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    I segreti dell’echinacea, la pianta amica della salute

    Attira l’attenzione per le sue corolle color porpora e per la sua altezza. Appartenente alla famiglia delle Asteraceae e molto simile al girasole, l’echinacea è una pianta erbacea perenne. Esteticamente d’impatto, gode di innumerevoli proprietà e ama la luce diretta del sole, almeno per alcune ore al giorno. Resiste alle temperature più calde e non teme il freddo, motivo per il quale è perfetta anche per la coltivazione in piena terra. Il nome comune è Echinacea e si distingue in varie specie, tra le quali l’echinacea purpurea e l’echinacea angustifolia sono le più conosciute.

    Echinacea: le origini della pianta
    L’echinacea è una pianta originaria del Nord America ed è utilizzata nel vasto campo della fitoterapia grazie alle sue innumerevoli proprietà immunostimolanti che aiutano a favorire l’aumento delle difese immunitarie dell’organismo. Tale pianta, che alla vista è molto simile a un girasole e/o a una margherita, era utilizzata con fini prettamente curativi già dagli indiani d’America. Erano loro a chiamarla “Elk Root” (letteralmente “radice dell’alce”) ed erano loro a utilizzarla sia per cicatrizzare le ferite, sia per curare il mal di gola, la tosse o anche come analgesico.

    Echinacea:, la pianta dai colori delicati
    Accanto all’estetica oggettiva, l’echinacea gode di numerose proprietà benefiche. Nel linguaggio dei fiori l’echinacea rappresenta forza e salute e i suoi colori, vivaci ma al tempo stesso eleganti, conquistano l’occhio. Nell’antichità si utilizzava come simbolo di salute e di vitalità e il suo fiore ha sempre trasmesso positività, fortuna e benessere. Nel corso del tempo e con il passare degli anni, questa pianta perenne è stata trasportata nei giardini di tutto il mondo e particolarmente apprezzata sia per il suo valore estetico, sia per la sua simbologia. Non a caso, infatti, i fiori di echinacea sono scelti in boquet e composizioni floreali volte all’augurio di una pronta guarigione o dedicate a chi sta attraversando un periodo di difficoltà. Si presta molto bene anche come decorazione per feste e matrimoni all’aperto, essendo una pianta molto resistente.

    I fiori dell’echinacea
    Sempre più diffusi e apprezzati, i fiori dell’echinacea fioriscono in fiori simili a margherite con lunghi steli (vanno dai 40 cm a oltre un metro a seconda della varietà) il cui disco centrale è a “cupola” (“cone-flower” in inglese). I petali sono penduli e la palette di colori è variegata: si va dal bianco (quello più raro) al rosso acceso, al rosa intenso, a quello più delicato, fino ad arrivare ad alcune tonalità di giallo e arancio. I colori e il persistente profumo piacciono molto a farfalle e api, che non perdono un secondo per fare loro visita.

    Dove coltivare l’echinacea

    Coltivare l’Echinacea è semplice. Questa pianta dai colori delicati e meravigliosi, infatti, non ha grosse esigenze per quanto riguarda il terreno. L’importante è che quest’ultimo sia fertile e ben drenato. Le echinacee si possono coltivare in vaso (meno consigliato ma comunque possibile) o in piena terra all’aperto, questo perché la sua resistenza nei confronti delle temperature molto basse (anche inferiori allo zero) è molto alta. Coltivarla non richiede troppa difficoltà, ma bisogna sempre fare attenzione ai ristagni idrici, pericolosi perché causa primari di marciumi, dannosi per la sua salute.

    Quando piantare l’echinacea
    L’echinacea può essere coltivata sia partendo direttamente dal seme, sia acquistando la pianta già cresciuta. Nel primo caso se ne consiglia la piantagione in una bordura per giardino nei mesi tra aprile e maggio, dunque in piena primavera. Per ottenere un buon risultato si dovranno sistemare i semi a una profondità di circa un paio di cm sottoterra e la distanza di impianto tra uno e l’altro dovrebbe mantenersi tra i 30 e i 40 cm. È importante ricordare di trapiantarla in uno spazio dove si è certi di volerla tenere per lunghi periodi di tempo.

