8 Ottobre 2025

Daily Archives

consigliato per te

  • in

    Trasmettitori satellitari e test sui movimenti, ecco il progetto Life Turtlenest per le tartarughe Caretta caretta

    Piccole tartarughe crescono. Soprattutto in termini numerici. E atletici. Le buone notizie arrivano da Legambiente all’indomani del prezioso lavoro svolto da Life Turtlenest in Italia, Francia e Spagna, il progetto, partito a inizio 2023, cofinanziato dal programma Life dell’Unione europea (coordinato da Legambiente), che mira a migliorare la conservazione delle tartarughe Caretta caretta andando a implementare la protezione dei siti di nidificazione sensibilizzando una rete di attori coinvolti. A cui si aggiunge la recente nuova sperimentazione sui cuccioli di tartaruga con trasmettitori satellitari ultra-leggeri e test sul nuoto per proteggerli e renderli più “atletici” anche da piccoli e seguirli nel loro primo viaggio verso i mari.

    Cominciamo con i dati (incoraggianti) delle nidificazioni in Italia pubblicati a inizio anno: sarebbero circa 700 i nidi individuati sulle coste italiane, +30% rispetto al 2024 con la Sicilia in testa con oltre 200 nidi, seguita da Calabria con circa 150, Campania 114 e quasi 90 in Calabria, record in Toscana passata da 5 nidi dello scorso anno a 37. Al nord la Liguria, da 5 nel 2024 a 12 quest’estate. L’altra “good news”, innovativa e funzionale, è quella che per la prima volta in Italia, piccoli esemplari di tartaruga marina Caretta caretta sono monitorati tramite trasmettitori satellitari miniaturizzati, grandi quanto una moneta e dal peso inferiore ai 3 grammi (meno dell’1% del peso di una baby tartaruga), per consentire di tracciare i loro spostamenti in mare, valutare la sopravvivenza e identificare le aree nursery del Mar Mediterraneo occidentale. LEGGI TUTTO

  • in

    La maggior parte dei pesci negli acquari marini viene catturata in natura

    Quasi tutti i pesci venduti per allestire gli acquari marini vengono catturati in natura. A lanciare l’allarme è stato un nuovo studio dei ricercatori dell’Università di Sydney, secondo cui appunto il 90% circa dei pesci degli acquari d’acqua salata venduti dai rivenditori online negli Stati Uniti provengono direttamente dall’oceano Pacifico occidentale e dall’oceano Indiano. Un dato, quindi, che solleva non poche preoccupazioni sul commercio ittico non regolamentato che minaccia così la sostenibilità degli ecosistemi delle barriere coralline e aumenta ulteriormente il rischio di estinzione per le specie già in pericolo. Lo studio è stato pubblicato su Conservation Biology.

    I pesci catturati in natura
    Nel nuovo studio, i ricercatori hanno preso in esame i dati di 4 importanti rivenditori online di acquari con sede negli Stati Uniti. Dalle loro successive analisi sono emersi dati a dir poco sorprendenti: su 734 specie di pesci disponibili per la vendita, ben 655 specie provenivano esclusivamente da popolazioni selvatiche, mentre solo 21 specie erano disponibili solamente tramite acquacoltura. Ma non finisce qui: il team ha scoperto anche che 45 specie identificate nello studio sono definite di interesse conservazionistico, di cui 20 classificate come minacciate e 25 con una popolazione in declino, secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (Iunc). Di queste 45 specie, secondo la nuova analisi, 38 provenivano esclusivamente dall’ambiente selvatico.

    La pesca sostenibile
    Molte specie comunemente commercializzate, tra cui i labridi (Labridae), i pesci pagliaccio e altri pesci damigella della famiglia Pomacentridae, e i ghiozzi (Gobiidae), vengono catturate nelle barriere coralline tropicali, spesso nell’Indo-Pacifico, e possono rappresentare un’importante fonte di reddito per le comunità da cui provengono, aree dove sono state documentate pratiche di pesca non sostenibili, tra cui l’utilizzo del cianuro. Allo stesso tempo, commentano gli autori, ospitano anche attività di pesca sostenibili che fungono da esempio per un commercio responsabile per gli acquari marini.

    “Abbiamo urgente bisogno di una maggiore tracciabilità e di una supervisione normativa più rigorosa per garantire che i pesci d’acquario provengano da fonti responsabili”, ha commentato l’autore Bing Lin, del Thriving Oceans Research Hub presso la School of Geosciences dell’Università di Sydney. “Gli acquirenti non hanno un modo affidabile per sapere se il pesce che acquistano è stato pescato in modo sostenibile”.

