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    Ondate di calore più intense e meteo estremo sono dovuti ai grandi produttori di carbonio

    “Il cambiamento climatico ha reso più probabili e intense 213 ondate di calore nel periodo 2000-2023”. Non solo: al fenomeno “ha contribuito in modo sostanziale ciascuna delle 180 principali fonti di carbonio”, (aziende statali e private che estraggono combustibili fossili o producono di cemento). Le durissime affermazioni che posano una nuova pietra miliare nella “scienza dell’attribuzione”, la disciplina che calcola quanto le emissioni umane di gas serra contribuiscano all’innesco dei singoli eventi meteo estremi, sono contenute in uno studio che è diventato la copertina di Nature e condotto da un team dell’Eta, il Politecnico di Zurigo.

    “A causa del riscaldamento globale dal 1850 al 1900, la media delle ondate di calore nel periodo 2000-2009 è diventata circa 20 volte più probabile e circa 200 volte più probabile nel periodo 2010-2019”, scrivono gli autori della ricerca. “Nel complesso, un quarto di questi eventi sarebbe stato praticamente impossibile senza il cambiamento climatico”.

    Sul “banco degli imputati” emettitori grandi e piccoli: “I principali produttori di carbonio (l’ex Unione Sovietica, la Repubblica Popolare Cinese per il carbone, Saudi Aramco, Gazprom, ExxonMobil, Chevron, National Iranian Oil Company, BP, Shell, l’India per il carbone, Pemex, CHN Energy, la Repubblica Popolare Cinese per il cemento) rappresentano il 30% delle emissioni totali cumulative di CO? di origine antropica, circa quanto le altre 166 principali aziende del carbonio messe insieme (27%)”.

    Secondo i ricercatori svizzeri, “nel periodo 2000-2009 il cambiamento climatico ha aumentato l’intensità media delle ondate di calore di 1,36 °C, di cui 0,44 °C sono attribuibili ai principali emettitori di carbonio e 0,22 °C alle altre 166. Nel periodo 2010-2019 invece, l’influenza del cambiamento climatico è aumentata a 1,68 °C, con 0,47 °C (28%) dalle principali emissioni di carbonio e 0,38 °C (22%) dalle altre 166: tali emissioni dunque hanno contribuito a circa la metà dell’aumento dell’intensità delle ondate di calore dall’epoca preindustriale”.

    Ma oltre ad accrescerne l’intensità, i principali produttori di carbonio hanno anche aumentato la probabilità di tutte le ondate di calore: “Per i produttori di carbonio con emissioni più basse, i contributi sono limitati a un aumento del 10% della probabilità preindustriale. Tuttavia, ci sono ondate di calore che i principali produttori di carbonio hanno reso almeno 10.000 volte più probabili rispetto ai livelli preindustriali, e che sarebbero state praticamente impossibili senza l’influenza antropica”.

    Perché è così importante questo studio? Perché consacra su una rivista prestigiosa come Nature la scienza dell’attribuzione, creando un legame diretto tra le emissioni di singole aziende e il verificarsi di eventi meteo estremi. “Gli studi precedenti hanno preso in considerazione principalmente le emissioni di persone e paesi. Questa volta ci concentriamo sui grandi emettitori di carbonio”, spiega Yann Quilcaille, co-autore dell’articolo. Si tratta di aziende che hanno una responsabilità particolare: hanno perseguito principalmente i loro interessi economici, pur sapendo fin dagli anni Ottanta che bruciare combustibili fossili avrebbe portato al riscaldamento globale”.

    “Il collegamento – dagli eventi meteorologici ai cambiamenti climatici, e dai cambiamenti climatici ai singoli emettitori – che studi come questo definiscono ridisegneranno il modo di intendere la responsabilità, e potrebbe diventare la base per le azioni legali e politiche volte a responsabilizzare gli inquinatori”, commenta Davide Faranda, direttore di ricerca presso il Cnrs di Parigi e fondatore di Climameter, un consorzio internazionale di scienziati specializzato nell’attribuzione degli eventi meteo estremi. “Questa disciplina ha fatto grandissimi progressi dal suo esordio, nel 2003 dopo l’ondata di calore che colpì l’Europa, e in particolare la Francia”, continua il ricercatore italiano. La procedura che si segue, ormai consolidata, consiste nel cercare eventi simili a quello da ‘attribuire’, che si siano verificati con le emissioni attuali di gas sera e con emissioni a livello pre-industriali. Il risultato di queste analisi sono statistiche molto robuste, che permettono di valutare l’impatto delle attività umane sulle ondate di calore, ma, più di recente, anche su perturbazioni atlantiche e tempeste tropicali”.

