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    Nel Pantanal e in Amazzonia i peggiori incendi selvaggi in quasi due decenni

    In Brasile, le emissioni totali cumulative di carbonio stimate finora nel 2024 sono state superiori alla media, con circa 183 megatonnellate di carbonio fino al 19 settembre, seguendo un percorso simile a quello dell’anno record di emissioni del 2007. Le emissioni di settembre hanno finora rappresentato quasi 65 megatonnellate di questo totale. Ciò è dovuto […] LEGGI TUTTO

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    Verbena, che profumo: come coltivarla

    La sua fioritura è prolungata e generosa, le tonalità che tingono i fiori sono a tinta unita o screziate. La verbena è affascinante ed estremamente versatile; la sua coltivazione può essere sia in vaso, sia in aiuole in piena terra o in classici basket sospesi. Originaria del Sud America, la verbena è una pianta erbacea ornamentale perenne o annuale dalle proprietà medicinali. Dai piccoli fiorellini riuniti in ombrelle si ricava un olio essenziale unico nel suo genere, utilizzato sia come base di infusi e decotti.

    Verbena, che profumo: le caratteristiche della pianta
    In tempi antichi era considerata “pianta sacra” da poeti e scrittori, oggi è una delle piante più conosciute al mondo sia per la sua bellezza oggettiva, sia per il suo inebriante profumo, sia per i suoi usi in campo erboristico. La verbena appartiene alla famiglia delle Verbanaceae e si è soliti trovarla o in giardini rocciosi, o su balconi, scelte strettamente connesse alla sua estetica e al suo portamento ricadente molto decorativo. La pianta della solidarietà (è questo il suo significato nel “linguaggio dei fiori) è formata da numerosi steli erbacei di un verde intenso e foglie lanceolate dai margini dentati e leggermente “pelosi”. I suoi piccoli fiori si riuniscono in infiorescenze a ombrello o a sfera simili a “pon-pon” e si tingono di tonalità vivaci che vanno dal rosa, al rosso acceso fino a toccare punte meravigliose di viola o di porpora.

    Le varietà della verbena
    Di questa pianta dai fiorellini dalle mille proprietà esistono numerose varietà. Oggi, infatti, le specie di verbena conosciute superano le duecentocinquanta, ma tra quelle più comuni (e conosciute a livello erboristico, oltre che floreale), ci sono: la verbena Officinalis, la verbena nana, la verbena Bonariensis, la verbena Canadensis, la verbena Peruviana, la verbena Venosa e la verbena ibrida.

    Verbena: le proprietà benefiche della pianta
    L’erba della croce, o verbena, contiene circa 20 composti vegetali considerati benefici. Alla pianta dai fiorellini a ombrello si attribuiscono funzioni curative e il suo utilizzo erboristico è frequente. Solitamente la si trova sotto forma di olio essenziale, mixata ad altri oli vegetali o come tisana.

    Coltivazione: dove piantare la verbena
    Alla domanda: “Dove mettere la verbena?”, si può rispondere in più modi. Questa pianta dai fiorellini colorati, infatti, può essere seminata all’esterno a terra o in vaso nei mesi di aprile e di maggio, ma può essere seminata e/o piantata in ambiente protetto (letto caldo o semenzaio) nei mesi di marzo e di aprile. Viene da sé che, se la si vuole coltivare come pianta annuale, sarebbe meglio farla crescere in vaso, così da poterla mettere al riparo in inverno. In realtà la si vede spesso anche in giardini, aiuole o bordure, alcuni dei suoi habitat preferiti.

    Quando seminare la verbena: i periodi migliori
    Per quanto riguarda la semina, la verbena può essere coltivata sia a partire dal seme, sia acquistando la pianta già cresciuta. Il periodo ottimo per la semina è febbraio: i semi di verbena vanno sistemati in una miscela di terriccio e sabbia e organizzati in semenzaio, tenendo conto della giusta distanza (30-35 cm) e assicurandosi che il terriccio sia ben umidificato. Se si vuole ottenere una fioritura più densa e visivamente più “compatta”, si consiglia sempre di diminuire la distanza tra i gruppi di semi a 20 cm.

