13 Ottobre 2025

Daily Archives

consigliato per te

  • in

    Parchi del vento: energia sostenibile e paesaggi da scoprire

    Non solo pale eoliche. In Italia ci cono luoghi dove il vento diventa il cuore di uno sviluppo turistico e ambientale sostenibile. È l’idea di Legambiente che ha pubblicato la quarta edizione della guida Parchi del vento – realizzata dall’associazione ambientalista con il contributo di Agsm AIM, RWE, Winderg, il patrocinio di ANEV – e che seleziona gli impianti eolici italiani non solo più virtuosi, ma soprattutto più integrati nel paesaggio. Veri e propri laboratori di transizione ecologica capaci di generare valore sociale e economico oltre l’energia elettrica pulita. La nuova guida mappa 29 impianti eolici lungo la Penisola. Dal cuore dell’Alto Molise, tra le creste appenniniche, alla Valle del Belice, in Sicilia, passando all’entroterra lucano e pugliese.

    Il nuovo volto del turismo ambientale
    L’idea è dunque quella del viaggio, del turismo lento. Sono tanti e diversi i luoghi dove si possono vedere da vicino questi impianti, scoprendone il loro funzionamento, e allo stesso tempo visitando territori a piedi, in bici o a cavallo e ricchi di storia, cultura, bellezze e prelibatezze culinarie. I sette nuovi impianti eolici (2 in Molise, 1 in Puglia, 2 in Basilicata, 2 in Sicilia) inseriti nella guida 2025 e che si aggiungono ai 22 censiti nelle precedenti edizioni, ne sono un perfetto esempio: il parco eolico di Vastogirardi, lungo le creste dell’Appennino molisano, in provincia di Isernia, e quello di Castelmauro in provincia di Campobasso circondato da verde e colline intervallate da piccoli borghi, in Puglia l’impianto eolico Valleverde a Bovino (FG), comune annoverato tra i borghi più belli d’Italia, quello di Partanna (TP), nel cuore della Valle Belice, e quello di Gangi, in provincia di Palermo, tra le Madonie e i monti Nebrodi, e poi in Basilicata l’impianto eolico di “Santa Tecla”, ad Avigliano (PZ), e quello di Tivano, a Lavello (PZ). Nelle pagine della guida, oltre alla scheda di presentazione di ogni impianto, si possono trovare informazioni su come arrivare nei luoghi, cosa visitare, dove andare a mangiare, quali percorsi e sentieri fare, il tutto insieme a storie e aneddoti dei territori.
    “Non sono ecomostri”
    “Per contrastare l’emergenza climatica e migliorare le condizioni sociali del nostro Paese – commenta Katiuscia Eroe responsabile energia di Legambiente – è fondamentale non solo far crescere la produzione da rinnovabili e rendere finalmente il nostro sistema energetico libero da carbone, petrolio e gas, escludendo l’inutile e costoso ritorno al nucleare, ma anche fare in modo che queste tecnologie portino sempre più vantaggi ai territori e alle comunità. Gli impianti eolici non sono né ecomostri né impianti mostruosi come affermato da alcune amministrazioni locali. Con la nostra guida turistica Parchi del Vento, grazie alla collaborazione di diversi partner, raccontiamo a cittadini, turisti, curiosi ma anche imprese e amministrazioni come un parco eolico, se ben integrato con il territorio, possa essere un volano per attirare curiosità verso i territori in cui sono ospitati, valorizzando le attività esistenti. Non dimentichiamo inoltre che, per completare la rivoluzione energetica, è fondamentale spingere sempre più sulle rinnovabili snellendo gli iter normativi e coinvolgendo le comunità locali”.

