Nel cuore delle Alpi svizzere, dove le cime si specchiano nei laghi cristallini e il silenzio è interrotto solo dal sussurro del vento, si racconta una storia di resistenza e speranza. Proprio qui Felix Keller, docente del dipartimento di Scienze dei sistemi ambientali al Politecnico di Zurigo, ha dato vita, con la passione di un artigiano e la determinazione di un custode del tempo, il progetto MortAlive per proteggere i ghiacciai. Un piano audace, un gesto d’amore verso la montagna, un tentativo di preservare un patrimonio prezioso, che rischia di scomparire a causa del progressivo innalzamento delle temperature globali.
Un’idea nata per caso
L’idea gli balenò sette anni fa. Il naturalista stava pranzando con un collega, che gli disse: “Dato che sei un glaciologo, dovresti impegnarti per salvare i nostri ghiacciai”. “Scordatelo, non c’è modo di farlo”, fu la risposta. Ma il giorno dopo, mentre pescava in un torrente, Keller iniziò a pensarci su. Appassionato di violino, era solito trascorrere mezz’ora ogni mattina a esercitarsi. “Suonare apre la mente”, sostiene. “Mi aiuta a trovare nuove soluzioni”.
Sia come sia, fatto sta che, dopo giorni di riflessione e notti insonni, ebbe un’intuizione: vetro, metallo, plastica, carta vengono riciclati, perché non è possibile fare lo stesso con l’acqua di fusione dei ghiacciai? Si confrontò con l’amico e glaciologo Hans Oerlemans dell’Università di Utrecht, in Olanda, che gli suggerì di testare la teoria con un esperimento. Così fu avviata la sperimentazione sul Morteratsch, nel Cantone dei Grigioni, in Svizzera, tuttora attiva.
La tecnologia che difende il ghiacciaio
In sostanza, come prevede questa tecnica, l’acqua del disgelo, raccolta in un bacino a monte del ghiacciaio, scende per gravità, senza uso di energia elettrica, e confluisce in una rete di tubi dotati di ugelli, dai quali fuoriesce in forma nebulizzata. Se le condizioni atmosferiche lo consentono, in particolare nelle ore notturne o in quota anche durante l’estate, l’acqua nebulizzata si congela a contatto con l’aria fredda, formando uno strato di neve artificiale. Quest’ultimo riflette la radiazione solare e isola la massa ghiacciata sottostante dalle temperature elevate, rallentandone di conseguenza lo scioglimento.
Efficacia soprattutto su piccola scala
Secondo i calcoli, è necessario fornire circa 2,5 milioni di metri cubi di acqua annui affinché un’area di 0,8 chilometri quadrati possa essere protetta per un anno. “Dai nostri dati è emerso che, grazie al progetto, potrebbe essere evitata una perdita totale di circa 80 milioni di metri cubi di ghiaccio entro il 2060”, rende noto Keller. “Tuttavia, nonostante l’innevamento artificiale, si verificherà comunque una massiccia riduzione del volume del ghiacciaio (da -45% nel 2020 a -52% nel 2060). Ciò significa che, sebbene la tecnologia abbia un grande potenziale, non può, da sola, preservare il ghiaccio nemmeno nelle condizioni climatiche più favorevoli. Per questo occorre un’azione globale sul clima che coinvolga tutti”.
Nel frattempo, il glaciologo auspica che il suo metodo possa essere adottato in futuro non solo in altre regioni alpine, ma anche sull’Himalaya e sulle Ande, dove le comunità locali dipendono dai ghiacciai per l’approvvigionamento idrico.
Servono finanziamenti ingenti
Per quanto riguarda i costi, la costruzione dell’impianto richiede un finanziamento di 156 milioni di franchi svizzeri (circa 166 milioni di euro), mentre ancora non è stato determinato l’ammontare per funzionamento e manutenzione. L’attivazione è prevista per il 2031 dopo un periodo di costruzione di sette anni.
“Il progetto è costoso, certo”, ammette il suo ideatore. “Perciò abbiamo creato una fondazione per raccogliere donazioni. La prima che abbiamo ricevuto è stata da parte di un gruppo di studenti di Zurigo. Ciò conferma che molti giovani sono consapevoli dei rischi ambientali”.
Un’eredità per le future generazioni
Talvolta Keller va a suonare il violino sulle nevi perenni, dove le note si librano nell’aria rarefatta, intrecciando le corde dello strumento con quelle della natura. “Da ragazzino amavo vedere la neve, le vibrazioni del ghiacciaio si vedono, si sentono”, ricorda il glaciologo, che ha un valido motivo per andare avanti: “è con progetti come questo che possiamo guardare al futuro con rinnovato entusiasmo. E se mai i miei nipoti mi dovessero chiedere: ‘Nonno, tu hai visto i ghiacciai sciogliersi. Cosa hai fatto?’, non voglio che la risposta sia: ‘Sono rimasto a guardare’’’.