    Concimazione e irrigazione della verbena: cosa sapere
    Una volta seminata in vaso o in semenzaio e nelle varie operazioni di rinvaso, è importante mescolare al terriccio un concime granulare adatto alle piante fiorite. Se invece la verbena piantata è adulta, l’ideale sarebbe utilizzare un fertilizzante liquido per piante da fiore, meglio se arricchito da alghe brune. La verbena come quasi ogni pianta esistente al mondo ha bisogno di acqua, ma in modo regolare. È giusto bagnarla con regolarità ed è giusto soprattutto aumentare la frequenza di irrigazione durante i periodi più caldi, ma senza esagerare. La verbena, infatti, teme i ristagni idrici, quindi il terreno in cui cresce deve sempre essere leggero, fertile e ben drenato. In inverno, invece, l’irrigazione può essere quasi del tutto sospesa.

    La verbena vuole la luce: esposizione della pianta
    Essendo originaria del Sud America, la verbena ha bisogno di sole per potere vivere senza difficoltà. Pianta perenne coltivata come annuale, richiede un’esposizione soleggiata e luminosa ed essendo abbastanza rustica, riesce a crescere bene anche in esterno in condizioni climatiche rigide, ma la temperatura non dovrebbe mai scendere al di sotto dei 7°. La sua predilezione è per il clima mite in zone riparate da vento e da correnti d’aria notevoli e in inverno sarebbe meglio aiutarla con l’aggiunta di paglia, foglie o sabbia al terreno o, per eventualmente, coprirla del tutto con un tessuto non tessuto e ripararla dal freddo.

    Verbena, quanto dura la sua fioritura
    Anticamente considerata pianta magica dal potere afrodisiaco, la verbena era anche associata a Venere e le sue proprietà benefiche hanno origini antichissime. Prendersi cura di questa pianta dalla fioritura rigogliosa non è complicato, ma servono le giuste attenzioni affinché possa crescere in modo sano lontano da problemi e malattie, di cui quelle portate dagli insetti fogliari sono le più comuni. La fioritura è abbondante e duratura: i suoi fiori nascono durante la stagione primaverile-estiva e spesso si prolungano anche fino all’autunno, con tanto di curiosità da parte di api, farfalle e altri insetti di stagione. Tra le varie indicazioni, la cura della verbena comprende anche la potatura, da eseguire nel caso di fiori secchi o foglie non sane: anche questo influisce sulla sua longevità e sulla sua delicata bellezza. LEGGI TUTTO

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    Le città europee con l’aria più pulita

