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    Haworthia: coltivazione, cura, fioritura e varietà più diffuse della pianta grassa da interno

    La Haworthia è una pianta grassa da interno sempre più popolare tra gli appassionati di piante succulente. Apprezzata per la facilità di coltivazione e la sua adattabilità agli ambienti domestici, è una delle scelte più indicate per chi desidera portare un tocco di verde in casa senza impegni eccessivi.
    Originaria del Sudafrica, la Haworthia si caratterizza per le foglie carnose disposte a rosetta, spesso attraversate da venature o striature bianche che ne accentuano l’aspetto ornamentale.

    Caratteristiche della Haworthia
    Appartenente alla famiglia delle Asphodelaceae, la Haworthia comprende oltre 150 specie. Le foglie sono compatte, succulente e di colore verde intenso o grigiastro. Alcune varietà mostrano trasparenze sulle punte, un adattamento evolutivo che permette alla luce di filtrare verso l’interno della pianta anche in ambienti ombreggiati.
    A differenza di molte altre succulente, la Haworthia cresce bene anche con luce indiretta, il che la rende ideale per appartamenti e uffici.

    Coltivazione della Haworthia
    La coltivazione della Haworthia è semplice, ma richiede alcune regole base. Partendo dal substrato, bisogna tenere conto di un aspetto fondamentale: deve essere ben drenante. Infatti, la miscela ideale è composta da terriccio per cactacee, sabbia e perlite o pomice, mentre il vaso deve avere un ottimo foro di drenaggio, perché il ristagno d’acqua è la principale causa di marciume radicale (nemico di quasi tutte le piante).

    Le annaffiature devono essere moderate: in primavera ed estate si irriga ogni 10–15 giorni, solo quando il terreno è completamente asciutto. In inverno si può sospendere quasi del tutto.

    Haworthia: esposizione e temperatura
    La Haworthia preferisce un ambiente luminoso ma non esposto al sole diretto, che può provocare macchie sulle foglie. Le posizioni migliori sono vicino a finestre rivolte a est o ovest.

    È una pianta che tollera bene le temperature domestiche (tra i 18 e i 25°C) e resiste a brevi periodi di freddo, purché non si scenda sotto i 10°C. In estate può vivere anche all’aperto, purché riparata dai raggi diretti nelle ore più calde.

    Come prendersi cura della Haworthia e come mantenerla
    La cura della Haworthia è minima ma costante. Non è difficile da gestire, ma è chiaro che ha bisogno di piccole attenzioni da ricordare. Ad esempio, è particolarmente consigliato rimuovere periodicamente la polvere dalle foglie, rinvasare ogni due anni (in primavera) e somministrare un concime liquido per succulente ogni 30 giorni durante la stagione di crescita.

    Una Haworthia curata mantiene foglie turgide e colorazione uniforme; se la pianta dovesse tenere a sbiadire o se le foglie dovessero afflosciarsi, potrebbe essere sintomo di una irrigazione troppo abbondante o di una poca esposizione alla luce.

    Fioritura della Haworthia
    La fioritura di questa meravigliosa succulenta avviene in genere tra la primavera e l’estate. La Haworthia produce sottili steli floreali con piccoli fiori bianchi o verdastri dall’aspetto semplice ma grazioso, che talvolta possono anche raggiungere i 30cm di altezza. Non si tratta di una fioritura appariscente, ma rappresenta un indicatore di buona salute e di condizioni di coltivazione ottimali.

    Le varietà di Haworthia più diffuse
    Tra le varietà più conosciute di Haworthia e quelle maggiormente reperibili nei vivai e garden center troviamo:

    Haworthia fasciata: è la specie più popolare, che presenta foglie rigide e striature bianche trasversali;
    Haworthia attenuata: molto simile ma con foglie più sottili e una crescita più compatta;
    Haworthia cooperi: presenta foglie traslucide e tondeggianti;
    Haworthia cymbiformis: dalle foglie a forma di barchetta e un verde brillante.

    Tutte facili da gestire, perfette anche per chi è alle prime armi con il giardinaggio indoor. Le giuste attenzioni, il giusto tempo, la giusta cura e il giusto amore: sono queste le regole da seguire.

