4 Febbraio 2025

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    Dai biscotti all’olio, quando buttare il cibo e quando no

    Ogni settimana nel nostro Paese finiscono nell’immondizia ben 683,3 grammi di cibo a testa. Lo afferma il rapporto Waste Watcher 2024, segnalando che lo sperpero è cresciuto del 45,6% rispetto al 2023. Tra gli alimenti buttati via più spesso ci sono frutta (27,1 grammi), verdura (24,6), pane (24,1), insalate (22,3). Complice di questo enorme spreco anche la poca conoscenza da parte degli utenti o la scarsa comprensibilità delle informazioni riguardanti scadenza e conservazione riportate sulle confezioni, che fanno sì che prodotti ancora commestibili vadano a finire nella spazzatura.
    Data di scadenza tra perentorietà e tolleranza
    La data di scadenza, che viene segnalata tramite la dicitura “da consumare entro” seguita dal giorno e dal mese, è presente sugli alimenti ad elevata deperibilità, da conservare in frigorifero. Tra questi si distinguono quelli più deperibili, come pesce crudo, carne fresca, formaggi freschi, in cui l’indicazione è perentoria, perché potrebbero proliferare microrganismi nocivi, e quelli meno deperibili, come latte o yogurt, in cui è possibile un po’ di tolleranza: in concreto, si può sforare di uno o due giorni, a patto che il prodotto sia stato conservato correttamente e la confezione risulti integra.
    Il termine di conservazione non è tassativo
    Il termine minimo di conservazione viene, invece, indicato con la dicitura “da consumare preferibilmente entro” seguita da mese, anno e in alcuni casi dal giorno. Un’indicazione che segnala fino a quando un alimento, come pasta, farina, biscotti, conserva intatte le caratteristiche nutrizionali e di gusto. Ciò non ha a che vedere con la sicurezza, perciò il cibo resta commestibile anche per mesi dopo che il termine è stato raggiunto.
    Una guida per i consumatori
    Per aiutare gli acquirenti a limitare gli sprechi, pur tutelando al massimo la salute, Altroconsumo ha stilato una guida completa, che va dall’olio al miele passando per i salumi. Eccola di seguito (chi vuole può stamparla e appenderla in cucina per averla sott’occhio in caso di dubbi).
    Riso e pasta
    Possono essere consumati oltre la data indicata sulla confezione, anche uno o due mesi dopo. Attenzione, però, che non presentino impurità, grumi, buchi, determinati da parassiti. Visto che questi ultimi possono penetrare facilmente nelle scatole di cartone e di plastica, è meglio usare i barattoli a chiusura ermetica.
    Biscotti e crackers
    Si possono mangiare anche due o tre mesi dopo il termine di conservazione, senza incorrere in alcun rischio per la salute. Unico problema: potrebbero perdere un po’ croccantezza e fragranza.
    Pancarré
    Ideale per toast o tramezzini, dopo la scadenza o l’apertura va mangiato nel giro di una settimana, altrimenti meglio congelarlo. Una volta aperto, non va conservato in frigo perché perde fragranza.
    Farina
    Può essere usata anche uno o due mesi dopo il termine minimo di conservazione. Non consumare se è presente muffa, se la confezione non è integra o se è infestata dalle farfalline.
    Latte fresco
    Può essere bevuto anche il giorno successivo alla scadenza, scaldandolo bene: se è inacidito, con il calore formerà dei grumi sul fondo (in questo caso meglio buttarlo).
    Latte microfiltrato
    Si può consumare anche qualche giorno dopo che è scaduto. Se il contenitore si gonfia, meglio però evitare.
    Il latte Uht
    L’acronimo Uht (Ultra high temperature) indica che il latte è stato sterilizzato tramite l’esposizione ad altissime temperature (135 gradi minimo) e poi riportato rapidamente a temperatura ambiente, ottenendo un termine minimo di conservazione di circa quattro mesi. In questo periodo il grasso potrebbe affiorare, ma non è un segno di degradazione. Una volta aperta la confezione, il latte va tenuto in frigo e bevuto entro tre-quattro giorni.
    Yogurt
    Si può mangiare anche qualche giorno dopo la scadenza. Se il tappo si gonfia, però, è meglio non consumarlo (questo vale anche se il cambiamento avviene prima della scadenza).
    Formaggi freschi
    Mozzarella, ricotta, stracchino si deteriorano alla svelta: per questo è bene consumarli entro la scadenza. Vanno buttati in presenza di muffe, di confezione gonfia, di sapore acido o amarognolo.
    Formaggi stagionati
    In frigorifero durano per settimane. Se si forma della muffa, è possibile rimuoverla con l’aiuto di un coltello e consumarli comunque, dato che non riesce a penetrare all’interno e a guastare, quindi, il prodotto.
    Pesce
    Va riposto nel ripiano inferiore del frigorifero, che è il più freddo, e consumato entro uno o due giorni. Se è affumicato, dura tre settimane quando è chiuso, due giorni se aperto.
    Carne
    Come il pesce, va conservata nel ripiano più basso del frigo. Quella macinata va cotta entro 24 ore dall’acquisto, quella a fettine entro un paio di giorni, i pezzi interi (come l’arrosto) entro tre-quattro giorni. Se si prevedono tempi più prolungati, è meglio dividere la carne in porzioni e congelarla nel freezer.
    Salumi
    Dal prosciutto crudo al salame, dalla mortadella alla bresaola, i salumi vanno conservati in frigorifero. Quelli affettati al banco della gastronomia durano al massimo cinque giorni. Quelli confezionati in vaschetta presentano la data di scadenza, che fa da riferimento. Una volta aperti, devono però essere consumati entro due giorni.
    Sushi e tartare
    Questi alimenti, comperati al banco frigo del supermercato o in un negozio da asporto, vanno consumati il giorno stesso dell’acquisto perché il pesce crudo è un alimento molto delicato. Da ricordare: se è fresco ha un odore pressoché neutro, con un vago sentore di acqua marina o alghe. Più l’odore è intenso, più il pesce è vecchio.
    Uova
    Meglio non oltrepassare la data indicata sulla confezione. In particolare nelle preparazioni a crudo, come tiramisù o maionese, è sempre bene usare uova freschissime.
    Patate
    Non hanno data di scadenza né termine minimo di conservazione. Vanno riposte in un luogo fresco e arieggiato, poco umido e al riparo dalla luce. Possono essere collocate, per esempio, in sacchetti di carta, cestini di vimini o cassette di legno. Conservando i tuberi nel modo corretto, si eviterà che germoglino e che si possano sviluppare sostanze tossiche.
    Conserve sott’olio
    Melanzane, zucchine, carciofini, carote, aglio, funghi sono alcuni degli alimenti che possono essere preparati in questo modo. Queste preparazioni hanno una scadenza lunga, che è meglio non superare: l’olio, infatti, rischia di irrancidire, compromettendo il sapore. Dopo l’apertura dei barattoli, conservare in frigo e mangiare nel giro di due settimane.