    È soprattutto nel Nord Europa che si respira l’aria migliore del Vecchio Continente. A certificarlo è l’Agenzia europea per l’ambiente, che ha pubblicato la nuova classifica della qualità dell’aria nelle città europee. Tra le 375 aree urbane prese in considerazione dal monitoraggio, solo 13 risultano avere una concentrazione media di particolato fine inferiore alla quantità stabilita dalle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità. E, di queste 13, solo due (Faro e Funchal in Portogallo) non appartengono all’area geografica dell’Europa settentrionale. Guidano la classifica le svedesi Uppsala e Umea, seguite da località come Reykjavik, Oulu, Tampere, Tallinn, Stoccolma e Bergen.
    Le città italiane sono indietro
    L’aria delle città italiane, di contro, non sembra godere di ottima salute. La più alta in classifica è Sassari, al ventunesimo posto, con solo altre quattro il cui livello di particolato fine è considerato “accettabile” dall’Agenzia europea per l’ambiente, ovvero Livorno (65°), Savona (148°), Battipaglia (161°) e Siracusa (167°). Il resto si perde nella parte bassa della graduatoria, specie le città della Pianura Padana: Milano è al 354° posto, Torino al 362°, Venezia al 367°, con Cremona addirittura alla 370° posizione. Peggio fanno solo Nowy Sacz, in Polonia, e la croata Slavonski Brod, dove il carbone è ancora una delle principali fonti energetiche.
    La classifica si basa sui dati raccolti da 500 stazioni di monitoraggio e fotografa la qualità dell’aria negli anni 2022 e 2023, focalizzandosi sulle concentrazioni a lungo termine di Pm2.5, l’inquinante atmosferico coi maggiori impatti negativi sulla salute. Considerando che tre europei su quattro vivono in aree urbane, l’analisi evidenzia come la maggior parte di loro sia esposta a livelli preoccupanti di inquinamento atmosferico. Proprio per ribadire questo concetto, l’Agenzia ha già annunciato un’ulteriore analisi incentrata sul’impatto che la scarsa qualità dell’aria ha sugli ecosistemi e sulla salute umana, includendo stime sui decessi e sulle malattie ad essa attribuibili. L’inquinamento atmosferico è infatti la principale causa ambientale di molteplici malattie mentali e fisiche e di morti premature, specie tra bambini, anziani e cosiddetti “fragili”. Influisce inoltre molto negativamente sulla biodiversità, riducendo la capacità degli ecosistemi di attivare meccanismi difensivi.
    I target del Green Deal
    Per correre ai ripari, il Green Deal varato dalla Commissione europea ha fissato per il 2030 l’obiettivo di ridurre le morti causate dal particolato fine del 55% rispetto ai livelli registrati nel 2005, puntando poi al traguardo di “inquinamento zero” entro il 2050. Oltre all’inquinamento atmosferico, ad essere salvaguardati dovranno essere anche il suolo, arginando le perdite di nutrienti e l’uso di pesticidi chimici, e l’acqua, con la drastica riduzione di rifiuti e microplastiche rilasciate in mare. Per quanto riguarda le città, il piano della Commissione prevede anche un abbattimento della produzione di rifiuti urbani residui e dell’inquinamento acustico causato dai trasporti. LEGGI TUTTO

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    Von der Leyen punta ancora sul green deal: lo rivelano gli incarichi dati ai commissari

    La nuova Commissione Europea rinuncia al Green Deal, come auspicato da Confindustria e dalla premier Meloni? A sfogliare i documenti ufficiali che arrivano da Bruxelles in occasione della presentazione della squadra di Ursula von Der Leyen, non pare proprio. Si tratta delle “lettere di missione”, una sorta di conferimento di incarico, con le quali la riconfermata presidente della Commissione Ue ha “arruolato” i suoi nuovi vicepresidenti e commissari (in attesa che il Parlamento li voti, dopo averli ascoltati nelle rispettive audizioni). Ebbene, in tali lettere lo European Green Deal appare, al contrario, come un fulcro della futura politica europea, altro che rottamazione.

    In tutte quelle spedite, la premessa è chiara: “Il successo di questa nuova Commissione sarà misurato sulla nostra abilità nel centrare gli obiettivi che ci siamo dati, in particolare quelli contenuti nello European Green Deal…. Mi aspetto che tutti voi contribuiate al raggiungimento degli obiettivi climatici concordati, in particolare quelli fissati per il 2030 e la neutralità climatica entro il 2050”. Se poi si scorre quella indirizzata alla prima vicepresidente esecutiva, la socialista spagnola, ministra della transizione ecologica a Madrid, Teresa Riberà, il mandato non può essere più esplicito: “Vorrei che tu guidassi il lavoro per assicurare che si mantenga la rotta verso gli obiettivi stabiliti nello European Green Deal”. Una rotta indicata anche dal Rapporto Draghi, che Von Der Leyen aveva ricevuto già a maggio e che probabilmente è stato fonte di ispirazione (e ombrello parafulmini, vista l’autorevolezza dell’autore) per il nuovo programma della Commissione): “Il futuro della competitività dell’Europa dipende dal raggiungere la decarbonizzazione grazie a una transizione giusta. Questo riflette le analisi contenute nel Rapporto Draghi, che auspica una economia circolare e decarboinizzata, ed è in linea con i principi che guidano lo European Green Deal”.