    Basterà a inchiodare i pero-Stati e le compagnie dell’oil&gas alle loro responsabilità storiche nelle aule di tribunale? “Vedo almeno due problemi”, risponde Faranda. “Il primo punto su cui ho delle riserve, come altri colleghi, è il seguente: l’evento preso in considerazione si sarebbe verificato comunque anche solo con quella fetta di emissioni relative a una specifica azienda? Perché se invece è l’insieme delle emissioni ad aver innescato l’ondata di calore, non si potrà fare causa al singolo emettitore ma a tutti quelli che hanno contribuito. L’altro aspetto controverso riguarda la gestione locale del territorio, che può contribuire enormemente ai danni arrecati da un evento meteo estremo. Nell’alluvione di Valencia del novembre 2024, per esempio, le persone sono morte certamente perché il riscaldamento globale ha aumentato l’intensità delle piogge, ma anche perché l’argine era solo su una sponda del fiume e l’allarme è stato dato in ritardo”. E qui la questione smette di riguardare gli scienziati per investire legislatori e giuristi climatici. LEGGI TUTTO

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    Stufa o caldaia, cambiarla ora conviene: ecco perché

    Spazio al riscaldamento a legna e pellet per la transizione energetica. Nel nuovo Piano nazionale sulla qualità dell’aria c’è una sezione ad hoc con nuovi bonus per favorire il passaggio agli impianti più efficienti. Di qui a fine anno, poi, si può contare anche sui bonus regionali che sommati ai contributi del Conto Termico consentono […] LEGGI TUTTO

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    Il riscaldamento globale favorisce un maggior consumo di zuccheri dannosi alla salute

    L’elenco delle conseguenze che il riscaldamento globale potrebbe avere sul nostro pianeta e sulla nostra salute continua ad allungarsi. Secondo i risultati di uno studio appena pubblicato su Nature Climate Change l’aumento delle temperature potrebbe infatti favorire una maggiore assunzione di zuccheri, dovuta soprattutto al consumo di bevande zuccherate e dessert congelati, come semifreddi e […] LEGGI TUTTO

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    Aster “settembrini”: coltivazione, cura e potatura

    Noti con il nome di settembrini, gli aster incantano con i loro meravigliosi fiori simili alle margherite e colorati dalle sfumature del viola, fucsia, rosa, azzurro, blu e bianco. La loro fioritura va dalla tarda estate a ottobre, illuminando così il grigiore autunnale, un aspetto che li rende estremamente apprezzati, tenendo conto che in questo periodo molte piante sono prossime invece al riposo invernale. Questa romantica pianta perenne e rustica impreziosisce giardini e terrazzi: oltre alla sua bellezza e alla fioritura prolungata e abbondante, tra i suoi punti di forza spiccano anche la resistenza notevole e la facile manutenzione. Coltivare i settembrini in vaso e giardino è semplice, come anche prendersene cura, assicurandosi con semplici accorgimenti una loro crescita rigogliosa.
    Aster e l’esposizione: cosa sapere
    Bellezza, eleganza, colore e resistenza si fondono negli aster, meravigliosi fiori appartenenti alla famiglia delle Asteraceae. Questa varietà è originaria di America settentrionale, Asia e Europa e comprende molte specie, che si differenziano tra di loro in tanti aspetti, come colore e portamento. Tra queste sono comprese ad esempio l’aster alpino, dai fiori viola e blu, l’aster pink star, sui delicati toni del rosa, e l’aster oblongifolium, che si distingue per i suoi piccoli fiori rosa-lavanda. L’aster va seminato tra marzo e maggio e fiorisce tra la fine dell’estate e l’autunno inoltrato.

    Conosciuta anche come margherita di S. Michele o astro, questa pianta perenne prospera in pieno sole, malgrado cresca comunque in caso di un’ombra moderata. Il settembrino si sviluppa in modo rigoglioso se riceve 6-8 ore di sole diretto al giorno e nei luoghi molto ombrosi potrebbe non fiorire. Seppur prediliga climi temperati, sopporta il freddo, anche temperature sottozero, aspetto che dimostra la sua robustezza. I suoi nemici sono l’umidità e i ristagni idrici, dovendo essere protetto dalle correnti d’aria.

    Anche se la pianta si adatta ai diversi tipi di suolo, preferisce un terreno ben drenato, con ph neutro, fertile e leggero. Visto che i ristagni rappresentano una minaccia per i settembrini, è consigliabile aggiungere sabbia oppure perlite nel substrato per migliorare il drenaggio.

