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    Emissioni a -90% in 15 anni, la Ue continua sulla strada del Green Deal

    “Abbiamo approvato sia la legge clima e che l’Ndc europei”. Lo conferma nella mattinata di Bruxelles il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin alla stampa. Dopo un nulla di fatto ieri nel Consiglio straordinario ambiente, la cui conclusione era prevista per le 16, si è lavorato tutta la notte a un testo […] LEGGI TUTTO

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    Da Berlino a Belém: 30 anni di vertici per aiutare la Terra

    “La guerra è la forma più odiosa di inquinamento”. La frase non è di un leader politico di oggi, ma di Olof Palme primo ministro svedese quando, insieme al segretario delle Nazioni Unite Kurt Waldheim inaugurava la prima Conferenza Onu sull’Ambiente. Era il 1972. Si tenne a Stoccolma, la città che decenni più tardi vide una ragazza di 15 anni, Greta Thunberg, incatenarsi davanti al Parlamento e diventare leader del movimento ambientalista internazionale Friday for Future. All’epoca di Palme e Waldheim però c’era ancora la Guerra Fredda e il conflitto in Vietnam con le devastanti conseguenze ambientali. Fu anche a causa di quelle immagini che per la prima volta 112 Stati e 44 organizzazioni decisero di riunirsi e discutere di ecologia, mentre i movimenti diedero vita a una contro conferenza, i Forum dell’ambiente.

    Editoriale

    Cop30 – “L’ultimo appello”. Un’istituzione da difendere

    di Federico Ferrazza

    03 Novembre 2025

    In realtà, di ambiente nel 1972 si parlò poco, ancora meno di clima. Pensata per rilanciare il ruolo delle Nazioni Unite, i lavori della Conferenza di Stoccolma naufragarono a causa dello scontro ideologico tra il blocco dell’Est e dell’Ovest complicato dalla crisi energetica. Bisognerà aspettare 23 anni, il 1995, per la prima Conferenza delle Parti (Cop) delle Nazioni Unite e veder riuniti gli Stati aderenti alla Convenzione sui cambiamenti climatici. Passando per il Protocollo di Montreal (1987) che sancì la scoperta del buco dell’ozono sopra l’Antartide e la prima Conferenza mondiale sui cambiamenti atmosferici di Toronto (1988) con la nascita dell’Ipcc il Gruppo Intergovernativo sul clima. Il primo report scientifico mostrò l’impatto dei gas serra. Un trattato sul clima non era più rinviabile. Obiettivi: ridurre le emissioni e l’uso delle risorse, definire impegni vincolanti per i Paesi industrializzati. Insomma, trovare un modo nuovo di vivere sulla Terra. La strada è tracciata: BerlinoNel 1995 a Berlino va in scena la prima Conferenza delle parti sul Clima della United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc). La Cop numero 1. E da quel momento le Cop scriveranno la storia della lotta al climate change, tra successi e fallimenti, pietre miliari e intese poco convincenti. I Paesi in quel 1995 elaborano il “Mandato di Berlino”, in cui si impegnano per la riduzione delle emissioni a partire dal 2000.Ma le difficoltà emergono già nel 1996 quando presidente di Cop2 è una giovane Angela Merkel: un teatro di scontri mentre esce il secondo rapporto Ipcc sul taglio delle emissioni. L’Europa spinge, Usa e Giappone no.

    A Kyoto la prima sfida globale
    È in Giappone con la Cop3 nel 1997 che viene adottato il primo impegno vincolante: il Protocollo di Kyoto. Entrerà in vigore solo nel 2005, ma 160 Paesi si impegnavano già a ridurre le emissioni di gas a effetto serra tra il 2008 e il 2012, di almeno il 5%. Per la prima volta le nazioni riconoscevano che il cambiamento climatico era un problema comune causato all’uomo. Vengono anche definiti i gas da “combattere” e parole come “neutralità climatica” e “decarbonizzazione” entrano nel dibattito pubblico. Sembra un punto di svolta, ma nel 2000 all’Aja, la Conferenza numero 6, molto attesa perché avrebbe dovuto dare concretezza proprio al Protocollo, viene sospesa a causa di un forte contrasto tra Ue e Usa: è la prima volta.

    La road map per il futuro
    Finalmente la Conferenza sul clima del 2005 a Montreal sancisce l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto. Alla Cop11 si tenta anche di negoziare tagli più importanti alle emissioni, ma gli Usa si sfilano. Nasce comunque il Montreal Action Plan per estendere gli impegni oltre il 2012. Si tratta per creare la “mappa per il futuro”: tracciare una linea di continuità storica sui negoziati climatici. Si gettano le basi che porteranno a Parigi su finanza climatica e riscaldamento globale.

