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Delfini alla foce del Tevere “stressati”: i segni sulla pinna e la coda

Come un insindacabile biglietto da visita, la salute dei delfini è tutta nei segni che portano addosso, sulla pinna dorsale, sulla coda e, soprattutto, sul dorso. Basta dunque indagarli per avere un responso. E non se la sembrano passare bene quelli che popolano la foce del fiume Tevere, nel Tirreno: già “ribattezzati” delfini capitolini, rappresentano un inno alla biodiversità a poche miglia dalla capitale, lungo la costa. Per comprendere le loro condizioni di salute, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Biologia Ambientale dell’università di Roma La Sapienza ha così analizzato, una per una, le lesioni cutanee dei singoli esemplari e la loro variazione nel corso degli anni. Arrivando a un responso non incoraggiante. “La popolazione – sintetizza la cetologa Daniela Silvia Pace – è sotto la pressione di molteplici fattori di stress, per lo più legati alle attività umane, sia direttamente, in primis la pesca, che indirettamente”.

Biodiversità

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16 Gennaio 2025

Uno su due porta sul corpo gli effetti della pesca

Lo studio, pubblicato sulla rivista “Aquatic Conservation” si è basato sulla fotoidentificazione dei delfini, monitorati – attraverso una tecnica evidentemente non invasiva – tra il 2016 e il 2023 nel corso di 205 distinti avvistamenti, concentrati in un’area ristretta a ridosso dell’estuario del Tevere, dove fiume apporta materia organica alle acque oligotrofiche del Tirreno, trasferendo immancabilmente anche gli inquinanti raccolti durante il transito nella città di Roma. Ma i delfini, come accade anche diverse miglia più giù alla foce del Sarno, sono fatalmente attratti dall’ecosistema costiero, e in particolare dalla presenza di pesci, che è certo più copiosa che altrove. Morale della favola: da queste parti si aggira una popolazione stimata in circa 500 esemplari, di cui circa un centinaio residenti alla foce del Tevere. E molte sono femmine con piccoli.Trentanove, nel dettaglio, i tursiopi osservati più volte e analizzati dallo studio.

Evidenti ferite sul corpo del delfino alla foce del Tevere 

Intrappolati nelle reti

Tra i segni, presenti in una percentuale molto alta degli individui, sono stati distinti quelli legati alle interazioni intraspecifiche, quelli espressione di singole patologie e quelli, invece, collegati alla pesca e al diporto. “Oltre la metà degli individui studiati mostra segni fisici di interazione con gli attrezzi da pesca, confermando che questa popolazione sfrutta le attività umane per ottenere vantaggi alimentari. – annotano così i ricercatori – Con un costo, però: quello di poter riportare lesioni fisiche o addirittura di morire intrappolati nelle reti”.

Individui emaciati e aggressivi: colpa del poco cibo?Ma non finisce qui: lo studio ha rilevato anche che più di due terzi degli individui erano emaciati e smagriti, con la presenza di costole visibili su oltre il 70% della popolazione.

Segnali di malnutrizione

“La malnutrizione è solitamente causata dalla scarsità di prede o dalla bassa disponibilità di prede a causa della competizione. – spiega ancora la ricercatrice Alice Turchi, tra le curatrici dell’articolo – Anche gli alti livelli di interazione con la pesca osservati potrebbero essere un sintomo di un problema più ampio, forse legato alla riduzione dell’abbondanza di prede nell’area: la maggiore prevalenza di segni intraspecifici legati all’aggressione rispetto ad altre popolazioni di tursiopi sembra supportare questa ipotesi. L’aggressività può derivare dalla competizione per il cibo e abbiamo spesso assistito in diretta alle manifestazioni aggressive tra individui”.

La scarsità di cibo causa dell’aumento dell’aggressività 

L’opportunità di un’area protetta

I risultati dello studio evidenziano come “le conseguenze delle interazioni tra diversi fattori di stress possano essere complesse da prevedere e pongano nell’immediato sfide per la conservazione di questa specie protetta – e dell’ecosistema a cui appartiene – in un’area altamente antropizzata e attualmente non gestita”. Di qui, l’idea, veicolata dallo studio, “di proporre il Mar Tirreno centrale come Sito di importanza comunitaria (SIC) per i tursiopi, come già fatto per altre regioni costiere in Italia”. Tra queste, Toscana, Emilia-Romagna, Veneto e Liguria. “L’istituzione di questa misura di conservazione territoriale – concludono i ricercatori – rappresenterebbe il primo passo verso lo sviluppo di un efficace piano di gestione della biodiversità di quest’area nel suo complesso”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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