    Acciughe in vasetto
    Sono una semiconserva. Andrebbero vendute nel banco frigo, ma in Italia questo non avviene. A casa meglio non riporle nella dispensa, ma appunto nel frigorifero, anche se il vasetto è chiuso. Il consiglio è consumarle entro il termine minimo di conservazione.

    Maionese e salse
    Si possono usare anche qualche mese dopo il termine minimo di conservazione, a patto che siano chiuse, che siano state conservate alla temperatura giusta e che non presentino muffe.

    Olio
    Mantiene più a lungo le sue caratteristiche se conservato al buio: per questo è spesso contenuto in una bottiglia di vetro scuro. Meglio non andare oltre la data riportata, altrimenti potrebbe irrancidire, assumendo uno sgradevole sapore amarognolo, a causa dell’ossidazione degli acidi grassi insaturi.

    Spezie
    Possono essere usate in tutta sicurezza anche mesi dopo il termine minimo di conservazione. Più invecchiano, minore sarà, però, l’aroma e il contributo che possono apportare all’insaporimento delle pietanze.
    Sale e zucchero
    Il sale, lo zucchero, l’aceto, le caramelle sono prodotti per cui è la legge stessa a non prevedere la data di scadenza, dal momento che non si deteriorano.
    Frutta
    Ha una deperibilità molto variabile: si va dalle fragole, che durano al massimo qualche giorno prima di guastarsi, alle mele, che in frigorifero resistono anche per settimane.
    Marmellata
    Nel barattolo chiuso, dura un paio di anni. Una volta aperta va tenuta in frigo. Attenzione alle muffe: se si sviluppano è meglio buttare via tutto.
    Miele
    Ha una vita molto lunga. Se si cristallizza, nessun problema: lo si può riportare allo stato liquido scaldandolo a bagnomaria.
    Spremute e succhi
    Le spremute 100% vendute nel banco frigo hanno una durata limitata: è bene rispettare la scadenza. Succhi e nettari hanno, invece, un termine minimo di conservazione di qualche mese e si possono bere anche successivamente. Se aperti vanno, però, tenuti in frigorifero e consumati nel giro di pochi giorni.
    Acqua in bottiglia
    Sulla confezione è indicato il termine minimo di conservazione, che si può sforare anche di 12 mesi, purché l’acqua sia stata conservata al riparo da calore e luce e non abbia alterazioni del gusto né appaia torbida. LEGGI TUTTO