    Verso Cop30

    Emissioni, finanza, foreste: i temi in discussione in una Cop in bilico

    di Luca Fraioli

    03 Novembre 2025

    La svolta a Parigi
    L’accordo storico doveva essere raggiunto alla Cop15 a Copenaghen nel 2009, ma la conferenza fallì per le grandi divisioni. Si dovette ricominciare da zero e ci vollero sei anni per raggiungere nel 2015 a Parigi (Cop21) un accordo che ponesse l’obiettivo di rimanere “al di sotto dei 2 °C”, con raccomandazioni intorno a 1,5 °C come sostenuto dalla comunità scientifica. 196 Paesi firmarono il trattato fissando una revisione ogni 5 anni. In realtà l’Accordo nacque debole: gli obiettivi non erano vincolanti e il sistema di revisione avrebbe dovuto spingere un maggiore controllo. La realtà racconta un’altra storia.

    “Ho 15 anni e sono svedese”
    “Voi dite di amare i vostri figli, eppure gli state rubando il futuro”. È dicembre 2018 quando a Katowice. in Polonia, un’adolescente parla al summit sul clima Cop24. “Se avrò dei bambini forse mi chiederanno come mai non avete fatto niente quando era ancora il tempo di agire. Noi siamo qui per farvi sapere che il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o no”. È la prima apparizione internazionale di Greta Thunberg. Sarà il simbolo della mobilitazione giovanile per il clima. L’impatto mediatico globale è molto forte.

    Il Patto per il clima
    Un mondo sconvolto dalla pandemia, che ha mostrato quanto la crisi climatica non sia solo una questione ecologica ma di salute globale, assiste nel 2021 alla Cop26 a Glasgow, un mix di delusioni e passi avanti. Per la conferenza più importante dopo Parigi è un’occasione mancata. Soprattutto per la questione legata al carbone dove India e Cina riescono a far sostituire nel Patto per il clima la parola “fine” a “progressiva riduzione”. Stesso discorso per i sussidi ai combustibili fossili. Ci sono però passaggi importanti: la riduzione del 45% delle emissioni entro il 2030, mentre i diritti umani entrano nel meccanismo del “doppio conteggio”: la riduzione delle emissioni potrà essere conteggiata sia dal Paese che ha acquistato il credito, sia dove avviene l’effettiva riduzione. No invece ai 100 miliardi di dollari all’anno per i Paesi in via di sviluppo. Tutto rimandato.

    Loss and Damage
    Tra infinite discussioni a Sharm el-Sheikh nel 2022 (Cop27) viene istituto il fondo Loss and Damage destinato ai Paesi vulnerabili. Niente da fare per la messa al bando del carbone e dei sussidi alle fonti fossili. L’anno dopo a Dubai la Cop28 si inaugura tra polemiche, defezioni e boicotaggi. Nel Paese che produce milioni di barili di greggio la presidenza della Conferenza va a Sultan Ahmed Al-Jaber, Ceo della compagnia petrolifera statale. Punto debole anche della Cop29. A Baku presidente è Mukhtar Babayev, ministro dell’Ecologia e Risorse naturali dell’Azerbaigian, ex manager della compagnia petrolifera Socar. Eletto Trump che annuncia: gli Usa escono dall’Accordo di Parigi.

    La Road map Baku-Belèm
    Nata per rafforzare la cooperazione, la Road map Baku-Belém, promossa dalla presidenza azera e brasiliana, mira ad aumentare le risorse finanziarie destinate a sostenere lo sviluppo economico a basse emissioni e resilienti al clima dei Paesi più fragili. Obiettivo: mobilitare 1.300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035. Il Brasile spera di posizionarsi come leader della lotta al cambiamento climatico soprattutto in risposta al disinteresse degli Stati Uniti. Intanto però alcuni Paesi, tra cui lo stesso Brasile, ma anche India e Sudafrica, puntano il dito contro le politiche ambientali della Ue, responsabile secondo loro di aver posto restrizioni al libero commercio. Una controversia che rischia di piombare sulla Cop30 in Amazzonia. Ce la farà il presidente André Corrêa do Lago economista e diplomatico brasiliano a condurre i negoziati con successo? Il mondo ci spera. LEGGI TUTTO

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    Quarant’anni per “riparare” Il buco dell’ozono

    Sono passati quasi 40 anni da quando la scoperta del buco nell’ozono in Antartide ha mostrato al mondo l’impatto dell’uomo sull’ambiente. Una crisi ambientale globale da cui è emersa anche la nostra capacità di reagire. Mentre, infatti, monitoriamo il recupero di questo strato protettivo naturale, la sua storia ci offre una preziosa lezione per affrontare le altre complesse sfide ambientali del nostro tempo, prima fra tutte la crisi climatica.

