Lasse Jonasson: “Clima, Ai e giustizia: l’umanità esca dalla modalità difensiva”
“Se non volete vivere nel futuro di qualcun altro, dovete creare il vostro”. Per Lasse Jonasson questo motto è una promessa ma anche un avvertimento. Chief Foresight Officer del Copenhagen Institute for Futures Studies, era in Piemonte lo scorso venerdì 24 ottobre, ospite del “Summit della Sostenibilità e dell’Innovazione” di Confartigianato Imprese Cuneo, in dialogo con Valentina Boschetto Doorly, coordinatrice scientifica del master in Future & Foresight di Ca’ Foscari. Jonasson è al suo primo incontro pubblico in Italia, ed è in “tour” in Centro Europa tra associazioni di categoria, banche e istituti. Le sue consulenze servono a imprimere nuove visioni e, soprattutto, a fornire un metodo per trasformare l’orizzonte di dieci anni in decisioni immediate.
Scenari climatici inevitabili
Il futuro del Pianeta è più caldo e Jonasson è netto: “Non c’è un futuro credibile in cui possiamo evitare cambiamenti profondi. La differenza è il percorso e quanto saremo preparati”. Gli studi del Copenaghen Institute sono chiari. Il declino della biodiversità è documentato da decenni; l’inquinamento atmosferico provoca circa sette milioni di morti premature all’anno; grano e mais mostrano già rese inferiori rispetto ai trend storici. Senza adattamento, entro il 2050 le rese agricole globali rischiano di essere circa il 7% sotto i livelli attesi, mentre per nutrire il Pianeta servirebbe un aumento della produzione intorno al 60% entro metà secolo. In parallelo, 33 Paesi si avviano verso un grave stress idrico per il 2040. Per Jonasson la sostenibilità non è più un capitolo a parte nei piani strategici, ma un criterio di competitività. “Se riduciamo le emissioni trasformiamo tecnologie, filiere e stili di vita. Se non lo facciamo, dovremo comunque adattarci a impatti crescenti”.
L’equilibrio tra economia e giustizia sociale
La svolta può arrivare dall’economia. Jonasson cita i green swans, espressione coniata dal ricercatore John Elkington che significa “cigni verdi”: aziende la cui crescita migliora insieme profitti, persone e pianeta. “Non è idealismo, è gestione del rischio”. Chi resta fermo su asset ad alto impatto ambientale si espone a svalutazioni e perdita di competitività. In parallelo cresce l’attenzione alla distribuzione degli oneri e dei benefici: se la transizione non è giusta, la frizione sociale aumenta. “Seguite i soldi, perché i grandi investimenti si stanno già spostando verso tecnologie e soluzioni sostenibili. Ma cambiate le metriche”. Il conto trimestrale non basta più: accanto ai bilanci entrano i costi del rischio climatico (premi assicurativi, giorni di fermo impianto), l’intensità di CO? dei prodotti, la quota di fatturato a basso impatto di carbonia, la tenuta delle filiere e la capacità di trattenere competenze. Per i territori la domanda è altrettanto semplice: l’aria è più respirabile? Le ondate di calore colpiscono meno i quartieri fragili? I chilowatt prodotti sui tetti vengono davvero condivisi nelle comunità energetiche? Se questi indicatori migliorano con continuità, il capitale arriva e resta.
La “fase due” dell’intelligenza artificiale
Negli ultimi anni Jonasson ha studiato a lungo anche l’impatto dell’intelligenza artificiale. Il futurologo danese divide il percorso in due fasi. Fase uno: l’Ai ci fa risparmiare tempo. Automatizza compiti, riassume documenti, sbriga pratiche, libera ore. È utile, ma non cambia il gioco. Fase due: l’Ai ci permette di fare cose nuove. “La tecnologia diventa un motore di idee, non solo di efficienza”, spiega. Entrano in scena agenti che agiscono per nostro conto, la capacità di progettare servizi che prima non esistevano, modelli di business che nascono dal dialogo continuo tra sistemi e persone. Gli esempi non mancano: Jonasson porta il caso di una banca norvegese con cui ha collaborato. Oggi usa l’Ai per velocizzare i contratti; domani punta a una consulenza finanziaria proattiva e personalizzata per l’intera base clienti, famiglie e imprese. Lo stesso passaggio può valere per l’energia, con comunità energetiche rinnovabili che ottimizzano domanda e offerta tra quartieri grazie a tariffe dinamiche e accumuli condivisi; o per i Comuni, che possono usare agenti Ai sia per assistere i cittadini nelle pratiche complesse, sia per leggere i segnali del territorio, dal caldo urbano alla fragilità idrica.
Uscire dalla “modalità difensiva”
Jonasson invita a “esporci ai cambiamenti che abbiamo davanti, e questo richiede pensiero di lungo periodo e una vera comprensione delle dinamiche future. L’alternativa è restare in modalità difensiva, provare a impedire che il futuro accada”. Una missione impossibile. La bussola è pratica: guardare a dieci anni, scegliere poche metriche che contano davvero e sperimentare dove il ritorno ambientale e sociale è misurabile. Soprattutto nelle città, il vero laboratorio della transizione, e nelle aziende, piccole e grandi, che hanno in mano la leva del cambiamento. “Ci sono segnali chiarissimi là fuori”, conclude. “Basta aprire gli occhi e non nascondersi più”. LEGGI TUTTO