    Il costo, un ulteriore deterrente
    Un dato particolarmente interessante per il mercato emerso dal nuovo studio è che i pesci d’acquario allevati in acquacoltura costano in media il 28,1% in meno rispetto ai pesci catturati in natura. “Il fatto che i pesci d’acquacoltura siano spesso più economici di quelli pescati in natura suggerisce che le alternative sostenibili non solo sono possibili, ma anche redditizie”, ha evidenziato Lin. Tuttavia, la stragrande maggioranza dei pesci sul mercato statunitense proviene ancora oggi da popolazioni selvatiche, e ciò evidenzia la necessità di strategie sostenibili e di una migliore conservazione, oltre al fatto che la natura spesso non regolamentata delle catene di approvvigionamento del pesce catturato in natura rappresenta un rischio sostanziale per gli sforzi di conservazione.

    “Ci auguriamo che le nostre scoperte motivino i responsabili politici, gli stakeholder del settore e i consumatori a collaborare per salvaguardare le specie vulnerabili delle barriere coralline, promuovere pratiche commerciali sostenibili e sostenere le comunità costiere il cui sostentamento dipende da questo settore”, ha concluso Lin. LEGGI TUTTO

  • in

    Joseph Aschbacher (Esa): “Esploriamo lo Spazio per proteggere il nostro pianeta”

    Cercare esopianeti lontani, provare a tornare sulla Luna, corteggiare Marte. Ma, soprattutto, prendersi cura della Terra: il primo pensiero dei programmi spaziali europei è per il nostro pianeta. Lo dice chiaramente la dichiarazione di intenti contenuta nella “Strategy 2040” dell’Agenzia spaziale europea (Esa), il documento programmatico che ridisegna le ambizioni spaziali comunitarie per i prossimi quindici anni, ponendo come obiettivo principale, per l’appunto, la tutela della Terra e del suo clima. Un cambio di paradigma che mette la sostenibilità, terrestre e orbitale, al centro di ogni futura missione dell’Agenzia. Sono tante le strategie già in atto per riuscirci, dalla raccolta dati di programmi come Copernicus e Osservazione della Terra alla creazione di “gemelli digitali” del nostro pianeta per simulare gli impatti del riscaldamento globale, fino alla “caccia” ai detriti spaziali. Eppure, per Joseph Aschbacher, dal 2021 alla guida dell’Agenzia spaziale europea, tutto questo è solo l’inizio.

    Editoriale

    Un satellite ci salverà

    di Federico Ferrazza

    07 Ottobre 2025

    Lo abbiamo incontrato a Vienna, a margine del “Living Planet Symposium”, la più importante conferenza mondiale sull’osservazione della Terra, e ci ha raccontato la prospettiva di un futuro in cui lo Spazio diventa lo strumento principale per comprendere e preservare il mondo.

    La protezione del Pianeta e la lotta alla crisi climatica sono gli obiettivi prioritari dell’Agenzia. Qual è lo scenario attuale?
    “L’Europa può essere molto orgogliosa di quello che ha raggiunto. Abbiamo il gold standard dei dati e delle infrastrutture di osservazione della Terra. Le immagini e i dati di Sentinel, per esempio, che abbiamo sviluppato attraverso il programma Copernicus, o quelli di satelliti come Biomass, da poco lanciato nell’ambito del programma di Osservazione della Terra, non hanno paragoni nel misurare il polso del nostro pianeta. Abbiamo satelliti meteorologici di altissimo livello, sia geostazionari che in orbita solare; abbiamo sviluppato satelliti più piccoli, le cosiddette Scout Missions, per testare nuove tecnologie come, per esempio, l’elaborazione delle immagini direttamente nello Spazio grazie a chip con intelligenza artificiale. Naturalmente, per avere un valore reale, questi dati e misurazioni devono trasformarsi in servizi ai cittadini: per questo motivo, negli ultimi trent’anni abbiamo costruito un sistema per monitorare parametri relativi all’atmosfera, agli oceani, alla superficie del Pianeta, alle regioni polari, per capire insomma come funziona il “sistema Terra” dal punto di vista geofisico. Contemporaneamente, abbiamo messo a punto un flusso robusto per la distribuzione dei dati: ne disseminiamo gratuitamente 350 terabyte ogni giorno, informazioni utilizzate per l’agricoltura, per la silvicoltura, per le risorse naturali, per la gestione dei disastri, per la pianificazione urbana, per il controllo del traffico aereo e navale e molto altro”.