    Ma partiamo dall’ozono.

    Un gas composto da tre atomi di ossigeno (O?), a differenza dell’ossigeno che respiriamo che ne ha solo due. È un gas minore nella nostra atmosfera e si trova principalmente nello “strato di ozono” ad altitudini comprese tra 10 e 35 chilometri. Sulla superficie terrestre risulta tossico in quantità elevate, ma nella stratosfera svolge un ruolo vitale bloccando le radiazioni ultraviolette più pericolose. Assorbe, infatti, la maggior parte dei raggi UV provenienti dal sole, responsabili di e tumori della pelle e altre gravi patologie negli esseri umani, oltre ad effetti devastanti sulla produttività agricola e sull’equilibrio degli ecosistemi marini. Lo strato di ozono è uno dei cardini fondamentali dell’equilibrio del sistema Terra, tanto che la sua distruzione rientra tra i nove Limiti Planetari (Planetary Boundaries), il cui superamento determina conseguenze catastrofiche e imprevedibili.

    L’invenzione miracolosa
    La minaccia a questo strato vitale dell’atmosfera nasce da un’invenzione al tempo celebrata come rivoluzionaria: i clorofluorocarburi (CFC), una classe di sostanze alcune note col nome commerciale di Freon. Sintetizzati per la prima volta negli anni ’30, questi gas rispondono a molte esigenze dell’industria moderna: stabili, non tossici, non infiammabili e poco costosi. Trovano ampia applicazione in molti settori, come refrigeranti nei frigoriferi e nei condizionatori d’aria, come propellenti nelle bombolette spray di deodoranti, lacche, insetticidi, come solventi nell’elettronica e molto altro. La loro produzione esplode nel dopoguerra, spinta dal boom economico. Il mondo intero si affida ai CFC, ignaro dei pericoli che si celano nell’apparente innocuità: proprio la loro stabilità si sarebbe infatti rivelata, in alta atmosfera, la loro caratteristica più distruttiva.

    La ferita
    È il 16 maggio 1985 quando un gruppo di ricercatori, guidato dal fisico Joe Farman del BAS, pubblica sulla rivista Nature in uno degli articoli scientifici più rilevanti del secolo, annunciando la scoperta del “buco nell’ozono”. Le immagini satellitari della NASA confermarono la presenza una “ferita” enorme sopra il polo sud, estesa quanto il continente nordamericano. Le mappe colorate mostrano un’area vastissima di colore blu scuro-viola (che indica concentrazioni bassissime di ozono) circondata da anelli di colore verde, giallo e rosso (concentrazioni più normali). Il pericolo diventa immediato, tangibile e globale: lo scudo naturale contro le radiazioni ultraviolette era gravemente compromesso.

    La causa
    La comprensione delle cause di questo fenomeno è un capolavoro scientifico internazionale, premiato poi nel 1995 con il Nobel per la Chimica. Già negli anni ’70, Paul Crutzen, Mario Molina e Sherwood Rowland avevano ipotizzato il meccanismo alla base del problema: i CFC potevano raggiungere la stratosfera intatti grazie alla loro elevata stabilità chimica. Qui, la radiazione ultravioletta del Sole ne provocava la fotolisi, liberando atomi di cloro capaci di distruggere, attraverso reazioni a catena, decine di migliaia di molecole di ozono. Ma come può una lacca per capelli creare un buco nello strato di ozono? La risposta sta nella chimica dell’atmosfera: le osservazioni satellitari e le misurazioni dirette condotte in Antartide rivelarono alte concentrazioni di cloro attivo nelle zone dove l’ozono risultava più rarefatto, confermando il legame tra i CFC e la perdita dello strato protettivo. Durante l’inverno australe, quando le temperature scendono sotto i –80 °C, si formano le spettacolari nubi stratosferiche polari, che favoriscono la trasformazione dei composti di cloro in forme altamente reattive. Con il ritorno della luce solare in primavera, queste reazioni si intensificano, portando alla distruzione massiccia dell’ozono: è qui che si apre il “buco” sopra l’Antartide.

