3 Ottobre 2025

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    “L’instabilità del Mediterraneo coincide con l’emergenza ambientale”

    LUCCA – Guerre, tensioni commerciali, scenari politici ed economici in continua evoluzione. Viviamo tempi instabili, con conseguenze che vedono coinvolte società, imprese e vita quotidiana. Lo tocchiamo con mano nel giorno dello sciopero generale contro l’abbordaggio della Global Sumud Flotilla da parte di Israele, che ha bloccato le navi accorse per creare un corridoio umanitario in aiuto al popolo palestinese. Al centro dell’attenzione internazionale, dunque, il genocidio che la società civile, oggi impegnata a scioperare pacificamente con i sindacati Cgil e Usb, chiede di fermare. In un’Italia bloccata dalle manifestazioni contro la guerra a discutere di temi così complessi e delicati assieme, nella cornice del Pianeta Terra Festival di Lucca (dal 3 al 5 ottobre), sono Antonio Pace e Nathalie Tocci, in un dialogo moderato da Paola Pica e organizzato da Sofidel dal titolo “Un mondo incerto: i difficili scenari tra geopolitica ed economia”.

    Dai “georischi” al “greening”: scenari futuri
    I georischi sono alla base di questa instabilità e ci toccano più di quanto non crediamo, spiega Antonio Pace, che all’Università Cattolica del Sacro Cuore insegna risk management. Antonio Pace si occupa da più di vent’anni di investimenti nei mercati globali, ha vissuto in zone di guerra e, spostando lo sguardo dall’Asia all’Europa, spiega anche come l’instabilità del Mediterraneo coincida con l’emergenza ambientale.

    “Prima del Covid già si pensava a investire nel green. Dal 2022, con il conflitto ucraino, il green è diventato greening. Oggi il blocco America-Asia sembra avere una visione diametralmente opposta alla transizione energetica, mentre noi (l’Italia, ndr) oggi compriamo gas. Viviamo ancora di idrocarburi ma il greening rappresenta qualcosa che sta avvenendo”. Un obiettivo imprescindibile, guardando al futuro. E non solo per motivi di politica ambientale globale, ma perché il business va in questa direzione. Questo interessa tutti e quattro i macrosettori all’origine del conflitti internazionali: energia, robotica, difesa e agricoltura. “Quest’ultimo non può che essere un campo cruciale, se pensiamo al food, nel quale la transizione energetica e le tecnologie (come l’AI) rappresentano un’opportunità eccezionale di sviluppo. Poi c’è lo Spazio, con un valore pari a tremila miliardi di dollari stimati nel 2030”. Un altro settore dove la partecipazione europea è importante e le possibilità di sviluppo enormi.

    L’instabilità e il ruolo della società civile
    “Se parliamo del Mediterraneo non si può trascurare il conflitto Israele-palestinese e per questo sono contenta di essere arrivata in ritardo”, interviene Nathalie Tocci, politologa e direttrice dell’Istituto Affari Internazionali di Roma, alludendo alle difficoltà logistiche incontrate per raggiungere la sede del dibattito viaggiando da una città all’altra paralizzata dalle proteste.

    Nathalie Tocci, politologa e direttrice dell’Istituto Affari Internazionali di Roma  LEGGI TUTTO

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    Gli sgombri stanno scomparendo dall’Atlantico: “Tagliare la pesca del 77% o li perderemo”

    La situazione è precipitata a un livello tale da cui “sarà difficile riprendersi”. Così il Consiglio Internazionale per l’Esplorazione del Mare (ICES) ha descritto le attuali condizioni di un pesce azzurro molto amato: lo sgombro. Secondo le nuove evidenze scientifiche e i report diffusi il 30 settembre dal Consiglio nell’Oceano Atlantico, in particolare nella zona nord-orientale, la biomassa della popolazione di sgombro è scesa sotto la soglia critica. Eppure, per molti scienziati e ambientalisti che descrivono da anni il preoccupante calo degli sgombri, non è una sorpresa: la causa è nota ed è la sovrapesca che non si ferma.