    Il personaggio

    Teresa Ribera, chi è la nuova responsabile dell’ambiente della Commissione Ue

    di  Luca Fraioli

    17 Settembre 2024

    E veniamo a Raffaele Fitto, vicepresidente esecutivo alla Coesione. Sarà lui a boicottare il Green Deal Europeo come vorrebbero da Palazzo Chigi e Viale dell’Astronomia? Difficile, a meno che non voglia fin da subito considerare carta straccia l’incarico formale ricevuto da Ursula von Der Leyen. Nella lettera di missione a lui indirizzata si legge infatti: “La coesione europea significa portare i cittadini europei più vicini all’Europa, e gli europei più vicini gli uni agli altri. Rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale nella Ue significa creare lavori qualificati, stimola la produttività, l’innovazione e la competitività ed è essenziale per raggiungere i nostri obiettivi legati alle transizioni gemelle, quella verde e quella digitale, inclusi quelli dello European Green Deal”. “Sostenibile” è l’aggettivo ricorrente: “…rafforzare la competitività, la resilienza e la sostenibilità del settore alimentare e agricolo”. “…lavorare sulla mobilità e il turismo sostenibile per connettere parti diverse d’Europa”. “Aiuterai ad assicurare che il settore della pesca diventi più resiliente, sostenibile e competitivo nei mercati globali, e guiderai il lavoro per potenziare una blue economy competitiva e sostenibile”. E a proposito di clima, la presidente scrive al suo vice italiano: “Dovresti contribuire al Climate Adaptation Plan e alla European Water Resilience Strategy, focalizzando la tua attenzione alle sfide specifiche che riguardano le città e le aree regionali”.

    Fitto, si dirà, avrà un ampio margine di manovra. La formula adottata dalla Von der Leyen è sottile: “Le azioni elencate in questa lettera modelleranno il tuo lavoro”. Ma aldilà della forma e dei documenti, è la squadra costruita dalla presidente a segnalare la determinazione di proseguire, con buona pace della Meloni, la rotta della transizione ecologica. Teresa Ribera, socialista, ha le idee chiarissime e lo ha dimostrato nella Cop28 di Dubai. E avrà un portafogli che tiene insieme le due transizioni ritenute fondamentali per il futuro del continente: green e digitale. L’olandese Woepke Hoekstra, riconfermato commissario al Clima, non sarà istrionico come il suo predecessore Timmermans, ma si è speso per l’uscita dai combustibili fossili. Lo stesso si può dire del danese Dan Jorgensen, candidato a diventare commissario all’Energia: è stato uno degli architetti dietro la “Beyond Oil and Gas Alliance” (BOGA), che la Danimarca insieme alla Costa Rica ha lanciato alla COP 26 nel 2021. Infine la commissaria all’Ambiente e all’economia circolare, la svedese popolare di sinistra Jessika Roswall, da sempre favorevole al Green Deal. Imporbabile che Raffaele Fitto, unico a venire dalla fila di Ecr, tra commissari e vicepresidenti popolari, socialisti, liberali, possa loro far cambiare idea. LEGGI TUTTO

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    La startup Vaia e i boschi distrutti dalla tempesta: “Dall’economia circolare sono nati 100mila abeti ma non basta”

    È l’ultima iniziativa realizzata da Vaia, la B Corp nata nel 2019 in risposta alla devastante omonima tempesta che distrusse intere foreste tra Veneto, Friuli e Alto Adige. A sei anni di distanza, le ferite della montagna sono ancora evidenti: solo parte degli alberi caduti è stata recuperata mentre molti giacciono ancora a terra, rendendo la foresta spoglia e vulnerabile all’infestazione del bostrico, un coleottero che ne rallenta ulteriormente la rigenerazione e che sta causando nuovi, devastanti danni.

    Il problema non è solo ambientale, ma anche e soprattutto economico e sociale: la tempesta ha aggravato temi già esistenti, che affliggono le comunità montane di tutta Italia e non solo, come lo spopolamento causato dalla mancanza di opportunità, sviluppo e servizi. Il recupero degli alberi abbattuti si è rivelato costoso e in alcuni casi impraticabile, evidenziando complessità di coordinamento e organizzative tra gli enti preposti alla tutela e salvaguardia del bosco. “Nonostante l’aumento della superficie forestale, la qualità del bosco sta peggiorando. Gli abitanti, che oggi traggono beneficio dalla vendita del legname, rischiano di non avere più risorse tra 50 anni, poiché il capitale naturale si sta esaurendo”, spiega Federico Stefani, co-fondatore della startup insieme a Paolo Milan e Giuseppe Addamo.

