: “Rappresentano un serbatoio genetico vitale che potrebbe contribuire a rendere le api, sia selvatiche che allevate, più resilienti alle minacce future”. LEGGI TUTTO

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    Le scie degli aerei sono responsabili di un effetto serra indiretto

    Le scie di condensazione generate dal passaggio degli aerei di linea possono essere dannose per l’ambiente. Più di quando si credesse in passato – al netto delle teorie complottiste sulle presunte scie chimiche. Il tema di fondo è che sempre più ricercatori e studi, sostengono che i cosiddetti contrail (condensation trail), di fatto scie lunghe e sottili di vapore acqueo e cristalli di ghiaccio che si manifestano in cielo dagli scarichi dei velivoli, possono contribuire al riscaldamento climatico attraverso l’effetto serra indiretto. Il tema era emerso già diversi anni fa, adesso arrivano nuove conferme capaci di delineare quali tipo di scie hanno impatto e in quali condizioni.

    Scie di condensazione ed effetto serra indiretto
    I contrail si formano in specifici casi, ovvero quando il vapore acqueo, presente nei gas di scarico dei motori dei velivoli, si cristallizza attorno alla fuliggine espulsa dal motore. Un fenomeno abbastanza diffuso; è sufficiente volgere gli occhi al cielo. Normalmente le scie si dissipano in tempi relativamente rapidi, ma nell’alta atmosfera (sopra i 3mila metri) dove l’aria è già sovrasatura di ghiaccio, prendono un’altra consistenza e diventano persistenti. In alcuni casi si parla di ore e lunghezze di centinaia di chilometri, con il rischio di trasformazione in vere e proprie nubi artificiali. In pratica questi banchi intrappolano il calore irradiato dalla superficie terrestre, aumentando il riscaldamento globale. L’effetto è paragonabile a quello dei gas serra.

    L’industria aeronautica è scettica al riguardo. International Air Transport Association sostiene che “la comprensione scientifica degli effetti climatici dell’aviazione, diversi dalla CO2, è cresciuta, ma permangono notevoli incertezze nella previsione della formazione delle scie di condensazione e dell’impatto climatico”.

    Trasporti

    Lo studio T&E: “Meno scie e cambio di tragitto per il 3% dei voli per dimezzare le emissioni”

    di Pasquale Raicaldo

    13 Novembre 2024

    L’organizzazione non-profit Contrails.org è di diverso avviso. Ha stimato che le emissioni di CO2 dell’aviazione, dal 1948 al 2018, hanno contribuito per circa 1,5% del riscaldamento globale. Mentre considerando le scie di condensazione bisognerebbe aggiungere un ulteriore 1–2%. In sintesi tra emissioni di CO2 dovute alla combustione del carburante e l’effetto schermo si rischia un “doppio riscaldamento climatico”, come ha dichiarato lo scorso anno Edward Gryspeerdt, ricercatore presso il Grantham Institute for Climate Change and the Environment dell’Imperial College di Londra e autore di uno studio sull’argomento.

    Per altro secondo l’esperto, gli aerei più moderni sarebbero più dannosi di quelli vecchi, proprio a causa della loro migliore efficienza e della conseguente riduzione delle temperature dei gas di scarico – che favorirebbe la creazione di scie.

    E le prospettive future sembrerebbero anche peggiori, almeno a opinione del gruppo di attivisti di Transport and Environment. In base alla loro ricerca, nell’arco di 20 anni l’effetto serra indiretto causato dalle scie di condensazione di un singolo volo sarà più dannoso delle sue emissioni di anidride carbonica. L’unico controbilanciamento è dato dal fatto che in 100 anni i contrail di un volo genereranno solo un terzo dell’effetto di riscaldamento causato dalle emissioni di carbonio.