    Perché scegliere una Haworthia per la casa
    Scegliere una pianta di Haworthia significa scegliere sia l’aspetto ornamentale, sia l’aspetto sostenibile. È una pianta che si adatta bene a ogni tipo di ambiente, non richiede cure complesse, occupa poco spazio e contribuisce anche a migliorare la qualità dell’aria negli ambienti chiusi. Non solo, perché grazie alla sua estetica decorativa, è oggi considerata una delle piante da interno più consigliate per chi ha voglia di introdurre un angolo verde sempre curato senza troppa fatica. È la scelta giusta: più Haworthia per tutti. Anche in ufficio. LEGGI TUTTO

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    Miniere sottomarine: una minaccia per la catena alimentare negli oceani

    I rifiuti scaricati dalle attività minerarie in acqua profonde rappresentano una grave minaccia per il già delicato equilibrio degli ecosistemi marini. A lanciare l’allarme è oggi un nuovo studio coordinato dall’Università delle Hawaii a Manoa, secondo cui appunto l’estrazione dei minerali nelle profondità nell’oceano Pacifico potrebbe compromettere la vita marina nella cosiddetta zona crepuscolare, o mesopelagica, un’area compresa tra i 200 e i 1.500 metri sotto il livello del mare che ospita una sorprendente varietà di forme di vita, dai minuscoli krill ai pesci, calamari, polpi e meduse. Lo studio è stato pubblicato su Nature Communcations.

    I rischio dell’attività mineraria
    Per valutare gli effetti dei rifiuti minerari sugli ecosistemi marini, i ricercatori si sono focalizzati sulla Clarion-Clipperton Zone (Ccz), un’enorme area dell’oceano Pacifico diventata nota ultimamente per la presenza sul fondale di grandi giacimenti minerari, e in particolare di noduli (concrezioni) polimetallici, ossia ricchi di minerali critici, come rame e cobalto. Un’area, quindi, che potrebbe essere destinata all’estrazione mineraria in acque profonde, processo che consiste appunto nel prelevare i noduli polimetallici, producendo al contempo sedimenti di scarto, contenenti acqua e le particelle dei noduli polverizzate, che una volta rigettati in mare danno vita a pennacchi torbidi che possono avere impatti significativi sulla vita marina.

    Crisi climatica

    Clima, appello di Guterres a Cop30: “Obiettivi più ambiziosi o conseguenze devastanti”

    di Giacomo Talignani

    28 Ottobre 2025

    I sedimenti diluiscono le particelle cibo
    Analizzando campioni d’acqua raccolti nella zona mesopelagica in cui sono stati scaricati i rifiuti minerari nel 2022, durante una sperimentazione mineraria nella Ccz, i ricercatori hanno scoperto che le particelle di scarto hanno le stesse dimensioni delle particelle di cibo che normalmente vengono ingerite dallo zooplancton che nuota a quelle profondità. L’esposizione ai rifiuti, quindi, porterebbe a una denutrizione di questi piccoli organismi che costituiscono i principali elementi nutritivi dell’oceano, con il potenziale di sconvolgere l’intera catena alimentare.

    “La nostra ricerca suggerisce che i pennacchi minerari non solo creano acqua torbida, ma alterano anche la qualità del cibo disponibile, soprattutto per gli animali che non riescono a nuotare via facilmente”, ha spiegato il co-autore Jeffrey Drazen. “È come riversare calorie vuote in un sistema che ha funzionato con una dieta ben calibrata per centinaia di anni”.

    Biodiversità

    Oceani sempre meno verdi, negli ultimi 20 anni è diminuito il fitoplancton

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    17 Ottobre 2025

    Dagli oceani alla nostra tavola
    I risultati del nuovo studio sollevano preoccupazioni sugli effetti a lungo termine che potrebbero verificarsi se l’attività di estrazione mineraria proseguisse su larga scala in assenza di adeguate misure di salvaguardia ambientale. Senza considerare che la pesca del tonno del Pacifico opera proprio sulla Ccz, e potrebbe quindi avere un impatto negativo sui pesci che finiscono sulle nostre tavole. “L’estrazione mineraria in acque profonde non è ancora iniziata su scala commerciale, quindi questa è la nostra occasione per prendere decisioni consapevoli”, ha commentato Brian Popp, tra gli autori dello studio.

