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    Inquinamento indoor, alcuni profumatori per l’ambiente rilasciano aerosol potenzialmente tossici

    Un gruppo di ricerca coordinato da Brandon Boor, docente di ingegneria civile presso la Purdue University (Stati Uniti), sta studiando da tempo le sostanze volatili che vari prodotti comunemente utilizzati in casa possono rilasciare, contribuendo alla formazione di aerosol potenzialmente tossici. Il più recente studio firmato da Boor e colleghi, da poco pubblicato su Environmental […] LEGGI TUTTO

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    La Francia mette al bando i Pfas in cosmetici e tessuti

    I Pfas – anche Conosciuti come “inquinanti eterni” – saranno banditi dai prodotti tessili e cosmetici in vendita in Francia. L’assemblea nazionale ha infatti adottato in seconda lettura un progetto di legge, sostenuto dalla sinistra e dalla coalizione governo, che riguarda queste sostanze chimiche (perfluoroalchiliche) controverse. Il divieto – che esclude solo alcuni tessuti industriali […] LEGGI TUTTO

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    Nelle catene montuose nuove risorse di idrogeno naturale

    Definito anche come “il combustibile del futuro”, l’idrogeno potrebbe segnare la svolta per una delle sfide più importanti che l’umanità deve affrontare, la transizione energetica. Fino ad ora però non siamo riusciti a capire dove dovremmo cercare in natura gli accumuli di idrogeno allo stato elementare che ci consentirebbero di sostituire gli attuali combustibili fossili, eliminando di fatto le emissioni di anidride carbonica e altri inquinanti. A indicarci finalmente la via è oggi un team di ricercatori internazionale, guidato da Frank Zwaan, modellista geodinamico del Gfz Helmholtz Center for Geosciences, secondo cui le catene montuose, come i Pirenei, le Alpi e i Balcani, rappresentano potenziali hotspot dell’idrogeno naturale. I dettagli del loro studio sono stati pubblicati sulla rivista Science Advances.

    trasporti

    Coradia Stream H, il primo treno ad idrogeno in Italia viaggerà in Valcamonica

    di Fiammetta Cupellaro

    13 Febbraio 2025

    Cos’è l’idrogeno e come si forma
    L’idrogeno naturale si forma principalmente tramite la serpentinizzazione. Durante questo processo geologico le rocce del mantello reagiscono chimicamente con l’acqua e si trasformano da peridotiti, come l’olivina, a serpentiniti, mentre il ferro si ossida, rilasciando idrogeno. Le rocce del mantello, tuttavia, si trovano a grandi profondità sotto la crosta terrestre e affinché possano entrare in contatto con l’acqua devono risalire verso la superficie. Sono principalmente solo due gli ambienti tettonici in cui le rocce del mantello vengono serpentinizzate nel corso di milioni di anni: i bacini oceanici che si aprono quando i continenti si separano durante i processi di rifting, consentendo al mantello di sollevarsi mentre la crosta continentale sovrastante si assottiglia e alla fine si divide (come nel caso dell’Oceano Atlantico), oppure durante la formazione di catene montuose, quando i continenti si riavvicinano e si scontrano, consentendo alle rocce del mantello di essere spinte verso la superficie (come i Pirenei e le Alpi).

    Nelle catene montuose
    Per valutare dove aspettarsi grandi risorse di idrogeno naturali, il team di ricercatori ha utilizzato un innovativo approccio di modellazione numerica della tettonica a placche. Da qui gli scienziati hanno simulato l’intera evoluzione della tettonica a placche, riuscendo a determinare per la prima volta dove, quando e quante rocce del mantello vengono portate alla luce e quando possono entrare in contatto con l’acqua a temperature favorevoli per consentire la serpentinizzazione e, quindi, la produzione di idrogeno. Dalle analisi è emerso che le condizioni per questo processo sono di gran lunga migliori nelle catene montuose. Questo perché l’ambiente è relativamente più freddo, c’è un’abbondante circolazione d’acqua e ci sono maggiori volumi di rocce del mantello che si trovano a temperature di serpentinizzazione favorevoli di 200-350°C.