    La polemica

    Trump cancella le informazioni sulla crisi climatica ma rilancia sulle scie chimiche

    di Giacomo Talignani

    15 Luglio 2025

    La soluzione è in un cambio di rotta
    Royal Aeronautical Society (RAS) nel 2023 ha pubblicato uno studio sulle strategie di mitigazione del fenomeno della supersaturazione del ghiaccio. Ebbene, la più semplice teoricamente potrebbe essere quella di effettuare rotte che evitano gli strati più a rischio. Per altro richiederebbe solo un consumo extra di carburante. La stima è che per una rotta che prevede un 20% di tratta a rischio sarebbe sufficiente l’impiego di uno 0,5% di carburante in più. Ma non è così semplice perché le condizioni meteorologiche incidono su ogni parametro e quindi bisognerebbe renderebbe le rotte molto più flessibili, forse troppo, poiché verrebbero richiesto anche di cambiare altezza e direzione. L’analista aeronautico Andrew Charlton ha confermato al Financial Times che questo approccio complicherebbe i piani di volo sia per i piloti che per i controllori di volo.

    La convinzione diffusa però è che adesso che è emerso il problema sia la progettazione dei velivoli che i sistemi di rotta e controllo possano individuare metodi adeguati per ridurre l’impatto ambientale. LEGGI TUTTO

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    Abelia, l’arbusto che si adatta: coltivazione, esposizione, fioritura e cura

    Per decorare giardini, bordure, siepi, terrazzi e balconi, l’abelia è sempre una scelta vincente, che regala colore e bellezza, portando con sé un tocco di eleganza. Vigoroso e dalla fioritura lunga, profumata e abbondante, l’arbusto cresce rapidamente e si distingue con il portamento arcuato, i fusti lunghi, i fiori tubulosi e le piccole foglie verdi e lucide, che in autunno virano sulle sfumature del bronzo e del rosso. Grazie alla sua straordinaria capacità di adattamento alle diverse condizioni, coltivare l’abelia è semplice e non richiede cure complesse, se non pochi e semplici accorgimenti per mantenerla al meglio.

    Abelia e la sua esposizione ideale
    L’abelia dona splendidi fiori anche in autunno, infondendo colore agli ambienti con il suo fogliame dalle nuance calde. Bellezza, resistenza e fioritura prolungata sono i punti di forza di questa pianta ornamentale sempreverde, appartenente alla famiglia delle Caprifoliaceae. Originaria del Messico e dell’Asia orientale, si adatta a diversi tipi di terreno e a condizioni climatiche differenti e può raggiungere un’altezza fino a 2 metri.

    L’arbusto fiorisce dalla primavera all’autunno con piccoli fiori tubulosi, numerosi e colorati, che spaziano dal bianco al rosa fino al lilla. Il loro delicato profumo attira api e farfalle, rendendo l’abelia una risorsa preziosa per il giardino e la sua biodiversità.

    Per quanto riguarda l’esposizione, predilige un luogo soleggiato, ma può adattarsi anche all’ombra parziale. Posizionare l’arbusto in una zona soleggiata favorisce una fioritura più abbondante e un fogliame dai colori vivaci: in estate, durante le ore centrali della giornata, è consigliabile spostarlo però temporaneamente in un luogo più in ombra se coltivato in vaso.

    Pur essendo resistente, in caso di inverno rigido la pianta può perdere il suo fogliame e soffre i venti freddi, dovendo proteggerla con un telo. L’abelia va piantata in autunno o in primavera, in un terreno drenato, fertile, umido e leggermente acido, anche se cresce nei substrati sabbiosi e argillosi.

    Abelia, coltivazione in giardino e vaso
    Pianta ornamentale molto apprezzata, l’abelia è facile da coltivare e non richiede cure complesse. Se coltivata in piena terra, i semi di abelia vanno posizionati in superficie, visto che necessitano di luce per germinare, mantenendo una distanza di 5 centimetri tra ciascuno. Una volta cresciute, le piantine possono essere diradate a una distanza di 40-50 centimetri, in quanto l’abelia tende a svilupparsi in ampi cespugli.

    La coltivazione tramite semi può richiedere però molto tempo e non sempre porta a una germinazione uniforme. Proprio per questo, per avere maggiori possibilità di successo e ottenere le piantine più velocemente, si può procedere con la propagazione per talea, con cui ricavare esemplari uguali alla pianta madre.

