15 Luglio 2025

Daily Archives

consigliato per te

  • in

    Case green, verso la rimodulazione degli incentivi con la direttiva Ue

    Pronte le linee Guida della Ue per l’attuazione della Direttiva Case Green. A partire da settembre entrerà nel vivo la definizione del Piano Nazionale di Ristrutturazione degli Edifici (NBRP) con la prima bozza da presentare entro il 31 dicembre 2025 e il recepimento definitivo della Direttiva previsto per il 14 maggio 2026. Prevista una rimodulazione […] LEGGI TUTTO

  • in

    Ispra presenta la Nomr, il laboratorio galleggiante per proteggere il Mediterraneo

    L’Italia avrà, per la prima volta, una nave oceanografica progettata per scopi civili. Finora infatti queste imbarcazioni erano sempre state riadattate prima di essere messe a disposizione della comunità scientifica. Presto ce ne sarà una ad hoc. Presentata alla Camera dei deputati, la nave Nomr (Nave oceanografica maggiore da ricerca) dell’Ispra verrà varata nel giugno 2026 e sarà pienamente operativa per l’inizio del 2027. Ma già oggi è possibile farsi un’idea precisa di come sarà e, soprattutto, cosa consentirà di fare. La Nomr è un concentrato di tecnologia che a qualcuno potrebbe ricordare il Nautilus del capitano Nemo. Certo, non è un sottomarino ma è dotata di due unità che potranno immergersi ed esplorare i fondali. La prima è un Rov, un veicolo teleguidato (dalla nave o da terra), 100% elettrico e dotato di bracci robotici per prelevare dei campioni e riportarli a bordo, oltre a un laser ottico per la mappatura ad alta precisione dei fondali e telecamere 4K. La seconda unità è l’Auv: “È una sorta di siluro che, una volta immerso, è in grado di muoversi in autonomia nell’ambito di un’area che gli verrà assegnata in partenza: la scandaglierà tutta; grazie a un sistema anticollisione eviterà gli ostacoli e tornerà a bordo e a quel punto basterà scaricare i dati per iniziare ad analizzarli sulla nave” spiega Giordano Giorgi dell’Ispra, coordinatore del progetto Mer (Marine ecosystem restoration) finanziato con fondi Pnrr. L’Auv potrà operare fino a 60 ore senza bisogno di ricarica.

    Uno dei fiori all’occhiello della nave oceanografica, continua Giorgi, è la silenziosità: “Lo scafo è stato progettato per produrre pochissima turbolenza. E questo consente alle strumentazioni acustiche sotto alla chiglia di registrare un dato ‘pulito’, di altissima risoluzione”. Grazie ai suoi tanti sensori la nave potrà misurare la profondità, la temperatura, salinità, torbidità, ossigeno disciolto e fluorescenza, metano e anidride carbonica e un magnetometro potrà cercare oggetti metallici nascosti sotto al fondale. Vale a dire, relitti o ordigni inesplosi. “Questo è molto importante, non necessariamente per recuperarli ma per sapere dove si trovano, nel momento in cui bisogna posare cavi o condotte sottomarine” precisa il responsabile Ispra.

    Mare da tutelare
    Potendo esplorare tutte le caratteristiche della colonna d’acqua fino a quasi quattromila metri di profondità, la nave Nomr sarà un formidabile detective per capire, anzitutto, come sta il nostro mare di cui, ancora oggi, sappiamo pochissimo soprattutto sotto i mille metri. La possibilità di analizzare specie e frammenti in ambienti estremi, dove finora è stato impossibile inoltrarsi, aiuterà la comunità a scientifica a valutare l’impatto del cambiamento climatico sul Mediterraneo, ma non solo. Una delle maggiori potenzialità dell’imbarcazione è anche lo studio dei monti sottomarini (che è già iniziato quest’anno, con altri strumenti) e il monitoraggio di reti fantasma e rifiuti inabissati.