    L’esposizione dell’Echinacea
    L’echinacea ama il sole, motivo per il quale un’esposizione totale alla luce sarà sempre l’ideale per il suo benessere. Tuttavia, l’echinacea può essere esposta anche in penombra e crescere comunque molto bene; l’unica differenza la si noterà nel numero di fiori, che nel caso di minore luce saranno, appunto, minori. Poiché questa pianta dalle mille proprietà benefiche si rifornisce in modo autonomo dell’umidità che le serve andando ad attingere dalle acque limitrofe, l’ideale sarebbe piantarla lungo la riva di un piccolo laghetto sito in giardino, purché se ne abbia uno.

    Durante il suo periodo di germogliazione (della durata di circa 2-3 settimane) l’echinacea ha bisogno di umidità costante. Passata questa fase, la sua richiesta di irrigazione c’è ma non deve essere troppo pesante; questa pianta perenne, infatti, predilige un terreno sì umido, ma in modo moderato. Amante dei terreni ricchi di sostanze nutritive, anche la concimazione deve essere dosata. I suoi gambi, esili e longilinei, se cresciuti troppo, in caso di fenomeni atmosferici particolarmente pesanti come venti e piogge, potrebbero piegarsi e, nel peggiore dei casi, rompersi. L’ideale sarebbe concimare il terreno prima della semina in primavera e durante il periodo di fioritura.

    La potatura dell’echinacea
    Per quello che riguarda la potatura, invece, si consiglia durante la primavera, prima che la pianta inizi a germogliare. Durante la fioritura è sempre possibile (e consigliabile) eliminare i fiori appassiti: in questo modo l’echinacea avrà più possibilità di produrre nuovi fiori e di prolungare quindi anche la sua fioritura. Prendersi cura di questa meravigliosa pianta significa anche osservare il suo cambiamento nel corso del tempo e delle stagioni: se nel periodo autunnale e invernale alcune foglie diventano giallo o si appassiranno, è sempre bene rimuoverle. Per farlo vi basterà tagliarle alla base, quindi vicino al punto di origine della foglia stessa. Infine, ma non per minore importanza, prestare attenzione ai fusti danneggiati o troppo deboli. Rimuoverli significherà offrire all’echinacea una vita più sana e lontana da eventuali malattie e/o parassiti. LEGGI TUTTO

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    Encubator, le startup pronte ad accelerare la transizione ecologica

    “In questa fase cruciale di transizione ecologica, un progetto come Encubator dimostra come la collaborazione tra ricerca, imprese e istituzioni possa essere un volano per l’innovazione e generare il cambiamento di cui abbiamo bisogno oggi e per le generazioni future perché possano ereditare un Pianeta sicuro e pulito”, a parlare in occasione dell’evento di presentazione del programma di accelerazione Encubator 2024, è Yuri Serra, cofondatore e Ceo di SIEve che ha sviluppato un filtro rigenerabile per il trattamento avanzato delle acque reflue.

    Encubator, il programma nato per individuare nuovi progetti tecnologici in ambito climate tech e sostenibilità e valorizzare al massimo il loro potenziale, per il terzo anno consecutivo, vede la Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi, PoliHub – Innovation Park & Startup Accelerator e il Politecnico di Milano uniti nella sfida contro il cambiamento climatico.

    Nell’edizione 2023 hanno risposto oltre 230 team imprenditoriali. Tra loro, la startup vincitrice SIEve. Serra ha raccontato nel corso della presentazione la sua esperienza: “Il riconoscimento ottenuto partecipando a Encubator ci ha permesso di rafforzare la strategia di posizionamento e di costruire un network più solido con le realtà locali per lo sviluppo di soluzioni all’avanguardia. SIEve sta sempre più evolvendo da progetto, coerente con gli obiettivi di sostenibilità ambientale dell’Agenda 2030, a soluzione concreta per le imprese e il sistema industriale”.