    Federico Stefani, co-fondatore della startup Vaia insieme a Paolo Milan e Giuseppe Addamo  LEGGI TUTTO

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    Pianta di piombo (Aspidistra elatior): come prendersene cura

    L’ aspidistra elatior, che ha conosciuto la sua maggior popolarità negli anni 70 e 80, è una pianta molto apprezzata per decorare gli interni degli appartamenti e degli uffici. Si tratta di una sempreverde della famiglia delle liliacee che cresce in natura nel sottobosco della foresta cinese. Ecco tutto quello che c’è da conoscere per prendersi cura della coltivazione di questa pianta.

    La coltivazione dell’aspidistra elatior
    Prendersi cura dell’aspidistra elatior non è complicato: infatti, è in grado di adattarsi alla perfezione anche a condizioni più complesse, rispetto quelle richieste da altre piante. L’esposizione dell’aspidistra elatior è veramente limitata, tanto che spesso viene sistemata in aree della casa abbastanza buie come l’ingresso, taverne e pianerottoli. Questa sempreverde richiede minima luce e non ama assolutamente la luce diretta dei raggi solari. Infatti, può succedere che un’esposizione scorretta, anche se breve al sole, faccia comparire estese scottature sulle foglie.

    Il corretto posizionamento della pianta consente anche di migliorare lo sviluppo: in questo modo, l’aspidistra elatior è in grado di crescere sana, raggiungendo la sua altezza massima di 50-100 centimetri. Le sue foglie si sviluppano lungo i fusti a ciuffi ed hanno una forma lanceolata e possono arrivare ad una lunghezza massima di 70 centimetri e 20 centimetri di larghezza. I fiori, invece, sono rossi-viola scuri e si possono osservare con l’arrivo della stagione estiva. Ad ogni modo, la pianta apprezza particolarmente temperature comprese tra i 5°C e i 20°C; in caso di più caldo si noterà una crescita difficoltosa dell’aspidistra elatior.

    Il terreno giusto per l’aspidistra elatior
    L’aspidistra elatior gradisce un terreno abbastanza normale, ma allo stesso tempo deve essere caratterizzato da un substrato fertile e ricco di sostanze organolettiche. Con coltivazione in vaso è meglio scegliere un terriccio universale unito a sabbia e humus. Inoltre, è importante selezionare un terriccio che possa garantire un ottimo drenaggio, così da mantenere la terra sempre al punto giusto, mai troppo umida e mai troppo secca.

    L’annaffiatura corretta dell’aspidistra elatior

    Come capita per molte piante d’appartamento, anche l’aspidistra elatior non ama troppa acqua. Proprio per questo, è necessario annaffiare la pianta in maniera moderata, assicurando comunque un terriccio drenante e privo di eccessiva umidità.

    La concimazione dell’aspidistra elatior
    Con l’arrivo della primavera si può iniziare a pensare alla concimazione dell’aspidistra elatior. Sarà utile dare del concime liquido per piante verdi, una volta al mese. In questo modo, lo sviluppo del sempreverde sarà ottimale e, si potrà ammirare anche la fioritura con l’arrivo dell’estate.

    La potatura e il rinvaso dell’aspidistra elatior
    La pianta gradisce essere potata in alcune circostanze: per esempio, per togliere le foglie danneggiate e quelle secche. In primavera è possibile anche occuparsi del rinvaso: in tal caso, è importante selezionare un vaso che sia grande di 1-2 misure in più rispetto al precedente. In questa maniera, la pianta ha la possibilità di continuare lo sviluppo senza incontrare alcun ostacolo. In caso di piante eccessivamente grandi, si può decidere anche di dividere i ceppi, così da utilizzare dei vasi non troppo grandi.