    Lo scontro con l’industria
    Questa scoperta suscita un acceso dibattito tra comunità scientifica e mondo industriale. L’amministratore delegato della DuPont – la società che aveva brevettato e dominava la produzione i CFC – bollò la teoria di Rowland e Molina come “un racconto di fantascienza”. Tuttavia, di fronte all’accumularsi delle evidenze scientifiche e la pressione internazionale, i governi iniziarono ad agire: già dal 1978 Stati Uniti, Canada, Norvegia, Svezia e Danimarca approvarono regolamenti per limitare l’uso dei CFC. Nonostante le iniziali resistenze, l’industria finì per adeguarsi alle nuove norme e investì massicciamente nella ricerca di sostituti più sicuri. LEGGI TUTTO

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    Decarbonizzare una cementeria? Si può fare, a Rezzato-Mazzano

    La cattura di emissioni di CO2 da qualche anno si inizia a sperimentare anche nelle cementerie, ma l’avanguardia probabilmente sarà in Italia, esattamente presso l’impianto Rezzato-Mazzano di Heidelberg Materials Italia. Il relativo progetto Dream (Decarbonisation of the Rezzato And Mazzano cement plant) infatti è stato selezionato per concorrere alla ricezione dell’Innovation Fund dell’Unione Europea. Si […] LEGGI TUTTO

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    Dalla Lombardia alla Basilicata, i fondi regionali per il fotovoltaico

    Fine d’anno con nuovi fondi a disposizione a supporto del fotovoltaico. Diversi i bandi regionali attivi che si rivolgono a privati e imprese possono contare su alcune centinaia di milioni di euro di contributi a fondo perduto per installare impianti solari e sistemi di accumulo. Il punto sui principali finanziamenti disponibili e sulle scadenze da non perdere.

    Friuli Venezia Giulia, fondi anche per i pannelli da balcone
    Il bando della Regione Friuli Venezia Giulia per il fotovoltatico su immobilo residenziali prevede anche il finanziamento per i sistemi plug and play, ossia dei pannelli da balcone. Previsto un contributo pari al 40% del costo. Per un impianto fotovoltaico di questo tipo il costo massimo ammissibile è di 1.720 euro, con un incentivo massimo di 688 euro. Per gli impianti tradizionali, ossia quelli con potenza pari o superiore agli 800 kw, invece, è ammissibile un costo massimo di 3.000 euro al kW con il limite di 7.200 euro per l’incentivo. Agevolate al 40% anche le batterie di accumulo. Le domande possono essere presentate solo a lavori ultimati attraverso la piattaforma online dedicata. L’incentivo è cumulabile con le detrazioni fiscali (bonus casa al 50%), purché la somma delle agevolazioni ottenute non ecceda il limite della spesa complessivamente sostenuta.

    Basilicata, domande entro il 31 dicembre
    Anche la Basilicata punta sul fotovoltaico residenziale con uno stanziamento di 39 milioni di euro destinato a impianti a fonti rinnovabili per privati. Il bando prevede contributi a fondo perduto fino a 10.000 euro per l’installazione di impianti fotovoltaici con potenza non inferiore a 3 kW (con tolleranza del 5%). L’agevolazione include anche i sistemi di accumulo con capacità minima di 4,5 kWh, oltre a collettori solari, pompe di calore e scaldacqua a pompa di calore. Le domande possono essere presentate fino al 31 dicembre 2025 attraverso la piattaforma Centrale bandi della Regione.

    Liguria, una settimana per presentare domanda
    La Regione Liguria offre invece un’opportunità con tempi molto stretti. Il bando si rivolge a micro, piccole, medie e grandi imprese per la realizzazione di impianti di autoconsumo da fonti rinnovabili. Sono ammessi interventi che riguardano fotovoltaico, mini-eolico, geotermico e biomassa, oltre alla sostituzione di componenti obsoleti con soluzioni più efficienti. La piattaforma per la compilazione offline delle domande è disponibile dal 3 novembre 2025, mentre l’invio telematico sarà possibile dal 17 al 29 novembre prossimo.

    Sardegna, a disposzione 29 milioni fino a giugno 2026
    Tempo più ampio in Sardegna per le imprese sarde che possono contare su uno stanziamento di 29 milioni di euro per sostenere autoconsumo e risparmio energetico. Il bando, pubblicato il 23 ottobre 2025, finanzia due linee di intervento: efficienza energetica e riduzione consumi (razionalizzazione dei cicli produttivi, adeguamento e rinnovo impianti) e installazione di impianti per l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili. Le domande possono essere presentate fino al 30 giugno 2026, salvo esaurimento anticipato delle risorse disponibili.