    Il sogno di due fratelli
    La startup bergamasca SIEve nasce dal sogno dei fratelli Yuri (CEO, CTO & Founder) e Jessica (COO & Founder) Serra di fare impresa insieme. Yuri, scienziato dei materiali, durante i suoi anni di studio si concentra sulla sintesi e caratterizzazione di sistemi di adsorbimento organici e inorganici. Jessica, ingegnere gestionale, si specializza in materia di innovazione, sostenibilità ed economia circolare. Quando Yuri torna in Italia, dopo un periodo di studi e ricerca all’estero, i due scelgono di dare vita al progetto SIEve: nell’arco di pochi mesi riscuote molto interesse e si classifica tra le migliori idee imprenditoriali al Premio Nazionale Innovazione.

    Yuri Serra, fondatore e CEO di SIEve  LEGGI TUTTO

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    Peperoni più resistenti al cambiamento climatico

    Peperoni di alta qualità, più resilienti ai parassiti e agli eventi climatici estremi e con maggiore proprietà antiossidante. Questi i risultati di tre progetti internazionali a cui il CREA ha contribuito, recentemente pubblicati sulla rivista scientifica Current Biology. L’attività di ricerca, durata circa 5 anni, ha portato a una mappatura delle molecole con azione antiossidante […] LEGGI TUTTO

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    Greenpeace: “I colossi di carne e latticini emettono più metano dei combustibili fossili”

    Siamo sempre abituati a parlare di impatto di CO?, ma è ora di tenere bene a mente anche un’altra formula chimica: CH4, le emissioni di metano.
    A preoccupare sempre di più gli scienziati sono infatti le emissioni globali di metano che continuano ad aumentare in maniera vertiginosa in tutto il pianeta: +20% in vent’anni con valori mai così alti da quando esistono le rivelazioni e in atmosfera la concentrazione di questo gas a effetto serra è ormai 2,6 volte più alta rispetto al periodo pre industriale, hanno raccontato di recente i ricercatori del Global Carbon Project.

    Un accostamento forte
    Nel contribuire ad aumentare le emissioni di metano c’è, in particolare, un settore che per molti aspetti è stato finora sottovalutato: quello agroalimentare delle aziende del comparto lattiero-caseario e della carne.
    Un nuovo report di Greenpeace Nordic, appena diffuso a livello globale, tenta di far luce proprio sull’impronta climatica delle grandi industrie stimando come le emissioni di 29 grandi aziende che producono carne e latticini nel mondo siano “comparabili a quelle prodotte da 100 aziende del settore dei combustibili fossili”.
    Per esempio, si stima che le cinque maggiori aziende produttrici di carne e latticini (JBS, Marfrig, Minerva, Cargill e Dairy Farmers of America) emettano a livello globale “più metano di BP, Shell, ExxonMobil, TotalEnergies e Chevron messe insieme”.
    Un accostamento forte, dal quale però emerge anche una notizia positiva: tagli nel settore e determinati accorgimenti potrebbero rallentare drasticamente le emissioni in modo da porre un freno all’avanzata del riscaldamento globale.
    La ricerca
    Lo studio, che ha analizzato le emissioni di diverse aziende internazionali (fra cui l’italiana Cremonini), sostiene che modellando “lo scenario business as usual della FAO per il futuro dell’alimentazione, i nostri risultati mostrano che il riscaldamento aggiuntivo di 0,32°C entro il 2050 (rispetto ai livelli del 2015, ndr) deriverebbe dal solo settore della carne e dei latticini. Non solo: emerge anche che il metano, se si analizzano le emissioni di gas serra prodotte dalle aziende di carne e latticini, sarebbe responsabile di oltre tre quarti del riscaldamento del settore”.

    Sostenibilità

    G&B Festival 2024, Barbara Nappini: “Cibo e allevamenti. Il Made in Italy diventi etico”

    di Fiammetta Cupellaro

    02 Giugno 2024

    Uno scenario che richiede sforzi globali per ridurre la “sovrapproduzione nel consumo eccessivo di carne e latticini nei Paesi a medio e alto reddito”.