    Un’isola “autonoma” di scienza
    Non solo Mediterraneo, dicevamo. Benché la nave sia stata concepita per operare soprattutto nel mare nostrum, la richiesta dei ricercatori (esaudita) era di poter disporre di un’autonomia di circa seimila miglia nautiche, sufficienti per attraversare Atlantico e Pacifico senza mai approdare. Sarà anche un’autonomia operativa, perché nei cento metri quadrati di laboratori a bordo della Nomr si potranno immediatamente studiare e analizzare pesci, piante, rocce e altri campioni, anche grazie a celle frigorifere, congelatori, incubatori, vasche per la conservazione in vivo e altro ancora. Non ci sarà quindi bisogno di approdare, sbarcare tutto il materiale e analizzarlo a terra. Il vantaggio è che non si perderanno giorni preziosi, sfruttando al massimo le condizioni meteo ideali per stare in mare. “Si lavorerà su campagne di 30 giorni” continua Giorgi, “che in questo ambito sono davvero tanti”.

    Mare come risorsa
    Il mare non viene visto però solo come un bene da proteggere, ma anche come un alleato in grado di fornire risorse-chiave per l’energia, le comunicazioni e le tecnologie di domani. Grazie allo studio dei fondali e del sottosuolo marino, la nave di Ispra sarà di grande aiuto per individuare la presenza di minerali critici, a volte piuttosto rari e per questo oggetti di competizione geopolitica. “Ma pensiamo anche agli impianti eolici offshore – aggiunge Giorgi – la maggior parte delle volte costituiti da pale eoliche galleggianti che hanno bisogno di ancoraggi sicuri. A bordo della nave avremo le tecnologie necessarie per fare tutti i rilievi di cui c’è bisogno, comprese delle stratigrafie per diversi metri sotto al fondale, per assicurarci che le pale posino su un terreno sicuro”. Poi c’è un’altra questione di sicurezza. In un periodo piuttosto turbolento dal punto di vista geopolitico, neanche i cavi e le condotte sottomarine possono considerarsi al sicuro. Nel caso in cui queste infrastrutture vengano danneggiate, la Nomr potrà avvicinarsi al luogo del “fattaccio” e verificare, magari mandando il proprio robot sottomarino, cos’è successo e stimare l’entità del danno. LEGGI TUTTO

  • in

    Le biobanche dei coralli che salvano le barriere con la criogenesi

    Alcuni sembrano ventagli di porpora, altri sfere ramificate color ocra, altri ancora fantasiose architetture arancioni o blu cobalto. Tra i flutti e il fondale sabbioso, trafitti dalla luce che filtra obliqua, si dispiegano giardini sommersi. Forme e colori che paiono usciti da un sogno di mare. Sono le barriere coralline che, pur occupando meno dell’1% degli oceani, ospitano il 25% delle specie marine. Strutture oggi sempre più fragili, minacciate da cambiamenti climatici, inquinamento, acidificazione delle acque, attività umane. Secondo il Global Coral Reef Monitoring Network, tra il 2009 e il 2018, nel mondo, è andato perduto il 14% di tali formazioni. Quattro sbiancamenti su larga scala hanno colpito la Grande Barriera Australiana in pochi anni, l’ultimo nel 2022. Se la temperatura globale aumenterà di 1,5 gradi, il 70-90% di questi sistemi potrebbe scomparire, se raggiungerà i 2 gradi, ben il 99% potrebbe andare perduto. Di fronte all’emergenza, centri di ricerca internazionali stanno utilizzando tecniche scientifiche all’avanguardia per preservare gli esemplari più vulnerabili e favorirne la rigenerazione o il futuro reimpianto.

