Martedì 14 gennaio: la linea ferroviaria Salerno-Reggio Calabria va in tilt per il maltempo. La pioggia e il vento forte, che ha trasportato sui binari oggetti metallici, fermano decine di treni e fanno accumulare ad altri convogli fino a sei ore di ritardo. Un esempio recentissimo di come gli eventi meteo estremi possano mettere a dura prova le grandi reti nazionali. L’allarme era stato lanciato qualche giorno fa dalla Commissione europea: alcuni funzionari di Bruxelles, parlando con il Financial Times, avevano anticipato che la Ue intende chiedere ai Paesi membri di sottoporre le rispettive reti ferroviarie e di distribuzione dell’energia elettrica a stress test climatici, in modo da verificare in anticipo quali saranno le criticità da affrontare in un futuro sempre più gravido di rischi. Se già oggi le grandi infrastrutture devono fare i conti periodicamente con alluvioni, dissesto idrogeologico, erosione costiera, ondate di calore, incendi, cosa accadrà quando la temperatura globale del Pianeta sarà di 3 o 4 gradi più alta rispetto ai livelli preindustriali, come indicato dagli scenari più pessimistici? La sollecitazione dell’Unione non sembra cogliere impreparate le grandi reti italiane, in particolare quella ferroviaria e quella elettrica, che come vedremo, almeno sulla carta, stanno predisponendo piani di adattamento sul breve, medio e lungo termine. Naturalmente, come anche a livello ministeriale con il Pnacc (Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici) e il Pniec (Piano naionale integrato energia e clima), sarà da vedere quanti dei buoni propositi scritti in corposi rapporti verranno effettivamente messi in atto.
Binari, rotaie, massicciate, cavi elettrici che attraversano la Penisola in lungo e in largo per un totale di 17mila chilometri. “Di questi 4000 sono a rischio idrogeologico e 2000 a rischio frane”, spiega Nicoletta Antonias responsabile Sostenibilità e Infrastrutture Sostenibili di Rfi. “Più che le alte temperature, il vero rischio per la rete ferroviaria sono i fenomeni estremi innescati dalla crisi climatica e i loro effetti sul territorio: l’alluvione del 2023 in Emilia Romagna ha prodotto danni alla rete per 90 milioni di euro. Per questo abbiamo già siglato i primi protocolli di intesa con alcune autorità di bacino”. Ma poi c’è l’erosione costiera, che peggiorerà con l’innalzamento dei mari. E gli incendi, sempre più frequenti viste le ondate di calore e di siccità: nel 2024 sono stati 289 i roghi che hanno interessato i binari italiani.
L’anno scorso Rfi ha consegnato al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica il suo Piano di adattamento ai cambiamenti climatici. Obiettivo dichiarato: riduzione del 50% degli impatti economici e patrimoniali potenziali sull’infrastruttura ferroviaria, previsti nella proiezione climatica più critica (4 gradi in più alla fine di questo secolo, in assenza di interventi che mitighino il riscaldamento globale). Nel Piano si ribadisce che “i principali pericoli climatici potenzialmente impattanti per le infrastrutture ferroviarie sono l’aumento delle temperature estive, le esondazioni, le inondazioni e gli allagamenti, le frane, gli incendi, le ondate di freddo e la siccità”.
Una analisi del rischio specifica in relazione all’innalzamento dei mari è stata condotto in collaborazione con il Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC), per comprendere quali e quante parti della rete ferroviaria esistente rischiano di essere sommerse nel prossimo futuro in base a diversi scenari climatici. “In particolare, considerando uno scenario che prevede un riscaldamento di 2 gradi, sono stati conteggiati i chilometri di infrastruttura a rischio classificandola in rischio molto alto, rischio alto, medio, e moderato”.
