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Politica green o crescita industriale? Il falso dilemma

Dal punto di vista economico la sostenibilità è davvero insostenibile? Secondo Alfredo Macchiati e Simone Mori, entrambi docenti dell’università Luiss, rispettivamente di Economia Politica e Management della transizione energetica, solo in apparenza, le due esigenze sembrano contrapposte. Anzi, guardando al futuro, una buona politica energetica e ambientale farebbero invece bene agli affari. Dalle imprese alle famiglie. E per spiegare tutti i motivi per cui occuparsi della salvaguardia del pianeta, non rappresenta una minaccia per il mercato e la competitività industriale, ma un motico di crescita, hanno scritto un saggio chiaro fin dal titolo “Il falso dilemma” (Luiss University Press, pag. 173, pag.173).

La copertina del libro di Alfredo Macchiati e Simone Mori 

La sfida per i mercati

Seguendo il ritmo di un’inchiesta e mescolando esempi concreti a riflessioni sulla società e la politica contemporanea, i due autori smontano contrapposizioni ideologiche e narrazioni superficiali. “Ci proponiamo di mostrare come la transizione possa offrire, se orientata sulla base più accurata dei suoi effetti, oltre ai benefici per la salute futura del pianeta, opportunità di sviluppo economico e recupero del gap di produttività che caratterizza l’economia europea”, scrivono Macchiati e Mori nella loro introduzione. Filo conduttore del saggio sono proprio i dilemmi che agitano la parte scettica dei cittadini europei, secondo cui le strategie sul clima e l’energia pongono un freno all’economia: come l’impasse dell’Europa sulle auto elettriche; l’addio ai combustibili fossili; il “sì” e “no” al rilancio del nucleare; i temi su cui costruire il consenso dei cittadini europei sulla transizione e soprattutto il superamento degli ostacoli per trovare gli investimenti e cambiare rotta.

Sì perché, come spiegano gli autori, condurre milioni di persone, con i loro sistemi economici verso un sistema energetico sostenibile non è solo una questione tecnica, ma implica un cambiamento profondo coinvolge tutti gli aspetti della società, dall’economia alla cultura, dal trasporto pubblico e privato alla sanità fino alle abitudini quotidiane.

Un’immagine dell’alluvione che ha colpito l’Europa centrale (2024) che ha causato milioni di danni 

I nodi da sciogliere

“Nonostante l’impegno globale per la riduzione delle emissioni climalteranti negli ultimi anni la loro concentrazione in atmosfera continua a crescere” si legge nel libro. Ma quello che i due professori della Luiss definiscono “il lungo addio ai combustibili fossili” è solo uno nei nodi da sciogliere guardando al futuro europeo. L’altro riguarda il rallentamento nella produzione di auto elettriche. E su questo tema forse, meglio che su altri si capiscono meglio le contraddizioni di un sistema politico sempre alle prese con i “dilemmi”. “L’eliminazione graduale dei veicoli con motore a combustione interna fu adottato nel 2019. La decisione drastica a favore della soluzione elettrica nelle intenzioni dei legislatori europei si sarebbe combinata con il progredire della riduzione delle emissioni con l’esigenza di ridurre l’inquinamento”, si legge nel saggio. Cosa è invece accaduto? “In molte aree d’Europa la crescita delle infrastrutture non hanno tenuto il passo con l’aumento delle auto elettriche e la limitata capacità finanziaria dell’Unione e i vincoli di bilancio alla mobilitazione di risorse hanno comportato per le imprese europee al contrario di quelle cinesi di non poter contare su risorse pubbliche per sviluppare questa tecnologia”. E visto che la decisione finale spetta ai consumatori le auto elettriche cinesi hanno guadagnato quote di mercato grazie ad una combinazione di costi di produzione inferiori, politiche industriali energetiche e accesso agevolato a materiali. “Così mentre a Bruxelles discutevano degli standard di decarbonizzazione, non ci siamo accorti che la Cina avviava una crescita impressionante delle propria industria automobilistica”.

Una protesta degli agricoltori a Bruxelles contro il Green deal 

La strategia di addossare le colpe a Bruxelles

Ma non si possono imputare tutte le colpe alla Commissione europea. I problemi nascono dalle politiche dei singoli stati. Come ha scritto Mario Draghi nel suo report che viene citato nel saggio dei due docenti universitari: “La decarbonizzazione può essere un’opportunità per l’Europa sia per acquisire la guida nella nuove tecnologie pulite sia nella circular economy e per orientare la generazione elettrica verso risorse energetiche pulite, a basso costo, di cui è ampiamente dotata. Se l’Europa potrà essere in grado di cogliere queste opportunità dipenderà dall’insieme delle politiche che dovranno essere coerenti con gli obiettivi europei di decarbonizzazione”. E poi c’è un problema di comunicazione. L’atteggiamento scettico sui costi delle politiche ambientali può e deve essere spiegato meglio ai cittadini.

Il bivio tra rilancio e negazionismo

Ma bisogna fare presto perchè siamo ad un bivio: “Si può raccogliere la sfida che Cina e Usa hanno ingaggiato a sostegno della transizione energetica e porre al centro delle politiche europee in materia di decarbonizzazione, l’obiettivo prioritario di rendere il nostro sistema più competitivo” Oppure? “Adottare la visione negazionista, ritenere il riscaldamento climatico un falso problema. Parte integrante di questa visione è il convincimento che il deficit di produttività dell’economia europea sia responsabilità di Bruxelles e delle politiche in materia di clima ed energia”. Quale strada scegliere? Per Alfredo Macchiati e Simone Mori è un “falso dilemma”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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