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    Carbon credit, la grande illusione: “Non riducono il riscaldamento globale”

    Altro che crediti di carbonio. Il meccanismo “premiale” usato da aziende e governi per dichiararsi neutrali rispetto alle emissioni sembra essere molto meno efficiente di quanto si pensasse, o si sperasse. A renderlo inefficace, secondo una revisione della letteratura scientifica sul tema appena pubblicata sulla Annual Review of Environment and Resources, sarebbero “problemi sistemici irrisolvibili” – ossia criticità intrinseche al meccanismo e non responsabilità di poche “mele marce” – che rischiano di minare l’impegno per il contrasto alla crisi climatica e gettano un’ombra scura su un mercato, il cosiddetto Voluntary Carbon Market (Vcm) che nel 2022 ha raggiunto il valore di 2 miliardi di dollari. Nel loro studio, gli autori, tre esperti della University of Pennsylvania, della University of California, Berkeley, della University of Oxford e della University of Sussex, hanno analizzato decenni di ricerche e dati, concludendo che la maggior parte dei programmi di compensazione del carbonio più diffusi “continua a sovrastimare enormemente il proprio probabile impatto climatico, spesso di un fattore da cinque a dieci o più”.

    In teoria, il meccanismo del carbon credit, o crediti di carbonio, è semplice. Un’azienda o un governo che emette gas serra può “compensare” le proprie emissioni acquistando crediti, per l’appunto, generati da progetti che riducono, evitano o rimuovono la CO2 dall’atmosfera in un altro luogo. Ogni credito dovrebbe corrispondere a una tonnellata di CO2 equivalente (CO2e) non emessa o rimossa: esempi tipici di questi progetti sono la prevenzione della deforestazione, la costruzione di impianti di energia rinnovabile o la cattura dei gas dalle discariche. A fronte dell’acquisto di questi crediti, le aziende si fregiano infine dell’etichetta di net-zero o carbon neutral, che applicano sui loro prodotti o servizi. A quanto pare, però, non è tutto oro quel che luccica. La ricerca appena pubblicata, infatti, ha evidenziato diversi difetti strutturali che hanno afflitto il mercato dei crediti di carbonio fin dalla sua nascita, nonostante i ripetuti tentativi di riforma, e hanno reso la pratica pressoché inefficace, o comunque molto meno efficace delle aspettative (e delle dichiarazioni). Il primo problema, e il più critico, sta nella cosiddetta addizionalità: un progetto, dicono gli esperti, è “addizionale” solo se non si sarebbe realizzato senza i finanziamenti derivanti dalla vendita dei crediti di carbonio. Ma molti studi hanno dimostrato che un’enorme quantità di crediti è stata generata da progetti, come impianti eolici o idroelettrici, che sarebbero comunque stati costruiti perché già redditizi. E che quindi non rappresentano un vero “valore aggiunto”, anche perché, scrivono gli autori, “è impossibile sapere con certezza cosa sarebbe successo senza il meccanismo dei crediti di carbonio”.

    Focus

    Cop29, primo accordo sui crediti di carbonio: cosa cambia davvero?

    di Nicolas Lozito

    13 Novembre 2024

    Un altro problema è la sovrastima (overcrediting): le analisi hanno evidenziato che i programmi di compensazione sovrastimano sistematicamente le riduzioni di emissioni. Un meta-studio del 2024, citato nel lavoro appena pubblicato, ha stimato in particolare che meno di un credito su sei, tra tutti quelli studiati, rappresentava un una reale riduzione delle emissioni. Maglia nera per i progetti per la gestione forestale migliorata o per la prevenzione della deforestazione, per cui i tassi di sovrastima si sono rivelati particolarmente alta: nei casi peggiori i crediti “fantasma” sono in un rapporto di 12 a 1 rispetto ai benefici reali. E ancora: la questione delle perdite, un fenomeno che si verifica quando per esempio la protezione di un’area forestale sposta semplicemente altrove la deforestazione: se si paga un proprietario terriero per non tagliare i suoi alberi (acquistando così un certo credito di carbonio), le aziende che producono legname possono semplicemente acquistare un terreno vicino e proseguire la propria attività, annullando il beneficio climatico. E infine, ultimo ma non meno importante, il problema legato alla permanenza del carbonio: la CO2 legata ai combustibili fossili rimane in atmosfera per secoli, e i progetti di compensazione, specie (ancora una volta) quelli relativi alle foreste, non possono garantire una durata comparabile. Incendi, siccità, parassiti o cambiamenti nell’uso del suolo possono rilasciare nuovamente il carbonio immagazzinato, vanificando, e rendendo “impermanente” il beneficio nel tempo.