    Un’alternativa consiste nel mettere a dimora una pianta di abelia cresciuta in vaso: si procede creando una buca di almeno 30 cm, ponendo sul fondo uno strato di argilla espansa o sabbia per aumentare il drenaggio e riempiendola con del terriccio fertile unito a del compost. Si estrae la pianta dal contenitore delicatamente per poi porla nella buca e ricoprirla con il substrato, compattando il tutto e irrigandolo in modo abbondante.

    L’abelia si presta a essere coltivata in vaso, dovendo scegliere un recipiente abbastanza capiente, di 30-40 centimetri di diametro, per garantire spazio sufficiente alle radici. Il vaso deve avere fori di drenaggio in modo da evitare i ristagni d’acqua. Il terriccio impiegato deve essere leggero, fertile e arricchito con compost maturo, sabbia e perlite. Sul fondo del recipiente è possibile aggiungere uno strato di ghiaia oppure argilla espansa per aumentare ulteriormente il drenaggio.

    Come nel caso della semina in piena terra, i semi vanno posti in superficie e appena ricoperti con il terreno, in modo che ricevano la giusta quantità di luce per germogliare. I semi vanno distanziati di 2-3 centimetri l’uno dall’altro per poi trapiantare le piantine in vasi singoli una volta diventate robuste e con almeno 2-3 foglie. Anche per questa opzione procedere tramite semi può richiedere più tempo, mentre la propagazione tramite talea consente di ottenere nuove piantine in modo più rapido.

    Durante la stagione vegetativa, la pianta può essere concimata ogni 4-6 settimane con un fertilizzante per piante da fiore. Ogni 2 anni si procede con il rinvaso ricorrendo a un contenitore più grande.

    Abelia e la sua cura
    La manutenzione dell’abelia è semplice, ma richiede alcune cure specifiche. Per quanto riguarda l’irrigazione, la pianta necessita di annaffiature costanti in particolare durante i periodi di siccità, dovendo mantenere il terreno umido e mai secco. Tuttavia è sempre importante evitare i ristagni idrici, responsabili del marciume radicale. Da marzo a ottobre si può annaffiarla una volta a settimana: durante l’estate è bene procedere al mattino presto, premurandosi che non ci sia troppa differenza tra la temperatura dell’acqua e quella dell’apparato radicale, potenziale causa di stress. Tra un’irrigazione e l’altra bisogna sempre verificare che il terreno sia asciutto. Durante il periodo invernale le annaffiature vanno ridotte.

    La potatura dell’abelia non è strettamente richiesta, ma può essere utile per mantenerne la forma e la salute. All’inizio della primavera si può intervenire leggermente rimuovendo i rami morti, danneggiati e incrociati. Dopo la fioritura, è possibile eliminare i germogli in eccesso e i rami meno robusti, favorendo così la nuova produzione di fiori.

    Manutenzione dell’abelia
    L’abelia è molto resistente e, se curata con le giuste accortezze, tende a non essere soggetta a parassiti e malattie. Malgrado questo, può essere attaccata occasionalmente da afidi, acari, mosche bianche e ragnetto rosso o da malattie fungine. Per contrastare questi problemi, è necessario intervenire prontamente, utilizzando prodotti ad hoc o rimedi naturali come miscele di acqua e sapone oppure olio di neem.

    Un’altra criticità che può presentarsi è la mancata fioritura, dovuta spesso alla concimazione non sufficiente e alla scarsa luce: per ovviare a questo problema, bisogna nutrire la pianta con del fertilizzante e spostarla in un luogo più soleggiato.

