C’è un tesoro nascosto sulla Luna. Il satellite che gira intorno alla Terra non è più solo un simbolo romantico nella notte, oppure il ricordo delle missioni spaziali Apollo, ora è anche un obiettivo strategico per la scienza, l’industria e la politica spaziale. “Se negli anni ‘50 e ‘60, andare sulla Luna faceva parte di una sfida politica fine a se stessa, solo una competizione ideologica e tecnologica tra potenze – spiega la professoressa Michèle Lavagna, docente al Politecnico di Milano e coordinatrice del team di ricercatori impegnati nella progettazione di impianti per l’estrazione di risorse naturali dalla Luna – oggi è un luogo dove è possibile non solo fare ricerca, ma è anche fonte di interessi economici. Le multinazionali impegnate nella ricerca sui super computer (i pc quantistici) hanno bisogno, per elaborare la nuova tecnologia, di risorse naturali che qui scarseggiano. Come l’elio-3. La roccia lunare ne ha in abbondanza e potrebbe colmare il divario. Bisogna capire però come estrarla, lavorarla e portarla sulla Terra”. La possibilità dell’estrazione mineraria dalla Luna è un campo non solo affascinante, sta diventando un affare su cui investono le aziende impegnate nelle tecnologie emergenti. Come la finlandese Bluefors, produttrice di sistemi di refrigerazione ultrafredda, fondamentali per i computer quantistici, che ha speso 300 milioni di dollari per accaparrarsi fino a 10 mila litri di elio-3 all’anno provenienti dalla Luna, tramite la società spaziale Interlune fondata da ex dirigenti di Blue Origin e da un astronauta dell’Apollo. Consegna: tra il 2028 e il 2037.
I super computer del futuro sono macchine in grado di calcolare soluzioni in pochi minuti o addirittura in pochi secondi e potrebbero migliorare drasticamente la capacità di risolvere i grandi problemi globali come identificare nuovi terapie, scoprire i misteri del cosmo più profondo, innalzare i livelli di sicurezza informatica. Fantascienza? Niente affatto, gli accordi sono firmati, come è concreta la possibilità che sulla Luna di elio-3 ce ne sia in abbondanza. Il motivo di tanta offerta lo spiega la professoressa Lavagna: “Grazie allo studio sui campioni di roccia prelevati durante le missioni spaziali sappiamo che la Luna ha una formazione simile a quella della Terra, ma una diversa intensità di assorbimento del vento solare carico di particelle di elio, carbonio e azoto. Mentre la Terra, protetta dal suo campo magnetico devia la maggior parte del vento solare, proteggendola, sulla Luna arriva diretto. Ed è così fin dalla sua nascita. Per questo anche se i componenti rocciosi sono simili, la quantità di risorse naturali sono diverse: si sono accumulate sugli strati superficiali della Luna”. Sono lì da 4 miliardi di anni. Il problema è estrarle e portarle da noi.
E qui la ricerca e le aziende che investono si sono divisi i settori: tra chi si sta concentrando sulla tecnologia di estrazione delegando ad altre aziende il viaggio e il trasporto delle attrezzature. L’estrazione lunare ha bisogno di basi stabili dove uomini e donne possano sopravvivere in una missione di lunga durata: il ché significa respirare e bere. Mica si può caricare un razzo spaziale solo di bombole di ossigeno e fare avanti indietro da un’ipotetica base lunare alla Terra. Si sta cercando di capire come reperire “in loco” acqua, ossigeno e fonti energetiche. Bisogna creare un microcosmo autonomo, è questo a cui sta lavorando il team della professoressa Michèle Lavagna dal 2008 in collaborazione con l’Asi (Agenzia spaziale italiana) e l’Esa (Agenzia spaziale europea).
Lo scopo del progetto Oracle è estrarre ossigeno dalla regolite, la sabbia che ricopre la Luna, mediante un processo chimico-termico. Un progetto che colloca l’Italia tra i Paesi più all’avanguardia per la tecnologia di estrazione “in situ” delle risorse spaziali. “Sulla Luna l’ossigeno è intrappolato nei minerali insieme ad altri elementi chimici, noi abbiamo creato un impianto in grado di manipolare questa sabbia e liberarlo”. Non è proprio così semplice: la regolite è una miscela di ossidi metallici dove nel 50% della sua massa c’è imprigionato l’ossigeno. La regolite scaldata in un reattore e sottoposta ad una reazione chimica libera l’ossigeno sotto forma di gas. Nel passaggio all’impianto per il raffreddamento si ottiene ossigeno puro che può essere utilizzato anche come combustibile. La reazione con l’idrogeno produrrà l’acqua. “Entro il prossimo decennio cominceranno i test per far restare gli astronauti più a lungo sulla Luna. Cosa mi preoccupa? Spero davvero che una volta che tutto questo diventerà realtà, non ripeteremo gli stessi errori che abbiamo fatto sulla Terra”.