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    Gli eventi meteorologici estremi impoveriscono i terreni agricoli e senza fosforo aumentano i prezzi

    Gli eventi estremi, ripetono ormai da tempo gli esperti, potrebbero diventare sempre più frequenti con i cambiamenti climatici, aumentando il rischio per i territori. Tra le forme di distruzione apparentemente meno visibili (per ora) c’è la perdita di fosforo dai terreni, lavato via dalle acque torrenziali. Un fenomeno che oggi appare particolarmente preoccupante negli Usa, spiega un team che ha coordinato una ricerca internazionale e pubblicato sulla rivista scientifica Pnas. Sul suolo americano, infatti, negli ultimi anni, i terreni agricoli si sono impoveriti a causa del processo di degradazione del suolo, soprattutto per quello che riguarda il fosforo.

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    Africa, nell’ultimo mezzo secolo il 77% di elefanti in meno

    Sono gli animali terrestri più grandi al mondo, e sono anche altamente intelligenti e cooperativi. Ma purtroppo non se la passano bene. Parliamo degli elefanti africani, la cui popolazione – come attesta uno studio appena pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences da parte di un gruppo di scienziati del CEscape Consultancy Services sudafricano – ha subito uno spaventoso declino nell’ultimo mezzo secolo, con una diminuzione media del 77% in tutti i siti oggetto dell’osservazione.

    In particolare, gli autori del lavoro hanno osservato un calo demografico medio del 70% per gli elefanti di savana (Loxodonda africana) e del 90% per gli elefanti di foresta (Loxodonta cyclotis), dati non certo promettenti per il futuro delle due specie.

    Animali

    La difficile tutela degli elefanti africani: troppi in Zimbabwe e in estinzione altrove

    di Cristina Nadotti

    15 Giugno 2024

    Lo studio appena pubblicato è il più ampio mai condotto sul tema: gli scienziati hanno analizzato dati relativi a 475 diversi siti, sparsi in 37 nazioni africane, raccolti a cadenza periodica tra il 1964 e il 2016. “La maggior parte della popolazione perduta non tornerà indietro”, ha commentato a Reuters George Wittemyer, docente di conservazione della fauna selvatica alla Colorado Staete University, capo del board scientifico del gruppo Save the Elephants e co-autore del lavoro, “e molte delle popolazioni a basa densità devono affrontare ulteriori pressioni che le mettono in difficoltà. Probabilmente perderemo altre popolazioni in futuro, se non prendiamo subito dei provvedimenti”. Due i principali responsabili: il bracconaggio – molti elefanti vengono uccisi per l’avorio delle loro zanne, poi venduto ed esportato illegalmente in Asia – e le esigenze agricole, che “rubano” habitat agli elefanti.

    Crisi climatica

    La Namibia autorizza gli abbattimenti di elefanti, zebre e altri animali per affrontare fame e siccità

    di Giacomo Talignani

    29 Agosto 2024

    L’unico elemento positivo emerso dallo studio è che, nonostante il dato globale evidenzi molto chiaramente il calo demografico, nei siti in cui sono state messe in atto azioni di protezione e conservazione si è osservato un andamento opposto, il che sostiene l’idea che sforzi di questo tipo possano effettivamente cambiare le cose. Mentre nei siti dell’Africa settentrionale e centrale – principalmente in Mali, Ciad e Nigeria – si è registrata una diminuzione particolarmente significativa del numero degli elefanti, in molti siti dell’Africa meridionale le popolazioni sono aumentate fino al 42%.

    “È un vero successo, in particolare i dati osservati in Botswana, Zimbabwe e Namibia, nazioni i cui governi hanno gestito in maniera più attenta e attiva la questione”, ha concluso Whittmayer. “Gli elefanti non sono soltanto una delle specie più intelligenti sul pianeta, ma hanno anche un ruolo incredibilmente importante negli equilibri degli ecosistemi africani, soprattutto per il loro ruolo nella dispersione dei semi: alla loro sopravvivenza è legata la sopravvivenza di molte altre specie”. LEGGI TUTTO

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    Sandro Greblo: “La mia vita da rider in cargobike”

    Pedalare come scelta, anche per lavoro. È l’esperienza raccontata in Vita da cargobike (ed. Meravigli) da Sandro Greblo, corriere in bicicletta della startup di delivery sociale So.De. Un diario di bordo che fotografa la incontri con le persone, Milano vista da due ruote, con idee e riflessioni tra una pedalata e l’altra. E soprattutto una tetsimonianza che oggi delivery etico, ai tempi della Gig Economy, è possibile.