    I rami che perdono le foglie possono essere la spia di un substrato eccessivamente secco o di un vaso troppo piccolo. In questi casi bisogna aumentare le irrigazioni e rinvasare l’abelia in un recipiente più grande. LEGGI TUTTO

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    Non solo spazzatura: dai rifiuti elettronici possiamo estrarre materie prime critiche

    I rifiuti elettronici europei non sono solo spazzatura, ma anzi una miniera dalla quale poter recuperare le materie prime critiche, spesso molto difficili da reperire ma cruciali per lo sviluppo tecnologico ed economico dell’Unione europea. A sottolinearlo è il nuovo rapporto Critical Raw Materials Outlook for Waste Electrical and Electronic Equipment, redatto dal consorzio FutuRaM e finanziato dall’Unione Europea, che, in occasione dell’International E-Waste Day, che si celebra oggi 14 ottobre, evidenzia appunto come le materie prime critiche disponibili nella “miniera urbana” di rifiuti elettronici europei potrebbero raddoppiare entro il 2050, e che con il riciclaggio si potrebbe ridurre la loro domanda, isolando l’Ue dai rischi per la sicurezza dell’approvvigionamento, creando posti di lavoro e, al contempo, promuovendo l’agenda climatica.

    Le materie prime critiche
    Le materie prime critiche (in inglese critical raw materials, Crm) sono materiali come per esempio rame, alluminio, silicio, tungsteno e palladio, che, però, presentano alti rischi di approvvigionamento, perché difficili da reperire e dipendenti da pochi Paesi fornitori. Sapere quali prodotti e componenti contengono quali materie prime critiche è quindi il primo passo per recuperarli. Sono presenti, per esempio, in molti dispositivi di utilizzo comune: il rame in cavi e schede, l’alluminio in involucri e telai e metalli del gruppo del platino nei display. Piccole quantità di palladio, neodimio, disprosio, tantalio, gallio e altre terre rare vengono invece utilizzate in laptop, touchscreen, asciugacapelli, trapani elettrici, controller di gioco e dispositivi medici.

    “È difficile immaginare la civiltà moderna senza materie prime critiche”, ha commentato Pascal Leroy, direttore generale del Waste Electrical and Electronic Equipment Forum, l’organizzazione che promuove l’International E-Waste Day. “Senza di esse, non possiamo costruire le batterie, le turbine, i chip e i cavi che sostengono il futuro verde e digitale dell’Europa. Sfruttando i nostri rifiuti elettronici anziché il pianeta, gli europei hanno una grande opportunità di costruire le proprie catene di approvvigionamento circolari, ridurre l’esposizione agli shock globali e garantire i mattoni del nostro futuro”.

    I dati sul riciclo
    Dal nuovo rapporto, che ha analizzato i dati completi in tutta l’Ue che tracciano le Aee dalla prima vendita fino al recupero a fine vita, è emerso che sono state generate 10,7 milioni di tonnellate di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), pari a circa 20 kg a persona, nel 2022, di cui 1 milione di tonnellate di materie prime critiche. Il 54% del totale (5,7 milioni di tonnellate) è stato gestito in conformità alle normative Ue, e ciò ha permesso di recuperare circa 400 mila tonnellate di materie prime critiche, nonostante ne siano andate perse circa 100 mila tonnellate. Il rimanente 46% dei totale, invece, è stato gestito al di fuori dei canali conformi e ciò ha causato perdite ingenti: 3,3 milioni di tonnellate mescolate a rottami metallici, 700 mila tonnellate di rifiuti elettronici smaltite in discarica o incenerite e 400 mila tonnellate esportate per il riutilizzo.

    Le previsioni
    Entro il 2050, si prevede che il volume totale di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche aumenterà da queste 10,7 milioni di tonnellate a una quantità compresa tra 12,5 e 19 milioni di tonnellate all’anno e che la quantità di materie prime critiche aumenterà da circa 1 milione di tonnellate a una quantità tra 1,2 e 1,9 milioni di tonnellate all’anno.

    A seconda delle scelte politiche, dei tassi di raccolta e dell’efficienza del riciclo, l’Europa potrebbe recuperare una maggiore quantità di materie prime critiche, compresa tra 0,9 e 1,5 milioni di tonnellate all’anno. Ma per farlo, dovrà ampliare la raccolta con più punti di ritiro, migliorare la progettazione per lo smantellamento e aumentare la capacità di riciclo dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.

