Il cortocircuito dei movimenti
I movimenti per il clima oggi stanno vivendo un cortocircuito: la sensazione è che una volta trovato l’inghippo possano sprigionare una nuova e potente luce di battaglia, ma per ora è il buio a prevalere. In tempi di negazionismi e nazionalismi, di guerre e di politiche oscurantiste targate Donald Trump, le folle oceaniche di giovani pronti a scendere in piazza per chiedere giustizia climatica e un futuro diverso da quello prospettato dalle attuali tendenze del riscaldamento globale appaiono infatti lontanissime. Eppure, soltanto pochi anni fa, l’onda verde era in grado persino di avere un peso politico: i primi scioperi per il clima globali guidati da quella Greta Thunberg che affrontava a muso duro proprio Donald Trump, poi le piazze locali – come in Italia – riempite in ogni città di giovani di Fridays For Future decisi a chiedere a politici e governi di agire subito contro le emissioni e ancora le proteste dei 100 mila di Glasgow, alla COP26, dove sotto le bandiere di Extinction Rebellion migliaia di giovani, ma anche adulti, manifestavano per il clima. Oppure i raduni dei giovanissimi, come quelli di Milano dei “Youth4Climate” e tutte quelle proteste diffuse dall’Africa sino agli Usa passando per la Conferenza sul clima in Egitto. Erano tempi di colore e di cartelli, poi il Covid ha azzerato tutto. Senza più la possibilità di radunarsi e far sentire un coro unico, i movimenti dell’onda verde si sono spenti e disgregati: alcuni sono passati alla politica, come molti giovani di Fridays che hanno provato a candidarsi con i partiti, altri alle azioni forte ed eclatanti, come le vernici di Ultima Generazione o i blitz di Extinction Rebellion, supportati anche da nuove costole fatte di adulti laureati, come Scientist Rebellion.
Il programma
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Nel frattempo i teatri chiave delle proteste, le COP climatiche dove chiedere davanti ai leader del mondo di agire per rispettare l’Accordo di Parigi e restare sotto i +1,5 gradi, si sono trasformati in palcoscenici silenziati: con tre Conferenze di fila in Paesi regni dei combustibili fossili e dei diritti negati, dall’Egitto fino agli Emirati Arabi del petrolio o l’Azerbaijan del gas, la voce dell’onda verde si è così trasformata letteralmente in un tiepido mugugno. Proprio a Baku, nel nuovo clima di repressione, i movimenti hanno sì protestato, ma solo con versi e con la mano sulla bocca per non incorrere in sanzioni e arresti. Il nuovo scenario globale, dagli Usa di Trump che escono dall’Accordo di Parigi sino ai disegni legge italiani repressivi nei confronti delle proteste e all’attenzione mediatica tutta rivolta esclusivamente sulle guerre, ha poi fatto il resto: i movimenti verdi oggi esistono ancora ma appaiono oggi frazionati, depotenziati, perennemente in attesa di riprendere forza.
Eppure, racconta un interessante ricerca apparsa su Nature, in un studio basato su 130mila intervistati di 125 Paesi è emerso come l’89% delle persone in tutto il mondo vorrebbe che si facesse di più per proteggere il clima e crede nella necessità di continuare questa battaglia. Ma, e questo fa parte anche del cortocircuito dei movimenti, gli stessi intervistati hanno raccontato di presumere – erroneamente – che altre persone non sostengano questa necessità. Addirittura il 69% delle persone si è detto disposto a contribuire con l’1% del proprio reddito personale pur di sostenere azioni e norme pro-clima, ma non avendo più la sensazione che ci sia un’onda globale unita pronta a battersi contro l’avanzata del surriscaldamento planetario – che nel frattempo è peggiorato – queste stesse persone restano inermi, come se attendessero che il pulsante della lotta venga riacceso chissà da chi. La speranza, e qui sta la buona notizia, è che una serie di nuovi fattori oggi potrebbero presto riaccendere la luce e riunire le varie facce della protesta climatica in modo da stimolare i governi a una azione concreta. Ci sono infatti una serie di “aumenti” che oggi uno dopo l’altro stanno portando nuova corrente alla ripresa dei movimenti: in primis la crescita delle persone e degli attivisti che, dagli Usa sino all’Europa, dai campus sino alle piazze si stanno unendo per combattere le politiche di negazione e smantellamento della scienza di Trump. E poi la fiducia, crescente, che il nuovo Papa Leone XIV possa dare nuova linfa all’impegno climatico iniziato da Bergoglio, così come l’attenzione in ascesa nei confronti di quella che sarà, dopo anni, la prima Cop fuori dai petrol-stati e che si svolgerà al contrario nel cuore della sofferente Amazzonia, in Brasile. Questi aspetti, uniti alle evidenze dell’aumento delle temperature, degli incendi e la siccità, degli eventi estremi e della perdita di biodiversità, potrebbero rilanciare la forza dell’onda verde, a un patto però: per dare nuova linfa ai movimenti serve assolutamente anche il coinvolgimento delle nuovissime generazioni, di quei i teenager e giovanissimi che, dopo l’onda di Greta, oggi faticano a scendere in prima linea nella lotta per il clima. LEGGI TUTTO