    Facendo riferimento a una delle più banali leggi del mercato, quella del rapporto tra domanda e offerta, gli autori dello studio individuano nella domanda persistente di crediti di carbonio a basso costo una delle cause principali di scarsa qualità del mercato. Sostanzialmente, spiegano, dal momento che ogni credito ha un valore nominale di una tonnellata di CO2e, gli acquirenti sono incentivati a scegliere i crediti più economici, che tendono a essere quelli di qualità inferiore: si crea così una “corsa al ribasso” in cui gli sviluppatori di progetti competono sul prezzo anziché sulla qualità. A fronte di uno scenario così sconfortante, la raccomandazione principale degli autori del lavoro è drastica: bisogna abbandonare l’approccio basato sulla compensazione per la maggior parte dei progetti e concentrarsi solo su due direttrici: anzitutto, finanziare soltanto progetti di alta integrità, ossia addizionali, permanenti e senza perdite (per esempio alcuni progetti di ricattura dei gas delle discariche o di fornitura di cucine pulite ed efficienti); e poi passare da un modello di “acquisto” a uno di “contributo”: in altre parole, le aziende dovrebbero finanziare progetti senza illudersi di annullare le proprie emissioni, ossia “assumersi la responsabilità delle emissioni senza compensarle”. Possibile? Certamente. Probabile? Un po’ meno. LEGGI TUTTO

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    Ecco come rimuoviamo la CO2 dall’atmosfera risparmiando energia

    Ha inventato una tecnologia che aspira la C02 dal cielo. L’ha trattata come un rifiuto industriale da gestire e smaltire in sicurezza. Ha aperto così la strada a un nuovo settore ad altissima innovazione. È un astrofisico: Giuliano Antoniciello, founder di CarpeCarbon, la prima azienda italiana che sviluppa e commercializza sistemi di rimozione della CO2 […] LEGGI TUTTO

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    Graptopetalum del Paraguay, la pianta “fantasma” che ama il Sole

    Con la sua forma ricorda una rosa, è avvolta in un fascino esotico ed è dotata di una notevole resistenza. Il graptopetalum del Paraguay è una pianta grassa elegante e delicata, capace di incantare con le sue suggestive rosette di foglie carnose. Chiamata anche pianta fantasma, per via del suo colore verde-grigiastro pallido, si distingue non solo per la straordinaria bellezza, ma anche per la robustezza, tollerando caldo e siccità. Tra i punti di forza di questa suggestiva pianta succulenta spicca inoltre la sua facile manutenzione, tanto da essere anche alla portata di chi si approccia per la prima volta al giardinaggio.

    La posizione ideale per la graptopetalum del Paraguay
    Pianta grassa tra le più belle in assoluto, il graptopetalum del Paraguay è originaria del Messico ed è apprezzata per il suo fascino, la versatilità e la facile coltivazione. Succulenta appartenente alla famiglia delle Crassulaceae, presenta un portamento pendente o espanso. A renderla unica sono le sue eleganti foglie carnose, spesse, acquose e che terminano con una punta: disposte a rosetta, le loro sfumature vanno dal verde chiaro, al grigio e, con la giusta esposizione solare, al rosa e al lilla. Inoltre, la pianta è caratterizzata da incantevoli fiori bianchi con macchie rossastre, che crescono nel centro della rosetta di foglie. Di solito il suo periodo di fioritura avviene in primavera, anche se in caso di climi miti può essere anticipata oppure prolungarsi anche dopo l’estate.

    Il graptopetalum del Paraguay raggiunge 5-6 centimetri di altezza e un diametro di 3-8 centimetri. La pianta ama il sole, sviluppandosi in modo rigoglioso in caso di luce solare intensa. Se coltivata all’aperto va posta in un luogo di pieno sole, cosa che le permette di crescere in salute e con sfumature vivaci. Tuttavia, durante le estati molto calde bisogna evitare che venga colpita dai raggi solari forti nelle ore centrali della giornata, scongiurando possibili bruciature. In caso di mezzombra tende ad allungarsi, diventare verde e rallentare la sua crescita. Negli interni va posta nei pressi di una finestra rivolta a sud-est o sud, assicurandosi che riceva 4-6 ore di luce solare diretta.