    “L’Europa dipende da paesi terzi per oltre il 90% delle sue materie prime critiche, eppure ne ricicliamo solo una piccola parte, pari all’1%”, ha commentato Jessika Roswall, commissaria Ue per l’ambiente, la resilienza idrica e l’economia circolare competitiva. “Abbiamo bisogno di un vero cambiamento di mentalità nel modo in cui l’Europa raccoglie, smantella e trasforma questa montagna di rifiuti elettronici in rapida crescita in una nuova fonte di ricchezza. Le perturbazioni commerciali, dai divieti di esportazione alle guerre, mettono a nudo la vulnerabilità dell’Europa. Il riciclo è sia un imperativo ambientale che una strategia geopolitica”.

    “I rifiuti elettronici europei non sono spazzatura, sono una risorsa multimiliardaria che aspetta solo di essere sbloccata”, ha aggiunto Kees Baldé, coordinatore scientifico del progetto FutuRaM e ricercatore principale del Global e-Waste Monitor. “Ogni chilogrammo che recuperiamo e ogni dispositivo che ripariamo rafforza la nostra economia, riduce la nostra dipendenza e crea nuovi posti di lavoro. Avere le informazioni giuste è fondamentale per il processo decisionale e lo sviluppo di politiche volte a migliorare la gestione delle risorse”. LEGGI TUTTO

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    Ravanelli e ortaggi si coltivano a 400 km di altezza

    Coltivare ravanelli in una piattaforma spaziale, far germogliare il prezzemolo sulla Luna, seminare piccole melanzane dentro un satellite. Sembrano storie tratte da un romanzo dello scrittore Isaac Asimov, invece sono realtà. Numerose, infatti, le ricerche mirate a portare piante e ortaggi nello Spazio, dove potrebbero offrire vari benefici, tra cui fornire agli equipaggi cibo fresco ricco di vitamine, produrre ossigeno, purificare acqua e rifiuti.

    Colture a ciclo chiuso in laboratorio all’università di Napoli  LEGGI TUTTO

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    Parchi del vento: energia sostenibile e paesaggi da scoprire

    Non solo pale eoliche. In Italia ci cono luoghi dove il vento diventa il cuore di uno sviluppo turistico e ambientale sostenibile. È l’idea di Legambiente che ha pubblicato la quarta edizione della guida Parchi del vento – realizzata dall’associazione ambientalista con il contributo di Agsm AIM, RWE, Winderg, il patrocinio di ANEV – e che seleziona gli impianti eolici italiani non solo più virtuosi, ma soprattutto più integrati nel paesaggio. Veri e propri laboratori di transizione ecologica capaci di generare valore sociale e economico oltre l’energia elettrica pulita. La nuova guida mappa 29 impianti eolici lungo la Penisola. Dal cuore dell’Alto Molise, tra le creste appenniniche, alla Valle del Belice, in Sicilia, passando all’entroterra lucano e pugliese.