    Lombardia, bando aperto dal 5 novembre
    Anche la Regione Lombardia ha pubblicato un bando da 20 milioni di euro, aperto dal 5 novembre 2025, destinato alle imprese che investono in efficientamento energetico. La misura prevede un contributo a fondo perduto pari al 50% delle spese, con un limite massimo di 50.000 euro per beneficiario. Gli interventi ammessi comprendono l’installazione di impianti fotovoltaici e sistemi di accumulo, oltre alla razionalizzazione dei cicli produttivi e all’adeguamento degli impianti per ridurre i consumi energetici. L’efficientamento atteso deve essere certificato da una relazione tecnica. Le domande devono essere presentate esclusivamente online attraverso la piattaforma Bandi e Servizi della Regione. LEGGI TUTTO

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    La ritirata da record del ghiacciaio Hektoria

    Otto km di ghiaccio persi in due mesi, ed è record. Parliamo della eccezionale ritirata del ghiacciaio di Hektoria, in Antartide, nella porzione del continente che si allunga verso la Terra del fuoco. Eccezionale perché, scrivono gli autori dalle pagine di Nature geoscience presentando i risultati delle loro analisi, qualcosa del genere nella glaciologia moderna non si era mai visto. Al di là del record, monitorare simili eventi e comprenderne le ragioni, è essenziale per capire cosa potrebbe succedere negli anni a venire ai ghiacciai antartici, spiegano gli autori.

    Riscaldamento globale

    Sopra l’Antartide aria fino a 35ºC più calda del normale

    di Fiammetta Cupellaro

    02 Ottobre 2025

    “Il ritiro dell’Hektoria è un po’ uno shock: questa fulminea ritirata cambia davvero quello che potrebbe succedere ad altri ghiacciai più grandi del continente”, ha commentato dal Cooperative Institute for Research in Environmental Science (Cires) della University of Colorado Boulder Ted Scambos, tra gli autori della ricerca: “Se le stesse condizioni si verificassero in altre aree, l’innalzamento del livello del mare nel continente potrebbe accelerare notevolmente”. La ritirata del ghiaccio Hektoria è avvenuta a cavallo tra il 2022 e l’inizio del 2023, e in totale si stima che le perdite siano state di 25 km, ma si sono concentrate alla fine del 2022, quando solo tra novembre e dicembre appunto ne sono volati via 8 km.

    Secondo gli autori, che hanno mappato cambiamenti nelle dimensioni, morfologia e altezza del ghiacciaio utilizzando i dati raccolti da diversi satelliti combinati con analisi sismiche, il fenomeno andrebbe ricollegato alla particolare conformazione dell’Hektoria, tutt’altro che rara nell’Antartide. Secondo le loro ricostruzioni il fenomeno ha avuto inizio con il distacco progressivo di iceberg dal ghiaccio, che avrebbe anticipato l’assottigliamento dell’Hektoria. A questo punto, spiegano i ricercatori, la conformazione del terreno sotto il ghiacciaio, piatto, avrebbe favorito il galleggiamento e quindi l’ulteriore sfaldamento, accelerato. Nello specifico gli scienziati parlano di ice plain per riferirsi alle zone piatte su cui è appoggiato il ghiacciaio, sottoposte alla spinta idrostatica. Regioni simili, continuano, sono state osservate in diverse aree dell’Antartide, come la Barriera di Ross, il ghiacciaio di Pine Island o il ghiacciaio Thwaites.

    Crisi climatica

    L’iceberg più grande del mondo si sta disintegrando

    di Giacomo Talignani

    03 Settembre 2025

    “In questo caso, il ritiro è stato causato principalmente da un processo di distacco legato all’ice plain, piuttosto che dalle condizioni atmosferiche o oceaniche come suggerito in precedenza – concludono – Questo implica che i ghiacciai con terminazione marina e con una geometria del letto di ghiaccio ad ice plain possono essere facilmente destabilizzati”. LEGGI TUTTO

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    Perché all’Italia non conviene una retromarcia sulla transizione alla green economy

    Lo stato di salute della Green economy in Italia registra luci ed ombre. Nel 2024 le emissioni di gas serra diminuiscono troppo poco; aumentano i consumi finali di energia per edifici e trasporti e si importa troppa energia dall’estero; il consumo di suolo non si arresta; la mobilità sostenibile si scontra con 701 auto ogni 1000 abitanti, il numero più alto d’Europa. Dall’altro lato, la produzione di energia elettrica da rinnovabili è arrivata al 49% di tutta la generazione nazionale di elettricità, l’Italia mantiene il suo primato europeo in economia circolare, l’agricoltura biologica cresce del 24% nel 2024 e le città italiane mostrano vivacità nella transizione ecologica. È questa la fotografia dell’Italia delle green economy contenuta nella Relazione sullo Stato della Green Economy 2025 presentata oggi in apertura degli Stati Generali della Green Economy, il summit verde promosso dal Consiglio Nazionale della Green Economy e dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile.