I rischi idrogeologici e i sensori antifrana
Sono stati distinti due casi di riferimento: il primo riguarda l’infrastruttura ferroviaria che verrà sommersa per tratti consecutivi superiori a 250 metri, l’altro considera i tratti sommersi con lunghezza inferiore a 250 metri. Nel primo caso sono ipotizzabili soluzioni mitigative quali varianti di tracciato o innalzamento dell’attuale sede; nel secondo caso invece sono ipotizzabili interventi per proteggere dall’acqua marina i tratti i questione. Per quanto riguarda il dissesto idrogeologico, tra le azioni messe in campo c’è l’istallazione di sensori in grado di dare l’allarme frana in tempo reale, in modo che si possa fermare la circolazione. Il caso di scuola citato da Rfi è la tratta Marradi-Faenza tra l’Emilia-Romagna e la Toscana. Dopo le alluvioni del maggio del 2023 e le conseguenti frane la linea è stata chiusa per precauzione. “Grazie alla collaborazione con il CNR-IRPI, RFI ha adottato un sistema che permette di fare delle previsioni della probabilità di occorrenza di frane”, si legge nel Piano. “La linea è stata riattivata, fermo restando che, nel caso in cui il sistema segnalasse una probabilità di accadimento delle frane oltre le specifiche soglie di criticità elaborate per la tratta in oggetto tramite le Sale operative, verrebbe interrotta la circolazione”.
È evidente che la messa in sicurezza della rete ferroviaria da eventi meteo estremi o fenomeni comunque correlati al riscaldamento globale, necessita di una strettissima collaborazione tra il gestore della rete stesse e che amministra i territori che essa attraversa. Da qui gli accordi con le autorità di bacino e con le Regioni. Ma è vero anche il contrario: “Garantire la resilienza della nostra rete, vista la sua capillarità, significa anche garantire la resilienza del territorio italiano”, conclude Nicoletta Antonias.
I fattori “climatici” all’origine di disservizi elettrici
Gli eventi meteo estremi, presenti e futuri, preoccupano anche chi gestisce la Rete di Trasmissione Nazionale: oltre 75.000 chilometri di linee lungo tutto il territorio italiano, 910 stazioni elettriche, 30 interconnessioni con l’estero. “Per la rete elettrica, le cause più frequenti di guasti sono costituite da nevicate, vento, incendi, fulmini, terremoti, valanghe o colate detritiche”, spiegano da Terna. Più nello specifico, tra i fattori “climatici” all’origine di disservizi elettrici figurano: la formazione di manicotti di neve umida sulle linee, che appesantendole provocano cortocircuiti o cedimenti strutturali; il vento forte, in particolare per la conseguente caduta delle piante; alluvioni, smottamenti, frane, trombe d’aria e altri fenomeni estremi che possono provocare il collasso dei sostegni o altri cedimenti strutturali; l’aumento dei depositi inquinanti legati a periodi di lunga siccità (come l’inquinamento salino) che causano una maggiore probabilità di scarica superficiale.
Ma come attrezzarsi per il futuro, quando verosimilmente tali eventi saranno ancora più frequenti? Uno studio coordinato da Terna e da Ricerca Sistema Energetico (Rse) individua gli interventi principali da mettere in campo: azioni preventive, finalizzate, principalmente, a incrementare la magliatura della rete, in modo che una eventuale interruzione possa essere bypassata, ma anche investimenti infrastrutturali mirati nelle zone a maggior rischio, per esempio usando cavi interrati, meno vulnerabili agli eventi meteo estremi; soluzioni per ridurre il tempo di ripristino del servizio dopo eventi climatici estremi, mediante l’adozione di mezzi e attrezzature speciali, gruppi elettrogeni, e la predisposizione preventiva di piani di emergenza; attività di controllo e monitoraggio delle infrastrutture tramite sensori capaci di raccogliere vaste quantità di dati, che saranno poi analizzati con algoritmi di Intelligenza Artificiale per coordinare la manutenzione o prevedere possibili guasti. Terna installerà a breve su almeno 1.500 sostegni i dispositivi DigiL (Digitalizzazione Linee): un sistema che raccoglie i dati generati dai sensori IoT e che permette di monitorare le condizioni ambientali e quelle di esercizio del sostegno e dei conduttori elettrici. DigiL, utilizzando un algoritmo predittivo, sarà in grado di stimare il rischio di formazione dei manicotti di ghiaccio che possono danneggiare la linea elettrica. In questo ambito, l’edizione 2024 del Piano Resilienza di Terna prevede investimenti per circa 830 milioni di euro su un orizzonte quinquennale, di cui 150 milioni saranno finanziati nell’ambito del Pnrr per incrementare la resilienza di 1.500 chilometri della Rete di Trasmissione Nazionale da completare entro giugno 2026.