    Coltivazione in giardino e vaso dell’aster
    Oltre che resistenti, i settembrini si prestano ad abbellire giardini, aiuole, bordure e terrazzi e sono anche semplici da coltivare e curare. Per quanto riguarda la semina in piena terra, i semi vanno posti in un luogo soleggiato e in un terreno drenato, interrandoli a una bassa profondità, compresa tra 0,5 e 1 centimetro, facendo così in modo che la luce ne faciliti la germogliazione. Tra i semi va lasciata una distanza di circa 8 centimetri. Successivamente, per garantire una crescita vigorosa, è necessario diradare le piantine per poi distanziare le piante adulte tra i 30 e 45 centimetri.

    Gli aster possono essere coltivati anche in vaso, dovendo però in questo caso prediligere delle varietà nane, in modo tale da scongiurare problematiche a livello di spazio. Il vaso utilizzato deve essere capiente, dotato di fori di drenaggio e sul fondo bisogna posizionare uno strato di argilla espansa per contrastare i ristagni di acqua. I semi vanno interrati a una profondità di 0,5-1 centimetro e il vaso va posto in un ambiente areato, con un clima moderato e in un punto soleggiato o semiombreggiato. Se necessario bisogna dedicarsi alle operazioni di rinvaso in primavera, ricorrendo a un recipiente poco più grande. Avendo bisogno di molta luce, i settembrini si sviluppano meglio se coltivati esternamente, anche se crescono comunque negli interni.

    Cura degli aster: consigli utili
    Nonostante siano molto resistenti, i settembrini necessitano di alcuni accorgimenti nella loro cura. Per quanto riguarda le irrigazioni bisogna tenere conto di come non tollerino i ristagni idrici, responsabili di muffe e marciume radicale: proprio per questo, vanno evitate le annaffiature quotidiane e tra una e l’altra è importante verificare sempre prima che il terreno sia asciutto. Le irrigazioni vanno potenziate in estate, facendo sì però che il terreno non sia zuppo, a differenza dell’inverno, periodo in cui diradarle. Ogni 15 giorni è possibile ricorrere a del fertilizzante liquido per piante da fiore da diluire nell’acqua per fornire il giusto nutrimento alla pianta e ottenere una fioritura ottimale.

    Per mantenere gli aster in salute, preservarne la robustezza e assicurarsi una loro fioritura abbondante, è necessario dedicarsi alle operazioni di potatura. In primavera si procede ad eliminare le parti danneggiate, la vegetazione in eccesso e i germogli incrociati e sottili, per migliorare la circolazione dell’aria. Dopo la fioritura, in tardo autunno si rimuovono gli steli secchi.

    Altri accorgimenti nella cura dell’aster
    Nella manutenzione dell’astro bisogna mettere in campo i giusti accorgimenti per quanto riguarda le malattie e i parassiti. La pianta è incline al mal bianco, fungo determinato da una cattiva circolazione dell’aria e da troppa umidità, che si presenta sotto forma di muffa biancastra su foglie e steli. Per eliminare questa problematica si deve ricorrere a fungicidi ad hoc o prodotti a base di zolfo e rimuovere le foglie infette. In ottica di prevenzione, è importante non bagnare eccessivamente la pianta e assicurarsi che abbia una buona circolazione dell’aria.

    Il settembrino è anche soggetto ad altre malattie fungine, come ruggine e marciume radicale, che insorgono per via dell’umidità eccessiva, dovendo migliorare il drenaggio, ridurre le annaffiature e usare fungicidi specifici. Inoltre, l’astro è incline all’attacco di acari tipicamente quando il clima è secco e caldo, come il ragnetto rosso, e delle lumache, responsabili di tagli e buchi sulle foglie. In questi casi bisogna intervenire prontamente con soluzioni naturali, come sapone molle potassico oppure olio di neem, o pesticidi specifici. LEGGI TUTTO

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    Nel Mare del Nord le alghe coltivate tra le turbine eoliche

    Nel freddo mare del Nord, a 18 km al largo delle coste olandesi, c’è un connubio inedito tra tecnologia e agricoltura marina. Si chiama Hollandse Kust Zuid, è il più grande parco eolico offshore del mondo costruito senza finanziamenti pubblici, che produce energia pulita e cibo. Alghe per l’esattezza. Questo innovativo esperimento di transizione verde, è stato sviluppato in un contesto protetto dall’intenso traffico navale e dalla presenza dell’uomo. Lì, si estende il North Sea Farm 1, una coltivazione sperimentale di alghe che copre cinque ettari in mare. Un luogo scelto dall’organizzazione no-profit North Sea Farmers, (con il sostegno di 2 milioni di euro dal Right Now Climate Fund di Amazon) che ha integrato l’agricoltura marina nelle infrastrutture offshore esistenti.