    “Abbiamo messo al centro di questa edizione un tema cruciale per il nostro paese: conviene o meno all’Italia tornare indietro nella transizione ad una green economy decarbonizzata, circolare e che tutela il capitale naturale? – ha affermato Edo Ronchi, Presidente della Fondazione Sviluppo Sostenibile – Noi riteniamo di no, anche alla luce dell’impatto positivo sull’economia italiana avuto con i progetti del PNRR, nei quali è stato rilevante l’aspetto della sostenibilità ambientale. Senza il Pnrr, il Pil italiano sarebbe stato in stagnazione o, addirittura, in recessione e sarebbe stato molto difficile contenere il deficit al 3%. Per l’Italia, al centro dell’hot-spot climatico del Mediterraneo, con un aumento delle temperature che corre il doppio della media mondiale, la transizione energetica e climatica è di vitale importanza”.

    “L’Italia, con le sue leadership in settori fondamentali come l’economia circolare, ha le carte in regola per essere nel gruppo di testa di un’Europa che guardi alla transizione in modo realistico e pragmatico. In un contesto complesso sotto il profilo geopolitico e di profondi cambiamenti climatici, il nostro continente deve investire in innovazione, crescita sostenibile e sicurezza energetica. L’Italia delle imprese impegnate nella green economy è un esempio da seguire per l’economia del futuro”: lo dichiara Gilberto Pichetto Fratin, Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica.

    I numeri italiani

    Emissioni e Clima

    Dal 1990 al 2024 sono state ridotte complessivamente del 28%, ma nel solo 2024 il taglio delle emissioni di gas serra è stato di poco più di 7 milioni di tonnellate, neanche un meno 2% su base annua: un quarto della diminuzione registrata nel 2023. Per raggiungere l’obiettivo assegnato all’Italia nell’ambito del burden sharing europeo del 43% al 2030, occorre tagliarle di un altro 15% nei rimanenti 6 anni. In Italia il 2024 è stato l’anno più caldo di sempre con oltre 3.600 eventi climatici estremi, quattro volte quelli del 2018.

    Energia, rinnovabili al 49% per la produzione elettrica
    Dal 2005 al 2024, in Italia i consumi di energia per unità di ricchezza prodotta si sono ridotti del 28% (meno della media europea del 35%). L’Italia rimane inoltre fra i Paesi europei con la più alta dipendenza energetica dall’estero. Per i consumi finali di energia, le stime per il 2024 non sono positive: i consumi registrano un aumento di circa l’1,5%, da ricondursi interamente ai settori degli edifici e dei trasporti, che si confermano i veri settori “hard to abate” per l’Italia. Nel 2024 la produzione di elettricità da rinnovabili ha superato i 130 miliardi di kWh, al 49% della generazione di elettricità, in traiettoria col target del Pniec, del 70% al 2030. Purtroppo, i dati del primo semestre del 2025 mostrano un nuovo possibile rallentamento – del 17% per le nuove installazioni di eolico e fotovoltaico rispetto al primo semestre del 2024 – probabilmente per la fine del superbonus del 110% e per la frenata attivata da alcune Regioni. Più efficienza, maggiore risparmio energetico e un forte sviluppo delle rinnovabili sono essenziali non solo per la decarbonizzazione, ma anche per ridurre in Italia i costi dell’energia e aumentare la competitività.

    Economia circolare, l’Italia primeggia in Europa
    La transizione verso una maggiore circolarità dell’economia è particolarmente importante per l’Italia, che utilizza grandi quantità di materiali che importa per il 46,6%. L’Italia ha le migliori performance di circolarità fra i grandi Paesi europei per la produttività delle risorse, cresciuta dal 2020 al 2024 del 32%, da 3,6 a 4,7 €/kg; per il tasso di utilizzo circolare dei materiali, che nel 2023 ha raggiunto il 20,8; per-il tasso di riciclo dell’86% del totale dei rifiuti e per il 75,6% di riciclo degli imballaggi. Attenzione però al mercato delle MPS, in particolare quello della plastica riciclata che è precipitato in una forte crisi e che, se non risolta, potrebbe produrre ricadute negative anche sugli sbocchi delle raccolte differenziate.