    Cosa ci aspetta nei prossimi anni?
    “Il meglio deve ancora venire. Lanceremo sei nuove famiglie di satelliti Sentinel per misurare l’anidride carbonica, per il monitoraggio della massa di ghiaccio, per immagini iperspettrali, e molto altro. Ma non solo: l’Intelligenza artificiale ci assisterà sempre di più nell’elaborazione dei dati e nella costruzione dei cosiddetti “gemelli digitali”, delle “copie” del nostro pianeta con le quali potremo simulare scenari climatici e chiederci, per esempio, cosa accadrebbe se la temperatura aumentasse di 1,5, 2,5 o 4 gradi. Quali sarebbero le conseguenze per l’innalzamento del livello del mare, per la siccità, per le migrazioni? E quale sarebbe l’impatto sociale? Che effetto avrebbero le eventuali contromisure? Sono informazioni preziose per poter intervenire in modo efficace. C’è poi un secondo elemento, che riguarda la protezione da minacce come gli asteroidi: stiamo sviluppando missioni per monitorarli e capire come deviarli in caso di pericolo”.

    La ricerca spaziale può guidare concretamente la transizione ecologica in settori come l’agricoltura o la gestione idrica. In che modo?
    “C’è molto che possiamo fare. Abbiamo lanciato un progetto pilota in Austria chiamato “Green Transition Information Factory”: uno strumento basato su dati spaziali che fornisce informazioni su dove installare i pannelli fotovoltaici analizzando l’esposizione al Sole dei tetti, dove posizionare le pale eoliche, qual è l’impatto della transizione verso le auto elettriche o della decarbonizzazione dell’industria. È un esempio perfetto di come la combinazione di dati satellitari, modelli, IA e approccio simulativo possa aiutare un Paese a prendere le decisioni giuste”.

    La sostenibilità non riguarda solo la Terra, ma anche lo Spazio stesso. Come state lavorando per rendere le missioni più sostenibili e affrontare il problema dei detriti spaziali?
    “È un punto che naturalmente ci sta molto a cuore. Più satelliti lanciamo, più inquiniamo le orbite. Oggi abbiamo circa 11 mila satelliti attivi, e il rischio di collisione è enorme. Per questo la nostra agenzia ha elaborato la Zero Debris Charter, la Carta per i Zero Detriti, dove abbiamo chiesto agli stakeholder di sottoscrivere volontariamente alcuni principi fondamentali. Il primo, e più importante, è che alla fine della vita di un satellite ci impegniamo a portarlo fuori dall’orbita, perché non lasci detriti in orbita o sul nostro pianeta: vuol dire progettare fin dall’inizio le missioni con abbastanza carburante per la deorbitazione e in modo che brucino completamente al rientro nell’atmosfera, senza che nessun detrito arrivi a terra. La Carta, al momento, è un impegno volontario, ma il fatto che la abbiano già sottoscritta grandi industrie e Paesi, anche extra-europei, è un segnale molto buono. Ovviamente, nel prossimo futuro, tutto questo dovrà essere regolamentato in modo molto più rigoroso”.

    Per realizzare tutto questo bisogna anche guardare al portafogli: come pensate di rimanere competitivi con l’ingresso di attori privati e ben sovvenzionati, specie negli Stati Uniti?
    “Oggi, circa il 60% dei fondi pubblici globali per lo Spazio è negli Stati Uniti, mentre l’Europa ha solo il 10%. Eppure con così poco siamo riusciti a “catturare” il 22% del mercato commerciale globale, grazie a un programma di commercializzazione molto efficiente. Ma non basta: servono più fondi pubblici per creare le condizioni di sviluppo giuste, altrimenti rischiamo che le migliori aziende e i migliori talenti lascino l’Europa. Ricordo che SpaceX è diventata quello che è oggi soprattutto grazie ai fondi pubblici stanziati da Nasa e Space Force: l’Europa potrebbe fare lo stesso. Abbiamo già il talento, l’expertise e la conoscenza necessari”.

    L’ultimo obiettivo della vostra Strategia è “Ispirare l’Europa”. Qual è il messaggio di speranza che vuole lanciare l’Agenzia spaziale per il futuro?
    “Lo Spazio è, per definizione, fonte di ispirazione per tutti. Tutti sognano lo Spazio. Vorrei che questa ispirazione arrivasse anche ai bambini, fin dall’infanzia, attraverso il sistema educativo. A ispirare gli adulti sono la portata e le ambizioni dei nostri progetti: i razzi Ariane e Vega, i programmi faro Copernicus e Galileo, Ers, una nuova costellazione per la resilienza dallo spazio, e Iris, l’equivalente europeo di Starlink per le comunicazioni sicure. C’è però una debolezza che ancora dobbiamo superare: pur portando avanti una ricerca d’eccellenza e avendo a disposizione tecnologia dirompente e all’avanguardia, in Europa però produciamo ancora pochi satelliti. Dobbiamo fare un passo ulteriore, passare alla produzione di massa, costruendo costellazioni di centinaia, se non migliaia di satelliti, come fanno in Cina e negli Stati Uniti. È il percorso che stiamo cercando di seguire: nel momento in cui saremo davvero competitivi anche sotto questo aspetto, l’Europa potrà davvero essere leader nel mondo”. LEGGI TUTTO