    Una sfida tecnica non da poco, visto che siamo in mare aperto. E che il mare del Nord, ha correnti molto forte, onde alte diversi metri, ed è piuttosto profondo. La scelta però è stata ben meditata, perché se l’area costiera è più facile da gestire, per contro ha uno spazio limitato. Ma l’obiettivo del North Sea Farm è trovare soluzioni per scalare la produzione nei prossimi 10-20 anni. Ed i risultati immediati sembrano già piuttosto promettenti. Le alghe crescono bene e velocemente, mentre le turbine eoliche dell’impianto fanno il loro lavoro, producendo energia dal vento che soffia forte.

    L’iniziativa non è solo un banco di prova per la sostenibilità economica delle coltivazioni offshore, ma anche per il loro impatto ecologico. Le alghe, infatti, sono note per la loro capacità di assorbire CO? e favorire la biodiversità marina, creando un habitat ideale per diverse specie.

    Fisco verde

    Un aiuto alle imprese per installare pannelli solari e impianti mini-eolici

    di Antonella Donati

    09 Luglio 2025

    E se North Sea Farm 1 sta dimostrando la fattibilità, sono tanti altri i progetti a livello europeo che indagano le potenzialità della blue economy. Tra questi c’è il progetto Ultrafarms che si concentra sulla scalabilità e l’efficienza, puntando a superare quegli ostacoli tecnici ed economici che ancora frenano la diffusione degli allevamenti offshore. Si cerca di capire, ad esempio, se allevare alghe e cozze sia redditizio a livello economico, tanto da giustificare il premio richiesto dalle compagnie per assicurare gli impianti in mare aperto. Inoltre il progetto sta anche sperimentando sensori subacquei e strumenti digitali per consentire la gestione a distanza degli impianti, un requisito indispensabile per le operazioni in mare aperto.

    Facendo un passo indietro a North Sea Farm 1, nei Paesi Bassi, gli esperti sono convinti che la coltivazione in mare aperto potrebbe rappresentare un’alternativa più sostenibile rispetto alla raccolta spontanea di alghe, che è già adottata da diverse industrie europee. Le alghe, infatti, potrebbe essere trasformate e sostituire la plastica degli imballaggi, i fertilizzanti e pesticidi. D’altronde con la crescente domanda di sostenibilità in ogni settore industriale, l’idea d’integrare l’eolico offshore con l’acquacoltura potrebbe diventare un elemento chiave della transizione ecologica in Europa, dove esistono anche altri esempi eccellenti.

    I temi

    Rinnovabili, il solare va bene mentre l’eolico vola

    di Luca Fraioli

    04 Giugno 2025

    Il Progetto di ricerca OLAMUR, che sta per Offshore Low-Trophic Aquaculture in Multi-Use Scenario, si concentra sull’acquacoltura multitrofica integrata all’interno dei parchi eolici offshore; un sistema di allevamento in mare che imita un ecosistema naturale, creando una vera e propria catena alimentare artificiale. Invece di coltivare una sola specie, come avviene nell’acquacoltura tradizionale, alleva diverse specie che si “aiutano” a vicenda, trasformando i rifiuti di un organismo in risorsa per un altro.

    Il sito pilota si trova nel parco eolico di Kriegers Flak, che, estendendosi tra le acque tedesche e danesi, rappresenta l’area ideale per un’innovazione transfrontaliera. L’iniziativa non si limita alla semplice coltivazione; il suo obiettivo è anche raccogliere dati scientifici per capire come questi ecosistemi agricoli marini interagiscono con l’ambiente circostante. In Germania, la ricerca si sta focalizzando anche sulla compatibilità di altre specie ittiche, come il merluzzo, per comprendere se possano coesistere in modo sostenibile con le infrastrutture eoliche.

