27 Ottobre 2025

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    Lasse Jonasson: “Clima, Ai e giustizia: l’umanità esca dalla modalità difensiva”

    “Se non volete vivere nel futuro di qualcun altro, dovete creare il vostro”. Per Lasse Jonasson questo motto è una promessa ma anche un avvertimento. Chief Foresight Officer del Copenhagen Institute for Futures Studies, era in Piemonte lo scorso venerdì 24 ottobre, ospite del “Summit della Sostenibilità e dell’Innovazione” di Confartigianato Imprese Cuneo, in dialogo con Valentina Boschetto Doorly, coordinatrice scientifica del master in Future & Foresight di Ca’ Foscari. Jonasson è al suo primo incontro pubblico in Italia, ed è in “tour” in Centro Europa tra associazioni di categoria, banche e istituti. Le sue consulenze servono a imprimere nuove visioni e, soprattutto, a fornire un metodo per trasformare l’orizzonte di dieci anni in decisioni immediate.

    Scenari climatici inevitabili
    Il futuro del Pianeta è più caldo e Jonasson è netto: “Non c’è un futuro credibile in cui possiamo evitare cambiamenti profondi. La differenza è il percorso e quanto saremo preparati”. Gli studi del Copenaghen Institute sono chiari. Il declino della biodiversità è documentato da decenni; l’inquinamento atmosferico provoca circa sette milioni di morti premature all’anno; grano e mais mostrano già rese inferiori rispetto ai trend storici. Senza adattamento, entro il 2050 le rese agricole globali rischiano di essere circa il 7% sotto i livelli attesi, mentre per nutrire il Pianeta servirebbe un aumento della produzione intorno al 60% entro metà secolo. In parallelo, 33 Paesi si avviano verso un grave stress idrico per il 2040. Per Jonasson la sostenibilità non è più un capitolo a parte nei piani strategici, ma un criterio di competitività. “Se riduciamo le emissioni trasformiamo tecnologie, filiere e stili di vita. Se non lo facciamo, dovremo comunque adattarci a impatti crescenti”.

    L’equilibrio tra economia e giustizia sociale
    La svolta può arrivare dall’economia. Jonasson cita i green swans, espressione coniata dal ricercatore John Elkington che significa “cigni verdi”: aziende la cui crescita migliora insieme profitti, persone e pianeta. “Non è idealismo, è gestione del rischio”. Chi resta fermo su asset ad alto impatto ambientale si espone a svalutazioni e perdita di competitività. In parallelo cresce l’attenzione alla distribuzione degli oneri e dei benefici: se la transizione non è giusta, la frizione sociale aumenta. “Seguite i soldi, perché i grandi investimenti si stanno già spostando verso tecnologie e soluzioni sostenibili. Ma cambiate le metriche”. Il conto trimestrale non basta più: accanto ai bilanci entrano i costi del rischio climatico (premi assicurativi, giorni di fermo impianto), l’intensità di CO? dei prodotti, la quota di fatturato a basso impatto di carbonia, la tenuta delle filiere e la capacità di trattenere competenze. Per i territori la domanda è altrettanto semplice: l’aria è più respirabile? Le ondate di calore colpiscono meno i quartieri fragili? I chilowatt prodotti sui tetti vengono davvero condivisi nelle comunità energetiche? Se questi indicatori migliorano con continuità, il capitale arriva e resta.

    La “fase due” dell’intelligenza artificiale
    Negli ultimi anni Jonasson ha studiato a lungo anche l’impatto dell’intelligenza artificiale. Il futurologo danese divide il percorso in due fasi. Fase uno: l’Ai ci fa risparmiare tempo. Automatizza compiti, riassume documenti, sbriga pratiche, libera ore. È utile, ma non cambia il gioco. Fase due: l’Ai ci permette di fare cose nuove. “La tecnologia diventa un motore di idee, non solo di efficienza”, spiega. Entrano in scena agenti che agiscono per nostro conto, la capacità di progettare servizi che prima non esistevano, modelli di business che nascono dal dialogo continuo tra sistemi e persone. Gli esempi non mancano: Jonasson porta il caso di una banca norvegese con cui ha collaborato. Oggi usa l’Ai per velocizzare i contratti; domani punta a una consulenza finanziaria proattiva e personalizzata per l’intera base clienti, famiglie e imprese. Lo stesso passaggio può valere per l’energia, con comunità energetiche rinnovabili che ottimizzano domanda e offerta tra quartieri grazie a tariffe dinamiche e accumuli condivisi; o per i Comuni, che possono usare agenti Ai sia per assistere i cittadini nelle pratiche complesse, sia per leggere i segnali del territorio, dal caldo urbano alla fragilità idrica.