    I rischi per l’aspidistra elatior
    In generale, l’aspidistra elatior non soffre per l’attacco di parassiti, ad eccezione della cocciniglia. In pratica, si può manifestare questa malattia sulle foglie con chiazze bianche. In tal caso è fondamentale eliminare la cocciniglia non appena compare, aiutandosi con un dischetto di cotone. Inoltre, è bene ricordarsi di spolverare le foglie per evitare anche la comparsa di ulteriori problematiche. L’aspidistra elatior può andare incontro a dei problemi per una coltivazione errata da parte dell’uomo. Per esempio, esponendola in maniera scorretta ai raggi diretti del sole si possono manifestare delle bruciature sulle foglie. Inoltre, possono comparire macchie scure oppure appassimento o crescita rallentata nel caso in cui si sia selezionato un terriccio poco drenante o per annaffiature eccessive. LEGGI TUTTO

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    L’autodifesa delle piante: sanno comunicare a distanza la presenza di un predatore

    Le piante non possono muoversi e non hanno organi fonatori, eppure riescono a scambiare informazioni tra loro e a coordinare le risposte ai pericoli che arrivano dall’ambiente. Uno studio appena pubblicato su Science, ad esempio, rivela che molte specie di piante possiedono probabilmente la capacità di comunicare a grande distanza un segnale di pericolo quando vengono attaccate da un predatore, in modo che gli organismi vegetali che ricevono il messaggio possano preparare in anticipo le proprie difese.

    Biodiversità

    Piantare fiori può aiutare gli impollinatori, ovunque lo si faccia

    di Sara Carmignani

    11 Settembre 2024

    Lo studio, realizzato da un team di biologi e di fisici dell’atmosfera dell’Università della Finlandia Orientale, approfondisce le conoscenze già disponibili sulla trasmissione di informazioni da parte delle piante legata alla diffusione di sostanze chimiche nell’aria. È noto da tempo, infatti, che le piante rilasciano dei composti noti come Voc (composti organici volatili) in seguito all’attacco di erbivori (in particolare insetti). E che questi segnali possono indurre nelle piante circostanti l’attivazione di strategie difensive, come l’inspessimento delle foglie o la produzione di tossine, in previsione del probabile attacco.

    Meno chiaro, invece, era cosa accadesse a questi messaggi chimici una volta raggiunte le piante nelle immediate vicinanze. “I composti organici volatili (Voc) reattivi emessi dalle piante vanno incontro a reazioni chimiche ossidative che danno origine ai cosiddetti aerosol organici secondari”, spiega Hao Yu, biochimico che ha partecipato allo studio. “Ci siamo quindi chiesti se le funzioni ecologiche che vengono mediate dai Voc persistessero anche una volta ossidati”.

    Gli esperimenti svolti dai ricercatori dell’università finlandese hanno coinvolto dei germogli di pino, e i fenomeni chimici che vengono innescati quando vengono danneggiate da uno dei loro predatori, il coleottero conosciuto come ilobio dell’abete (Hylobius abietis). La ricerca ha dimostrato che in caso di attacco, le piantine rilasciano composti organici volatili in grado di attivare i meccanismi difensivi delle altre piante della stessa specie, e che l’attività biologica di queste molecole rimane invariata anche in seguito alla loro ossidazione e alla formazione di aerosol organici secondari. LEGGI TUTTO

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    “La mobesity non aiuta l’ambiente. Serve una tassa sui SUV elettrici”

    Il SUV elettrici e tutti i veicoli analoghi di grandi dimensioni rischiano di compromettere i benefici ambientali ed economici generati dalla transizione verso il trasporto stradale elettrificato. Ne è convinto Christian Brand – professore del dipartimento di Transport, Energy and Climate Change presso l’Università di Oxford – che ha battezzato il fenomeno come mobesità (mobesity).

    In un suo recente articolo pubblicato su Nature Energy, lo scienziato inglese ha puntato il dito sul comparto e-SUV. Se da una parte, per sua stessa ammissione “sono circa tre volte più efficienti dal punto di vista energetico rispetto alle loro controparti tradizionali con motore a combustione interna”, dall’altra veicoli elettrici più grandi consumano più energia e richiedono più risorse per la produzione, incidendo negativamente sulla complessiva impronta ambientale. Insomma il loro ciclo di vita è più impattante, rispetto a veicoli elettrici più modesti.