    Rinnovabili

    La corsa verso l’energia pulita non può essere fermata

    07 Ottobre 2024

    Una nuova industria dell’idrogeno naturale
    Secondo i successivi calcoli, i ricercatori hanno osservato che la capacità annuale di generazione di idrogeno nelle catene montuose può essere fino a 20 volte maggiore rispetto agli ambienti di rift. Inoltre, le rocce serbatoio necessarie per l’accumulo di idrogeno, come le arenarie, sono facilmente disponibili nelle catene montuose, ma presumibilmente assenti durante la serpentinizzazione nelle parti più profonde degli ambienti soggetti a rifting. “Questa nuova ricerca fa avanzare la nostra comprensione degli ambienti idonei per la produzione naturale di idrogeno”, ha concluso Sascha Brune, tra gli autori dello studio. “Date le opportunità economiche associate all’idrogeno naturale, ora è il momento di andare oltre e studiare anche i percorsi di migrazione dell’idrogeno e degli ecosistemi microbici profondi che consumano idrogeno per capire meglio dove possono effettivamente formarsi potenziali serbatoi di idrogeno”. LEGGI TUTTO

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    Riscaldamento globale, a rischio il limite dei +1.5 gradi definito con l’accordo di Parigi

    Secondo diverse organizzazioni internazionali, tra cui Copernicus della Commissione Europea, il 2024 è stato il primo anno in cui le temperature medie globali si sono mantenute costantemente al di sopra del primo dei due limiti stabiliti con l’Accordo di Parigi: +1.5 gradi centigradi rispetto al periodo preindustriale.

    Un anno non è sufficiente per stabilire che la soglia è stata irrimediabilmente superata, le valutazioni degli esperti riguardano infatti scale temporali che vanno dai due ai tre decenni. Tuttavia, i risultati di due studi pubblicati su Nature Climate Change mostrano che le temperature da record misurate nel corso del 2024 potrebbero essere il segnale che stiamo entrando in un periodo ben più lungo di un anno, che potrebbe essere caratterizzato da questo livello di riscaldamento globale.

    Lo studio

    Mezzo grado in più di riscaldamento globale triplica le aree inospitali della Terra

    di redazione Green&Blue

    04 Febbraio 2025

    Uno dei due studi è stato coordinato da Emanuele Bevacqua, del Helmholtz Centre per la ricerca ambientale di Lipsia (Germania). Gli autori di questa ricerca hanno valutato l’andamento storico delle temperature globali, constatando che il primo singolo anno in cui si sono superate le soglie di riscaldamento globale di 0.6, 0.7, 0.8, 0.9 e 1.0 gradi centigradi ha costantemente aperto un successivo periodo di 20 anni in cui la temperatura media ha raggiunto o superato le stesse soglie. Ossia, il sorpasso per 12 mesi consecutivi di un certo limite di temperatura storicamente ha significato anche il superamento a lungo termine di quella soglia.

    Il gruppo di ricerca ha poi utilizzato i modelli climatici del CMIP6 (Coupled Model Intercomparison Project), impiegati a livello internazionale per studiare e ottenere delle proiezioni sull’andamento del cambiamento climatico, per valutare se quanto osservato negli anni passati potesse essere predittivo anche per il futuro, e in particolare per quanto riguarda il superamento a lungo termine dei +1.5°C. I modelli hanno confermato che il sorpasso di questa soglia per un anno consecutivo è altamente predittivo di un trend sul lungo periodo, con una probabilità che varia dal 66 al 99% a secondo dello scenario di emissioni preso in considerazione.

    Biodiversità

    Le popolazioni di topi in città crescono con l’aumentare delle temperature

    di Sara Carmignani

    02 Febbraio 2025

    L’altro dei due studi usciti su Nature Climate Change è firmato da Alex Cannon, ricercatore presso la Divisione di ricerca sul clima dell’Environment and Climate Change Canada, un ente governativo canadese. Anche Cannon ha utilizzato i modelli CMIP6 per stimare la probabilità che la soglia stabilita dall’Accordo di Parigi venga superata nel prossimo futuro in base ai dati registrati nel 2024 (includendo nelle sue analisi anche l’influenza che fenomeni naturali come El Niño hanno avuto sulle temperature globali registrate lo scorso anno). Utilizzando un approccio leggermente diverso rispetto al gruppo coordinato da Bevacqua, Cannon ha raggiunto in sostanza conclusioni molto simili a quelle descritte nell’altro studio.