    Biodiversità

    Una spugna carnivora tra le nuove 30 specie trovate negli abissi dell’Oceano Antartico

    di Pasquale Raicaldo

    04 Novembre 2025

    La speranza, quindi, è che lo studio possa contribuire a orientare le decisioni normative attualmente in fase di elaborazione da parte dell’International Seabed Authority e della statunitense National Oceanic and Atmospheric Administration. “Prima di avviare l’attività mineraria commerciale in acque profonde è essenziale valutare attentamente la profondità a cui vengono scaricati i rifiuti minerari”, ha concluso Drazen. “Il destino di queste colonne di rifiuti minerari e il loro impatto sugli ecosistemi oceanici varia a seconda della profondità, e uno scarico improprio potrebbe causare danni alle comunità, dalla superficie al fondale marino”. LEGGI TUTTO

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    Il clima che cambia e viaggi in aereo: turbolenze più frequenti e voli cancellati

    Uragani diventati più violenti e persistenti; ondate di calore e piogge intense che possono danneggiare piste e hangar; incendi. La crisi climatica non è solo ambientale, ma anche una sfida per la sicurezza degli aeroporti e per l’efficienza dell’aviazione mondiale. A preoccupare sono soprattutto gli eventi meteorologici estremi dovuti al riscaldamento globale che provocano infatti turbolenze maggiori e, di conseguenza, costi sempre più elevati a causa delle manovre fatte per evitarle; delle interruzioni dei servizi e della manutenzione richiesta. A rivelarlo uno studio svolto dal gruppo di ricerca internazionale guidato dal Laboratorio di Meteorologia Dinamica dell’Istituto francese Pierre Simon Laplace (Lmd-Ipsl), al quale ha partecipato anche l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma. I dati, pubblicati sulla rivista Weather and Climate Dynamics, sottolineano quanto sia ormai necessario che il traffico aereo globale si adatti al clima in trasformazione.

    Voli cancellati
    I ricercatori guidati dall’italiana Lia Rapella dell’Istituto francese hanno analizzato alcuni grandi eventi meteorologici che negli ultimi anni hanno avuto un forte impatto sui voli e sulle infrastrutture aeroportuali.

    Ma la ricerca ha analizzato altri grandi eventi meteoreologici che, negli ultimi anni, hanno avuto un forte impatto sui voli e sulle infrastrutture aeroportuali. Tra questi la tempesta Poly, nel luglio 2023, la prima nel suo genere a raggiungere l’Europa interessando Belgio, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito; il complesso di tempeste nordamericane del febbraio 2023 che, con grandine, neve e forti venti, attraversò gran parte degli Stati Uniti; il tifone Hinnamnor, nell’agosto 2022, che colpì Giappone, Corea del Sud e altre aree dell’Asia orientale. Facendo un confronto le analisi hanno mostrato una netta intensificazione delle tempeste con il passare degli anni, caratterizzate da venti sempre più forti e turbolenze sempre più estese. Ciò aumenta i rischi soprattutto nelle fasi di decollo e atterraggio.

    Un problema globale
    “Le nostre analisi mostrano che le tempeste che interessano oggi i principali aeroporti del mondo sono più intense e caratterizzate da maggiore velocità del vento e turbolenza rispetto al passato” ha spiegato Tommaso Alberti, ricercatore dell’INGV e co-autore dello studio.

    “L’aumento di intensità di queste tempeste è strettamente legato al riscaldamento globale: atmosfera e oceani più caldi forniscono maggiore energia e umidità, alimentando la crescita e l’intensificazione di questi sistemi di tempesta, ma anche modificando i loro percorsi tipici” ha continuato il ricercatore. “Tutto ciò non comporta solo minore comfort per i passeggeri, ma anche costi operativi più elevati: volare in aree turbolente o evitarle richiede, infatti, più carburante e comporta maggiori spese di manutenzione. Inoltre – aggiunge Alberti – la chiusura temporanea di un aeroporto a causa di una tempesta, anche solo per poche ore, può avere ripercussioni sociali ed economiche considerevoli”. LEGGI TUTTO

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    Quel grido di dolore degli Stati insulari destinati a scomparire