    Il nuovo volto del turismo ambientale
    L’idea è dunque quella del viaggio, del turismo lento. Sono tanti e diversi i luoghi dove si possono vedere da vicino questi impianti, scoprendone il loro funzionamento, e allo stesso tempo visitando territori a piedi, in bici o a cavallo e ricchi di storia, cultura, bellezze e prelibatezze culinarie. I sette nuovi impianti eolici (2 in Molise, 1 in Puglia, 2 in Basilicata, 2 in Sicilia) inseriti nella guida 2025 e che si aggiungono ai 22 censiti nelle precedenti edizioni, ne sono un perfetto esempio: il parco eolico di Vastogirardi, lungo le creste dell’Appennino molisano, in provincia di Isernia, e quello di Castelmauro in provincia di Campobasso circondato da verde e colline intervallate da piccoli borghi, in Puglia l’impianto eolico Valleverde a Bovino (FG), comune annoverato tra i borghi più belli d’Italia, quello di Partanna (TP), nel cuore della Valle Belice, e quello di Gangi, in provincia di Palermo, tra le Madonie e i monti Nebrodi, e poi in Basilicata l’impianto eolico di “Santa Tecla”, ad Avigliano (PZ), e quello di Tivano, a Lavello (PZ). Nelle pagine della guida, oltre alla scheda di presentazione di ogni impianto, si possono trovare informazioni su come arrivare nei luoghi, cosa visitare, dove andare a mangiare, quali percorsi e sentieri fare, il tutto insieme a storie e aneddoti dei territori.
    “Non sono ecomostri”
    “Per contrastare l’emergenza climatica e migliorare le condizioni sociali del nostro Paese – commenta Katiuscia Eroe responsabile energia di Legambiente – è fondamentale non solo far crescere la produzione da rinnovabili e rendere finalmente il nostro sistema energetico libero da carbone, petrolio e gas, escludendo l’inutile e costoso ritorno al nucleare, ma anche fare in modo che queste tecnologie portino sempre più vantaggi ai territori e alle comunità. Gli impianti eolici non sono né ecomostri né impianti mostruosi come affermato da alcune amministrazioni locali. Con la nostra guida turistica Parchi del Vento, grazie alla collaborazione di diversi partner, raccontiamo a cittadini, turisti, curiosi ma anche imprese e amministrazioni come un parco eolico, se ben integrato con il territorio, possa essere un volano per attirare curiosità verso i territori in cui sono ospitati, valorizzando le attività esistenti. Non dimentichiamo inoltre che, per completare la rivoluzione energetica, è fondamentale spingere sempre più sulle rinnovabili snellendo gli iter normativi e coinvolgendo le comunità locali”.