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    Detrazioni al 50% per chi vuole rinnovare o ampliare l’impianto fotovoltaico

    Rinnovare a ampliare l’impianto energetico con il bonus. Chi ha installato i pannelli solari anni fa e ora vuol aggiungere un sistema di accumulo, altri pannelli, o cambiare il sistema di gestione per migliorarne la resa ha la possibilità di farlo con la detrazione fiscale sulla spesa. Il bonus, infatti, non è rivolto solo ai nuovi impianti, ma anche ai potenziamenti. Interessati tutti gli impianti installati dal 2023 in poi, ossia dopo la scadenza del Conto energia.

    Come funziona il bonus fotovoltaico
    Il bonus fotovoltaico è una detrazione del 50% in dieci anni prevista per l’installazione dei pannelli fotovoltaici al servizio delle abitazioni private. La detrazione è riconosciuta per tutte le spese di acquisto e posa in opera e per le spese tecniche necessarie per consentire l’avvio dell’attività. L’agevolazione spetta anche quando i pannelli non sono installati sul tetto dell’abitazione ma su una pertinenza, ad esempio il box, a patto che l’impianto sia destinato ai consumi domestici.

    Più efficienza e sistema di accumulo
    Anche chi ha già installato un impianto con il bonus, dunque, potrà ottenere una nuova agevolazione in caso di revamping fotovoltaico. Tecnicamente il revamping (rinnovamento) è un intervento che ha lo scopo di migliorare e aggiornare le caratteristiche dell’impianto in modo da renderlo più efficiente. Si tratta infatti di interventi di modernizzazione che possono includere sia la sostituzione di parti malfunzionanti o poco efficienti che l’aggiornamento delle tecnologie utilizzate, la sostituzione dell’inverter o l’aggiunta di un nuovo sistema di accumulo per migliorarne l’efficienza e la resa. L’agevolazione, infatti spetta per tutti gli interventi di miglioramento di impianti alimentati con fonti rinnovabili che comportino una innovazione rispetto al sistema precedente. Come chiarito dall’Agenzia delle entrate, infatti, sono generalmente inquadrabili come tali i lavori su impianti tecnologici diretti a sostituirne componenti essenziali con altri che consentono di ottenere risparmi energetici rispetto alla situazione preesistente.

    Sconto fiscale anche per gli ampliamenti
    Anche in caso di ampliamento con l’aggiunta di nuovi pannelli è possibile ottenere l’agevolazione fiscale, a patto che l’impianto non superi la potenza di 20 kw. Sono agevolabili, infatti esclusivamente gli impianti domestici, ossia quelli che rientrano appunto entro questo ambito, mentre la possibilità di usufruire del bonus è esclusa quando la cessione dell’energia prodotta in eccesso si configura come esercizio di attività commerciale, come nel caso, ad esempio, in cui l’impianto abbia potenza superiore a quella prevista oppure, pur restando nei limiti, non è posto a servizio dell’abitazione.

    Bonus cumulabile con gli incentivi per l’autoconsumo
    La detrazione fiscale è invece sempre cumulabile con gli incentivi per l’autoconsumo collettivo previsti dal Gse. Questi infatti si possono ottenere non solo per i nuovi impianti ma anche per l’ampliamento di quelli già in funzione quando si decide di creare un Gruppo di autoconsumo sfruttando l’energia prodotta dai nuovi pannelli.