    Viaggio a Terra Madre, in cerca di una nuova “bio-logica” per salvare la nostra agricoltura

    di  Giacomo Talignani

    30 Settembre 2024

    Le emissioni legate a carne e latticini
    Nello specifico ridurre le emissioni legate a carne e latticini “porterebbe infatti a un effetto raffreddamento della temperatura media globale di 0,12°C entro il 2050, cioè a una riduzione del 37% del riscaldamento aggiuntivo previsto per la metà del secolo legato al settore, pari appunto a 0,32°C” e va ricordato per esempio che “per ogni 0,3°C di riscaldamento evitato si potrebbe ridurre l’esposizione al caldo estremo per 410 milioni di persone”.
    Secondo Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia, “per tanto tempo abbiamo osservato la crescita senza freni delle grandi aziende di carne e latticini, come se il settore fosse in qualche modo esente da responsabilità verso la crisi climatica, ma non è affatto così. Siamo spesso stati messi di fronte a una realtà nella quale sono gli allevatori o i consumatori a dover cambiare, mentre queste aziende decidono cosa gli agricoltori devono produrre, quanto devono essere pagati e cosa noi dobbiamo mangiare. Ora però sappiamo che un cambiamento del sistema è possibile”.

    Il commento

    L’Overshoot Day ci ricorda che l’idea di mondo va imperniata sulla vita non sul profitto

    di Barbara Nappini*

    01 Agosto 2024

    Proprio sulla questione metano e sulle responsabilità di determinati settori dell’agroalimentare adesso si concentreranno – anche in vista della Cop29 di Baku in Azerbaigian che inizierà fra un mese – le attenzioni e le iniziative degli attivisti.
    In Italia
    Il focus di Greenpeace sull’Italia sarà anche sulle aziende più responsabili di emissioni, con riferimenti a realtà come “il gruppo italiano Cremonini che, tramite la controllata Inalca, è uno dei maggiori player europei per la produzione di carne bovina” scrive Greenpeace.
    Detto ciò e partendo dalle indicazioni degli scienziati, i quali rimarcano come il metano sia un gas a effetto serra 80 volte più potente dell’anidride carbonica (CO?) nell’arco di 20 anni dall’emissione, le speranze di riuscire a frenare l’aumento di questo gas in atmosfera secondo gli ambientalisti sono alte, a patto però che si riconosca come finora ci si sia concentrati solo “sulla richiesta di ridurre le emissioni di metano nel settore dei combustibili fossili, senza imporre una drastica e necessaria limitazione anche alle grandi aziende industriali di carne e latticini”.

    Stazione Futuro

    Per chi votano gli animali

    di Riccardo Luna

    03 Giugno 2024

    Come chiosa Ferrario secondo Greenpeace “i governi devono guidare gli investimenti e le politiche per avviare il cambiamento abbandonando la sovrapproduzione e il consumo eccessivo di carne e latticini, sostenendo gli agricoltori e i lavoratori del settore in una giusta transizione. E così facendo, salvando milioni di vite limitando il riscaldamento globale”. LEGGI TUTTO

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    XFarm Technologies punta sull’intelligenza artificiale. 450 mila aziende sulla piattaforma

    Il settore dell’agricoltura è destinato a incontrare sul cammino dei propri imprenditori e operatori una serie di grandi sfide, che sarà possibile affrontare grazie anche all’innovazione tecnologica e all’applicazione dell’intelligenza artificiale. Lo sa bene xFarm Technologies, tech company europea pronta a guidare un cambiamento virtuoso nel settore agroalimentare.
    Il lavoro nei campi, legato a doppio filo all’andamento climatico, risentirà sempre di più dei fenomeni improvvisi che caratterizzano già oggi il clima a livello globale. Come è noto, si prevede un aumento degli eventi siccitosi e delle ondate di calore, ma anche delle inondazioni, con precipitazioni irregolari e spesso concentrate in eventi climatici estremi a carattere tropicale, anche in zone temperate. Questo porterà a un necessario adeguamento delle pratiche in campo, anche alla luce di uno sviluppo accelerato dei patogeni microbici e delle popolazioni di insetti e acari.

