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    Greenpeace: viaggiare in Europa costa meno in aereo che in treno

    Nel mezzo dell’ennesima estate segnata da eventi climatici estremi come incendi, ondate di calore e alluvioni che stanno colpendo il nostro continente, un nuovo rapporto di Greenpeace Europa centro-orientale (CEE) denuncia il fallimento del sistema di trasporti europeo, in cui i voli aerei, nonostante il loro enorme impatto climatico, sono più economici dei viaggi in treno. Grazie ai privilegi fiscali di cui godono le compagnie aeree, in più della metà delle tratte analizzate costa meno viaggiare in aereo che in treno, addirittura fino a 26 volte meno.

    Il rapporto esamina 142 tratte in 31 Paesi europei, mostrando che i voli sono mediamente più economici dei treni sul 54% delle 109 tratte transfrontaliere analizzate. In Italia la situazione è anche peggiore: nelle 16 tratte internazionali che riguardano il nostro Paese, viaggiare in aereo è mediamente meno costoso che usare il treno nell’88% dei casi, ponendo l’Italia al quarto posto nella classifica dei Paesi europei in cui l’aereo è più economico del treno. A ciò si aggiunge spesso anche una grande differenza di prezzo: viaggiare da Lussemburgo a Milano costa quasi 12 volte di più in treno che in aereo, da Barcellona a Londra fino a 26 volte di più.

    Trasporti

    Sicurezza aerea, la crisi climatica e gli eventi estremi mettono a rischio l’aviazione

    di Sandro Iannaccone

    20 Giugno 2025

    “Anche se la crisi climatica peggiora, il sistema dei trasporti europeo continua a favorire il mezzo di trasporto più inquinante, con prezzi dei voli assurdamente bassi rispetto a quelli dei treni, che sarebbero molto più sostenibili”, dichiara Federico Spadini della campagna Clima e trasporti di Greenpeace Italia. “Questa situazione non è dovuta a questioni di efficienza, ma all’inerzia politica europea che consente alle compagnie aeree di godere di privilegi fiscali ingiusti che sfavoriscono il trasporto ferroviario a spese del clima del pianeta”.

    Trasporti

    Solo il 13% delle compagnie aeree ha un piano green e sceglie carburanti sostenibili

    di Dario D’Elia

    03 Dicembre 2024

    Il costo ambientale di questo sistema truccato è enorme. I voli aerei emettono in media 5 volte più CO? per passeggero per chilometro rispetto ai treni. Se confrontati con i sistemi ferroviari che utilizzano energia elettrica 100% rinnovabile, il loro impatto può essere oltre 80 volte superiore. Nonostante ciò, le tariffe aeree artificialmente basse continuano a spingere i viaggiatori a scegliere l’aereo, con le compagnie aeree low cost che dominano il mercato grazie a prezzi sleali. Infatti, mentre le compagnie aeree non pagano né l’imposta sul cherosene né l’IVA sui voli internazionali, le ferrovie devono pagare le imposte sull’energia, l’IVA ed elevati pedaggi ferroviari.

    “Ogni tratta in cui l’aereo è più economico del treno è un fallimento politico: l’Europa deve rendere il treno l’opzione più economica, anziché quella più svantaggiosa perché meno finanziata. Per questo chiediamo all’Unione europea e ai governi nazionali di porre fine alle agevolazioni fiscali per il settore aereo, di investire sulla rete ferroviaria e di introdurre biglietti climatici a prezzi accessibili e facili da utilizzare. Le risorse economiche per cambiare il sistema dei trasporti si potrebbero ricavare da una tassazione adeguata del settore aereo, dei super-ricchi e delle aziende più inquinanti come quelle dei combustibili fossili. Servirebbe solo la volontà politica dei leader europei”, conclude Spadini. LEGGI TUTTO

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    Spreco alimentare: le strategie di 21 scienziati per salvare un’area più grande dell’Africa