    Percorsi ciclopedonali e passeggiate a cavallo
    “Intorno ai parchi eolici che raccontiamo all’interno della Guida Parchi del Vento – aggiunge Sebastiano Venneri, responsabile turismo di Legambiente – stanno nascendo sempre più opportunità interessanti, come percorsi ciclopedonali, passeggiate a cavallo, il passaggio del Giro d’Italia. Ma anche impianti perfettamente integrati con vitigni e uliveti e che permettono di riscoprire tradizioni e culture storiche, ormai dimenticati da molti. Questi impianti sono la dimostrazione che integrare nuovi impianti nel paesaggio è non solo possibile ma anche una sfida che può essere affrontata solo con il consenso delle comunità attraverso forme innovative e affascinanti di valorizzazione delle risorse locali”.
    Il settore eolico in Italia: qualche dato
    Legambiente ricorda che in Italia l’eolico svolge un ruolo sempre più rilevante, arrivando ad agosto 2025 a quota 13.356 MW di potenza installata, di cui 685 realizzati nel 2024 e 337 nel 2025, in grado di produrre, nel 2024, complessivamente 22.068 GWh/a di energia elettrica, pari al fabbisogno di circa 8,1 milioni di famiglie. Un numero che negli ultimi vent’anni è cresciuto passando da 1.131 MW del 2004 ai numeri attuali, permettendo a questa tecnologia di produrre il 17,2% del totale prodotto da fonti rinnovabili e di fornire un contributo rispetto ai consumi complessivi italiani pari al 7%.
    Parchi eolici da visitare secondo Legambiente
    Molise
    Tra i comuni di Castelmauro e Roccavivara, nella provincia di Campobasso, si trova il parco eolico di Castelmauro (CB) di Enel Green Power Italia situato a 800 metri sul livello del mare e circondato da verde e colline. Entrato in funzione nel 2022, l’impianto dispone di 7 aerogeneratori, ognuno da 4,2 MW, per una capacità installata complessiva di 29,4 MW. Nel primo periodo di esercizio ha prodotto in media oltre 55.000 MWh di energia pulita all’anno, fornendo energia pulita e rinnovabile a 3.700 famiglie (circa un quarto delle famiglie del Molise) ed evitando l’immissione in atmosfera di 4.384 tonnellate di CO2. Merita di essere vistato il borgo di Castelmauro tra ulivi, vigneti e boschi secolari, e il castello medievale. Sempre in Molise, lungo le creste dell’Appennino, si trovano i due parchi eolici: Vastogirardi 1 e 2 di Enel Green Power Italia, immersi in un paesaggio ancora integro. Qui le 18 turbine, per complessivi 26,35 MW, seguono il ritmo del territorio. Gli aerogeneratori, distribuiti su creste tra i 1.240 e i 1.270 metri sul livello del mare a cavallo tra il Comune di Vastogirardi e quello di Capracotta. Piccoli comuni ricchi di storia e boschi, come quello di Montedimezzo, riconosciuto come parte della Riserva MaB UNESCO: 276 ettari di cerrete e faggete che compongono un ecosistema intatto, percorso da sentieri, abitato da caprioli, lupi e rapaci.
    Basilicata
    Due i parchi eolici lucani mappati quest’anno nella Guida. Il Parco eolico di Tivano, a Lavello (PZ) composto da sette aerogeneratori, per una potenza complessiva di 14 MW. Insieme, queste moderne turbine producono circa 31 GWh annui di energia pulita, sufficiente a coprire il fabbisogno energetico di circa 10.000 famiglie. Da visitare Lavello, terzo comune più popoloso della provincia di Potenza, ricco di storia e cultura, e celebre per il suo Carnevale. Nell’entroterra lucano, tra terreni argillosi che hanno ospitato storie, pastori e briganti, si erge il Parco eolico di Avigliano capace di produrre oltre 3.500 MWh annui di energia pulita. Denominato “Santa Tecla”, come la storica località che lo ospita, l’impianto ha avuto anche un importante risvolto sociale: dalla sua entrata in funzione, la società Winderg finanzia periodicamente l’APD Atletico Avigliano, squadra di calcio femminile che milita nel campionato di Eccellenza. Avigliano si distingue anche per il contesto naturalistico che lo circonda tra cui anche la sorgente del torrente Tiera, affluente del Basento.
    Puglia
    In Puglia l’impianto eolico Valleverde, nel Comune di Bovino, in provincia di Foggia, è tra i più recenti e innovativi nel territorio. Il parco è composto da nove aerogeneratori per una potenza complessiva di 63 MW, in grado di generare 141 GWh annui di energia elettrica, pari al fabbisogno di 45.000 famiglie. Con i suoi 2.893 abitanti, Bovino rientra tra i Borghi più belli d’Italia e, dal 2013, ha ottenuto la Bandiera arancione del Touring Club Italiano. Da visitare anche il Castello Ducale.
    Sicilia
    Nella Valle del Belice, nel Comune di Partanna, l’impianto eolico Partanna, inaugurato da Enel Green Power Italia nel 2021, è formato da sei turbine da 2,4 MW di potenza ciascuna per un totale di 14,4 MW in grado di generare 40 GWh anno di energia pulita, pari al fabbisogno di 10.000 famiglie. Un parco eolico aperto, senza barriere, meta di ciclisti e famiglie. Altro impianto siculo censito nel 2025 è quello di Gangi (PA) che si sviluppa sul crinale del Monte Zimmara a 1250 metri sul livello del mare. È costituito da 32 aerogeneratori, disposti in modo da risultare il più possibile omogenei in altezza, ognuno con una potenza di 850 kW, per una capacità installata complessiva di 27,2 MW. L’impianto negli ultimi 5 anni, dal 2020 al 2024, ha prodotto in media 56 GWh l’anno, sufficienti a soddisfare il fabbisogno energetico di 21.000 famiglie. Inoltre, l’energia pulita prodotta dal vento permette di evitare l’immissione in atmosfera di 42.000 tonnellate di anidride carbonica (CO2) ogni anno. Da visitare il piccolo comune di Gangi, un museo a cielo aperto, insignito nel 2014 come Borgo più bello d’Italia, e circondato dal Parco delle Madonie e da innumerevoli sentieri e percorsi come quello geoturistico del centro storico di Gangi, ideato nel 2011. LEGGI TUTTO