    Decisioni in tempo reale
    Nel prossimo futuro saranno quindi di fondamentale importanza tutte quelle tecnologie in grado non solo di fornire previsioni affidabili, come i modelli previsionali, ma anche di supportare in tempo reale gli operatori del settore nel prendere le decisioni migliori, in un contesto ambientale sempre più complesso. xFarm Technologies ha abbracciato la sfida dell’intelligenza artificiale, sviluppando tecnologie che puntano a semplificare i processi e l’operatività in campo, nonché la resilienza dei sistemi agricoli nella loro interezza, a vantaggio della sostenibilità ambientale ed economica delle produzioni.
    Il 2024 segna un anno di grande crescita per l’azienda AgTech che annuncia la chiusura di un round di Serie C da 36 milioni di euro. A guidare l’operazione la società Partech, attraverso il suo Impact Growth Fund.“È un momento di profondi cambiamenti e grandi sfide per l’industria agroalimentare a livello globale. Vogliamo continuare a fornire gli strumenti più efficaci ed avanzati per affrontare questo scenario, con investimenti in R&D e innovazione. Tecnologie all’avanguardia nell’intelligenza climatica e nell’IA per il supporto agronomico, e con un focus su sostenibilità e agricoltura rigenerativa”, ha dichiarato per Green&Blue Matteo Vanotti, Ceo di xFarm Technologies. LEGGI TUTTO

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    I materiali nanoporosi che ci aiuteranno a estrarre acqua dall’aria. Lo scienziato: “Ogni famiglia potrà avere la sua riserva”

    Si può catturare acqua potabile dall’aria delle nostre città, campagne e persino negli ambienti più ostili? La risposta dello scienziato Omar Yaghi è sì, e infatti lo sta già sperimentando da anni nei deserti dell’Arizona e del Mojave. Il segreto è nei reticoli metallorganici (MOF – metal-organic frameworks) che sono stati sviluppati nel 1995 dal tuo team del Dipartimento di Chimica dell’University of California Berkeley e che oggi gli sono valsi il Premio Balzan 2024.

    L’assegnazione è avvenuta nello specifico “Per i rivoluzionari contributi alla scoperta e allo sviluppo di materiali a struttura nanoporosa e per l’avanzamento delle loro applicazioni nella cattura del carbonio, nell’immagazzinamento dell’idrogeno e nell’estrazione dell’acqua dall’aria del deserto”. Secondo il Comitato Generale Premi Balzan “Yaghi ha sviluppato principi fondanti di progettazione fondamentali e innovativi metodi di sintesi, creando due ampie classi di materiali nanoporosi: le strutture metallo-organiche (MOF) e le strutture organiche covalenti (COF). Questi materiali pionieristici sono ora in prima linea negli sforzi globali per affrontare le sfide critiche di sostenibilita? e ambiente che il nostro pianeta sta affrontando”.

    Il primo ottobre le Presidenti della Fondazione Internazionale Balzan “Premio”, Maria Cristina Messa, e del Comitato Generale Premi Balzan, Marta Cartabia, hanno infatti annunciato i vincitori dei quattro Premi Balzan 2024. Oltre a Yaghi, ci sono John Braithwaite della Australian National University per il tema della Giustizia riparativa, Lorraine Daston del Max Planck Institute for the History of Science per Storia della scienza moderna e contemporanea e Michael N. Hall del Biozentrum dell’Universita? di Basilea per Meccanismi biologici dell’invecchiamento. I premi saranno consegnati il 21 novembre a Roma al cospetto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

    Un rubinetto invisibile che impiega l’umidità dell’aria
    Omar Yaghi spiega che l’atmosfera contiene miliardi e miliardi di litri di vapore acqueo (13mila trillion) e che sebbene esistano molte soluzioni per raccogliere l’acqua dalla nebbia e dai climi ad alta umidità, ad oggi non esiste una tecnologia efficiente, ancor di più per le regioni più aride del mondo. Il cambio di marcia ha iniziato a manifestarsi con lo sviluppo dei MOF nel 1995 e poi nel 2005 con i COF (reticoli organici covalenti), che sono composti interamente da molecole organiche e non contengono metalli. Attualmente esistono oltre 100mila MOF conosciuti e ce ne sono ancora moltissimi da creare dato che il numero di possibilità è quasi infinito.