    Non c’è tempo da perdere: su questo non hanno dubbi. Ma le soluzioni ci sono e consentirebbero di contrastare la crisi climatica in atto arrestando la perdita di biodiversità. Per ridurre lo spreco alimentare in chiave sostenibile frenando la curva del degrado del suolo, intervengono, con un articolo su Nature rivolto in particolare ai decisori politici, 21 scienziati internazionali di spicco: l’articolo quantifica l’impatto, entro il 2050, di una riduzione del 75% dello spreco alimentare e della massimizzazione di una produzione sostenibile, basata in particolare sugli oceani. Misure che da sole sarebbero in grado di salvare circa 13,4 milioni di km² di terreno, un’area più grande dell’intera Africa.Tra i suggerimenti, il ripristino di aree degradate, l’adozione di politiche per prevenire la sovrapproduzione e il deterioramento, il divieto di rifiutare di immettere sul mercato prodotti considerati semplicemente brutti, l’incoraggiamento alle donazioni di cibo e alla vendita a prezzi fortemente scontati di prodotti prossimi alla data di scadenze a, ancora, campagne educative volte a ridurre gli sprechi domestici. Infine, potrebbe essere decisivo un supporto deciso ai piccoli agricoltori nei paesi in via di sviluppo per migliorare i processi di stoccaggio e trasporto delle derrate alimentari.

    Consumi

    La crisi del clima fa impennare i prezzi del cibo: verdure, olio e riso fino al 70% in più

    a cura della redazione di Green&Blue

    22 Luglio 2025

    Piegare la curva del degrado del suolo
    L’analisi parte dalla constatazione che “i sistemi alimentari non sono ancora stati pienamente integrati negli accordi intergovernativi, né ricevono sufficiente attenzione nelle attuali strategie per affrontare il degrado del suolo”. Proprio per questo, sostengono gli scienziati, “solo riforme rapide e integrate incentrate sui sistemi alimentari globali possono far passare la salute del suolo dalla crisi alla ripresa e garantire un pianeta più sano e stabile per tutti”. “Proprio così – annuisce l’autore principale Fernando T. Maestre della King Abdullah University of Science and Technology (Kaust), Arabia Saudita – Abbiamo inteso proporre una serie di azioni coraggiose e integrate per affrontare insieme il degrado del territorio, la perdita di biodiversità e il cambiamento climatico, nonché un percorso chiaro per attuarle entro il 2050″. “Una trasformazione graduale ma decisa dei sistemi alimentari, anche attraverso uno sfruttamento intelligente del potenziale della pesca sostenibile, aiuterebbe – aggiunge il ricercatore – a ‘piegare la curva’ e invertire il degrado del territorio, avanzando al contempo verso gli obiettivi della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione e di altri accordi globali”.

    L’agricoltura rigenerativa
    “Quando i suoli perdono fertilità, le falde acquifere si esauriscono e la biodiversità si perde, il ripristino del territorio diventa esponenzialmente più costoso. – annota Barron Joseph Orr, direttore scientifico dell’Unccd, la Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione in quei Paesi che soffrono di gravi siccità, particolarmente in Africa – I tassi di degrado del territorio in corso contribuiscono a una serie di crescenti sfide globali, tra cui insicurezza alimentare e idrica, trasferimenti forzati e migrazioni della popolazione, disordini sociali e disuguaglianza economica”. E non v’è dubbio che il degrado del territorio non sia solo un problema rurale, ma “influisce sul cibo che mangiamo, sull’aria che respiriamo e sulla stabilità del mondo in cui viviamo. – aggiunge Orr – Non si tratta di salvare l’ambiente, ma di garantire il nostro futuro comune”.

    Sostegno ai piccoli produttori e tecnologie accessibili
    E dunque ripristinare il 50% dei terreni degradati attraverso pratiche di gestione sostenibile del territorio equivarrebbe al ripristino di 3 milioni di km² di terreni coltivabili e 10 milioni di km² di terreni non coltivabili, per un totale di 13 milioni di km². Perché ciò avvenga, gli autori raccomandano più volte, nel documento, un convinto sostegno ai piccoli agricoltori: la maggior parte del cibo mondiale è coltivato da piccole aziende agricole a conduzione familiare. Si chiede dunque di spostare i sussidi agricoli dalle grandi aziende agricole industriali ai piccoli operatori, incentivando una buona gestione del territorio tra i 608 milioni di aziende agricole del mondo e promuovendo il loro accesso alla tecnologia, ma anche a diritti fondiari garantiti e a mercati equi.Non marginale, l’idea che tasse o tariffe premino l’agricoltura sostenibile e penalizzino gli inquinatori. Fondamentale una etichettatura “ambientale”, affinché i consumatori possano fare scelte alimentari consapevoli e rispettose del pianeta.