    In Spagna, invece, sull’isola di Gran Canaria, c’è il progetto innovativo Aquawind, in cui l’elemento centrale è l’integrazione di gabbie per l’acquacoltura direttamente nelle piattaforme eoliche, e si sta sperimentando l’allevamento di specie ittiche di alto valore commerciale, come orate e ricciole. La scelta di queste specie riflette un approccio orientato al mercato, con l’obiettivo di rendere il modello economicamente sostenibile. LEGGI TUTTO

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    Refiberd, la startup californiana che con l’AI migliora il riciclo dei tessuti

    Il futuro della moda sostenibile si basa sull’innovazione. Le imprese che lavorano per trovare soluzioni virtuose per l’industria oggi saranno quelle che guideranno il domani. Tra le startup innovative che si impegnano per creare un’industria migliore nella moda, per fare un passo avanti verso la sostenibilità e promuovere un’economia circolare al 100%, emerge Refiberd.

    Tutorial

    Tessuti sostenibili: quali sono e come sceglierli

    02 Agosto 2025

    Vincitrice dell’eBay Circular Fashion Fund e del Trailblazer programme del Global Fashion Summit 2025, l’azienda californiana fondata nel 2020 da Sarika Bajaj e Tushita Gupta, ha sviluppato una tecnologia di identificazione della composizione tessile che combina imaging iperspettrale ad alta definizione e intelligenza artificiale. Questa innovazione ottimizza la catena di riciclo dei tessuti, migliora l’autenticazione degli indumenti per la rivendita e garantisce una migliore tracciabilità dei materiali.

    “Attualmente, gli scarti di abbigliamento si accumulano in tutto il mondo con scarse possibilità di essere riciclati, a causa di miscele di materiali complesse che non si scompongono facilmente per essere trasformate in qualcos’altro. Non solo, la maggior parte delle etichette dei capi di abbigliamento sono etichettate in modo errato, rendendo più difficile per i riciclatori tessili sapere con cosa stanno lavorando. Con Refiberd utilizziamo l’imaging iperspettrale e l’intelligenza artificiale per esaminare e classificare la composizione dei materiali degli indumenti in modo che possano essere finalmente riciclati”. Ha raccontato alla stampa la Ceo Sarika Bajaj.

    Ricerca

    Olio di semi di cotone per tessuti idrorepellenti senza Pfas né formaldeide

    di Sara Carmignani

    21 Agosto 2025

    “Sarti e artigiani locali attori chiave”, come funziona il modello Refiberd
    La tecnologia (in attesa di brevetto) permette di posizionare il tessuto in oggetto sotto una telecamera iperspettrale che rileva il modo in cui la luce interagisce con i materiali: materiali diversi assorbono e riflettono la luce in modo diverso in base alla loro composizione chimica, consentendone l’identificazione. I dati raccolti sul tessuto sono combinati in un cubo iperspettale ed elaborati da un modello di apprendimento automatico, che produce una previsione del materiale del tessuto. LEGGI TUTTO

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    Come coltivare una pianta di oleandro

    L’oleandro, Nerium oleander, è senza dubbio una delle piante ornamentali più affascinanti e diffuse nei nostri giardini e terrazzi. I suoi fiori vivaci e le foglie sempreverdi incantano lo sguardo, ma nascondono un dettaglio che va conosciuto: l’oleandro è velenoso in tutte le sue parti. Coltivarlo non è complesso, perché richiede pochi interventi durante l’anno e cure molto semplici. Originario dell’Asia, l’oleandro ormai cresce in modo del tutto spontaneo nel territorio del mediterraneo. Si riconosce per le sue foglie ovali lunghe e di colore verde scuro (tipica la nervatura centrale), per i suoi rami tinti di verde brillante e naturalmente per i suoi fiori dai colori brillanti (dal bianco, rosa e persino rosso).

    Coltivazione e cura dell’oleandro: in vaso e/o in terra
    Coltivare l’oleandro è piuttosto semplice. Questa pianta, infatti, può essere tenuta sia in vaso, sia in terra e fatta eccezione per i primi due anni, durante i quali si dovrà essere un po’ più attenti dal punto di vista dell’irrigazione, una volta che le radici avranno attecchito per bene, l’arbusto riuscirà a resistere anche nei periodi di siccità intensa.
    Se si sceglie la coltivazione in vaso, basterà avere a mente un paio di informazioni essenziali. Intanto, bisognerà scegliere contenitori ampi, profondi e con fori di drenaggio. Sul fondo, sarà utile disporre una giusta quantità di argilla espansa e poi coprire con del terriccio ben drenato. Il vaso consigliato è di circa 40 cm di diametro; in questo modo l’oleandro crescerà sano e forte. Essendo una pianta termofila ed eliofila, il sole è il suo migliore amico. Non è un caso, infatti, che abbia bisogno di almeno 6-8 ore di luce diretta al giorno, utile per garantire fioriture abbondanti.