    Tra gli oltre 190 Paesi che si riuniranno alla Cop30 c’è una serie di Stati che non lotta solo per adattarsi al nuovo clima, ma direttamente per evitare di scomparire per sempre. Dal 1900 ad oggi il livello medio dell’innalzamento del mare è stato di 1,5 millimetri all’anno: alcuni popoli dell’entroterra risentono solo marginalmente di questo cambiamento ma per le piccole nazioni insulari è un impatto devastante, la più grande sfida che hanno davanti. E così il paradiso delle Maldive, per esempio, sta diventando un inferno dato che l’80% delle sue isole è a meno di 1 metro sopra il livello del mare e anche un minimo innalzamento significa salinizzazione dei terreni e perdita della possibilità di coltivare, oppure erosione costiera o inquinamento delle fonti d’acqua. Qui, entro la fine del secolo, il livello alle attuali tendenze aumenterà di quasi 7 centimetri: gran parte delle Maldive sarà dunque inabitabile.

    North Tarawi a Kiribati, una delle isole a rischio (foto: Josh Haner / The New York Times)  LEGGI TUTTO

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    Dall’Africa all’India, le vere vittime chiedono giustizia

    Arriveranno in Amazzonia da continenti che bruciano, si allagano o si svuotano. Dall’Africa che perde fino al 5% del proprio Pil annuale a causa di disastri climatici, all’India che affronta la stagione più calda della sua storia, fino all’America Latina frammentata e contraddittoria nella scelta delle politiche ambientali. È il Sud del mondo che avanza verso Belém con la stessa richiesta che accompagna ogni conferenza Onu sul clima: giustizia. Ma la Cop30 arriva in un contesto diverso. L’Occidente è distratto e politicamente stanco, mentre i Paesi emergenti cercano di occupare il vuoto di leadership lasciato dagli Stati Uniti e dall’Europa.

    La presidenza brasiliana della Conferenza, guidata dal diplomatico André Corrêa do Lago, promette “la Cop più inclusiva di sempre”. In realtà, una parte consistente della società civile del Sud rischia di restare fuori: voli troppo costosi, alberghi esauriti o inaccessibili, accrediti tagliati. “L’inclusività è ancora basata su quanto hai in tasca”, riassume Marina Agortimevor, coordinatrice dell’Africa Just Transition Network.

    Piccole delegazioni
    Per molti attivisti, la Cop in Amazzonia doveva rappresentare una rinascita dopo tre edizioni ospitate in Paesi autoritari — Egitto, Emirati, Azerbaigian — che avevano ridotto al minimo la partecipazione dal basso. Invece, le delegazioni del Sud arrivano a Belém più piccole e più indebitate. Alcune organizzazioni africane hanno dovuto rinunciare a mandare i propri rappresentanti, altre dividono i pochi badge ricevuti tra la prima e la seconda settimana di lavori. “È un fallimento di pianificazione, non di geografia”, ha detto Rachitaa Gupta, della rete globale Demand Climate Justice. La sensazione diffusa è che l’inclusione resti uno slogan, non ancora una pratica. E questo pesa, perché proprio la presenza del Sud del mondo – attivisti, ricercatori, comunità indigene – è la chiave di legittimità di una Cop che vuole rimettere al centro il multilateralismo.

    Finanziamenti fantasma
    Sul piano politico, il nodo resta sempre lo stesso: i soldi. I Paesi ricchi avevano promesso nel 2009 di mobilitare almeno cento miliardi di dollari all’anno per sostenere mitigazione e adattamento nei Paesi vulnerabili. Non ci sono mai riusciti davvero, e la distanza tra promesse e realtà si è allargata. Oggi i flussi di finanza climatica verso il Sud coprono meno di un decimo del fabbisogno stimato. Secondo Oxfam e CARE, nel 2025 le risorse per l’adattamento potrebbero addirittura diminuire, fermandosi a 26 miliardi di dollari contro i 40 necessari solo per onorare l’impegno assunto a Glasgow quattro anni fa. La presidenza brasiliana punta a fare di Belém “la Cop dell’adattamento”: un pacchetto di misure per fissare indicatori comuni, misurare i progressi nei settori più vulnerabili — acqua, cibo, salute — e definire un nuovo obiettivo di finanziamento stabile.