    Revamping senza bonus in caso di accesso al Conto Energia
    Il bonus, invece non è ammesso per l’ampliamento e il revamping degli impianti che sono stati incentivanti con il Conto Energia, in vigore fino al 2013. In questo caso, infatti, come previsto dalle norme che hanno introdotto a suo tempo l’agevolazione, non è possibile cumulare gli incentivi erogati con le detrazioni fiscali. Quindi chi incassa ancora le somme versare dal Gse può fare il revamping ma non potrà usufruire di nessuna agevolazione sui costi da sostenere. LEGGI TUTTO

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    Mezzo grado in più di riscaldamento globale triplica le aree inospitali della Terra

    Mezzo grado in più di riscaldamento globale e si triplicheranno le aree della terra, pari quindi alla superficie degli Stati Uniti, inospitali per l’uomo a causa di un eccessivo calore. È la drammatica previsione di un gruppo internazionale di scienziati, guidato dal King’s College di Londra, che in un lavoro pubblicato su Nature Reviews Earth and Environment, rivela che il continuo riscaldamento globale in più parti del pianeta raggiungerà livelli di calore, specialmente nei periodi di caldo estremo, insopportabili anche per la temperatura corporea interna di organismi giovani e sani se verranno superati 2°C rispetto ai livelli preindustriali.

    Ciò significa che anche per un individuo sano, giovane, le aree della terra invivibili aumenteranno del 6% e per persone over 60 del 35%. L’anno scorso è stato il primo anno solare con una temperatura media globale di oltre 1,5°C al di sopra della media preindustriale e, agli attuali tassi di riscaldamento, i 2°C potrebbero essere raggiunti entro la metà o la fine del secolo.

    World economic forum

    Global Risks Report 2025, l’emergenza climatica tra i primi 10 rischi globali

    di  Fiammetta Cupellaro

    15 Gennaio 2025

    “I nostri risultati mostrano le conseguenze potenzialmente mortali se il riscaldamento globale raggiungesse i 2°C” ha dichiarato Tom Matthews, autore principale e docente di geografia ambientale al King’s College di Londra. “Finora sono state superate solo di poco le soglie di calore tollerabili per gli anziani e nelle regioni più calde della Terra, ma presto questo limite riguarderà anche gli adulti più giovani. In tali condizioni, l’esposizione prolungata all’aperto, anche in soggetti sani, all’ombra, anche in presenza di una forte brezza e di una buona idratazione, potrebbe provocare un colpo di calore letale, cambiamento sensibilmente il rischio di mortalità legate a questa causa”.

    Per valutare le conseguenze del riscaldamento globale sulla salute, i ricercatori hanno correlato i dati del clima fisico al rischio di mortalità per calore, includendo anche il superamento delle soglie “non compensabili”, in cui la temperatura corporea interna aumenta in modo incontrollabile, e “non sopravvivibili”, in cui la temperatura interna aumenta fino a 42°C entro sei ore. Tra il 1994 e il 2023, le tolleranze termiche per l’uomo, la combinazione di temperatura e umidità, oltre le quali il corpo umano non riesce a far fronte, sono state violate in circa il 2% della superficie terrestre globale per gli adulti sotto i 60 anni, a fronte di oltre il 20% per gli anziani, i più vulnerabili allo stress da calore.

    Crisi climatica e salute

    Caldo record 2024, i medici: “Gravissimi gli effetti sulla salute”

    di  Fiammetta Cupellaro

    10 Gennaio 2025

    Quindi, mentre le soglie non compensabili sono state superate per tutte le età, quelle non sopravvivibili sono state finora superate di poco per gli anziani, i quali per livelli di oltre 4-5°C rispetto al periodo preindustriale, potrebbero sperimentare un calore non compensabile su circa il 60% della superficie terrestre durante eventi estremi. A questo livello di riscaldamento, il calore non sopravvivibile inizierebbe a rappresentare una minaccia anche per adulti più giovani nelle regioni subtropicali più calde e a queste condizioni alcune regioni, come l’Africa sahariana e l’Asia meridionale, sono più a rischio di superare le soglie critiche non compensabili e non sopravvivibili. Riuscire ad anticipare l’entità dei futuri periodi di calore estremo e gli impatti peggiori è fondamentale sia per comprendere quanto ha inciso il fallimento delle azioni per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, sia per definire le strategie per la tutela delle comunità più fragili.

    “La nostra analisi mostra chiaramente che livelli di riscaldamento più elevati, come 4°C al di sopra della media preindustriale, avranno impatti estremamente gravi sulla salute specie in caso di calore estremo”, ha affermato il dottor Matthews. “A circa 4°C di riscaldamento al di sopra dei livelli preindustriali, il calore non compensabile per gli adulti colpirebbe circa il 40% della superficie terrestre globale, dove solo le alte latitudini e le regioni più fredde delle medie latitudini rimarrebbero inalterate. Il lavoro interdisciplinare è fondamentale per migliorare la comprensione del potenziale mortale del calore senza precedenti, di come possa essere ridotto e, poiché una parte sempre maggiore del pianeta sperimenta condizioni esterne troppo calde per la nostra fisiologia, sarà essenziale prevedere ambienti più freschi per ripararsi dal calore”.