    Brand si spinge oltre, sostenendo che l’industria è connivente con questa tendenza: aumentano infatti i veicoli elettrici di grandi dimensioni e con prezzi maggiorati, anche se i costi produttivi a suo parere risultano essere proporzionalmente inferiori. Insomma, considerando la contemporanea azione del marketing e della pubblicità, si starebbe rafforzando il messaggio che SUV ed elettrificazione sono un binomio ideale, fatto di comodità e autonomia. L’Agenzia Internazionale per l’Energia nel suo ultimo Global EV Outlook 2024 ha infatti sottolineato che gli e-SUV rappresentano oltre il 60% del mercato globale elettrico.

    Il problema è che questo genera un aumento della domanda di batterie più grandi e motori più potenti e quindi sale la richiesta di litio, cobalto e altre materie prime critiche. E alla fine l’estrazione, com’è risaputo, incide negativamente sui consumi energetici e sull’ambiente. Il saldo finale è che i potenziali effetti benefici dell’elettrificazione vengono ridimensionati. Senza contare quel che vale per ogni veicolo di grandi dimensioni: aumento dell’usura dei pneumatici e delle strade, “con conseguente aumento delle emissioni di particolato”.

    Brand suggerisce quindi una strategia che coinvolga politica, innovazione e sensibilizzazione dei consumatori. I decisori, sempre a suo parere, dovrebbero approvare norme che scoraggino la produzione e l’acquisto di veicoli di grandi dimensioni a favore di mezzi più efficienti e meno impattanti. Ad esempio suggerisce una tassa progressiva che consideri come parametri il peso, magari relazionato a dimensioni e potenza, nonché emissioni di CO2. Sulla falsariga di quanto sta avvenendo in Francia, Svezia e alcuni Stati degli Stati Uniti, nonché a New York.

    “Una tassazione al punto vendita garantisce l’equità per chi opera nel mercato delle auto di seconda mano. Sono inoltre essenziali incentivi più forti per i produttori affinché sviluppino e commercializzino veicoli elettrici più piccoli”, scrive il docente. Il concetto di fondo è che l’attuale politica di sussidi e agevolazioni, in auge in Europa, non fa differenza fra i veicoli elettrici. In ambito locale si potrebbe fare di più per il recupero e riciclo; Brand si spinge oltre perché ipotizza il coinvolgimento delle amministrazioni locali affinché vengano applicate tariffe di parcheggio più alte ai SUV – come è avvenuto a Parigi dopo il referendum di febbraio.

    Un altro fronte è quello dell’innovazione, soprattutto se si considera la prospettiva di avere batterie ad alta densità energetica, e con minore quantità di materiali, che potrebbero consentire anche ai veicoli più piccoli grande autonomia. Già, perché uno dei motivi per cui sono graditi gli e-SUV di grandi dimensioni è proprio perché promettono chilometraggi record. Ad esempio, la nuova Audi Q6 e-tron dovrebbe essere in grado di superare i 600 km con un “pieno”. Non meno importante la diffusione e la capillarità dei nuovi sistemi di ricarica veloce: fast charge fino a 100 kW e ultra-fast sopra i 100 kW.

    “È necessaria una cooperazione internazionale per gestire la domanda globale di materie prime critiche essenziali per le batterie dei veicoli elettrici. Promuovendo un’economia circolare e migliorando gli accordi internazionali sulle pratiche estrattive, possiamo ridurre l’impatto ambientale dell’estrazione delle risorse, sostenendo al contempo la transizione globale verso l’elettrificazione”, conclude il docente.

    In sintesi la transizione verso la mobilità elettrica è fattibile e positiva per la riduzione dell’impronta di carbonio del settore trasporti, ma si rischia di mancare l’obiettivo se non si considerano gli effetti collaterali della mobesità. LEGGI TUTTO