  • in

    Il primo punto di non ritorno è già realtà: la perdita delle barriere coralline è irreversibile

    Dieci anni fa 196 Paesi si sedettero al tavolo per concordare un accordo storico, quello che avrebbe dovuto salvaguardare le vite del Pianeta prima che fosse letteralmente troppo tardi. Dieci anni dopo però, mentre quell’intesa è ancora lontana da essere centrata, la Terra ci restituisce il conto dell’inazione o di una battaglia troppo lenta: uno dei punti di non ritorno climatici, come il fatto che la perdita delle barriere coralline diventi irreversibile, è stato purtroppo ormai superato.

    L’Accordo di Parigi, quello in cui gli Stati si impegnavano a una politica di riduzione delle emissioni climalteranti per tentare di non superare, nelle decadi a venire, i +1,5 gradi rispetto all’era Preindustriale, non è ancora del tutto fallito: da quasi un paio d’anni siamo sopra, in media, a quella soglia, ma potenzialmente siamo ancora in tempo per evitare che aumenti a dismisura in futuro. Quello per cui invece pare non ci sia più tempo a disposizione, secondo quanto riportano 160 scienziati nel nuovo Global Tipping Points, è riuscire a salvare le barriere coralline globali. Se si pensa che questi ecosistemi siano solo una delle tante meraviglie del mondo da osservare facendo snorkeling durante una vacanza esotica vi sbagliate di grosso: in realtà, le barriere coralline, sono una vera e propria casa fondamentale per la sopravvivenza degli ecosistemi e anche delle persone. Grazie a coralli, spugne, microrganismi, animali e piante marine, le barriere offrono alla vita sott’acqua chance di sopravvivenza e riproduzione: oltre un quarto di tutto il pesce che permette a milioni di persone di vivere ad avere un’economia su cui basarsi, esiste perché esistono le barriere coralline.

    Per via delle emissioni antropiche però – avvertono i ricercatori a un mese dalla nuova Conferenza delle Parti sul clima, la COP30 che si terrà in Amazzonia – le acque degli oceani sono così cambiate, surriscaldate e acidificate, che le barriere sono entrate in una fase di decomposizione e perdita “inarrestabile”. Si tratta dunque del superamento di uno dei “tipping points”, i punti di non ritorno del collasso degli ecosistemi causato dal nuovo clima, a cui stiamo assistendo. Un declino che sarà a lungo termine ma che già ora potrebbe mettere a rischio i mezzi di sopravvivenza di centinaia di milioni di persone.

    Il nuovo report spiega che le barriere che ospitano circa il 25% di tutte le specie marine sono destinate a scomparire perché “se non torneremo a temperature medie globali superficiali di 1,2 °C il più velocemente possibile allora non riusciremo a mantenere barriere coralline di acqua calda sul nostro Pianeta su una scala significativa”. Come noto, a partire dalla Grande barriera corallina australiana, diversi di questi ecosistemi da tempo stanno affrontando collassi e periodi di sbiancamento. Nel 2023 uno dei peggiori: oltre l’80% delle barriere in circa ottanta paesi fu colpita da un aumento estremo delle temperature oceaniche tanto da spingere il futuro di queste realtà in “territori inesplorati” sostenevano gli scienziati. Due anni dopo siamo ormai “sull’orlo” del punto di non ritorno, anche se una parte dei ricercatori confida nel fatto, nonostante il declino, che alcune barriere mostrano ancora segnali di resilienza e resistenza elevati, tanto da fornire messaggi di speranza.