    Percorsi ciclopedonali e passeggiate a cavallo
    “Intorno ai parchi eolici che raccontiamo all’interno della Guida Parchi del Vento – aggiunge Sebastiano Venneri, responsabile turismo di Legambiente – stanno nascendo sempre più opportunità interessanti, come percorsi ciclopedonali, passeggiate a cavallo, il passaggio del Giro d’Italia. Ma anche impianti perfettamente integrati con vitigni e uliveti e che permettono di riscoprire tradizioni e culture storiche, ormai dimenticati da molti. Questi impianti sono la dimostrazione che integrare nuovi impianti nel paesaggio è non solo possibile ma anche una sfida che può essere affrontata solo con il consenso delle comunità attraverso forme innovative e affascinanti di valorizzazione delle risorse locali”.
    Il settore eolico in Italia: qualche dato
    Legambiente ricorda che in Italia l’eolico svolge un ruolo sempre più rilevante, arrivando ad agosto 2025 a quota 13.356 MW di potenza installata, di cui 685 realizzati nel 2024 e 337 nel 2025, in grado di produrre, nel 2024, complessivamente 22.068 GWh/a di energia elettrica, pari al fabbisogno di circa 8,1 milioni di famiglie. Un numero che negli ultimi vent’anni è cresciuto passando da 1.131 MW del 2004 ai numeri attuali, permettendo a questa tecnologia di produrre il 17,2% del totale prodotto da fonti rinnovabili e di fornire un contributo rispetto ai consumi complessivi italiani pari al 7%.
    Parchi eolici da visitare secondo Legambiente
    Molise
    Tra i comuni di Castelmauro e Roccavivara, nella provincia di Campobasso, si trova il parco eolico di Castelmauro (CB) di Enel Green Power Italia situato a 800 metri sul livello del mare e circondato da verde e colline. Entrato in funzione nel 2022, l’impianto dispone di 7 aerogeneratori, ognuno da 4,2 MW, per una capacità installata complessiva di 29,4 MW. Nel primo periodo di esercizio ha prodotto in media oltre 55.000 MWh di energia pulita all’anno, fornendo energia pulita e rinnovabile a 3.700 famiglie (circa un quarto delle famiglie del Molise) ed evitando l’immissione in atmosfera di 4.384 tonnellate di CO2. Merita di essere vistato il borgo di Castelmauro tra ulivi, vigneti e boschi secolari, e il castello medievale. Sempre in Molise, lungo le creste dell’Appennino, si trovano i due parchi eolici: Vastogirardi 1 e 2 di Enel Green Power Italia, immersi in un paesaggio ancora integro. Qui le 18 turbine, per complessivi 26,35 MW, seguono il ritmo del territorio. Gli aerogeneratori, distribuiti su creste tra i 1.240 e i 1.270 metri sul livello del mare a cavallo tra il Comune di Vastogirardi e quello di Capracotta. Piccoli comuni ricchi di storia e boschi, come quello di Montedimezzo, riconosciuto come parte della Riserva MaB UNESCO: 276 ettari di cerrete e faggete che compongono un ecosistema intatto, percorso da sentieri, abitato da caprioli, lupi e rapaci.
    Basilicata
    Due i parchi eolici lucani mappati quest’anno nella Guida. Il Parco eolico di Tivano, a Lavello (PZ) composto da sette aerogeneratori, per una potenza complessiva di 14 MW. Insieme, queste moderne turbine producono circa 31 GWh annui di energia pulita, sufficiente a coprire il fabbisogno energetico di circa 10.000 famiglie. Da visitare Lavello, terzo comune più popoloso della provincia di Potenza, ricco di storia e cultura, e celebre per il suo Carnevale. Nell’entroterra lucano, tra terreni argillosi che hanno ospitato storie, pastori e briganti, si erge il Parco eolico di Avigliano capace di produrre oltre 3.500 MWh annui di energia pulita. Denominato “Santa Tecla”, come la storica località che lo ospita, l’impianto ha avuto anche un importante risvolto sociale: dalla sua entrata in funzione, la società Winderg finanzia periodicamente l’APD Atletico Avigliano, squadra di calcio femminile che milita nel campionato di Eccellenza. Avigliano si distingue anche per il contesto naturalistico che lo circonda tra cui anche la sorgente del torrente Tiera, affluente del Basento.
    Puglia
    In Puglia l’impianto eolico Valleverde, nel Comune di Bovino, in provincia di Foggia, è tra i più recenti e innovativi nel territorio. Il parco è composto da nove aerogeneratori per una potenza complessiva di 63 MW, in grado di generare 141 GWh annui di energia elettrica, pari al fabbisogno di 45.000 famiglie. Con i suoi 2.893 abitanti, Bovino rientra tra i Borghi più belli d’Italia e, dal 2013, ha ottenuto la Bandiera arancione del Touring Club Italiano. Da visitare anche il Castello Ducale.
    Sicilia
    Nella Valle del Belice, nel Comune di Partanna, l’impianto eolico Partanna, inaugurato da Enel Green Power Italia nel 2021, è formato da sei turbine da 2,4 MW di potenza ciascuna per un totale di 14,4 MW in grado di generare 40 GWh anno di energia pulita, pari al fabbisogno di 10.000 famiglie. Un parco eolico aperto, senza barriere, meta di ciclisti e famiglie. Altro impianto siculo censito nel 2025 è quello di Gangi (PA) che si sviluppa sul crinale del Monte Zimmara a 1250 metri sul livello del mare. È costituito da 32 aerogeneratori, disposti in modo da risultare il più possibile omogenei in altezza, ognuno con una potenza di 850 kW, per una capacità installata complessiva di 27,2 MW. L’impianto negli ultimi 5 anni, dal 2020 al 2024, ha prodotto in media 56 GWh l’anno, sufficienti a soddisfare il fabbisogno energetico di 21.000 famiglie. Inoltre, l’energia pulita prodotta dal vento permette di evitare l’immissione in atmosfera di 42.000 tonnellate di anidride carbonica (CO2) ogni anno. Da visitare il piccolo comune di Gangi, un museo a cielo aperto, insignito nel 2014 come Borgo più bello d’Italia, e circondato dal Parco delle Madonie e da innumerevoli sentieri e percorsi come quello geoturistico del centro storico di Gangi, ideato nel 2011. LEGGI TUTTO