Ridere per non piangere: la stand-up di Fill Pill, il “divulgatore coatto della sostenibilità”
Ha girato l’Italia in Flixbus per raccontare barzellette sulle province inquinate, “forte della sua appartenenza alla prima fascia Isee”. E ha anche conseguito un master in Gestione delle risorse energetiche, lavorato con i pescatori e nel settore delle rinnovabili, toccando con mano la complessità della transizione ecologica. Si chiama Fill Pill, al secolo Filippo Piluso: comico tra i più affilati della nuova scena italiana, ha trasformato il palco in una cattedra e la risata in un’arma per la “Divulgazione coatta ambientale”, come recita il titolo del suo nuovo tour prodotto da The Comedy Club e Future Proof Society, che partirà il 13 ottobre a Roma per portare dati scientifici e riflessioni scomode nelle piazze e nei teatri di tutta Italia.
Fill Pill, partiamo dalle tue vacanze. Di recente sei stato in viaggio come guida turistica negli slum di Nairobi. Lo scorso anno hai visitato i ghiacciai andini, cercando di evitare l’effetto “usa e getta”. Pensi che esista un turismo sostenibile?
“Un turismo completamente sostenibile non è possibile, dato che per i viaggi a media-lunga tratta resta comunque necessario salire su un aereo, che vuol dire contribuire in certa misura alle emissioni. Ma è comunque possibile ridurre il proprio “impatto” sul pianeta modificando alcuni comportamenti. Si possono scegliere destinazioni non gentrificate, o unire l’utile al dilettevole partecipando a progetti di sostenibilità, evitare di contribuire alle speculazioni. Insomma, c’è sempre il modo di essere più responsabili”.
Viaggi, show, musica, social media, eventi dal vivo, il nuovo tour che sta per cominciare: la tua vita, invece, è sostenibile?
“Anche in questo caso, sono io a provare a renderla più sostenibile. Cerco di trovare un equilibrio tra la parte “esteriore”, tutto quello con cui ho a che fare per lavoro, e la parte più intima, bilanciando carriera e vita privata. Quest’estate sono partito per la Sicilia e ho lasciato a casa lo smartphone, portando con me solo un telefono con chiamate ed sms, per “staccare” completamente. Di sicuro non baratterei mai la mia vita di oggi con quella di qualche anno fa, quando lavoravo in un contesto aziendale. Pur essendo più “esposto”, oggi ho la possibilità di gestire molto meglio il mio tempo e i miei spazi”.
Prima ancora di essere un comico, sei un musicista. Che differenze ci sono tra i due mondi e, onestamente, cosa ti diverte fare di più?
“Sono due mezzi espressivi molto diversi. La stand-up è più catartica per me, e credo di saperla fare meglio: non c’è una “quarta parete”, ho una risposta diretta da parte del pubblico, la vivo quasi come una liberazione. Come canale comunicativo, rispetto alla mia inclinazione, trovo la stand-up più diretta. Ma non saprei dire cosa mi piace di più: se dovessi scegliere con il cuore, risponderei la musica. Nella musica ho un’indole “da nerd” che coltivo da bambino. A differenza di quello che accade con la stand-up, nelle esibizioni musicali riesco a stare anche dietro le quinte, ad avere un ruolo quasi da “vassallo”. Cosa che non mi dispiace affatto”.
Sia sui social che dal palco interagisci molto con il tuo pubblico. Come gestisci questo rapporto, a volte anche spinoso?
“Esiste una certa dose di paura di affrontare e gestire interazioni complesse, soprattutto per il taglio da ‘attivista’ che caratterizza i miei spettacoli. Sento il rischio di ‘deludere’, di diventare una figura più politica che artistica. Con il tempo ho imparato con il tempo, soprattutto accettando che talvolta è il caso di ‘lasciar perdere’. Dal palco, poi, è tutto più facile, perché quando sono sul palco indosso una specie di maschera: nella vita ‘reale’ le cose sono naturalmente molto più complesse. C’è da dire che finora non sono mai incappato in interazioni particolarmente complicate, anche perché il mio pubblico è per la gran parte composto di persone che, più o meno, non hanno posizioni e sensibilità molto distanti dalle mie”.
Appunto: come si fa a “sfondare” la bolla per parlare anche a chi la pensa diversamente, come per esempio i negazionisti climatici?
“È possibile, ma è molto difficile. È un tema di cui si è occupata molto anche la comunità scientifica, studiando i condizionamenti e i bias che guidano certe inclinazioni, tra cui quelle del negazionismo. Io cerco di usare la logica, la razionalità e la forza dei dati, e li combino con l’umorismo e con l’ironia. Bisogna però essere predisposti a questo tipo di messaggi”.
A proposito del ruolo dell’ironia. Nel 1990 David Foster Wallace metteva in guardia contro i pericoli dell’ironia e del cinismo: in un’epoca in cui tutto è performance, l’ironia e il cinismo rischiano di diventare fini a sé stessi, di annullare le differenze, di far perdere lo spirito critico. Insomma, di “depotenziare” i problemi. Come la vedi?
“È un pericolo che esiste. Bisogna tener conto che le chiavi sono tante e diverse tra loro: l’umorismo è una cosa, la comicità un’altra, la satira un’altra ancora. Il ‘depotenziamento’ dei problemi seri a opera dell’ironia può aiutare, per l’appunto, a veicolare un messaggio o a rompere una bolla, ma può anche appiattire tutto a mero intrattenimento. Credo bisogni utilizzare gli strumenti dell’umorismo in maniera consapevole e cosciente. È uno dei possibili approcci, e non sempre è quello giusto”.
In realtà i tuoi spettacoli sono un misto di ironia, cinismo, dati ed evidenze scientifiche. Quanto conta essere evidence-based per avere la fiducia del pubblico?
“È fondamentale. E mi impone di non usare uno dei meccanismi base della comicità, il cherry picking (la fallacia logica in cui si “scelgono” solo le prove favorevoli alla propria tesi e si ignorano quelle contrarie, proprio come si sceglierebbero solo le ciliegie migliori da un paniere, ndr). Trattando temi scientifici, non posso permetterlo. Ma partendo dai dati è sempre possibile arrivare a paradossi e situazioni surreali: in questo modo riesco a preservare la solidità scientifica dei contenuti e allo stesso tempo a innescare l’effetto comico che cerco”.
Quali sono i tuoi principali riferimenti e ispirazioni tra gli stand-up comedian di lunga data?
“Tra i mostri sacri internazionali, direi George Carlin, Bill Burr, Dave Chappelle, Trevor Noah. Ma anche gli italiani: Giorgio Montanini, Filippo Giardina, Francesco De Carlo. E uscendo dagli stand-up comedian in senso stretto, Giorgio Gaber, Luciano De Crescenzo e Giobbe Covatta, che da tempo si occupa di temi simili ai miei”. LEGGI TUTTO