    Biodiversità

    Il 47% della Foresta amazzonica è a rischio: entro il 2050 il punto di non ritorno

    14 Febbraio 2024

    Sebbene la perdita dei coralli sia uno dei primi e più significativi punti di non ritorno in atto, non è l’unico. Nel rapporto gli esperti, guidati dall’Università di Exeter e con progetti finanziati anche dal proprietario di Amazon Jeff Bezos, illustrano altri tre punti critici per cui è necessario battersi: il declino dell’Amazzonia che da pozzo rischia di trasformarsi sempre di più in fonte di carbonio; il collasso delle principali correnti oceaniche e la perdita delle calotte glaciali, tutti eventi spesso collegati fra loro. Questi tipping points non sono però più ipotesi, ma qualcosa di estremamente concreto: “Non possiamo più parlare di punti di non ritorno come di un rischio futuro – sostiene Tim Lenton del Global Systems Institute dell’Università di Exeter – il primo accenno al declino generalizzato delle barriere coralline di acqua calda è infatti già in atto”.

    Per salvare le barriere – come quelle dei Caraibi che oggi sono fra le più in sofferenza – servirebbe “azioni climatiche aggressive” e migliori gestioni locali. L’approccio “locale”, con sforzi dedicati a seconda delle temperature e delle zone del mondo, è molto importante per esempio per l’Australian Institute of Marine Science che è più ottimista sul futuro delle barriere ricordando che talvolta i dati globali mascherano una significativa ” “variabilità regionale” anche se giustamente “indicando che rimane una ristretta finestra di opportunità per agire”. In generale il report avverte come le altre criticità “pericolosamente vicine” ai punti di non ritorno sono soprattutto i cambiamenti della calotta glaciale dell’Antartide occidentale e della Groenlandia che stanno perdendo ghiaccio a un ritmo accelerato, aumentando l’innalzamento del livello del mare, ma anche per esempio l’interruzione della principale corrente oceanica, l’AMOC, che è quella che regola gli inverni miti in Europa.

    Riscaldamento globale

    Il crollo della corrente atlantica è un rischio reale, il nostro clima ne sarebbe sconvolto

    di Giacomo Talignani

    29 Agosto 2025

    E poi ovviamente c’è il destino della grande foresta amazzonica, da cui potrebbe dipendere il collasso climatico su larga scala e che sarà al centro, fra un mese, della COP30 in Brasile. “Tragicamente, in alcune parti del clima e della biosfera, il cambiamento sta avvenendo rapidamente” ha ricordato Lenton, che è autore principale del rapporto. Lo stesso Lenton ha però anche riconosciuto come alcuni sforzi positivi sono oggi in corso – per esempio le rinnovabili che a livello globale hanno superato il carbone in produzione di elettricità – e che la strada dell’eliminazione dei combustibili fossili può ancora essere implementata. “Abbiamo ancora un certo potere decisionale” sul futuro, dice lo scienziato, ma questo potere deve passare per scelte climatiche precise nel tutelare la Terra tenendo conto proprio di quei punti di non ritorno che oggi sono troppo rischiosi per essere ignorati. LEGGI TUTTO

  • in

    Il polline protegge le api da miele dalle malattie e da virus mortali

    Pesticidi, cambiamenti climatici, perdita del proprio habitat. Sono alcuni dei pericoli che corrono le api da miele, Apis mellifera. Un mix di fattori, di cui il responsabile – neanche a dirlo – è proprio l’uomo. Questi insetti, indispensabili per l’ecosistema e per quel prodotto “miracoloso” che è il miele, rischiano di venire decimati e di colpire duramente l’economia agricola. Negli Stati Uniti, infatti, dove è stato condotto lo studio di cui stiamo per raccontarvi, il processo di impollinazione contribuisce per circa 30 miliardi di dollari all’anno al settore agricolo. Ma tornando ai pericoli, ancora una volta è la natura ad aver trovato in se stessa le armi per difendersi. Una delle ultime ricerche, infatti, avrebbe scoperto che il segreto per salvare le api, si nasconde nel cibo: il polline.