    Dove piantare l’oleandro
    Che si tratti di una coltivazione in vaso o in terra, l’oleandro deve essere piantato in una zona dal clima temperato. Come ogni pianta, anche lui teme i ristagni d’acqua, che causano marciume radicale, mentre per quanto riguarda il freddo, è piuttosto “fragile”. Durante le stagioni invernali e davanti a temperature particolarmente rigide, l’oleandro potrebbe soffrire, perciò va protetto. Se ci si trova in zone dove le piogge sono frequenti, il consiglio è sempre lo stesso: coprire la pianta con un telo specifico già a partire dal mese di ottobre ed esporla poi di nuovo con la nuova primavera. In zone molto fredde, invece, l’oleandro cresce meglio in vaso; in questo modo spostarlo sarà più semplice, ma l’attenzione per quanto riguarda l’irrigazione sarà maggiore.

    Infine, ma non per importanza: le radici dell’oleandro sono invasive? In vaso, no: limitate dallo spazio. In terra, sviluppano un apparato radicale vigoroso ma non marcatamente invasivo. Per tenerlo come “nano” o arbusto contenuto, la coltivazione in vaso è la scelta ideale.

    Annaffiatura dell’oleandro: cosa sapere
    L’oleandro non richiede troppe attenzioni, ma quelle base sì. Ad esempio, per quanto riguarda l’annaffiatura, basta sapere che se coltivato a terra l’impegno sarà minimo. Durante i primi anni di crescita (estate soprattutto), questa pianta dai fiori meravigliosi dovrà essere irrigata almeno due volte al mese. Superata questa fase, l’irrigazione diventerà più sporadica.
    Se coltivata in vaso, invece, l’irrigazione sarà maggiore e seguirà le fasi della vita della pianta. A partire dalla primavera, annaffiare l’oleandro diventerà un impegno un po’ più “regolare”. È infatti in questo periodo dell’anno che il substrato terroso sarà più asciutto, elemento fondamentale dal punto di vista del rischio del ristagno radicale.

    Quando e come potare un oleandro
    La potatura dell’oleandro va effettuata con cura, poiché si tratta di una pianta velenosa in tutte le sue parti. Vanno dunque adottate tutte le precauzioni del caso e utilizzate di conseguenza le giuste attrezzature (guanti da giardiniere, cesoie, abiti che coprano braccia e gambe). Il periodo migliore per potare questa bellissima pianta è il post-fioritura, quindi sia durante la stagione autunnale, sia verso la fine dell’inverno.
    Potare l’oleandro è molto semplice: si può procedere con il tagliare i vecchi rami dalla radice, ma dopo il periodo successivo alla fioritura si consiglia sempre di tagliare al di sopra del nodo fogliare, oppure tagliare i rami della pianta di un terzo. In questo modo non solo si renderà l’aspetto migliore, ma si contribuirà a favorire una crescita più rigogliosa per il futuro.
    Se l’oleandro è coltivato in vaso, la potatura cambia. In questo caso la pianta sarà da potare subito dopo la fioritura, tagliando tutti rami fioriferi di almeno la metà.

    Oleandro: malattie e parassiti
    L’oleandro può essere minacciato da funghi e parassiti, facilmente riconoscibili se si osservano bene foglie e rami. Tra le malattie fungine, la maculatura provoca chiazze irregolari e caduta delle foglie, la fumaggine annerisce la superficie fogliar, la rogna, favorita da potature errate, riduce la fioritura, mentre il cancro rameale, trasmesso da attrezzi infetti, causa escrescenze sui rami.
    Tra gli insetti, il ragnetto rosso intreccia sottili ragnatele e succhia la linfa, mentre la cocciniglia (le foglie gialle sono un indizio), visibile sotto le foglie, provoca ingiallimenti e caduta. Per prevenire, essenziale evitare ristagni d’acqua e garantire un buon drenaggio.

    Quanto è velenoso l’oleandro? Le caratteristiche della pianta
    L’oleandro contiene glicosidi cardioattivi, detti cardenolidi, tra cui oleandrina, oleandrigenina, digitoxigenina e altri, che agiscono sul muscolo cardiaco rallentando o alterando il battito, e possono causare aritmie, iperkaliemia e insufficienza cardiaca. Tutta la pianta è tossica: foglie, fiori, rami, radici, semi, corteccia, e persino l’acqua in cui restano immersi rami o fiori può diventare velenosa. I fumi derivati dalla combustione dell’oleandro sprigionano sostanze tossiche per inalazione.