    Mobilità, l’e-car non decolla
    In Italia, benché nel 2024 abbiamo raggiunto il record europeo di 701 auto ogni 1000 abitanti (571 la media UE di 571), la produzione è scesa ai minimi storici, a 310 mila unità, con una quota, ormai marginale, del 2,1%, della produzione di auto in Europa. Dopo aver perso il treno dell’industria automobilistica tradizionale, si stanno accumulando ritardi anche nell’industria automobilistica del futuro, quella delle auto elettriche, calate del 13% nel 2024, con una quota di mercato in diminuzione dall’8,6% al 7,6%, un terzo della media UE che è al 22,7%. Benzina e diesel alimentano ancora l’82,5% del parco e il parco auto invecchia ogni anno di più, è arrivato a una media di 12,8 anni.

    Agricoltura, il biologico cresce
    Tra il 1980 e il 2023 in Italia i danni causati all’agricoltura da eventi atmosferici estremi sono stati pari a 135 miliardi di euro, il più elevato in Europa. È essenziale che l’agricoltura italiana sia più coinvolta nella transizione climatica, con misure di adattamento e mitigazione. L’Italia è il Paese europeo con il più elevato numero di prodotti DOP, IGP, STG: nel 2023 sono stati 856. Cresce ormai ogni anno l’agricoltura biologica. Nel 2024 la somma delle aree certificate e in conversione è stata di 2.514.596 con un incremento del 2,4% rispetto all’anno precedente e dell’81,2% in confronto al 2014. La Sicilia continua a essere la regione con la maggiore estensione in valore assoluto (402.779), seguita da Puglia e Toscana. Queste tre regioni concentrano il 38% di tutta la superficie biologica nazionale.

    Il consumo di suolo non si arresta
    Tra il 2022 e il 2023 il consumo di suolo in Italia è stato di 64,4 km2 circa 17,6 ettari al giorno, il terzo valore più alto dal 2012. L’impermeabilizzazione del suolo aumenta il deflusso superficiale e riduce la capacità di assorbimento delle piogge, contribuendo ad aumentare gli impatti degli eventi atmosferici estremi. In termini di impermeabilizzazione, tra i capoluoghi delle Città Metropolitane, segnaliamo che Napoli con il 34,7% e Milano con il 31,8%, hanno i valori più elevati, mentre Messina (6%), Reggio Calabria (5,8%) e Palermo (5,7%) registrano le minori percentuali.

    Le città italiane al lavoro per la transizione ecologica
    Le città italiane sono molto esposte ai rischi della crisi climatica. Nei mesi estivi del 2024, il 90,6% della popolazione residente nelle città italiane è stata esposta a temperature medie superiori a 40°C. Grazie alla partecipazione ad iniziative europee e ai fondi del Pnrr, molte città hanno realizzato interventi di mitigazione e di adattamento alla crisi climatica e iniziative dedicate alla transizione ecologica: impianti innovativi per la gestione rifiuti urbani, aumento di piste ciclabili e potenziamento del trasporto pubblico, rinnovo delle flotte di bus, tutela e valorizzazione del verde urbano, ecc. Nel 2026, terminati i fondi del Pnrr, occorrerà attivare nuove forme di finanziamento per continuare a sostenere la grande vivacità e qualità delle iniziative per la transizione ecologica avviate nelle città. LEGGI TUTTO

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    A 10 anni da Parigi la sfida del clima può essere vinta

    Belém, nel cuore dell’Amazzonia, la Cop30 riunirà il mondo attorno al tavolo del clima, a dieci anni esatti dallo storico Accordo di Parigi. In un decennio caratterizzato da un crescendo di conflitti, tensioni geopolitiche e sfiducia nel multilateralismo, la Cop rimane una bussola importante. Attorno a quel tavolo, ogni anno, quasi duecento Paesi discutono soluzioni per la sfida più grande del nostro tempo: come e in che tempi abbandonare i combustibili fossili e mantenere le temperature all’interno di una soglia compatibile con le indicazioni della scienza.