    Oceani

    Barriere coralline, come (e perché) stiamo perdendo un patrimonio di biodiversità

    03 Settembre 2024

    I poli nel mondo
    In Australia, a Sydney, la Taronga Conservation Society ospita la biobanca Cryo Diversity, attiva dal 1995, che nel 2011 ha avviato il programma di conservazione corallina, in collaborazione con l’Australian Institute of Marine Science. Attualmente custodisce campioni di 34 specie della Grande Barriera ed è stata la prima al mondo a introdurre la tecnica cryomesh, nella quale le larve vengono adagiate su una griglia ultra-sottile di polimero e poi immerse in azoto liquido a meno 196?gradi, in modo da evitare la formazione di cristalli di ghiaccio dannosi per le cellule. Negli Stati Uniti le biobanche più importanti sono due. La prima è l’International Coral Gene Bank fondata nel 2010 all’interno del Mote Marine Laboratory in Florida. Conserva centinaia di varianti genetiche caraibiche, fino a 50 per specie, tramite preservazione standardizzata a basse temperature: spermatozoi o ovuli, mescolati a soluzioni protettive, vengono congelati gradualmente in azoto liquido, per salvaguardarne la vitalità. Questo ha permesso la riproduzione di oltre 600 coralli di Acropora palmata. La seconda è la Reef Recovery Frozen Coral Repository, presente all’interno dello Smithsonian Institution, con sede a Washington, dal 2008, che tutela materiale prelevato da due oceani. È pioniera nella vitrificazione avanzata di spermatozoi e frammenti corallini, ovvero un congelamento rapidissimo in azoto liquido in un apposito contenitore sigillato e resistente, nel quale il volume resta sempre uguale, trasformando l’acqua cellulare in una struttura vetrosa, senza l’aggregazione di cristalli. Anche nella Cryobank, struttura che fa parte del Coral Hospital, divisione specializzata del National Museum of Marine Biology and Aquarium di Taiwan, si sperimenta la vitrificazione veloce, per custodire cellule fragili come ovociti o tessuti. Attiva dal 2020 circa, questa biobanca ha già crioconservato quasi 1.900 campini contenenti cellule di almeno 14 specie.

    Le sfide future
    Grazie a questi centri e alle loro tecniche, oggi nel mondo sono state crioconservate più di 50 colonie di coralli. L’obiettivo è salvarne almeno 400 nella sola Grande Barriera, nonostante permangano alcune difficoltà. Tra le principali, si annoverano costi elevati e complessità della logistica di congelamento, soprattutto per le larve fragili; finestra temporale ristretta di raccolta, dato che i prelievi possono avvenire pochi giorni l’anno, durante la fase di riproduzione; possibili rischi della conservazione nel lungo periodo in termini di eventuale perdita genetica. “Pur svolgendo un ruolo fondamentale, le criobanche rappresentano solo una parte della soluzione alla crisi globale delle barriere coralline”, ha commentato Richard Leck, responsabile Oceani del Wwf Australia, “ma bisogna fare molto di più per garantirne la sopravvivenza”. LEGGI TUTTO

  • in

    Italia e atomo: il futuro è ora

    L’Alleanza per il Nucleare è un’iniziativa europea nata nel 2023 per promuovere il ruolo dell’energia nucleare nella strategia climatica e industriale dell’Ue, in un’ottica di neutralità tecnologica. L’obiettivo è riconoscere pienamente il ruolo dell’atomo come fonte stabile, sicura e a basse emissioni, da affiancare alle rinnovabili nel percorso verso la neutralità climatica. L’Alleanza risponde anche all’esigenza di rafforzare l’autonomia energetica dell’Europa, riducendo la dipendenza da importazioni extra-UE in un contesto di instabilità globale.Dell’Alleanza fanno parte 14 Paesi membri effettivi: Belgio, Bulgaria, Croazia, Finlandia, Francia, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Svezia e Ungheria. L’Estonia partecipa come osservatore. Alcuni di questi Stati già utilizzano il nucleare da decenni, altri stanno pianificando nuovi impianti o valutando l’adozione di tecnologie modulari di nuova generazione.L’Alleanza affronta temi cruciali per il nucleare: sviluppo della filiera industriale, formazione tecnica e accesso ai finanziamenti, al pari delle altre fonti di energia a basse emissioni (incluse le rinnovabili).Con l’ingresso formale del giugno 2025, l’Italia passa da osservatore a membro attivo. Questo significa partecipare direttamente alla definizione delle policy europee, ma anche valorizzare le competenze scientifiche e industriali presenti sul territorio. LEGGI TUTTO