    Operai edili impegnati nella costruzione dell’impianto solare a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo  LEGGI TUTTO

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    L’Italia 16esima nella classifica dei Paesi più colpiti dalla crisi del clima

    BELÉM (Brasile) – All’improvviso, proprio mentre stava iniziando la Cop30, in Brasile un tornado è passato sulla città di Rio Bonito e l’ha letteralmente rasa al suolo. Nel frattempo, nelle stanze dei negoziati, i delegati filippini con gli occhi lucidi ricevevano notizie del bilancio mortale del tifone Fung-wong. Il clima uccide, in ogni istante e ovunque. Nessun Paese è risparmiato dall’intensificazione degli eventi meteo estremi causati dalla crisi climatica e l’Italia lo sa bene. Per gli effetti della siccità in Sicilia o Sardegna, le alluvioni dall’Emilia Romagna alle Marche, per le frane e i distacchi dei ghiacciai sulle Alpi l’Italia è oggi al sedicesimo posto nella classifica degli stati del mondo più colpiti dalla crisi climatica nell’ultimo trentennio (1995-2024). Il nostro anno peggiore è stato il 2023, ma anche le ondate di calore del 2024 sono state altamente mortali e in Europa attualmente per impatti siamo dietro soltanto alla Francia (dodicesima).

    Cop30

    Jennifer Morgan: “Sul climate change non ci devono essere divisioni politiche”

    di Luca Fraioli

    10 Novembre 2025

    A rivelarlo è il Climate Risk Index, l’indice realizzato dall’organizzazione umanitaria e ambientale Germanwatch che attraverso i dati storici e accessibili relativi a 9700 fra gli eventi climatici più impattanti degli ultimi trent’anni ha definito il rischio di esposizione delle nazioni davanti agli eventi di quel riscaldamento globale che, ad esclusione di Stati Uniti, San Marino e Myanmar, tutti i delegati del mondo stanno ora provando ad affrontare cercando soluzioni concrete a Belém. Solo relativamente a quasi 10mila eventi meteo estremi avvenuti negli ultimi trent’anni sono morte oltre 830mila persone. La causa principale sono le ondate di calore, seguite da tempeste e alluvioni, fenomeni diventati più intensi e frequenti per le emissioni antropiche e tali da aver causato danni economici per 4500 miliardi di dollari in tre decadi. Ci sono condizioni – come in Italia – in cui sono posizione geografica o fragilità dei territori a rendere gli stati più vulnerabili, ma è soprattutto nel Sud del mondo e nelle aree popolose meno sviluppate dove il clima diventa spesso più letale.

    Finanza climatica

    Cop30, il piano di Lula per salvare le foreste del mondo

    di Giacomo Talignani

    07 Novembre 2025

    Il 40% di tutte le persone del globo vive infatti attualmente negli undici Paesi più duramente colpiti da eventi estremi, quasi sempre realtà meno abbienti. Per esempio in India (9°posto) o Filippine (7°) e al momento sul podio di questa sfortunata classifica in vetta c’è la Dominica seguita da Myanmar e Honduras. Anche le grandi potenze mondiali però sono nella parte alta della lista: la Cina che oggi va a trazione rinnovabile e sta diventando leader nella battaglia climatica è all’11esimo posto, mentre gli Stati Uniti del negazionista Donald Trump, convinto che il global warming sia una “truffa”, sono diciottesimi. Trump non intende affrontare la questione climatica, ma gli stati americani sì: ieri è arrivato a Cop il governatore della California Gavin Newsom per ricordare che l’atteggiamento della Casa Bianca è semplicemente “stupido” e pericoloso. Se ovunque sta avvenendo una intensificazione, alcuni stati sono “colpiti ripetutamente” rileva inoltre il rapporto, come per esempio Haiti “impattato con tale regolarità che intere regioni riescono a malapena a riprendersi dagli impatti fino all’evento successivo” afferma Vera Künzel, coautrice del report.