    Bevacqua e colleghi concludono sottolineando che i risultati ottenuti non dovrebbero essere interpretati come l’annuncio di una sconfitta dalla quale non è possibile tornare indietro. Al contrario, dovrebbero esortare i cittadini e soprattutto i governi di tutto il mondo all’azione immediata: “Solo una rapida mitigazione a breve termine può limitare efficacemente il picco di riscaldamento – si legge nelle conclusioni della pubblicazione – Un anno al di sopra di 1.5°C non è il momento per la disperazione, ma una chiamata all’azione”. L’ennesima, in un momento in cui le politiche climatiche di molti paesi sembrano andare nella direzione esattamente opposta. LEGGI TUTTO

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    Cineraria: coltivazione, cura e fioritura

    La Cineraria (Cineraria Hibrida Grandiflora) è una pianta ornamentale apprezzata per la bellezza dei suoi fiori e la varietà di colori. Questa pianta, appartenente alla famiglia delle Asteraceae, è originaria delle Canarie e si distingue per la sua capacità di trasformare giardini e balconi in angoli di pura eleganza.

    Coltivazione della Cineraria
    La Cineraria si adatta bene sia in vaso, sia in piena terra, rendendola una scelta versatile per giardini, balconi e terrazzi. Predilige luoghi luminosi ma non direttamente esposti al sole, che potrebbe bruciare foglie e fiori. Una posizione ideale per lei è un’area con luce diffusa o ombra parziale, soprattutto durante le ore più calde della giornata.

    Anche il terreno gioca un ruolo particolarmente importante per la coltivazione. La Cineraria, infatti, predilige un terreno ben drenato e ricco di sostanze organiche; un substrato leggero, composto da terriccio universale mescolato con sabbia o perlite, garantirà un ottimo drenaggio e una crescita sana. È molto importante assicurarsi che il pH del terreno sia leggermente acido o neutro.

    Come si semina la Cineraria
    La semina della Cineraria avviene generalmente in autunno, per consentire alla pianta di svilupparsi durante i mesi invernali e fiorire in primavera. Seminare è piuttosto semplice: distribuite i semi su un substrato umido e copriteli leggermente con uno strato sottile di terriccio. La temperatura deve rimanere attorno ai 18-20° per favorire la germinazione, che avviene in 2-3 settimane. Nel caso in cui si acquistino piante già sviluppate, sarà utile trapiantarle in vaso o in giardino durante la primavera, assicurandosi di mantenere una distanza di almeno 10-30 cm tra le piante per garantire una buona circolazione dell’aria.

    Cura della Cineraria
    Come ci si prende cura della Cineraria? In realtà questa pianta dai cespugli di fiori colorati non richiede particolari attenzioni, ma come tutte le piante ha bisogno di amore e di attenzioni. Ad esempio, per quanto riguarda l’irrigazione, bisogna che questa sia regolare, soprattutto durante il periodo di crescita e di fioritura. Il terreno deve essere mantenuto costantemente umido, ma non inzuppato: è molto importante. L’acqua stagnante, infatti, può causare il tanto temuto marciume radicale; quindi, è sempre bene assicurarsi che i vasi abbiano fori di drenaggio adeguati.

    Durante l’estate, invece, la Cineraria avrà bisogno di annaffiature più frequenti, ma occhio sempre a non bagnare direttamente le foglie: in questo modo si eviteranno le malattie fungine! In inverno, invece, sarà doveroso ridurre le irrigazioni e assicurarsi allo stesso tempo che il terreno non si secchi completamente.

    Concimazione
    Sia che si tratti di semina a terra, in vaso o in semenzaio, la concimazione è a tutti gli effetti un passaggio importante per il benessere della Cineraria. Questa, infatti, beneficia di una concimazione regolare per mantenere una crescita rigogliosa e una fioritura abbondante. Per eseguirla occorrerà utilizzare un fertilizzante liquido bilanciato ogni due settimane durante il periodo di crescita, preferibilmente ricco di fosforo e potassio per stimolare i fiori. Per evitare che crescano più foglie che fiori, sarebbe meglio evitare prodotti con eccesso di azoto.