    Startup

    Il cestino intelligente che differenzia i rifiuti automaticamente

    di Dario D’Elia

    25 Marzo 2025

    Il futuro è nelle alghe e nei molluschi?
    Il documento punta anche sull’integrazione di sistemi alimentari terrestri e marini: la carne rossa prodotta in modo non sostenibile consuma grandi quantità di terreno, acqua e mangimi ed emette significative emissioni di gas serra. Così, frutti di mare e alghe rappresentano alternative sostenibili e nutrienti. “Un’acquacoltura responsabile, che si concentri su specie a basso impatto come cozze e prodotti derivati dalle alghe, può ridurre la pressione sul territorio”, aggiungono dunque i ricercatori, suggerendo la sostituzione del 70% della carne rossa prodotta in modo non sostenibile con prodotti ittici di provenienza sostenibile, come pesci e molluschi selvatici o d’allevamento. “Questo consentirebbe di risparmiare 17,1 milioni di km² di terreno attualmente utilizzato per pascoli e mangimi per il bestiame”, spiegano gli scienziati.

    Economia circolare

    Nelle mense si gettano via 38mila tonnellate di cibo all’anno. Una startup previene lo spreco

    di Gabriella Rocco

    30 Giugno 2025

    “Tutti insieme per un obiettivo comune”
    Nel documento si chiede inoltre che le tre Convenzioni di Rio delle Nazioni Unite – UNCCD, CBD e UNFCCC – si uniscano attorno a obiettivi condivisi per la salvaguardia del territorio e dei sistemi alimentari e incoraggino lo scambio di conoscenze all’avanguardia, monitorino i progressi e semplifichino la scienza in politiche più efficaci, il tutto per accelerare l’azione sul campo. Di qui l’invito a “promuovere azioni multilaterali sui sistemi territoriali e alimentari in modo coordinato e collaborativo”. “La terra è più che suolo e spazio. Ospita biodiversità, gestisce il ciclo dell’acqua, immagazzina carbonio e regola il clima. – dice Elisabeth Huber-Sannwald, che insegna all’Instituto Potosino de Investigación Científica y Tecnológiva, San Luis Potosí, Messico, ed è coautrice dello studio – Ci fornisce cibo, sostiene la vita e custodisce profonde radici di antenati e conoscenza. Oggi, oltre un terzo del territorio terrestre è utilizzato per coltivare cibo, nutrendo una popolazione globale di oltre 8 miliardi di persone. Eppure, oggi, le moderne pratiche agricole, la deforestazione e lo sfruttamento eccessivo stanno degradando il suolo, inquinando l’acqua e distruggendo ecosistemi vitali. La sola produzione alimentare è responsabile di quasi il 20% delle emissioni globali di gas serra. Dobbiamo agire, quanto prima” LEGGI TUTTO

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    Fa sempre più caldo, i pipistrelli salgono di quota

    La verità sul cambiamento climatico? Arriva dai pipistrelli. Mammiferi longevi (arrivano fino ai quarantuno anni di età) e a riproduzione lenta (di norma, hanno un piccolo all’anno), sono tra gli animali più sensibili all’impatto umano. E stanno offrendo informazioni preziose sul rapporto tra climate change e biodiversità. Già, perché le ondate di calore, sempre più frequenti subito dopo i parti, stanno uccidendo i piccoli di diverse specie nei loro rifugi, non solo in quelli artificiali (le cosiddette “bat box”), ma anche negli edifici e perfino nelle cavità degli alberi. “Sono segnali inequivocabili, tanto più perché arrivano dagli animali, che non votano, non formano lobby e non hanno tessere di partito. – spiega Danilo Russo, ecologo dell’Università Federico II di Napoli e tra i massimi esperti internazionali di pipistrelli – Perciò, quando col loro comportamento raccontano i cambiamenti climatici prodotti dall’azione umana, tocca crederci”.