    Ormai le quantità pescate hanno superato in media del 39% le raccomandazioni scientifiche: ciò significa che la sopravvivenza di questo pesce, soprattutto in determinate zone dell’Atlantico, è compromessa, così come la sicurezza degli approvvigionamenti futuri di sgombri, pesci ricchi di Omega-3 e utilizzati in molte diete. Una possibilità di recupero per le popolazioni ittiche c’è, ma servirebbe un taglio drastico, indicano gli esperti: bisogna ridurre del 77% le catture nel 2026. Uno dei Paesi che importa maggiormente sgombro è proprio l’Italia, dove ogni anno arriviamo a consumare oltre 25mila tonnellate e in generale è un pesce molto richiesto in Europa, domanda che ha alimentato la sovrapesca. Attualmente, dall’Atlantico, arrivano segnali preoccupanti anche per il melù, altra specie in difficoltà per cui servirebbe almeno il 41% di riduzione delle catture e, anche se ci sono segnali positivi, perfino l’aringa atlanto-scandinava secondo associazioni no profit come SC Marine Stewardship Council avrebbe bisogno di una ripartizione delle quote pesche basata sulla scienza per garantire una gestione efficace guardando al futuro.

    Per tutte queste specie, e in particolare lanciando l’allarme sgombro, SC Marine Stewardship Council chiede una risoluzione dello stallo politico che ha causato il superamento delle quote di pesca raccomandate: “Chiediamo a Unione Europea, Regno Unito, Norvegia, Islanda e Isole Faroe di trovare un accordo sulla ripartizione delle quote in conformità ai pareri scientifici per le popolazioni di sgombro dell’Atlantico, aringa Atlanto-scandinava e melù (Micromesistius poutassou). Un’azione urgente è necessaria a interrompere lo stallo politico in vista delle negoziazioni annuali di ottobre, un momento potenzialmente cruciale per concordare misure di gestione straordinarie a tutela dello sgombro e per definire un piano di recupero dello stock” scrivono. Sempre secondo MSC, che ha analizzato i dati dell’ICES, “negli ultimi otto anni le catture di sgombro, aringa Atlanto-scandinava e melù hanno superato le raccomandazioni scientifiche di 5,8 milioni di tonnellate complessive”.

    Il costante calo di sgombri e melù potrebbe, spiegano gli esperti, impattare direttamente sugli equilibri degli ecosistemi marini, oltre che sulle economie locali. Dopo che alcune imprese collegate alla cattura dello sgombro già cinque anni fa per eccesso di pesca avevano perso il bollino di certificazione sulla sostenibilità, oggi altre realtà – vista la delicata situazione di questo pesce – hanno scelto per esempio di passare “a fonti sostenibili certificate, come lo sugarello cileno (Chilean Jack Mackerel) certificato MSC, mentre cresce la domanda di aringa certificata proveniente dal Mare del Nord e dagli stock islandesi di riproduzione primaverile” fanno sapere dal gruppo. Per Matilde Vallerani, fishery manager di MSC in Italia “le raccomandazioni ICES rappresentano un severo avvertimento: senza un’azione urgente, le popolazioni di sgombro rischiano seriamente il collasso. Dopo anni di inattività, i governi devono superare lo stallo politico e collaborare per concordare quote basate sulle evidenze scientifiche”. Sempre secondo il report, la popolazione di sgombri nell’Atlantico nord-orientale ha ormai raggiunto il livello più basso da oltre 20 anni ed è appunto “precipitata a un livello da cui farà fatica a riprendersi”.

    Per Jonny Hughes della Blue Marine Foundation è più che evidente come “la più grande e preziosa attività ittica è stata portata sull’orlo del baratro da una pesca eccessiva continua e massiccia. Abbiamo una flotta peschereccia industriale su larga scala che ha dimostrato di non riuscire a contenersi e governi che sembrano incapaci o non disposti a gestirla”. Secondo Blue Marine Foundation i principali responsabili della sovrapesca di sgombri nell’Atlantico nord-orientale sono Norvegia e Regno Unito. Se vogliamo avere ancora speranze che le popolazioni di sgombri si riprendano, soprattutto in questi due Paesi le azioni devono cambiare perché “il guadagno economico a breve termine non può più giustificare l’ignorare i pareri scientifici. Al contrario, garantire la sostenibilità a lungo termine dei nostri mari dovrebbe essere la priorità” chiosa Hughes. LEGGI TUTTO

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    Come aiutare i genitori a compiere scelte low-carbon

    La crisi climatica interessa tutti, in maniera indiscriminata, ma avere dei figli può spingere i genitori ad essere più attivi di chi non ne ha nel contrastarla? E’ la domanda che ha stimolato il lavoro di tre ricercatori dell’Università di Bath, interessanti a comprendere quanto di vero ci fosse appunto nel “green parenthood effect”, ovvero […] LEGGI TUTTO