    Qual è il ruolo della sostenibilità nel suo percorso di crescita?
    “La mia infanzia è stata quella di un bambino fortunato perché, oltre ad avere una famiglia sempre molto presente, sono cresciuto nel quartiere Milano 2: è stato pensato per separare i percorsi di pedoni, ciclisti e auto e pertanto un esempio illuminato per gli anni Settanta. La sostenibilità l’ho scoperta lì forse, ma allora il tema non era ancora così presente nell’agenda pubblica, l’ho scoperto ben più tardi, dai primi anni 2000”. LEGGI TUTTO

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    Due sorelle e una startup: “Trasformiamo gli scarti tessili in idee sostenibili”

    In dialetto brianzolo “pulvera” significa “polvere”. Per questo Eleonora e Beatrice Casati l’hanno scelta per battezzare la loro startup che sfrutta la polverizzazione ottenuta dal riutilizzo delle fibre tessili e dei loro avanzi per realizzare materiali innovativi e soluzioni di design. “Siamo cresciute – spiega Eleonora Casati- in Brianza, tra Monza e Lecco, circondate dalla natura e dalla tranquillità della campagna. I nostri ricordi d’infanzia sono legati a paesaggi verdi, agli animali e alle lunghe passeggiate. Ultime di quattro fratelli, ci divertivamo spesso a immaginare il nostro negozio, ci piaceva sognare di avere un piccolo spazio tutto nostro o a pensare a come sarebbe stata la nostra casa ideale in campagna. La passione per la natura ha radici anche nella nostra famiglia: nostra madre adorava gli oli essenziali, mentre nostro padre, con il suo pollice verde, trovava sempre un momento per piantare fiori in giardino, soprattutto rose inglesi. La natura era per lui un rifugio sicuro, un modo per allontanarsi dalle preoccupazioni. L’amore e il rispetto per l’ambiente ci è stato trasmesso e oggi sentiamo forte il legame con il nostro territorio, che cerchiamo di valorizzare e proteggere ogni giorno.”

    Il riuso dei materiali tessili parte da lontano, grazie all’idea del bisnonno Celso Casati. “Erano gli anni Quaranta – continua Beatrice Casati – quando da disegnatore presso la Tessitura Perego di Renate, spinto dalla curiosità e dalla creatività, portò a casa con sé alcuni scarti della cimatura del velluto della stessa fabbrica tessile. Applicò quella polvere ai paralumi che disegnava lui stesso, per regalare loro una struttura tridimensionale e un e?etto più chic: aveva scoperto le potenzialità della polvere ottenuta dalla lavorazione di fibre di vario tipo e, insieme a suo figlio Angelo Angelo, nostro nonno, creò la Casati Flock & Fibers nel 1952.

    Pulvera, invece, si propone ai brand che non hanno tempo, strumenti o idee su come riutilizzare i propri scarti tessili e fornisce loro la soluzione. La polvere di scarto può essere utilizzata nella produzione di carta, plastica e in altri settori, non come semplice rivestimento tradizionale, ma come materiale da incorporare direttamente negli impasti per la creazione di nuovi composti, spesso riducendo la quantità di materiali vergini”.

    Il nostro obiettivo è quello di ridurre l’impatto ambientale dell’industria tessile fornendo soluzioni creative e concrete. Crediamo che, unendo le forze, sia possibile ripensare il sistema produttivo in chiave circolare, offrendo soluzioni concrete che rispondano alle esigenze ambientali e che contribuiscono a costruire un futuro più sostenibile per l’intero settore.

    Tra i progetti di design delle sorelle Casati c’è Cremino, un pouf sostenibile. “Nasce – racconta Eleonora Casati- dalle cover tessili dei materassi destinati alla discarica. Questi materassi, che sarebbero avviati a essere inceneriti, vengono invece riciclati per realizzare una seduta a strati che ricorda il famoso cioccolatino. La base, la parte fondamentale, è un agglomerato di scarti di cover di materassi polverizzate: sono recuperate, sanificate, sfilacciate e successivamente polverizzate. Il risultato è una polvere che assomiglia a batuffoli, il cui colore grigio-azzurro deriva dagli scarti stessi. L’idea del progetto Cremino è quella di dimostrare come da un oggetto di scarto, un materasso, si possa ottenere a qualcosa di nuovo senza dover sfruttare ulteriori risorse e materiali”.

    Eleonora e Beatrice Casati, con il pouf ottenuto da Pulvera tramite il riuso degli scarti tessili  LEGGI TUTTO

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    E se dalla plastica si ottenesse sapone?