    Nuovi equilibri
    Così il team coordinato da Russo ha raccolto precise evidenze monitorando il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, lavora da molti anni. In quest’area, le temperature invernali sono aumentate di 4 gradi centigradi in due decenni. Con conseguenze evidenti. “Alcune specie legate ai fiumi stanno spostando le aree riproduttive verso altitudini più elevate, rese ospitali dal clima più mite e dalla maggiore abbondanza di insetti”, spiega Russo. È il caso del vespertilio di Daubenton (Myotis daubentonii), le cui femmine riproduttive sono risalite di 175 metri in 24 anni, seguendo “il caldo che avanza”. Lo fanno sfruttando la rigogliosa vegetazione ripariale dell’area, che offre loro rifugi e cibo. Ancora più rapido l’adattamento del raro vespertilio di Capaccini (Myotis capaccinii), specie legata a grotte e climi caldi: “Appena nel 2023 lo abbiamo registrato a 870 m, dove non era mai stato avvistato”, racconta ancora l’ecologo. Nel luglio 2025 abbiamo osservato una femmina a 1020 m, nel cuore del Parco”.

    Cosa succede al pianeta

    Stiamo cambiando gli equilibri della natura

    di Elena Dusi

    11 Agosto 2025

    Una strategia per sopravvivere
    Evidenze inoppugnabili, che confermano l’importanza di studi specifici come quello finanziato dall’Ente Parco, un progetto di ricerca in cui sono coinvolti anche. Luca Cistrone e il Laboratorio AnEcoEvo (Dipartimento di Agraria, Università Federico II di Napoli), in collaborazione con Mirjam Knörnschild del Museo di Storia Naturale di Berlino. L’obiettivo generale è proprio comprendere come i pipistrelli stiano rispondendo al riscaldamento globale in atto. Spostandosi di quota, e non solo. Perché a quanto pare Myotis daubentonii, in un periodo circa vent’anni, ha anche aumentato le proprie dimensioni corporee. “Riprodursi in rifugi più caldi significa risparmiare l’energia necessaria a scaldare il corpo, e le madri reinvestono questa energia nella crescita dei piccoli”, spiega Russo. Il clima starebbe dunque avvantaggiando questi mammiferi? Difficile dirlo. In un mondo dove gli insetti sono in forte declino, per pipistrelli insettivori come quelli italiani un corpo più grande potrebbe rappresentare un handicap, più che un vantaggio.

    Crisi climatica

    Estati lunghe fino a 5 mesi in molte città d’Europa

    di Paolo Travisi

    11 Luglio 2025

    Che il cambiamento climatico sia una minaccia seria lo conferma un altro studio coordinato da Russo, nel quale è stata documentata la mortalità neonatale in un bosco friulano per la nottola comune, una delle due specie migratrici che lo frequentano. “Le cavità più calde degli alberi attraggono le femmine partorienti – spiega Russo – ma quando arrivano le ondate di calore, quegli stessi rifugi diventano trappole letali da cui i piccoli non possono sfuggire”. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista “Ecology and Evolution”. LEGGI TUTTO

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    Abruzzo, basta foto con gli orsi: al via una campagna di sensibilizzazione

    Il tema è caldo, oggi più che mai. L’overtourism e i suoi effetti, diretti e indiretti, sulla biodiversità. Al mare e in montagna, nel lungo mese di agosto che coincide con il picco del fenomeno: flussi imponenti di turisti smartphone-muniti che arrivano un po’ ovunque, sconvolgendo gli equilibri naturali, impattando sui territori. Usa l’arma della sottile ironia, allora, il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, raccontando una distopica presa di posizione degli orsi, animali simboli dell’area protetta, per i giorni che segnano tradizionalmente il picco delle presenze turistiche all’interno dell’area protetta. Con un post sui profili del Parco, si annuncia che “gli orsi si sono organizzati e costituiti in comitato per protestare contro ciò che vedono, allibiti dai diversi comportamenti tenuti dai turisti, non adeguati ad un territorio speciale che è anche casa loro”.