    Salute e ambiente

    In Europa oltre 2,3 milioni di morti con l’aumento delle temperature entro il 2100

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    27 Gennaio 2025

    Dal 2000 si sono registrati più di 260.000 decessi correlati alle temperature troppo elevate, dimostrando come il calore estremo sia già una minaccia enorme per la vita umana. Tre eventi di calore a maggiore letalità nel 21 secolo hanno causato globalmente quasi 200.000 decessi, tra cui circa 72.000 in tutta Europa nel 2003, altri 62.000 in tutta Europa nel 2022 e l’ondata di calore russa che nel 2010 ha ucciso circa 56.000 persone. LEGGI TUTTO

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    Mari più alti e caldi potrebbero far bene agli squali?

    E se la crisi climatica facesse bene ad alcune specie? L’ultima, sorprendente evidenza – legata allo studio di un team internazionale guidato dal paleobiologo Manuel A. Staggl dell’Università di Vienna – evidenzia le opportunità legate al global warming per squali e razze, che popolano gli oceani da 450 milioni di anni ma che vivono, da qualche decennio, un consistente declino delle popolazioni, legato alla pesca eccessiva e alla progressiva perdita di habitat. Ora, però, la scienza individua nell’innalzamento del livello del mare e nel riscaldamento della temperatura della acqua, in particolare di quelle costiere poco profonde, dei potenziali alleati per queste specie. “Proprio così. – annuisce Staggl – Gli habitat nei mari poco profondi, che coprono vaste aree continentali, sono veri e propri hotspot di biodiversità e squali e razze sono stati in grado di colonizzarli molto rapidamente e in maniera efficiente grazie alla loro adattabilità”. Del resto, è già accaduto in passato: le temperature a volte significativamente più elevate durante il Giurassico – (00-143 milioni di anni fa – e il Cretaceo – 143-66 milioni di anni fa – si sono tradotte in un’espansione delle aree tropicale e subtropicale, con vantaggi competitivi per gli elasmobranchi”.

    1200 specie differenti che hanno resistito a cinque estinzioni di massa
    Dall’analisi delle fluttuazioni climatiche tra 200 e 66 milioni di anni fa è così emersa la ricaduta positiva, su queste specie, dell’innalzamento delle temperature. Attenzione, però, a sostenere che la crisi climatica non sia, su linee generali, un processo in grado di minacciare la biodiversità. E del resto lo stesso studio, pubblicato sulla rivista scientifica “Biology”, dimostra che i livelli più elevati di CO2, che si traducono nella progressiva acidificazione dei mari, hanno un effetto “chiaramente negativo” anche su squali e razze. Che sono dei veri e propri “highlander” dell’evoluzione: i pesci cartilaginei hanno resistito a tutte e cinque le estinzioni di massa che hanno caratterizzato la storia del Pianeta. Il loro ruolo negli ecosistemi è prezioso, si contano 1200 specie differenti: di qui l’esigenza di comprendere gli effetti della crisi climatica sui pesci cartilaginei, tra i più resilienti alle fluttuazioni climatiche.

    Salute degli oceani: essenziale proteggere gli squali

    di Simone Valesini

    19 Agosto 2024

    Per studiarne il passato, i ricercatori hanno analizzato i denti fossilizzati di squali e razze, confrontandoli con i dati climatici. “L’idea di base era proprio quella di comprendere quali fattori ambientali influenzino la diversità di squali e razze per sviluppare possibili scenari futuri in relazione all’attuale riscaldamento globale”, spiega Jürgen Kriwet, che insiegna paleobiologia presso l’Università di Vienna. Lo studio pone così l’accento sull’importanza di tre fattori ambientali: se, come anticipato, temperature più elevate e incremento di acque costiere basse hanno un effetto positivo, la maggiore concentrazione di anidride carbonica ha avuto un effetto negativo, contribuendo all’estinzione di singole specie di squali e razze, e continuerà ad averlo, suppongono i ricercatori, nel prossimo futuro. “L’ambiente sta cambiando in modo particolarmente rapido, probabilmente troppo perché gli animali e i loro ecosistemi riescano a sviluppare risposte efficaci”, annota Staggl, sgomberando infine il campo dai potenziali equivoci: “Pensiamo improbabile che questi predatori traggano grandi benefici dal riscaldamento globale. Per ridurre la pressione ambientale, sono dunque necessarie misure urgenti per proteggerli”. “Del resto, senza i predatori di vertice, gli ecosistemi collasserebbero”, sottolinea Kriwet: “Così, proteggendo squali e razze, investiamo direttamente nella salute dei nostri oceani e quindi in chi, noi per primi, trae vantaggio da questi ecosistemi”.