    Questa pianta grassa tollera bene il caldo, resiste alla siccità e sopporta anche il freddo, dovendo però essere riparata dalle gelate e dalle correnti d’aria. Quanto al terreno, bisogna coltivarla in un substrato ben drenato, ricorrendo a un mix di pomice e terriccio per cactus, aggiungendo della sabbia per aumentare il drenaggio. Vanno evitati i terreni argillosi in quanto trattenendo l’acqua possono compromettere la pianta. Il graptopetalum necessita di poca umidità, richiedendo un drenaggio adeguato per evitare il marciume delle radici.

    Coltivazione in vaso e giardino del graptopetalum del Paraguay
    Coltivare questa succulenta è semplice e dà molte soddisfazioni, sia che si faccia crescere in giardino, che in vaso. Durante la primavera, si può procedere con la sua coltivazione. Se si pianta in giardino si devono posare i semi in un terreno leggero e drenante: essendo molti piccoli, non vanno interrati, ma solo appoggiati sul substrato e pressati leggermente oppure coperti con uno strato sottile di sabbia. La posizione scelta deve essere luminosa, evitando il sole diretto nelle ore più calde, e il terriccio umido, facendo sì però che non sia bagnato.

    Un’altra via più semplice e veloce è la coltivazione tramite talea. Questo metodo può essere effettuato partendo da una foglia sana della graptopetalum, staccandola e lasciando cicatrizzare per 1-3 giorni, per poi appoggiarla sulla superficie del terreno. Già in qualche settimana si svilupperanno le radici e una rosetta nuova. Lo stesso procedimento può essere effettuato ricorrendo a una rosetta o a un ramo, da piantare a poca profondità, quanto necessario per farla stabilizzare.

    La coltivazione in vaso è molto simile a quella in piena terra. Questa pianta tende a espandersi in larghezza più che in profondità, quindi è bene prediligere un vaso capiente e largo, dotato di fori di drenaggio. I semi vanno posti appena sopra il substrato e lo stesso vale per la propagazione tramite talea, che prevede di collocare foglie, rosette e rami in superficie.

    Come prendersi cura del graptopetalum del Paraguay
    Graziosa e resistente, la graptopetalum del Paraguay richiede minime cure tanto che la sua manutenzione è molto semplice. Per quanto riguarda l’irrigazione, questa deve essere moderata e tra un’annaffitura e l’altra è sempre bene verificare che il terreno sia asciutto. È consigliato dare da bere alla pianta in tarda sera o al mattino presto, evitando così che l’acqua evapori troppo velocemente. Mediamente va irrigata ogni 10-15 giorni durante la primavera e l’estate, mentre una volta al mese in autunno e inverno. Durante l’annaffiatura bisogna concentrarsi solo sul terreno, evitando di bagnare le foglie.

    La potatura della graptopetalum non è richiesta in modo regolare, dovendo intervenire esclusivamente per rimuovere le foglie danneggiate o secche. Bisogna sempre tenere a mente come le potature eccessive possono danneggiare la succulenta. In merito alla concimazione, deve essere eseguita una volta al mese in estate e primavera, usando del fertilizzante per succulente e cactus da diluire nell’acqua. Il rinvaso va effettuato ogni 2-3 anni oppure quando le radici riempiono totalmente il vaso o ancora se il terreno è compattato in modo eccessivo e trattiene troppa acqua.

    Malattie, parassiti e problematiche
    Pur essendo una pianta resistente, il graptopetalum del Paraguay può essere soggetta ad alcune problematiche. Nella sua manutenzione ci si può ritrovare a fare i conti con il marciume radicale, criticità comune causata da annaffiature troppo frequenti o abbondanti oppure dai ristagni di acqua. In questo caso le radici possono diventare molli e le foglie ingiallite o cadere e per correre ai ripari è importante ridurre le irrigazioni e utilizzare un vaso dotato di fori di drenaggio.

    Se l’aria è stagnante o il terreno eccessivamente umido, sulle foglie possono comparire muffe, dovendo in questo caso migliorare la circolazione dell’aria ed eliminare le parti danneggiate. Qualora la pianta si deformi, scolorisca e le foglie si accorcino, significa che la luce è eccessivamente intensa oppure le temperature sono troppo basse.