    Gli scienziati, infatti, hanno scoperto che il polline contiene una sorta di medicina naturale, batteri simbiotici chiamati Streptomyces che producono composti antimicrobici in grado di combattere e neutralizzare i patogeni mortali delle api e delle piante. Le api raccolgono i batteri insieme al polline, e li immagazzinano negli alveari, creando un sistema di difesa naturale. Grazie al polline, creano uno schermo protettivo che consente loro di difendersi da pericolose infezioni.

    Fino ad oggi gli specialisti di api contano più di 30 parassiti che possono aggredire le api da miele: protisti, organismi unicellulari come la Nosema, che causa gravi infezioni intestinali; virus come quello veicolato dall’acaro Varroa; batteri che possono causare malattie come la Peste americana o europea; funghi e artropodi, principalmente gli acari, come il famigerato Varroa destructor il parassita più dannoso per l’apicoltura mondiale. Ed il numero è destinato a crescere sia per effetto della globalizzazione, che facilita la diffusione di patogeni esotici, sia per effetto dello stress ambientale.

    Ma la recente scoperta ha ipotizzato che i cosiddetti endofiti, ovvero batteri e funghi simbiontici che vivono all’interno dei tessuti delle piante, a differenza dei parassiti, non causano danni al loro ospite, ma stabiliscono una relazione di simbiosi, spesso vantaggiosa per entrambi. Gli endofiti traggono beneficio quando chi li ospite viene impollinato, poiché il successo riproduttivo della pianta, assicurato dall’impollinazione, è indirettamente vantaggioso anche per i microbi che vivono al suo interno. La pianta, infatti, ha bisogno dell’impollinatore, cioè l’ape, e i microbi hanno bisogno che la pianta si riproduca. Ne consegue che i microbi potrebbero evolvere un meccanismo per proteggere il “veicolo”.

    Secondo l’ipotesi degli scienziati, gli endofiti possono sviluppare e rilasciare composti bioattivi che riescono a mantenere sani gli impollinatori che visitano la pianta. Questi composti potrebbero agire come antibiotici naturali, antivirali o potenziatori immunitari che, una volta ingeriti dalle api (attraverso nettare o polline), le aiutano a combattere i loro numerosi parassiti. Si creerebbe, in sostanza, una complessa alleanza ecologica tra pianta, microbo e impollinatore.

    “Abbiamo scoperto che gli stessi batteri benefici si trovano nelle scorte di polline delle colonie di api da miele e sul polline delle piante vicine”, ha evidenziato Daniel May, membro della facoltà presso il Washington College nel Maryland, che ha aggiunto: “Abbiamo dimostrato anche che questi batteri hanno prodotto composti antimicrobici simili che uccidono i patogeni delle api e delle piante, rendendoli un ottimo punto di partenza per nuovi trattamenti per i raccolti e gli alveari.”

    Ma come si è arrivati a queste importanti conclusioni? Il dottor May ed i suoi colleghi si sono concentrati sui batteri del phylum actinobacteria, la fonte di circa i due terzi degli antibiotici attualmente in uso clinico. Hanno raccolto il polline da 10 specie vegetali native nella Lakeshore Nature Preserve presso l’Università del Wisconsin e il polline dalle scorte di un vicino alveare di api da miele. Dopodiché hanno isolato 16 ceppi di actinobacteria dalle piante e 18 ceppi dalle scorte di polline all’interno dell’alveare.

    Il sequenziamento del genoma ha rivelato che le stesse specie o comunque strettamente correlate si trovavano in entrambi i tipi di campioni. Insomma i ceppi batterici isolati dal polline dei fiori nativi e quelli recuperati dalle scorte di polline delle arnie mostravano una straordinaria somiglianza. La maggioranza, circa il 72%, apparteneva al genere Streptomyces, la fonte di molti composti usati in medicina e agricoltura, ad esempio come antibiotici o come farmaci antitumorali e antiparassitari. Questa grande somiglianza genetica supporta l’idea che le api, durante la foraggiatura – come abbiamo detto – raccolgano involontariamente gli endofiti, che vivono all’interno dei tessuti vegetali e li portano velocemente nell’alveare, dove i batteri agiscono come un vero e proprio farmaco naturale.

    La scoperta dimostra che questi Streptomyces forniscono una difesa bifunzionale, proteggendo sia la pianta che l’impollinatore. L’approccio futuro potrebbe concentrarsi sull’introduzione dei giusti ceppi benefici negli alveari per rafforzarne il sistema immunitario, riducendo la dipendenza da antibiotici di sintesi. LEGGI TUTTO