    Potatura Cineraria: qual è il periodo migliore
    Per mantenere la pianta ordinata e stimolare la produzione di nuovi fiori, è consigliabile rimuovere regolarmente i fiori appassiti. Questo processo, noto come deadheading, permette alla Cineraria di concentrare le sue energie sulla crescita e sulla fioritura. Potare all’inizio della primavera si rivela una scelta vantaggiosa, perché prepara la pianta alla crescita abbondante quando le temperature cominciano ad alzarsi.

    Cineraria: protezione dai parassiti
    La Cineraria può essere attaccata da afidi, acari e mosche bianche. Per prevenire infestazioni, si devono attuare trattamenti naturali anche (e non solo) preventivi. Ad esempio, controllare regolarmente le foglie e utilizzare prodotti biologici o insetticidi specifici è sempre un’ottima scelta, ma se e quando le malattie fungine avranno già colpito la pianta, sarà utile intervenire con prodotti specifici volti a migliorarne la ventilazione. Tra i prodotti naturali ottimi per tenere sotto controllo la salute della Cineraria:

    Olio di lino: per cocciniglie e acari soprattutto;
    Piretro: per afidi e cimici;
    Olio di neem: per mosche bianche, afidi, lepidotteri;
    Sapone molle: capace di evitare fumaggini.

    Fioritura della Cineraria
    La fioritura della Cineraria avviene generalmente in primavera e si protrae fino all’inizio dell’estate. I fiori, simili a margherite, si presentano in un’ampia gamma di colori, tra cui blu, viola, rosa, rosso e bianco, spesso con contrasti cromatici sorprendenti e meravigliosamente estetici. Per ottenere una fioritura abbondante e duratura, è essenziale fornire alla Cineraria le giuste condizioni ambientali e cure. Per quanto riguarda la temperatura, è importante mantenere la pianta in un ambiente che oscilli tra i 10 e i 20°: temperature troppo alte o troppo basse possono comprometterne la fioritura. Per consentire la crescita sana dei suoi fiori stupendi, la Cineraria richiede una luce soffusa e abbondante, mentre respinge il sole diretto, che può danneggiare i boccioli. Durante il periodo di fioritura, infine, sarebbe meglio utilizzare un fertilizzante specifico per piante da fiore per prolungare la bellezza dei fiori, vero spettacolo di colori.

    Cineraria: cosa sapere prima di acquistarla
    Coltivare la Cineraria non è complesso, ma tutti e tutte dovrebbero sapere che si tratta di una pianta tossica per gli animali domestici. Questa pianta, infatti, contiene alcune sostanze che, se ingerite, possono essere tossiche per cani e gatti. Nel caso in cui abbiate animali domestici, ragionate se sia il caso di tenerla in casa o, eventualmente, posizionatela fuori dalla loro portata.

    Si tratta di una pianta straordinaria che, con le giuste cure, può trasformare qualsiasi spazio in un tripudio di colori. Che si abbia un giardino, un balcone o un angolo verde in casa, la Cineraria è una scelta eccellente per aggiungere un tocco di eleganza e vivacità a ogni ambiente. LEGGI TUTTO

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    Nauru, l’isola del Pacifico che vende passaporti per contrastare il riscaldamento globale

    Per contribuire a coprire i costi dello spostamento di circa 10.000 residenti dalle loro abitazioni situate in zone minacciate dall’innalzamento del livello del mare e dalle inondazioni, la remota nazione di Nauru, nell’Oceano Pacifico, intende vendere la propria cittadinanza per fare cassa nella lotta al cambiamento climatico. Il presidente David Adeang, secondo Bloomberg, sta cercando […] LEGGI TUTTO

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    Filippine, una taglia sulle zanzare: la ricompensa a chi le prende “vive o morte”