    La pianta può essere attaccata da larve notturne, afidi e cocciniglie, che possono colpire foglie e fusti, soprattutto se si trova in ambienti chiusi. In questo caso è bene rimuovere i parassiti manualmente oppure intervenire con prodotti specifici per succulente. LEGGI TUTTO

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    “Non c’è giustizia climatica senza l’accesso al cibo sano e sostenibile per tutti”

    Come movimento Slow Food rivolgiamo questo appello ai governi e alle istituzioni che prendono parte alla COP30, la 30esima Conferenza delle Parti in programma in Brasile dal 10 al 21 novembre. Ci uniamo all’appello rivolto ai leader del mondo affinché pongano al centro dell’azione per il clima una transizione equa dei sistemi alimentari. Le soluzioni alla crisi climatica devono sfamare le persone senza affamare il pianeta e passano attraverso la rigenerazione degli ecosistemi e la difesa delle diversità: non soltanto la biodiversità agricola, ma anche la varietà dei paesaggi e delle culture che hanno a che fare con l’alimentazione e con il cibo.
    Oggi i sistemi alimentari sono al tempo stesso causa e vittima della crisi climatica. Siamo però convinti che possano esserne anche la soluzione, a patto che si fondino sui princìpi del buono, pulito e giusto. Al centro dei negoziati della COP30 di Belém va messo chi oggi è ai margini dei sistemi alimentari: chi pratica l’agroecologia, i pescatori artigianali, le donne, i giovani e le popolazioni indigene, le persone afro-discendenti e le vittime di un approccio colonialista che sfrutta, conquista e impone.

    Giornata di consapevolezza sulle perdite e gli sprechi alimentari

    Perché ancora sprechiamo più di 130 kg di cibo all’anno

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    26 Settembre 2025

    Da Belém vogliamo un segnale di fiducia, il rilancio di una visione multilaterale per affrontare la crisi climatica. La lotta contro il cambiamento climatico è destinata a fallire, se non si agisce in modo determinato per trasformare i sistemi alimentari. È ora di dare voce a chi ha in mano le soluzioni. Ai partecipanti alla COP30 chiediamo di: Promuovere l’agroecologia. I governi devono mettere in cima alle priorità la transizione verso sistemi alimentari agroecologici. Significa: superare il modello di un’agricoltura industriale e di un allevamento e di una pesca intensivi; modificare i meccanismi che assicurano sussidi economici a chi pratica un’agricoltura dannosa per la salute di uomo, ambiente ed esseri viventi; ripensare il modo di produrre, fare ricerca, scambiare beni e conoscenza in linea con i principi dell’agroecologia.

    Alimentazione sostenibile

    Una dieta “universale” per salvare la Terra: può evitare 40mila morti premature al giorno

    di Luca Fraioli

    03 Ottobre 2025

    I milletrecento miliardi di dollari all’anno della cosiddetta Roadmap Baku-Belém, da mobilitare entro il 2035 nell’ambito della finanza climatica verso i Paesi in via di sviluppo per sostenere percorsi di sviluppo a basse emissioni e resilienti al clima, devono essere indirizzati verso l’ambiente e verso chi produce cibo, e non verso i combustibili fossili. Riconoscere la sovranità alimentare come azione per il clima. La resilienza climatica inizia con il diritto delle comunità di decidere come produrre e consumare il proprio cibo. I governi devono sostenere soluzioni che scongiurino fenomeni di dumping (cioè l’export di prodotti sottocosto con l’obiettivo di conquistare mercati esteri) e riducano la dipendenza dalle catene di approvvigionamento globali che, fondandosi su un approccio estrattivo delle risorse, sono responsabili di deforestazione, accaparramento di terra e acqua.
    I meccanismi di compensazione delle emissioni di Co2 non rappresentano soluzioni reali al problema della crisi climatica, così come la cieca fiducia nella tecnologia che in verità non fa altro che ritardare l’adozione di soluzioni concrete. Ripensare la finanza climatica. Gli investimenti finanziari in ambito agroalimentare devono essere volti a garantire la sovranità alimentare, non al servizio del profitto. Gli obiettivi in ambito climatico e di tutela della biodiversità richiedono un considerevole aumento dei finanziamenti in ambito alimentare, sia pubblici che privati, in particolare per chi è più colpito dalla crisi climatica. Le risorse devono raggiungere direttamente le comunità, per sostenere progetti di mitigazione e adattamento, proteggere la biodiversità e garantire il diritto al cibo. No alla finanziarizzazione dei sistemi agroalimentari, sì alla tutela dell’interesse pubblico. Garantire il diritto al cibo. Le politiche per il clima devono tenere in considerazione il diritto di tutte e tutti a un cibo buono, pulito e giusto. Tutti devono avere accesso a diete nutrienti, varie, sostenibili dal punto di vista ambientale e legate alla cultura locale.