    Biodiversità

    Pettorano sul Gizio, il primo paese a misura d’orso

    di Fiammetta Cupellaro

    10 Aprile 2025

    Quando il turismo diventa una minaccia
    Nel dettaglio, prosegue il racconto, che ha collezionato centinaia di condivisioni, “sono stupefatti nel vedere turisti impreparati, improvvisarsi escursionisti della domenica, spesso urlanti, qualcuno addirittura salire in ciabatte anche a duemila metri, senza contare quelli che escono dai sentieri autorizzati e si fanno addirittura il bagno nei ruscelli”. Del resto, ed è qui la differenza, “gli orsi sanno sempre come comportarsi e quale sia il percorso migliore da scegliere in base alle loro capacità”. Sono stufi di essere paparazzati in ogni loro piccola e fugace uscita pubblica. Loro ogni volta che incontrano un umano si fanno gli affari propri con discrezione e rispetto, non si mettono a inseguirli per fargli le foto. Sono sconcertati nel vedere gli umani che si avvicinano ai cervi, alle volpi per dargli da mangiare: non è un comportamento rispettoso degli animali selvatici. Loro non hanno bisogno di noi umani”.

    I protagonisti

    La grande sfida della convivenza con la fauna selvatica

    di Piero Genovesi

    06 Giugno 2025

    Rischio di un Parco off-limit per i turisti
    Di qui, dunque, la reazione, con l’orsa Giacomina che – secondo la versione del Parco – “ha convocato tutti gli orsi marsicani ed insieme hanno deciso: tourist go home!”. Ma c’è una via d’uscita, per scongiurare il rischio di un Parco off-limits per gli umani. “Siamo venuti a conoscenza, da un portavoce del comitato, che basterebbe davvero poco per far cambiare idea agli orsi. – si legge nel messaggio – n fondo, sarebbe sufficiente: camminare per i boschi in modo rispettoso, dimenticarsi il telefono in tasca e godersi il luogo, non inseguire orsi in macchina, non dare da mangiare a cervi, volpi e orsi, riporre i rifiuti nel proprio zaino, riportandoli a casa e fare la differenziata”.
    L’appello
    Ed ecco, infine, la morale, che è un vero e proprio appello ai visitatori-turisti: “Quando venite al Parco, siate orsi. Rispettate ogni angolo di questo paradiso e condividete la gioia di poterlo vivere in armonia con la Natura. Chi saprà farlo, sarà sempre più che il benvenuto tra questi monti, valli, boschi e paesi”. LEGGI TUTTO

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    É un batterio dello stesso ceppo del colera a sterminare le stelle marine

    Finalmente abbiamo il colpevole di un’epidemia che da un decennio sta uccidendo intere popolazioni di stelle marine lungo la costa occidentale del Nord America. Si tratta di un ceppo del batterio vibrio pectenicida che causa la cosiddetta Sea Star Wasting Disease (Sswd), malattia da deperimento delle stelle marine, considerata la più grande epidemia marina mai documentata in natura, tanto che fino ad oggi ha ucciso miliardi di stelle marine di oltre 20 specie diverse dall’Alaska al Messico. A riferirlo è stato un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature Ecology and Evolution da un team di ricerca internazionale, guidato dell’Hakai Institute, dell’Università della British Columbia e dell’Università di Washington, secondo cui comprendere la causa della malattia sarà essenziale per mettere a punto strategie per il recupero delle stelle marine e degli ecosistemi colpiti dal loro declino.

    La misteriosa malattia che trasforma le stelle marine in poltiglia

    Noemi Penna

    06 Marzo 2023

    Il killer delle stelle
    Vibrio è un genere di batteri già ben conosciuti: vibrio cholerae, per esempio, è il patogeno che causa il colera negli esseri umani. Nel caso delle stelle marine, l’infezione con il ceppo FHCF-3 di vibrio pectenicida innesca una grave malattia che inizia con lesioni esterne e, in circa due settimane, arriva a uccidere le stelle marine “fondendone” i tessuti. Oltre il 90% delle stelle marine girasole (Pycnopodia helianthoides), che possono arrivare a sviluppare 24 braccia, è stato sterminato dalla malattia Sswd in appena un decennio ed oggi questa specie fa parte della Red List delle specie in via d’estinzione dell’Unione mondiale per la conservazione della natura (Iucn).

