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Dove c’era il ghiacciaio ora crescono più fiori: il fenomeno del greening in alta quota

Tra qualche decennio sulle Alpi si potrebbero vedere mandrie pascolare a quasi tremila metri. Il futuro della pastorizia è in quota e con aria sottile. Il fenomeno, chiamato greening ovvero rinverdimento, è un effetto diretto del cambiamento climatico. L’aumento delle temperature e la riduzione della stagione nevosa oltre a comprimere le dimensioni dei ghiacciai liberano spazi appetibili per la vegetazione. Ci sono piante pioniere, adatte a questi ambienti detritici, e altre che provengono dalla praterie più in basso ma che oggi trovano condizioni ideali anche ben oltre la linea del bosco.

Nel Parco nazionale Gran Paradiso, tra Valle d’Aosta e Piemonte, questa colonizzazione negli ultimi anni ha accelerato il passo. Secondo uno studio dell’Università di Torino pubblicato sull’ultimo numero della rivista Botanical Journal of the Linnean Society sulle aree dove i ghiacchiai si sono sciolti di recente non solo è aumentato il numero di specie presenti e la copertura vegetale ma l’avanzamento procede a una velocità fino a 45 volte superiore rispetto a quanto avveniva in passato. Nei due ghiacciai al centro dello studio, quello del Lauson nella valle di Cogne e di Lavassey nella Valle di Rhêmes, crescono più piante ma, almeno per il momento, non a spese di quelle autoctone già adatte ai climi estremi e ai suoli poveri di nutrienti.

Il fenomeno di risalita in quota di piante che prosperano più in basso, paradossalmente, porta ad un aumento temporaneo della biodiversità. Nel lungo periodo le specie che di norma popolano queste zone proglaciali rischiano di non avere più un habitat adatto per svilupparsi. – spiega Ginevra Nota, ricercatrice e naturalista dell’Università di Torino che ha coordinato lo studio – Oggi questi ecosistemi affrontano enormi sfide a causa di un ritiro senza precedenti dei ghiacciai. In questo studio abbiamo rilevato che le specie vegetali che in passato non potevano adattarsi a questi ambienti ostili oggi abbiano una maggiore possibilità di colonizzare il detrito glaciale ed espandersi in quota”.

Il ghiacciaio del Lauson, nella valle di Cogne 

Sia sulle aree deglaciate del Lauson, che coprono una superficie di 650 metri quadrati tra i 2.750 e i 3.000 metri di altitudine, e di Lavassey, 900 metri quadrati tra i 2.450 e i 2.830 metri, il Parco nazionale ha raccolto dati sulla successione vegetale degli ultimi 150 anni. Una sequenza storica che permette oggi di stabilire con un certo grado di precisione il ritmo di insediamento delle piante. Le protagoniste della colonizzazione, in termini numerici, sono le specie pioniere più adatte a questi habitat aridi e rocciosi come l’arabetta alpina (Arabis alpina) o quella celeste (Arabis caerulea), la campanula del Moncenisio (Campanula cenisia) e l’iberidella alpina (Hornungia alpina). Mentre hanno fatto la loro comparsa a ridosso del ghiaccio piante tipiche delle praterie come Agrostis alpina, che in realtà negli anni Cinquanta è stata osservata a quasi quattromila metri sulla via normale di salita, sul lato svizzero, al Cervino, Draba aizoides con le riconoscibili fioriture gialle, Festuca violacea, una sottospecie endemica delle Alpi a confine tra Piemonte e Valle d’Aosta e diverse specie di Salix. In tutto, rispetto a qualche anno fa, sono state registrate 14 nuove specie a ridosso del Lauson e 12 vicino a quello di Lavassey.

“Quando i ghiacciai si ritirano, lasciano dietro di sé terreni esposti e instabili. – aggiunge Andrea Mainetti, botanico del Parco nazionale che ha partecipato alla ricerca – Le piante che colonizzano questi spazi aiutano a stabilizzare il terreno e a prevenire erosioni. Se si insediano velocemente, possono aiutare a ridurre i rischi di colate detritiche e alluvioni, come quella che si sono verificate nella valle di Cogne. Al contrario, se il processo di colonizzazione è lento o non avviene, il detrito rimane vulnerabile e questi rischi aumentano”.

Il monitoraggio di queste due zone così delicate del Parco nazionale proseguirà nei prossimi anni per valutare le conseguenze a lungo termine di questi rapidi cambiamenti delle trasformazioni del territorio alpino.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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