    Biodiversità

    Il pesce scorpione e altre specie aliene nei nostri mari: “Attenti a quei 4!”

    di Pasquale Raicaldo

    27 Giugno 2025

    Tutto ciò richiede una governance alimentare inclusiva, politiche pubbliche incisive e il perseguimento di eventuali violazioni di diritti umani e norme ambientali. Abbandonare i combustibili fossili. Stop alla dipendenza dei sistemi alimentari dai combustibili fossili. Fertilizzanti sintetici e pesticidi, oltre ad avvelenare l’ambiente e i suoli, sono strettamente legati all’utilizzo dei combustibili fossili per la loro produzione. I governi devono abbandonare questo tipo di prodotti chimici di sintesi, promuovendo soluzioni alternative, a cominciare dalla produzione comunitaria di energia rinnovabile. Difendere i sistemi alimentari locali.

    Biodiversità

    Gli sgombri stanno scomparendo dall’Atlantico: “Tagliare la pesca del 77% o li perderemo”

    di Giacomo Talignani

    03 Ottobre 2025

    Le filiere alimentari corte producono meno emissioni e meno sprechi lungo la filiera, rafforzano le economie locali, proteggono la diversità alimentare e il patrimonio culturale delle comunità. I governi devono investire in sistemi alimentari locali, promuovendo e sostenendo i mercati contadini e le iniziative che avvicinano produttori e consumatori, rifornire le mense scolastiche con alimenti stagionali e regionali, anche nell’ottica di educare a un rapporto sano con il cibo. Nel futuro che immaginiamo il cibo ci unisce gli uni agli altri e agli ecosistemi. I governi devono agire con urgenza, saggezza, umiltà e amore per la Terra. Non tenere conto dei sistemi alimentari e della biodiversità nei tavoli di confronto sul clima significa occuparsene in maniera incompleta. Fate sì che la COP30 sia ricordata come il punto di svolta. Il futuro è Slow, non veloce. Il futuro deve nutrire, non impoverire. Il futuro lo vogliamo ricco in diversità, non uniforme. Il futuro deve essere buono, pulito e giusto per tutte e tutti.

    *Presidente di Slow Food Italia LEGGI TUTTO

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    “A Venezia porteremo idee nuove sul clima. COP e transizione non funzionano più”

    Parola d’ordine “pragmatismo”. Con questo richiamo, a Venezia sull’isola di San Servolo, dal 16 all’18 ottobre, studenti, professori, aziende, policy makers e rappresentati provenienti da tutto il mondo si riuniranno per la quarta Dolomite Conference Global Governance del Climate Change and Sustainability – Venice Edition per tentare di indicare soluzioni concrete alla crisi climatica e alla sostenibilità “in modo da suggerire qualcosa di pragmatico in vista della COP30. Ad esempio: come affrontare il fondo perdite e danni per i Paesi meno sviluppati, ma anche ripensare al mercato delle case in Italia, che non funziona più” spiega il professor Francesco Grillo, docente che insegna sostenibilità ed economia all’Università Bocconi di Milano e all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole ed è direttore del think tank Vision che ha organizzato la conferenza. A lui abbiamo chiesto perché, oggi più che mai, sia necessario riportare la questione climatica al centro dopo oltre due anni di offuscamento tra la rilevanza delle guerre in corso e l’oscurantismo portato avanti dalle politiche negazioniste di Donald Trump.