    La gestione dei rifiuti di plastica è una delle grandi sfide ambientali dei nostri giorni. Si tratta infatti di un materiale che impiega moltissimo tempo a degradarsi e trovare dei modi innovativi per riciclarlo ci permetterebbe di risolvere almeno in parte il problema. Proprio su questo fronte, un gruppo di ricercatori e ricercatrici coordinato da […] LEGGI TUTTO

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    Dai rifiuti ai braccialetti, così 4Ocean ha ripulito mari e fiumi da 18 milioni di chili di plastica

    L’infinita lotta all’inquinamento da plastica è fatta di piccoli e speranzosi successi così come di enormi costanti passi indietro. Sappiamo tutti, dal sud est asiatico fino al Mediterraneo, quanto questo materiale – se mal gestito – possa essere dannoso per mari ed ecosistemi. Tra microplastiche che sono ormai presenti in ogni organo del corpo umano e grandi detriti che contribuiscono alla morte di centinaia di specie marine, l’avanzata dei rifiuti plastici fatica ancora oggi ad essere arginata. Alcune realtà però – come l’organizzazione 4Ocean – che mischia business a volontariato – hanno compiuto vere e proprie imprese a livello di pulizia: di recente, sui social network, il gruppo ha dichiarato di essere riuscito a rimuovere dal 2018 ad oggi ormai 18 milioni di chilogrammi (40 milioni di libbre) di plastica da oceani, fiumi e coste del mondo, soprattutto grazie all’aiuto di migliaia di persone e attivisti.

    Un traguardo eccezionale per l’associazione nata nel 2017 dalla visione di due surfisti e appassionati di mare, Alex Schulze e Andrea Cooper, che dopo aver visto la gigantesca quantità di plastica presente sulle spiagge di Bali hanno deciso di agire. Nel tempo, dopo aver coordinato operazioni di pulizia dalla Florida al Guatemala sino all’Asia, l’attenzione su 4Ocean è costantemente cresciuta anche grazie alla vendita di quei braccialetti, fatti con plastica recuperata dal mare, i cui proventi sono serviti poi proprio per promuovere le operazioni di rimozione di plastica dagli oceani. Uno dei motti dell’azienda è proprio “One pound promise”, ovvero la promessa – come minimo – di rimuovere mezzo chilo di plastica per ogni braccialetto venduto (in alcuni casi si parla anche di 5 chili).

    Parte della forza di 4Ocean, sia nel coinvolgere i volontari sia nel riuscire ad organizzare grandi operazioni di pulizia nel mondo, sta anche in una forte strategia comunicativa ampliata nel tempo sui social network, strategia che ha portato al supporto di oltre 200 professionisti e a un coordinamento di un movimento globale che ormai opera sette giorni a settimana, rimuovendo quasi 9mila chili di rifiuti al giorno. Inoltre, per monitorare l’andamento dei recuperi e del riciclo, viene utilizzato il sistema Trash Tracker, database che offre uno sguardo trasparente su cosa si sta effettivamente facendo. Ora, grazie al lancio di 4Ocean Foundation (la parte no-profit inaugurata nel 2024) i fondatori puntano ad aumentare le collaborazioni con privati, Ong e fondazioni nel tentativo di ripulire sempre più plastica e, come ha spiegato Alex Schulze, “siamo solo all’inizio: vogliamo costruire un’economia circolare per i materiali recuperati dagli oceani. Ogni passo ci avvicina a un Pianeta più pulito e a un oceano più sano”.

    Innovazione

    In Puglia il primo stabilimento della startup britannica che combatte le microplastiche

    di  Gabriella Rocco

    21 Novembre 2024

    Se per la parte “pulizia” arrivano segnali incoraggianti nella lotta all’inquinamento, in quella a monte del problema, ovvero la produzione di plastica vergine, ci sono ancora però molte incongruenze. Di recente per esempio si è scoperto che alcune grandi multinazionali che hanno firmato patti e alleanze contro l’inquinamento da plastica, in realtà nel tempo hanno “prodotto 1.000 volte più plastica di quanta ne abbiano ripulita” sostiene un report di Alliance to end plastic waste parlando di “passo indietro”. Un grande freno alla piaga da inquinamento plastico potrebbe però arrivare fra il 25 novembre e il 1 dicembre quando a Busan, in Sud Corea, si riuniranno delegati e leader internazionali per un nuovo negoziato sul trattato globale sulla plastica. Durante la quinta e ultima sessione del Comitato intergovernativo di negoziazione per il trattato internazionale “giuridicamente vincolante sull’inquinamento da plastica (INC-5)” potrebbero infatti arrivare le prime e necessarie risposte su come gestire, prima che sia davvero troppo tardi, “l’intero ciclo di vita della plastica, dalla produzione al riciclo sino alla gestione dei rifiuti”. LEGGI TUTTO

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    Un’etichetta per misurare quanto inquinano i vestiti

    Da uno a cinque, quanto inquinano i vostri vestiti? E in particolare, quante microplastiche perdono? In un futuro non molto lontano potrebbe essere abbastanza semplice rispondere alle domande, grazie al lavoro di Sophia Murden e Lisa Macintyre, due ricercatrici della Heriot-Watt University che hanno messo a punto una sorta di etichetta per classificare il grado […] LEGGI TUTTO