    Uscire dalla “modalità difensiva”
    Jonasson invita a “esporci ai cambiamenti che abbiamo davanti, e questo richiede pensiero di lungo periodo e una vera comprensione delle dinamiche future. L’alternativa è restare in modalità difensiva, provare a impedire che il futuro accada”. Una missione impossibile. La bussola è pratica: guardare a dieci anni, scegliere poche metriche che contano davvero e sperimentare dove il ritorno ambientale e sociale è misurabile. Soprattutto nelle città, il vero laboratorio della transizione, e nelle aziende, piccole e grandi, che hanno in mano la leva del cambiamento. “Ci sono segnali chiarissimi là fuori”, conclude. “Basta aprire gli occhi e non nascondersi più”. LEGGI TUTTO

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    Il biologo ucraino che vuole proteggere i mari arrestato. “Primo prigioniero politico in Antartide”

    Lo hanno definito il “primo prigioniero politico della storia dell’Antartide”. Eppure, Leonid Pshenichnov, biologo ucraino di 70 anni, con la politica ha ben poco a che fare: la sua storia è quella di un conservazionista, uno scienziato che da anni si batte per proteggere e conservare le specie e le popolazioni ittiche nelle terre dei ghiacci.

    A settembre Pshenichnov era in procinto di partecipare a una conferenza sulla protezione della fauna marina antartica in Australia ma non è mai riuscito a lasciare la Crimea dove viveva. Lì, in quella zona occupata dai russi, è stato arrestato e imprigionato dai militari russi con l’accusa di alto tradimento. Il motivo? Secondo il Cremlino, per i suoi studi e le sue posizioni, starebbe tentando di danneggiare l’economia di Mosca, in sostanza di “ostacolare la pesca industriale russa di krill in Antartide”.L’arresto di Pshenichnov ha fatto insorgere la comunità scientifica che chiede il suo immediato rilascio e definisce la sua detenzione come “illegale”. Il biologo, da decenni, con diversi studi e pubblicazioni su riviste internazionali, lavora fornendo informazioni e sostegno all’importanza delle aree marine protette della regione antartica. I suoi studi hanno contribuito anche a rimarcare l’importanza di non abusare, in quelle aree remote, della pesca del krill, crostacei che sono alla base dell’alimentazione di molti cetacei e pesci e fondamentali nella catena alimentare.

    Lo scienziato, che vive a Kerch in Crimea, ora conquistata dalle truppe russe, viene descritto dal Cremlino come un “cittadino della Federazione russa che è passato dalla parte del nemico” e che “dalla parte della delegazione ucraina” era appunto in procinto di partecipare al CCAMLR, la conferenza sulla conservazione delle risorse marine in Antartide a Hobart in Tasmania. Per i russi Pshenichnov con i suoi studi e le sue ricerche avrebbe indebolito la pesca russa di krill in Antartide perché intenzionato a sostenere una proposta ucraina di limitazione della pesca. Con questa posizione il biologo avrebbe dunque danneggiato “gli interessi economici russi”. Il ricercatore rischia ora tra i 12 e i 20 anni di carcere e la situazione è stata definita da alcuni suoi colleghi, che chiedono il rilascio immediato, come “estremamente critica” dato che Pshenichnov soffre di alcuni problemi di salute poco compatibili con la detenzione.

    Sempre secondo i colleghi scienziati, a Pshenichnov “primo prigioniero politico della storia dell’Antartide” sarebbe stato volutamente impedito di partire perché alla conferenza CCAMLR avrebbe potuto appunto sostenere la tesi ucraina per la protezione delle acque antartiche. Va ricordato inoltre che Mosca ha definito lo scienziato come “russo” e dunque lo ha potuto accusare di alto tradimento, solo perché trovandosi in un territorio occupato dai militari di Putin è stato di fatto costretto ad assumere la cittadinanza russa anche se è ucraino. Pshenichnov, che vanta un lungo curriculum di ricerca all’Istituto di Ricerca Meridionale per la Pesca Marina e l’Oceanografia di Kerch, a quello per la Pesca e l’Ecologia Marina di Berdiansk e poi all’Istituto di Oceanografia di Kiev, era rimasto in Crimea solo per stare vicino alla sua famiglia. I suoi ultimi sforzi erano proprio concentrati sull’idea di istituire aree marine protette nell’Oceano antartico per limitare lo sfruttamento eccessivo delle risorse.

    Cosa succede al pianeta

    Stiamo cambiando gli equilibri della natura

    di Elena Dusi

    11 Agosto 2025

    L’arresto del biologo ha ovviamente alzato ulteriormente le tensioni diplomatiche. L’Ucraina sta facendo pressione su altri Paesi e sulla commissione CCAMLR affinché a livello internazionale spingano per il rilascio dello scienziato vittima di “un palese abuso dei diritti umani”. Il National Antarctic Research Centre sostiene che l’Ue, Norvegia, Regno Unito, Nuova Zelanda e Corea, siano uniti nel condannare l’incarcerazione da parte della Russia. Anche in apertura lavori della commissione CCAMLR, iniziata una settimana fa, c’è stato un accorato appello da parte dei ricercatori per il rilascio di Pshenichnov, “biologo e non politico” da sempre impegnato nella protezione della natura, soprattutto di quei mari dove quest’anno – per la prima volta – la quantità dei piccoli crostacei pescati nelle acque antartiche ha raggiunto un livello “insostenibile” secondo gli stessi scienziati. In questa situazione di “profondo shock”, i colleghi – che descrivono il biologo ucraino come un ricercatore “eccezionale” – fanno un appello anche alla società civile: “Facciamo tutti pressione, aiutateci a liberarlo da questa incarcerazione illegale”. LEGGI TUTTO