    Il professor Francesco Grillo  LEGGI TUTTO

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    Il “second hand” cancella la CO2 di 3,7 milioni di auto

    Il mercato dell’usato ha un potenziale enorme sia per l’economia circolare che direttamente per l’ambiente. La conferma arriva dall’Osservatorio Second Hand Economy di BVA Doxa che ha analizzato lo scenario italiano in relazione ai comportamenti e le attività registrate nel 2024. Il primo dato eclatante è questa modalità di vendita e acquisto lo scorso anno è stata praticata da circa 27,2 milioni di persone e secondo le stime ha consentito non solo un notevole risparmio economico ma anche ridotto le emissioni di CO2 e di rifiuti, contribuendo alla conservazione di risorse.

    In sintesi è una forma di economia circolare di facile accesso, concreta e misurabile. E infatti Vaayu – la piattaforma di climate tech che supporta le aziende nel monitoraggio, misurazione e riduzione dell’impatto ambientale – è stata coinvolta da su Subito.it, la principale piattaforma per la compravendita di beni di seconda mano in Italia, per un’analisi puntuale. Un’analisi basata su un calcolo delle emissioni accurato e trasparente, affiancato alle valutazioni sul ciclo di vita dei prodotti, una mappatura più granulare delle emissioni legate al business e un sondaggio integrativo su “comportamenti in termini di trasporto e imballaggio”. Nello specifico sono finite sotto la lente le compravendite tra privati avvenute nella quasi totalità delle categorie Market ed escludendo i settori Immobili, Motori e Lavoro.

    Emissioni, 450mila tonnellate di CO2 risparmiate in un anno
    Nel 2024 su Subito.it sono stati venduti circa 11,5 milioni di oggetti e di fatto, secondo le stime, facendo risparmiare 450mila tonnellate di CO2. Praticamente come fa scomparire le emissioni di 3,7 milioni di auto che viaggiano tra Milano e Roma. Il trend è positivo perché rispetto al 2023 il risparmio è aumentato di circa il 40%, considerando una singola compravendita su Subito (pari a 39 kg di CO2). LEGGI TUTTO

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    Ricarica della batteria con lo sconto per chi ha un’auto elettrica

    Ricarica con lo sconto per chi acquista una nuova auto elettrica. L’Arera, L’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, ha infatti deciso la proroga fino al 30 giugno 2027 del sistema che consente di aumentare la potenza delle utenze private per ricaricare i veicoli elettrici durante la notte, la domenica e nei festivi, senza […] LEGGI TUTTO

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    Le api selvatiche minacciate in Europa: quasi cento specie a rischio

    Per la prima volta, le api selvatiche sono state ufficialmente classificate come ‘in pericolo’ all’interno dell’Europa: grazie a un grande lavoro di monitoraggio e raccolta dati che ha colmato una lacuna di lunga data, i ricercatori hanno esaminato lo stato di conservazione della specie Apis mellifera in sette paesi europei, stimando un calo medio delle popolazioni selvatiche del 56% in un decennio.

    Questo ha permesso di aggiornare la Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (Iucn) anche se, per quanto riguarda la regione europea, i dati rimangono molto carenti per aree come i Balcani, i Paesi Baltici, la Scandinavia e l’Europa orientale.

    I ricercatori hanno monitorato, tra il 2013 e il 2025, 698 siti sparsi in Francia, Germania, Lussemburgo, Polonia, Spagna, Svizzera e Regno Unito. Secondo i dati raccolti, l’Europa ha la più bassa densità del mondo di colonie che vivono libere in natura, dal momento che gli alveari gestiti negli allevamenti superano di gran lunga quelli selvatici, e queste già scarse colonie stanno anche vedendo diminuire i loro abitanti. Le principali minacce, come riporta la Iucn, arrivano dalla perdita di habitat a causa di agricoltura e aree abitate, da specie aliene invasive, dall’ampio uso di pesticidi, erbicidi e fungicidi e anche da alcune pratiche dell’apicoltura moderna, come il commercio di api regine.

    “Proteggere le api selvatiche non significa solo salvare una specie iconica, ma anche salvaguardare la nostra sicurezza alimentare, la biodiversità e gli ecosistemi per il futuro”, ha commentato sulla rivista The Conversation Arrigo Moro dell’Università irlandese di Galway, che ha collaborato con la Iucn per rivalutare lo stato di conservazione delle popolazioni selvatiche di Apis mellifera: “Rappresentano un serbatoio genetico vitale che potrebbe contribuire a rendere le api, sia selvatiche che allevate, più resilienti alle minacce future”. LEGGI TUTTO