    L’animale più pericoloso al mondo nelle Filippine è diventato most wanted, c’è persino una taglia per catturarlo “vivo o morto”, o se preferite ancora in stato larvale. Non stiamo parlando di grandi predatori o serpenti velenosi, ma del più letale animale di sempre per la salute dell’uomo: la zanzara. Veicolo di malattie, dalla malaria alla Dengue, questo insetto è diventato talmente pericoloso che in un quartiere delle Filippine chiamato Addition Hills, nella cittadina di Mandaluyong, le autorità locali hanno deciso di tentare uno stratagemma che ci riporta ai cartelloni del Far West: offrire una taglia per la cattura delle zanzare. LEGGI TUTTO

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    Cop16, gli aiuti al Sud del mondo per salvare la biodiversità

    La partita cruciale per arginare e invertire la perdita di biodiversità che sta investendo ogni angolo del globo, e in particolare il Sud del mondo, si gioca in Italia: dal 25 al 27 febbraio la FAO a Roma ospiterà infatti la seconda sessione della Conferenza delle Parti sulla Biodiversità (COP16Bis) delle Nazioni Unite, cui anche Greenpeace parteciperà con una propria delegazione di rappresentanti. L’appuntamento arriva a pochi mesi dalla COP16 di Cali, in Colombia, sospesa lo scorso 2 novembre per il mancato accordo sulle risorse economiche che i Paesi del Nord globale avevano promesso di destinare al Sud del mondo per contrastare la perdita di biodiversità.

    Al vertice di Cali erano stati raggiunti alcuni risultati positivi: tra questi, la creazione di un nuovo organismo dedicato ai Popoli Indigeni, la definizione di un metodo standard per identificare le aree oceaniche di alto valore ecologico, e un accordo sui contributi finanziari che le aziende utilizzatrici di informazioni genetiche derivanti dalla biodiversità (come quelle dei settori farmaceutico, cosmetico e biotecnologico) dovranno destinare alla conservazione della natura. Ma restano importanti questioni da dirimere: garantire un accesso diretto ai finanziamenti per i Popoli Indigeni e le comunità locali; assicurare che il fondo di Cali per convogliare le risorse derivanti dall’uso commerciale della natura venga reso operativo in modo corretto, giusto ed equo; raggiungere un accordo, entro il 2025, su un piano per ridurre gradualmente, riformare ed eliminare gli incentivi finanziari dannosi per la natura.

    Lo stallo più grande da superare è la mancanza di impegni concreti dei Paesi più ricchi in favore di quelli in via di sviluppo, i più impattati dalla perdita di biodiversità: una questione essenziale per attuare il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (KM-GBF), il Quadro Globale per la Biodiversità scaturito della storica COP15 di Montreal del 2022. Tra i target principali stabiliti dal KM-GBF, ci sono la protezione di almeno il 30% degli ecosistemi marini e terrestri entro il 2030, un flusso di risorse economiche dai Paesi sviluppati a quelli meno sviluppati di 20 miliardi di dollari all’anno entro il 2025 e di 30 miliardi all’anno entro il 2030, una riduzione dei sussidi ai settori dannosi per la biodiversità di almeno 500 miliardi di dollari entro il 2030.

    “La priorità del summit che si terrà a Roma è sbloccare un’equa distribuzione delle risorse economiche necessarie ad arginare la perdita di biodiversità, assicurando almeno 20 miliardi di dollari entro il 2025 alle comunità che più pagano le conseguenze della distruzione di habitat e dello sfruttamento di risorse naturali”, dichiara Martina Borghi, campaigner Foreste di Greenpeace Italia.

    “C’è un importante gap da colmare e l’Italia è tra i principali responsabili del ritardo nel versamento della propria quota in favore dei Paesi in via di sviluppo. Inoltre è importante ridurre e riallocare a favore di un’effettiva ed efficace protezione della natura i sussidi elargiti ai settori ambientalmente dannosi, cui anche il nostro Paese contribuisce in misura significativa”.Tra il 2016 e l’inizio del 2023, denuncia il report di Greenpeace “EU Bankrolling ecosystem destruction”, diverse istituzioni finanziarie con sede in Italia hanno contribuito con 10 miliardi di euro in credito e oltre 2,5 miliardi di euro in investimenti a importanti società in settori come quelli lattiero-caseario, della mangimistica, dei biocarburanti e del packaging, che mettono a rischio gli ecosistemi del pianeta.