    Omar Yaghi is the 2024 Balzan Prize for Nanoporous Materials for Environmental Applications for groundbreaking contributions to the discovery and development of nanoporous framework materials, and advancing their applications in carbon capture and hydrogen storage.#balzanprize pic.twitter.com/tyv7KDlKSm— BalzanPrize (@BalzanPrize) September 9, 2024

    In pratica si tratta di “materiali cristallini ultraporosi le cui strutture molecolari formano una rete tridimensionale di pori”, come sottolinea il chimico. E la qualità principale di questo attributo di porosità è che può essere programmato: in base ai componenti chimici dei reticoli si possono attivare quelle affinità che attirano specifici elementi. Un po’ come uno chef capace di prendere per la gola anche il più schizzinoso dei suoi commensali. Non solo. Le regole dell’attrazione si possono basare anche su condizioni ambientali, come temperatura oppure pressione, e magari possono anche generare altre molecole. “Abbiamo sviluppato la loro chimica fino al punto che, nel 2014, abbiamo dimostrato in un rapporto rivoluzionario che questi materiali possono essere adattati per raccogliere acqua potabile dall’aria del deserto, senza alcun bisogno di energia oltre a quella del Sole”, sottolinea. Nel deserto dell’Arizona sono bastati MOF e due scatole di plastica e nessuna fonte di energia esterna per generare acqua durante il periodo più caldo e secco dell’anno. LEGGI TUTTO

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    Rigenerazione urbana: nel nuovo piano le regole per contrastare il consumo del suolo

    Un piano nazionale di rigenerazione urbana che raccoglie la lista degli interventi indispensabili per contrastare il consumo di suolo, il rischio idrogeologico e la crisi climatica anche individuando “progetti faro” che verranno finanziati a livello nazionale. Questi gli obiettivi del disegno di legge “Disposizioni in materia di rigenerazione urbana”, un testo che raccoglie le proposte presentate da senatori di maggioranza e opposizione in un nuovo testo unificato, e che punta a delineare una vera e propria governance a livello centrale. Regioni e Comuni sono chiamati a fare la propria parte. Istituito un Fondo nazionale con 50 milioni a disposizione per quest’ultima parte dell’anno, destinato a salire in futuro a 300 milioni l’anno.

    Fisco verde

    Eventi meteo estremi, scattano le polizze obbligatorie per le imprese

    di  Antonella Donati

    02 Ottobre 2024

    Una regia unica per coordinare fondi e iniziative
    Il disegno di legge intende definire un quadro operativo comune con la regia del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Al Ministero spetterà promuove il coordinamento dei fondi pubblici disponibili, per l’attuazione degli interventi in materia di rigenerazione urbana, e promuovere l’armonizzazione, anche temporale, dei programmi con le politiche mobilità sostenibile, e le politiche ambientali. Saranno individuati gli interventi prioritari, definiti “progetti faro”, oggetto di progettazione e gestione condivisa tra più livelli di governo. Gli enti locali sono chiamati ad adottare piani particolareggiati per favorire il riuso, il rinnovamento o la sostituzione sia di aree già urbanizzate che di aree produttive, in tutti i casi in sui sono presenti funzioni eterogenee o non più sostenibili dal punto di vista ambientale e economico, edifici dismessi o non più utilizzati. Dovranno essere agevolati la riqualificazione sia fisico-funzionale che tecnologica, la riduzione di consumo energetico o di emissioni inquinanti, la sostenibilità ambientale e il miglioramento della qualità urbana e architettonica complessiva. LEGGI TUTTO

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    No all’allevamento dei polpi, la battaglia degli animalisti: “Sono animali senzienti”

