Ogni anno l’Italia produce quasi 20 milioni tonnellate di residui colturali e scarti agroalimentari, se si considerano paglia, stocchi, potature, vinificazione, ortofrutta, oleatura e persino il settore della melassa. Eppure l’azione di recupero è scomposta; nella migliore delle ipotesi verticale e di filiera singola. Adesso però la startup Vortex di Torino dal 2020 sta riscrivendo le regole del gioco con l’obiettivo di trasformare (potenzialmente) qualsiasi sottoprodotto dell’industria agroalimentare in nuove risorse ad alto valore aggiunto. Da ricordare che la maggior parte degli scarti viene normalmente smaltito con un costo a carico delle imprese.
“Lo sapevi che solo un finocchio su cinque finisce a scaffale, e gli altri diventano scarto? Lo so, sembra folle, ma per dimensioni, magari imperfezioni di grandine o calibro non vengono venduti. E lo stesso vale per il sedano. Quando cresce arriva a 1,5 metri, ma le cassette del supermercato da sono da 50 cm, quindi il resto viene tagliato e buttato. Il mercato funziona così”, spiega Simone Piccolo, co-fondatore e attuale Ceo di Vortex.
Da un vecchio terreno del nonno germoglia l’idea
Non sono segreti, ma informazioni a cui pochi danno peso. Pochi, come l’altro co-fondatore Lorenzo Picco, che fresco di studi presso l’ITS Agroalimentare si mette a fare l’imprenditore agricolo ridando vita a un terreno incolto del nonno e producendo con tecniche biologiche mirtilli, nocciole e mele (varietà antiche, presidio Slow Food). Queste ultime, o meglio le bucce di scarto, diventano poi protagoniste nel 2019 di un suo progetto circolare presso l’Environment Park di Torino, un punto di riferimento per PA e imprese per lo sviluppo di percorsi di sostenibilità. In pratica Picco individua un metodo efficiente per avviare la produzione di farina di mela gluten-free, ottenendo un semi-lavorato innovativo con forte carica antiossidante. Da lì in poi il lavoro si concentra nel business plan, strategia, ottimizzazione dei metodi di lavorazione e processi.
“La prima applicazione è stata nel mercato cosmetico grazie anche a contatti diretti con la Reynaldi di Pianezza, in provincia di Torino. Un’azienda di cosmesi naturale che lavora soprattutto per conto terzi. L’idea era di diventare il primo brand digitale in Italia di cosmesi naturale e sostenibile, con confezioni in PET riciclato e tutto il resto. E così è nata Naste Beauty”, racconta Piccolo.
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La differenza tra scarto e sottoprodotto
La svolta però si concretizzata con il costante lavoro di ricerca e sviluppo sugli scarti. Anzi è bene sottolineare che il termine corretto secondo le linee guida nazionali è di “sottoprodotto”. “Sì, perché lo scarto è tutto quello che esce dalla filiera industriale, mentre il sottoprodotto è uno scarto che rispetta alcuni specifici requisiti”, spiega il Ceo di Vortex. Il primo requisito di un sottoprodotto è che venga realizzato per effetto di un processo produttivo e non sia l’obiettivo principale dell’azione. Non si possono lavorare le mele per ottenere le bucce. Il secondo è che venga valorizzato economicamente, quindi non può essere regalato. Il terzo è che non venga trattato ulteriormente quando esce dalla filiera, se non con tecnologie normali. “Non si possono fare depurazioni particolari per poterlo utilizzare. E poi comunque deve esserne sicuro l’utilizzo e infine l’impiego ovviamente deve essere legale”.
In sintesi se si tratta di scarto bisogna avere una montagna di certificazioni per gestirlo, se invece è un sottoprodotto l’impiego è più agevole. E questo ha consentito alla startup di mettere a punto soprattutto un metodo e una tecnologia capaci di valorizzare qualsiasi potenziale sottoprodotto.
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“Adesso stiamo lavorando soprattutto su farina di fibra di mela, buccette di mirtillo scartate dai produttori di succhi, buccette di pomodoro, i cavolfiori brutti e foglie di carciofo per produrre dieci materie prime impiegabili, a seconda dei casi giocando su farine o estratti bio-fermentati, nei settori cosmesi, nutriceutica, alimentare e pet food”, puntualizza Piccolo.
Non a caso fra i finanziatori della startup c’è anche Andriani Spa, un’azienda di Gravina di Puglia leader nel settore della produzione e della vendita di pasta e alimenti per animali, anche con nuovi ingredienti.
“Quello che ci contraddistingue è la versatilità. Abbiamo sviluppato un processo che è applicabile a qualsiasi tipo di sottoprodotto. La nostra tecnologia si affida a microonde, ventilazione d’aria calda e sottovuoto. Questo ci permette di essiccare più velocemente e a un prezzo ridotto perché c’è un consumo energetico minore. E poi ovviamente c’è tutta la parte legata invece allo sviluppo della filiera. Perché il senso di quello che facciamo è proprio nella circolarità di filiera”.
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L’obiettivo di fatto è diventare una ingredient company capace di stabilizzare molteplici matrici vegetali e restituirne il valore sia come farine che come estratti per questi tre settori. “Seguiamo le necessità del mercato e poi ogni materia prima a sé stante ha le sue proprietà. Ad esempio con le farine di pomodoro e carciofo si possono fare delle paste. Il potenziale è enorme, anche se per l’implementazione spesso ci vuole più di un anno. E infatti dopo tutti i test industriali di quest’anno, nel 2026 aumenteremo significativamente la produzione”, conclude Piccolo.