    Basta che un bambino ingerisca una sola foglia perché l’intossicazione risulti fatale; negli adulti, l’ingestione di poche foglie (2-5) può scatenare sintomi seri, mentre 10-20 foglie possono causare la morte. Attenzione anche agli animali; bastano due foglie per arrecare gravi disturbi a un cane di 10 kg, mentre una dose di 30 g è letale per un bovino o un cavallo.

    Tra i sintomi da avvelenamento più frequenti: nausea, vomito, dolori addominali, confusione, cefalea, bradicardia o tachicardia, aritmie, fino ad arresto cardiaco, coma o morte. Il contatto con linfa o lattice può causare irritazioni cutanee e oculari.

    Prezzo e varietà dell’oleandro
    Il prezzo dell’oleandro in vaso varia in base a varietà, dimensioni e condizioni: piante sane, con foglie verdi e prive di macchie, in vasi ben drenati, costano di più. In generale, un oleandro “nano” o già formato per terrazzi può costare da circa 10 a 30 €, ma prezzi più elevati si hanno per varietà ibride o più grandi (dati indicativi, può variare a seconda dei vivai locali e la zona).

    Esistono diverse varietà: fiori rosa, bianchi, gialli, anche stradoppi o variegati; alcune sono più resistenti alle malattie, altre offrono fioriture più abbondanti. Esteticamente parlando, sono tutte meravigliose. LEGGI TUTTO

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    Riciclo creativo: creare vasi con oggetti da buttare

    Quando si parla di piante, la scelta dei vasi in cui farle prosperare ricopre un ruolo cruciale. Il recipiente in cui si andranno a coltivare non svolge solo uno scopo funzionale, ma anche estetico, incidendo in modo significativo sull’aspetto generale della pianta e dell’ambiente. Se si possiedono vecchi oggetti oppure materiali inutilizzati, un’idea originale e pratica è sicuramente quella di riciclarli adibendoli a vasi per le proprie piante: in questo modo si compie una scelta ecologica, grazie alla quale ridurre la mole dei rifiuti. Ricavare dei vasi dagli oggetti da buttare rende più sostenibili le nostre vite e infonde anche un tocco ricercato agli spazi. Di seguito approfondiamo una serie di idee di riciclo creativo facili e d’impatto con cui realizzare dei vasi fai da te originali.

    Creare vasi con oggetti da buttare
    Per abbellire gli spazi, le piante rappresentano sempre una soluzione ottimale, vista la loro capacità di portare bellezza e colore in ogni luogo, rendendolo più accogliente, curato e suggestivo. Se poi si coltivano le piante in vasi riciclati creati da oggetti che altrimenti butteremmo potremmo contare su pezzi unici, personalizzati, creativi e funzionali. Con questo semplice gesto si evitano gli sprechi e si riducono i rifiuti prodotti.

    Oltre a permetterci di seguire uno stile di vita più sostenibile, questa scelta porta vantaggi anche a livello economico, evitando di comprare nuovi recipienti, e dal punto di vista estetico regala originalità agli ambienti. Ricavare un vaso da un oggetto di recupero è una via intelligente, con cui ottenere una soluzione cucita su misura, adatta alle esigenze della pianta e dello spazio in cui è collocata. Inoltre, questa attività fai da te è divertente, fantasiosa e stimolante, consentendoci di sbizzarirci con tante idee di riciclo creativo. Guardando all’universo degli oggetti domestici da riciclare per creare vasi per piante home made, le possibilità sono davvero variegate.

    Tazze e tazzine
    Per dare forma a dei vasi frutto del riciclo creativo si può ricorrere a tazze o tazzine vecchie, rotte oppure spaiate, trasformandole in graziosi recipienti. Questi oggetti possono accogliere piante di piccole dimensioni, succulente, piante grasse e aromatiche. Ci basta riempire la tazza, ponendo sul fondo dell’argilla espansa per poi aggiungere del terreno ben drenato e sistemare la piantina scelta. Con questa soluzione di riciclo molto decorativa si ottengono dei mini vasi originali, sostenibili, eleganti e retrò. Per garantire un migliore drenaggio si può anche forare il fondo della tazzina con una puntata diamantata per ceramica. Al pari di tazze e tazzine, si possono ricavare vasi di riciclo da vecchi oggetti di uso quotidiano come ciotole, brocche e bicchieri.

    Lattine
    Altra idea di riciclo funzionale e creativa è ricorrere alle lattine vuote, trasformandole in vasi suggestivi. Essendo cilindriche, alte e sottili, queste danno vita a vasi scenografici, infondendo uno stile moderno agli spazi. Prima di tutto si deve lavare con attenzione la lattina vuota, per poi procedere verniciando la sua superficie con un colore a scelta. Una volta che è totalmente asciutta si riempie di terra per poi collocare la piantina al suo interno.