    Tutti pazzi per il polpo. Ancor di più dopo lo straordinario successo del film “My Octopus Teacher”, premio Oscar nel 2021, un appassionato inno all’intelligenza di questi cefalopodi. Ma oggi, mentre in tutto il mondo si celebra la Giornata mondiale del Polpo, un campanello d’allarme si leva dal mondo degli animalisti. Preoccupati, più che mai, per la crescita degli allevamenti intensivi: una pratica con la quale si risponde ai trend della richiesta commerciale: il consumo di polpi selvatici, già diffuso in tutto il mondo, continua a crescere. Così, associazioni come “Compassion in World Farming” non ci stanno. Perché se la pesca intensiva rischierebbe di favorire un declino delle popolazioni selvatiche, l’indice è puntato contro gli allevamenti intensivi in spazi ridotti, poco compatibili – si denuncia in una nota – con la natura intelligente e solitaria degli animali, poco compatibile con condizioni di sovraffollamento”. Di più: “Confinarli in spazi ridotti potrebbe indurli a comportamenti aggressivi o addirittura a episodi di cannibalismo”, si legge nell’ultimo studio, diffuso nei giorni scorsi. Allevare i polpi sarebbe inoltre “una pratica insostenibile, poiché richiederebbe di nutrirli con pesci selvatici catturati in natura, aggravando così il sovrasfruttamento delle risorse ittiche e l’insicurezza alimentare delle comunità già vulnerabili in tutto il mondo”. Quanto basta per una levata di scudi contro realtà come Nueva Pescanova, che ha annunciato – riporta “Compassion in World Farming” – di voler realizzare il primo allevamento di polpi a scopo commerciale al mondo a Gran Canaria, in Spagna.

    Inquinamento

    Dal fegato allo stomaco, microplastiche nel 66% delle gazze marine trovate morte nel Tirreno

    di  Pasquale Raicaldo

    02 Ottobre 2024

    Le associazioni denunciano anche gli investimenti pubblici nello sviluppo di programmi di ricerca finalizzati all’allevamento dei polpi: 13,3 milioni di euro complessivi, 253.750 euro di fondi Ue per l’Italia, seconda solo alla Spagna. Di “scandalo” parla Annamaria Pisapia, direttrice di CIWF Italia, condannando la scelta del governo di “finanziare una pratica crudele verso gli animali e dannosa per l’ambiente”.

    Un progetto pilota
    I progetti di ricerca, nel dettaglio finalizzati attraverso il Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca, riguardano – per esempio – un progetto pilota per il trasferimento delle tecniche di allevamento del polpo come nuova specie ai fini dell’acquacoltura, agli operatori del settore della Regione Puglia”. Ma si tratta di un segmento realmente sostenibile? Di neuroscienze e basi naturali della coscienza negli invertebrati si occupa, da anni, Graziano Fiorito, dirigente di ricerca del Dipartimento di Biologia ed Evoluzione Organismi Marini della Stazione zoologica Anton Dohrn. I polpi sono il suo principale oggetto di studio: “Si tratta di animali senzienti, in cui è provata la risposta al dolore e per i quali le direttive in vigore prescrivono massima attenzione e senso di responsabilità nei metodi di cattura e, eventualmente, di allevamento, che richiedono requisiti minimi in relazione all’etologia degli animali. – dice – La cura del loro benessere dovrebbe essere la norma, insieme al tema del sovraffollamento nelle vasche non è marginale quello del metodo con cui verrebbero uccisi: da valutare gli effetti dell’immersione dei polpi ancora coscienti in una sospensione di ghiaccio(-3°C), come accade per i pesci per il consumo umano”.

    Biodiversità

    Crisi climatica, nessun animale marino è al sicuro: una mappa per capire quali specie rischiano di più

    di  Anna Lisa Bonfranceschi

    18 Settembre 2024

    Eppure, con metodi di allevamento compatibili, etologicamente e fisiologicamente con la natura dei polpi, la pratica, annuisce anche il biologo marino, “non sarebbe da escludere a priori”.

    Allevamenti sostenibili: è possibile
    Intanto, secondo un sondaggio di CIWF e Eurogroup for Animals, peraltro, il tema degli investimenti pubblici nel settore ittico è di grande importanza per i cittadini italiani: secondo l’84% degli intervistati, percentuale più alta di tutta l’Unione Europea, il denaro pubblico dovrebbe essere investito solo in allevamenti sostenibili. LEGGI TUTTO