    Ambiente

    I fondali degli oceani come miniere, a rischio habitat e biodiversità

    Alessandro Petrone

    27 Aprile 2023

    Le foreste di alghe
    L’enorme perdita delle stelle marine ha avuto effetti drammatici sugli ecosistemi marini. “Quando perdiamo miliardi di stelle marine, le dinamiche ecologiche cambiano radicalmente”, ha commentato Melanie Prentice, prima autrice dello studio. “In assenza di stelle marine girasole, le popolazioni di ricci di mare aumentano, il che significa la perdita delle foreste di alghe marine, con ampie implicazioni per tutte le altre specie marine e per gli esseri umani che dipendono da esse”. Le foreste di alghe, infatti, sono cruciali perché forniscono l’habitat a migliaia di organismi, contribuiscono alle economie locali attraverso la pesca e il turismo e immagazzinano l’anidride carbonica. “Capire cosa ha portato alla scomparsa della stella marina girasole è un passo fondamentale per il recupero di questa specie e di tutti i benefici che gli ecosistemi delle foreste di alghe offrono”, ha aggiunto Jono Wilson, tra gli autori dello studio.

    Ambiente

    I fondali degli oceani come miniere, a rischio habitat e biodiversità

    Alessandro Petrone

    27 Aprile 2023

    La ricerca
    Dopo ben 4 anni di ricerche e analisi per trovare il patogeno responsabile, il team di ricercatori ha scoperto livelli elevati di vibro pectenicida nel fluido celomatico, ossia il corrispettivo del nostro sangue, nelle stelle marine, riuscendo finalmente a identificarlo come agente causale della malattia. “Quando abbiamo esaminato il fluido celomatico tra stelle marine malate e sane, c’era fondamentalmente una cosa diversa: Vibrio”, ha commentato la co-autrice Alyssa Gehman. “Avevamo tutti i brividi. Pensavamo: è questo che causa la malattia”. Per confermare che il ceppo FHCF-3 di vibro pectenicida fosse la causa della Sswd, i ricercatori hanno creato colture di vibro pectenicida dal fluido celomatico di stelle marine malate e lo hanno poi iniettato in stelle marine sane, dimostrandone la patogenicità. Sebbene servano ulteriori ricerche per poterlo confermare, i ricercatori ipotizzano che tra i fattori scatenanti della malattia ci sarebbe l’aumento delle temperature oceaniche, dato che altri ceppi di Vibrio proliferano in acque calde. “Questa scoperta apre nuove interessanti prospettive in grado di sviluppare soluzioni per il recupero della specie”, ha concluso Wilson. “Stiamo conducendo studi che esaminano le associazioni genetiche con la resistenza alle malattie, l’allevamento in cattività degli animali e la riproduzione sperimentale per comprendere le strategie e i luoghi più efficaci per reintrodurre le stelle marine girasole in natura.” LEGGI TUTTO

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    “Fulmini sempre più potenti: ecco come proteggersi”

    Non è il numero di fulmini in Italia a preoccupare, ma è l’energia in costante crescita che si sta verificando sul nostro territorio. Quello che un tempo poteva essere infatti un banale temporale estivo oggi è – per conseguenza della crisi climatica – “un evento potenzialmente letale se non si valuta attentamente il rischio” spiega a Repubblica Sante Laviola, climatologo e ricercatore del Cnr-Isac (Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima).