    Bottiglie di plastica
    Dalle bottiglie di plastica si possono ricavare facilmente dei vasi fai da te versatili e sostenibili, con cui ridurre la mole dei rifiuti prodotti e contare su una soluzione molto decorativa. Per fare questo si procede tagliando la parte superiore della bottiglia, per poi dipingere la sua superficie e forare il fondo per garantire un buon drenaggio. In seguito si può aggiungere dell’argilla espansa o dei ciottoli e il terriccio e infine sistemare la piantina. Il vaso creato sarà pratico, leggero e d’impatto, perfetto per terrazzi e interni. Con le bottiglie di plastica è anche possibile realizzare un suggestivo orto verticale eco-friendly, da fissare a pareti o strutture.

    Flaconi vuoti dei detersivi
    I flaconi vuoti dei detersivi sono potenziali elementi green di riciclo, con cui dare forma a vasi creativi, pratici e sostenibili, grazie ai quali ridurre i rifiuti generati. Per iniziare si lava accuratamente il flacone, assicurandosi che sia completamente vuoto e non ci sia nessun residuo al suo interno. Si procede tagliando la parte superiore del contenitore, colorando poi il recipiente con vernici spray e decorandolo a piacere. In seguito, si pongono sul suo fondo ciottoli o argilla espansa per il drenaggio e si sistemano terreno e pianta scelta, potendo optare per un arbusto di medie dimensioni. Ideali per decorare giardini e terrazzi, questi vasi suggestivi fai da te si adattano agli esterni, ma anche agli interni. Come nel caso delle bottiglie di plastica, anche i flaconi dei detersivi possono essere anche impiegati per creare un orto verticale creativo.

    Vecchio annaffiatoio
    Se in un angolo della casa si trova un vecchio annaffiatoio invece che buttarlo questo può essere impiegato per realizzare un suggestivo vaso fai da te. Per farlo bisogna pulire l’oggetto con grande attenzione per poi personalizzarlo a piacere, verniciandolo e aggiungendo sul fondo dell’argilla espansa per il drenaggio, riempiendolo in seguito con la terra e la pianta. Il risultato sarà un vaso unico nel suo genere con cui abbellire gli spazi, donandogli un tocco rustico.

    Cassette di legno
    Per creare un angolo sostenibile e creativo un’idea molto decorativa è riciclare delle vecchie cassette di legno di frutta e verdura, dalle quali ottenere delle fioriere rustiche. Dopo averla pulita in profondità, la cassetta usata va carteggiata, facendo in modo di eliminare le schegge, per poi colorarla con una vernice spray. Una volta asciutta, bisogna porre sul fondo della juta in modo tale da evitare che l’umidità danneggi il legno. Si procede riempiendo la cassetta di terra e infine con le piante: ecco che la nostra fioriera è pronta per decorare terrazzi o giardini, abbellendo l’ambiente e rendendolo ricercato.

    Vecchie scarpe
    Per creare vasi fai da te originalissimi una possibilità è ricorrere a vecchie scarpe, che possono ospitare le piante, dando vita a fantasiosi recipienti. Dagli stivali alle scarpe da ginnastica, ricorrendo a calzature rovinate si possono creare dei vasi di riciclo adatti alle piante che amano l’umidità. Sul fondo della suola bisogna realizzare dei fori per garantire il corretto drenaggio e aggiungere dell’argilla espansa per poi inserire il terriccio e la pianta scelta. Questa soluzione divertente ed ecologica si presta per abbellire il giardino, potendo per esempio sistemare i vasi creati dalle scarpe lungo il viale o appendendoli a una staccionata.

    Mobili inutilizzati
    Se si desidera ricavare delle grandi fioriere è possibile impiegare mobili vecchi o che non si usano più. Per questo scopo si prestano bene sedie, comodini, bauli e cassetti, con cui realizzare delle fioriere rustiche e scenografiche, adatte a interni, terrazzi e giardini. Ad esempio si può impiegare una vecchia cassettiera, ricavando dai cassetti delle fioriere dove collocare le piante, dando vita a un suggestivo effetto a cascata. Per composizioni dallo stile shabby chic si possono utilizzare delle valigie vintage, ponendo sul fondo un telo impermeabile forato, per poi riempire di terra il contenitore e sistemare la pianta scelta. LEGGI TUTTO