    Editoriale

    Cop30 – “L’ultimo appello”. Un’istituzione da difendere

    di Federico Ferrazza

    03 Novembre 2025

    È innegabile, molti oggi guardano all’obiettivo di 1,5 °C con scetticismo. Ma il bilancio scientifico è severo: il margine di emissioni compatibile con quella soglia è sempre più esiguo. Tuttavia, senza l’azione avviata a Parigi, oggi saremmo in una situazione drammaticamente peggiore. Dal 2015 la traiettoria di riscaldamento globale stimata è scesa da 3,9 °C a 2,6 °C (Unep), e oltre cento Paesi hanno oggi un obiettivo di neutralità climatica (Unfccc). Gli sforzi fatti hanno rallentato la corsa verso il disastro. Il primo bilancio globale di tali sforzi, in gergo Global Stocktake, concluso a Dubai nel 2023, ha indicato la necessità di accelerare: triplicando le rinnovabili, raddoppiando l’efficienza energetica e avviando l’abbandono graduale dei combustibili fossili. Una decisione, quella di Cop28, che ha riconosciuto l’inevitabilità della fine dell’era fossile.

    L’Europa è l’esempio più tangibile del cambiamento. Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, le emissioni nette dell’Unione europea nel 2022 erano inferiori del 31% rispetto al 1990. Un risultato significativo se si considera che, nello stesso periodo, il Pil europeo è cresciuto considerevolmente. Progressi che mostrano l’avanzare della decarbonizzazione, con la crescita di rinnovabili ed efficienza energetica, in sostituzione a carbone, gas e petrolio. Gli Accordi di Parigi hanno innescato una nuova rivoluzione industriale. Oggi fare innovazione significa investire nelle tecnologie della transizione, le cosiddette clean tech. Dal 2015, i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia indicano che i costi dell’energia solare sono diminuiti dell’85% e quelli delle batterie del 90%, e gli investimenti globali in energia pulita hanno raggiunto i 2.000 miliardi di dollari nel 2024, il doppio di quelli nei combustibili fossili. La mobilità elettrica è il nuovo standard per il futuro dei trasporti e l’elettrificazione dei consumi finali diventa sempre più realtà per molte famiglie e imprese. Secondo l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, nel 2024 si è registrato un aumento di 582 gigawatt di capacità rinnovabile a livello globale, il più alto incremento annuale mai registrato. Si tratta di una trasformazione che ridisegna l’economia globale: chi investe nel futuro pulito ha ritorni in termini di competitività, occupazione e sicurezza. Chi, al contrario, si ostina a difendere il passato rischia di restare intrappolato in industrie obsolete e capitali bloccati in asset destinati a perdere valore. La neutralità tecnologica non esiste: le tecnologie hanno costi, efficienza, maturazione di mercato e disponibilità diverse tra loro. Oggi vince chi punta sulle tecnologie più efficienti, economiche e disponibili, come le rinnovabili.

    In questi dieci anni, gli Stati Uniti sono passati da un programma ambizioso per la transizione come l’Inflation Reduction Act, all’avvento di Trump, che ha scelto di proteggere i settori tradizionali fossili. Tuttavia, restare ancorati al passato non preserva la competitività, la compromette. L’economia globale, trainata da realtà come Cina e India, non aspetta: l’innovazione verde sta diventando la misura della potenza economica.

    Verso Cop30

    Emissioni, finanza, foreste: i temi in discussione in una Cop in bilico

    di Luca Fraioli

    03 Novembre 2025

    Ma l’innovazione richiede finanziamenti e, in questo senso, dal 2015 i flussi finanziari globali hanno preso nuove direzioni. Nel 2022, alla Cop27 di Sharm el-Sheikh, si è reso operativo il “Fondo per Perdite e Danni” (Loss and Damage Fund), primo strumento di solidarietà verso i Paesi più colpiti dagli impatti climatici. Nel 2024, alla Cop29 di Baku, un nuovo obiettivo di finanza climatica ha impegnato i Paesi più ricchi a mobilitare 1.300 miliardi in finanza per il clima entro il 2035.

    Molto resta da fare soprattutto per finanziare l’adattamento. Alla Cop30 di Belém, i Paesi rimarranno sulla rotta tracciata in questi dieci anni, nonostante l’opposizione americana? Molto dipenderà da nuove alleanze e compromessi, inclusa una cooperazione lucida e selettiva tra Europa e Cina. Dieci anni dopo l’Accordo di Parigi, il mondo non ha ancora risolto la sfida climatica, ma ha mostrato che può farlo. La bussola del clima esiste: basta seguirla.

    (*Luca Bergamaschi, esperto di politica energetica, è cofondatore e direttore esecutivo di Ecco, il think tank italiano per il clima) LEGGI TUTTO