    In Salento, lungo la statale 275, un 42enne purtroppo è morto dopo essere stato sbalzato dalla sua motocicletta a causa di un fulmine caduto durante un temporale.Poche ore prima a Ferrandina stessa tragica sorte per un 29enne che si trovava all’interno di un’auto, dove si era rifugiato per via di una tempesta: la macchina è stata schiacciata da un albero caduto dopo l’impatto con un fulmine.
    Prima ancora ci sono stati casi di feriti o di persone folgorate a Pescasseroli, nelle acque di Palinuro, a Piombino, ma anche in montagna sopra Auronzo di Cadore o in Appennino a Cima Tauffi. Episodi gravissimi che ci ricordano, spiega l’esperto del Cnr, la necessità di una “nuova cultura del rischio” davanti ai fenomeni meteo estremi.
    Già due vittime e diversi casi di folgorazione potenzialmente letali. I fulmini sono in aumento in Italia?
    “No, per ora direi di no, nel senso che se parliamo solo di numeri gli ultimi dati a disposizione, che sono di un paio di mesi fa, non indicano per ora un particolare aumento. Il 2018 (con 7 milioni di fulmini, ndr) resta uno degli anni record, un picco massimo. Quello che sta crescendo invece è l’energia”.

    Cosa significa?
    “Che i temporali, all’interno dei quali si formano i fulmini, hanno un’accelerazione di intensificazione dovuta proprio al cambiamento climatico. La quantità di calore dovuta alle irruzione anticicloniche accumula energia in atmosfera che, in fase di rimescolamento – come quella che sta avvenendo ora al centro sud Italia con temporali anche intensi – contribuisce a formazioni nuvolose con tanto ghiaccio e grandine all’interno, condizioni ideali con cui si formano le scariche elettriche. Questo è accentuato in montagna, ma avviene anche lungo le coste, come in mare, dove può essere davvero alto il carico di attività elettrica”.

    Perchè in questi mesi serve una “doppia” attenzione ai fulmini?
    “Perchè soprattutto a luglio e agosto, mesi di picco massimo per i fulmini, i temporali hanno una elevata quantità di energia che si manifesterà probabilmente con scariche elettriche vigorose. Quelle che finiscono spesso al suolo, ma soprattutto su alberi, strutture puntiformi e in mare, zone dove d’estate tendiamo a ritrovarci. Proprio il mare caldo contribuisce a questa energia. In particolare il vapore d’acqua in atmosfera adesso ha un trend in aumento: più cresce più le nubi hanno una quantità di ghiaccio maggiore disponibile e questo provoca temporali più intensi. Dunque sia la stagionalità, sia la persistenza dell’anticiclone africano, sia il fatto che ci troviamo in un hotspot climatico come il Mediterraneo in caso di temporali devono sempre farci stare in allerta. Vale per i fulmini ma anche per il vento o la grandine in questo periodo”.

    Come comportarsi se una tempesta ci sorprende?
    “In generale la prima arma a disposizione è sempre il buon senso. Bisogna entrare nell’ordine di idee che i temporali estivi, sia Nord che a Sud, e questo almeno fino a ottobre, sono e saranno temporali intensi. Quindi quando si sta per verificare una tempesta non bisogna mai escludere venti forti e una carica elettrica elevata e mettersi subito al riparo. Dove? Non sotto alberi o ombrelloni, meglio sempre in strutture chiuse, che garantiscono l’effetto gabbia di Faraday (un sistema in grado di isolare l’ambiente interno da un qualunque campo elettrostatico, ndr). Se si è al mare uscire subito dall’acqua, se si è in montagna a maggior ragione consultare immediatamente meteo e bollettini e meglio preferire sempre escursioni nella prima parte della giornata per poi rientrare per pranzo: sulle cime infatti i fenomeni sono più accelerati spesso nel pomeriggio, dove è facile trovarsi nel bel mezzo di un temporale. Attenzione estrema anche alle ferrate, per via dei cavi metallici. Insomma, buon senso ovunque per evitare risvolti drammatici”.

    Con la crisi del clima e l’intensificazione dei fenomeni meteo serve dunque, anche d’estate, una nuova cultura rischio?
    “Non dobbiamo mai sottovalutare, sia i fenomeni sia le allerte, persino una gialla infatti può oggi rapidamente evolvere e trasformarsi in qualcosa di molto pericoloso. Questo vale sempre, quando ci si sposta, durante le escursioni, ma anche in città. Bisogna che cambiamo tutti paradigma: mai sottovalutare infatti che in questo contesto climatico anche un banale temporale estivo può avere dei risvolti davvero tragici, dai fulmini improvvisi sino ai fiumi che da tranquilli corsi in pochi istanti diventano grandi flussi a carattere torrentizio”.
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