    Uno studio che quantifica l’impatto della deforestazione legata ai consumi delle economie più sviluppate, pubblicato sulla rivista scientifica Nature nel 2024, evidenzia in particolare come tra il 2001 e il 2015 circa l’80% della perdita di biodiversità associata ai consumi italiani sia avvenuta al di fuori dei confini nazionali: tra i 24 Paesi considerati, l’Italia si posiziona al settimo posto a livello globale e al quarto a livello europeo per perdita di biodiversità “importata”.

    Da un rapporto di ODI (Overseas Development Institute) del giugno 2024 emerge inoltre che, a dispetto degli obiettivi fissati alla COP15 di Montreal, su 28 Paesi analizzati, 23 hanno versato meno della metà della loro quota promessa ai Paesi in via di sviluppo per arginare la perdita di biodiversità, con 8,4 miliardi di dollari e un deficit di 11,6 miliardi di dollari: tra i principali responsabili del ritardo ci sono Giappone, Regno Unito, Italia, Canada e Spagna, che mancano all’appello con 8,3 miliardi. Soltanto Norvegia e Svezia hanno rispettato il loro impegno.

    L’Italia è il Paese europeo con la maggiore varietà di habitat e di specie, e il più alto numero di specie endemiche: oltre il 50% delle specie vegetali e il 30% di quelle animali di interesse conservazionistico a livello europeo si trovano solo nel nostro Paese. L’Italia vanta anche 85 tipi di ecosistemi terrestri, ma il 68% di questi è in pericolo, mentre il 30% delle specie presenti è a rischio estinzione. A oggi, le aree protette sul territorio italiano coprono appena il 17% della superficie terrestre e l’11% di quella marina; tuttavia, quest’ultima cifra è incerta perché include anche siti protetti soltanto su carta, come recentemente denunciato da Greenpeace. Eppure, il 32% degli habitat marini soggetti a degrado in Europa si trova proprio nel Mediterraneo.A livello globale le cose non vanno meglio. Solo circa il 15% della superficie terrestre risulta protetto.

    Tra il 2015 e il 2020, la FAO stima un tasso di deforestazione di circa 10 milioni di ettari all’anno, con l’agricoltura intensiva tra le principali cause della perdita di biodiversità e il 33% del suolo terrestre utilizzato per coltivazioni o pascoli. Circa il 75% dell’ambiente terrestre risulta a oggi significativamente alterato dalle attività umane. Per quanto riguarda la superficie marina, risulta protetto l’8,4% degli oceani, anche se appena il 2,7% risulta sottoposto a rigide misure di conservazione, con una percentuale che si riduce allo 0,9% per le aree d’alto mare al di fuori della giurisdizione nazionale.

    Mentre la Lista Rossa della IUCN (l’Unione internazionale per la conservazione della natura) conta oltre 150 mila specie minacciate, 42.108 delle quali a rischio estinzione.La conservazione della biodiversità rimane dunque una delle sfide più urgenti, che deve fare i conti con molteplici minacce: dal cambiamento climatico alla distruzione e frammentazione degli habitat, dallo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali all’inquinamento.

    E mentre gli oceani si trovano a fronteggiare vecchi e nuovi pericoli, dalla pesca industriale al possibile avvio delle estrazioni minerarie in alto mare (il cosiddetto deep sea mining), le foreste continuano a essere distrutte per gli interessi dell’agroindustria e delle compagnie del gas e del petrolio.Per evitare il collasso della biodiversità marina e terrestre e quindi garantire il mantenimento della funzionalità degli ecosistemi, è necessario fermare e invertire la tendenza al più presto: pertanto, Greenpeace sarà alla COP16Bis per chiedere l’approvazione di una strategia di mobilitazione delle risorse che sia tempestiva, trasparente, giusta ed equa, con finanziamenti direttamente accessibili ai Popoli Indigeni e alle comunità locali più impattati dalla perdita della natura. LEGGI TUTTO