    E spesso, sono proprio le realtà insulari le più a rischio. L’intero indice fa riferimento a impatti avvenuti poco prima, nel 2024, del superamento di una soglia critica, quella dei famosi +1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Ora che siamo già oltre se non troveremo il modo di fermare le emissioni gli eventi diventeranno più devastanti e toccheremo punti di non ritorno come la perdita delle barriere coralline, lo sconvolgimento di Antartide e Groenlandia, la decaduta della foresta amazzonica. Non a caso, domani, migliaia di indigeni arriveranno a Belém con ogni tipo di imbarcazione: l’obiettivo è ricordarci che la crisi del clima uccide la natura e le persone, a cominciare dall’Amazzonia. LEGGI TUTTO

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    Il bonus fiscale per il fotovoltaico anche per i pannelli da balcone

    Bonus fiscale per il fotovoltaico senza limiti per la dimensione dell’impianto. L’agevolazione è ammessa infatti anche per i pannelli da balcone che oggi stanno diventando sempre più conveniente grazie ai prezzi in calo e alla possibilità di avere la batteria di accumulo direttamente integrata. Con la detrazione del del 50% e il taglio della bolletta l’investimento si recupera in poco più di due anni. Il risparmio in bolletta e la detrazione consentono di rientrare dall’investimento in soli due anni.

    Prezzi in calo e accumulo integrato
    I pannelli da balcone sono sul mercato da un po’ ma la vera novità di questi ultimi mesi è la batteria di accumulo che ormai molti produttori ora integrano nei kit, un vantaggio che si accompagna ai prezzi in calo. Un kit completo da 800W, quello con due pannelli e il microinverter incluso, oggi si trova tra 600 e 900 euro. Qualche mese fa gli stessi sistemi costavano il 30% in più. A spingere verso il basso i listini è stata la crescita della concorrenza e la standardizzazione dei componenti. Le batterie di accumulo con una capacità tra 1,5 e 2 kWh, immagazzinano l’energia prodotta di giorno per renderla disponibile successivamente. Per ottenere il massimo, in sostanza, non è più necessario coordinare il consumo con il momento di massima produzione del pannello, si possono tranquillamente utilizzare gli elettrodomestici anche la sera. La differenza è sostanziale: senza accumulo una famiglia può arrivare ad autoconsumare non più del 75% dell’energia prodotta; con l’accumulo si supera il 90%. I pannelli hanno una durata garantita di 25 anni con una perdita di efficienza inferiore all’1% annuo. Le batterie al litio mantengono l’80% della capacità dopo 3.000 cicli di carica, equivalenti a circa 10 anni di utilizzo quotidiano. Anche sostituendo la batteria dopo un decennio, il vantaggio è evidente.

    Le regole per avere il bonus
    L’agevolazione del 50% rientra tra quelle previste per le ristrutturazioni edilizie. Nell’ambito delle norme l’installazione degli impianti che si basano su fonti di energia rinnovabile sono una categoria a sé. Troviamo quindi anche la possibilità di avere il bonus fotovoltaico che copre tutte le installazioni di pannelli di questo tipo, e delle evitabili batterie di accumulo. Nessuna differenza rispetto agli impianti più grandi. La detrazione, infatti, ha un limite per quel che riguarda la potenza massima, che non può superare i 20 Kw di potenza, ma non ci sono limiti per quanto riguarda le installazioni che garantiscono comunque la produzione di energia ad uso degli impianti domestici. L’unica condizione per l’agevolazione è la certificazione della messa a norma e l’invio della Comunicazione unica, pratica della quale si fa carico l’installatore. Ovviamente anche in questo caso ai fini della detrazione è obbligatorio il pagamento con il bonifico dedicato alle detrazioni fiscali.

    I numeri reali del risparmio
    Un kit da 800W installato con esposizione a Sud produce mediamente 1.100 kWh all’anno. In inverno la produzione scende a 1,4 kWh al giorno, in estate sale a 3 kWh. Con l’accumulo, una famiglia di quattro persone riesce ad autoconsumarne 990 kWh invece dei 825 senza batteria. Con un costo dell’energia di 0,27 euro al kWh (valore medio tutto compreso), i conti sono questi:
    · Produzione annua: 1.100 kWh
    · Autoconsumo con accumulo (90%): 990 kWh
    · Risparmio annuo in bolletta: 267 euro

    A questo si aggiunge la quota annuale della detrazione fiscale: 70 euro all’anno per dieci anni (il 50% di 1.400 euro diviso dieci). Si arriva così ad un risparmio complessivo annuo di 337 euro. Senza accumulo il risparmio annuo scende a 268 euro e il rientro si allunga di qualche mese, ma resta sotto i tre anni. LEGGI TUTTO