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Da eolico e solare offshore quasi un terzo del fabbisogno elettrico mondiale entro il 2050

E se la nuova frontiera dell’energia pulita fosse il mare? L’idea non è nuova e il rapido sviluppo delle tecnologie la rende sempre più attuabile. Secondo uno studio globale pubblicato sulla rivista Science Advances l’energia prodotta in mare aperto da impianti eolici e fotovoltaici potrebbe coprire quasi un terzo del fabbisogno elettrico mondiale entro il 2050. Ciò ridurrebbe drasticamente le emissioni di anidride carbonica e anche l’inquinamento atmosferico, un problema sempre più grave a livello mondiale. Il lavoro, condotto da un team internazionale guidato dalla National University of Singapore e dalla Sichuan University, ha mappato le aree marine più promettenti per lo sviluppo di parchi eolici e solari galleggianti, valutandone il potenziale tecnico, economico e ambientale.

Trovare però il luogo giusto dove costruire gli impianti è difficile. Per poter essere considerate idonee all’installazione di impianti energetici offshore, le aree dovevano avere una profondità inferiore a 300 metri, trovarsi entro 200 chilometri da un centro abitato, non includere aree protette, non essere coperte dal ghiaccio per più del 50% dell’anno e non avere una velocità media del vento inferiore a 5 metri al secondo né una radiazione solare annuale inferiore a 1.000 kilowattora per metro quadrato.

Secondo lo studio solo il 3% circa della superficie marina globale è realmente adatto a ospitare impianti di questo tipo. Ciononostante, sfruttarne anche solo l’1% basterebbe a generare oltre 20.000 terawattora di elettricità l’anno — pari a quasi il 30% della domanda globale prevista per metà secolo. Le conseguenti riduzioni di CO? supererebbero i 9 miliardi di tonnellate l’anno, una cifra paragonabile alle attuali emissioni complessive di Stati Uniti e India.

Le turbine eoliche e gli impianti fotovoltaici esistono sia onshore che offshore. Questi ultimi però presentano un vantaggio per entrambe le tecnologie. Il vento è più forte sull’oceano, fornendo più energia alle turbine. L’acqua raffredda i pannelli fotovoltaici, aumentandone l’efficienza. Senza contare che sarebbe possibile spostare pannelli e pale eoliche dai nostri campi, dalle creste delle nostre montagne, in mare aperto.

Le potenzialità maggiori emergono in paesi costieri con ampie zone economiche marine: Stati Uniti, Canada, Australia e Cina per l’eolico offshore; Indonesia e Australia per il fotovoltaico galleggiante, grazie alla forte insolazione tropicale. In molti casi, l’energia ottenuta dal mare potrebbe superare la domanda interna di elettricità, come accade per la Danimarca e la Malesia.

Lo studio evidenzia inoltre una complementarità stagionale e geografica tra vento e sole: alle alte latitudini prevale l’olico, mentre nelle regioni equatoriali domina il solare. D’estate il fotovoltaico compensa la minore intensità del vento, in inverno avviene il contrario. Combinare le due tecnologie in impianti ibridi consentirebbe una fornitura più stabile e prevedibile di energia.

Lo studio pubblicato sulla nota rivista scientifica è stato fatto in uno scenario di zero emissioni nette di carbonio, concetto che nasce dall’evoluzione delle politiche climatiche e scientifiche sul riscaldamento globale secondo cui per stabilizzare il clima sarebbe necessario portare le emissioni nette di CO? a zero, cioè bilanciare le emissioni prodotte con quelle rimosse. Dall’Accordo di Parigi del 2015, l’obiettivo net-zero è diventato il punto di riferimento per governi, aziende e istituzioni che mirano alla neutralità climatica entro il 2050.

Sebbene l’eolico marino abbia già raggiunto una certa maturità, con costi in forte calo, il fotovoltaico offshore è ancora agli inizi e affronta sfide ingegneristiche legate a onde, corrosione e costi elevati. Secondo gli autori, però, l’integrazione di sistemi eolici e solari condividendo infrastrutture e connessioni alla rete potrebbe rendere queste soluzioni sempre più competitive.

Se poi si guarda il caso del Mare Mediterraneo, il futuro è probabilmente nell’eolico galleggiante, e non in quello ancorato al substrato marino, come è invece per i mari del Nord. “Questo a causa delle batimetrie del Mediterraneo, che sono molto profonde. E se l’eolico su pale è già abbastanza avanzato, quello galleggiante è una tecnologia ancora in divenire”, spiega Giuliana Mattiazzo, del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale (DIMEAS) del Politecnico di Torino. “Abbiamo visto che in teoria il Mediterraneo potrebbe fornire 210 gigawatt equivalenti a circa 540 teravattore anno, che sono due volte la domanda energetica nazionale. Tolti però i limiti dovuti alla batimetria e altri legati alla capacità infrastrutturale potremmo produrre intorno ai 70 gigawatt”.

Secondo Mattiazzo, questo studio è più di un esercizio accademico: “È fattibile, ma di mezzo ci sono ci sono le politiche di regolamentazione, di incentivazione, quelle di zonizzazione e bisogna ancora costruire l’intera catena di approvvigionamento [l’insieme di processi, persone, tecnologie e organizzazioni coinvolte nel percorso che un prodotto o servizio compie dall’origine fino al consumatore finale, ndr]”, spiega l’esperta. “Le potenzialità ci sono e vediamo che è fattibile ma ha bisogno di un quadro regolatorio stabile”, dice ancora, sottilneando che le rinnovaibli ci servono anche per ridurre la nostra dipendenza energetica.

Il mare si avvicina sempre di più a diventare un alleato nella corsa alla neutralità climatica, offrendo una via per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili senza intaccare risorse e territori terrestri.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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