    A causa della CO2 alterazioni sensoriali e cambiamenti nello sviluppo degli embrioni
    “I risultati dello studio mettono in luce una dinamica cruciale e complessa nell’ecologia di squali e razze. – spiega Francesco Tiralongo, ittiologo dell’università di Catania, all’attivo diverse ricerche sugli elasmobranchi – Emergono dati che aumentano la nostra comprensione del passato, ma ci offrono soprattutto uno strumento fondamentale per prevedere come gli attuali cambiamenti climatici potrebbero influenzare questi predatori apicali e, di conseguenza, l’equilibrio degli ecosistemi marini. Se da un lato l’aumento delle temperature e l’espansione delle aree marine poco profonde sembrano favorire la biodiversità di questi predatori, emerge con forza l’effetto negativo delle elevate concentrazioni di anidride carbonica (CO2) sugli ecosistemi marini. Gli effetti fisiologici documentati, come alterazioni sensoriali e cambiamenti nello sviluppo scheletrico durante la fase embrionale, indicano che l’acidificazione degli oceani potrebbe compromettere le capacità adattative e la resilienza di queste specie nel lungo periodo. Per questo – conclude – occorre un impegno concreto nella mitigazione delle emissioni di CO2 e nella protezione degli habitat marini per garantire un futuro sostenibile sia per la fauna marina che per le comunità umane che da essa dipendono. Il legame tra livelli elevati di CO2 e la riduzione della biodiversità di queste specie è un segnale d’allarme che non possiamo ignorare”. LEGGI TUTTO

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    “Mal’aria di città”: migliora, anche se di poco, l’inquinamento. Cosa fare entro il 2030

    I livelli di inquinamento nelle nostre città migliorano, ma la strada è ancora lunghissima per centrare i reali e concreti obiettivi di salute suggeriti o imposti dall’Europa. Partiamo da una premessa: ad oggi sono poche le città italiane in grado di centrare gli ambiziosi obiettivi di riduzione dello smog fissati per il 2030. Ciò impatta ancora direttamente sulla salute dei cittadini. Ogni anno, ricorda l’Agenzia europea per l’ambiente, l’inquinamento atmosferica provoca infatti in tutta Europa, dove quasi tre quarti dei cittadini vivono in centri urbani, circa 250mila decessi prematuri. Eppure – e questa è una buona notizia – tra finanziamenti, campagne e restrizioni ci stiamo muovendo nella giusta direzione, quella per abbassare i livelli di particolato o di biossido di azoto per esempio, anche se sono ancora molti gli sforzi necessari per vivere entro livelli sicuri per la salute, motivo per cui non va abbassata la guardia.

    In Italia una fotografia sullo stato di salute delle nostre città la restituisce come di consueto a inizio anno il rapporto Mal’Aria di Legambiente osservando i valori dell’inquinamento atmosferico (PM10 e NO2) nelle città e nei capoluoghi di provincia. LEGGI TUTTO

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    Spreco alimentare, gli italiani gettano via 4,5 milioni di tonnellate di cibo

    Immaginiamo di buttare ogni giorno nella spazzatura un panino appena acquistato, oppure, un pacchetto di patatine nemmeno aperto. Assurdo? In realtà, quei 88,2 grammi di cibo è proprio la quantità che quotidianamente, in modo più o meno consapevole, ognuno di noi getta via, spreca. Giorno dopo giorno si arriva ad un totale di 617,9 grammi settimanali, oltre 27 chili l’anno di spreco alimentare individuale insieme a 139,71 euro. E questo solo in Italia. Tanto. Troppo. In realtà, come ci ricordano i dati 2025 redatti dall’osservatorio internazionale Waste Watcher nel rapporto “Il Caso Italia” non ci sarebbe alcuna quota di spreco alimentare considerata “accettabile” visto che secondo la Fao ancora oggi 735 milioni di persone nel mondo vivono in condizioni di insicurezza alimentare. Temi sui ragionare in occasione della dodicesima Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare che ricorre il 5 febbraio.

    Startup

    Il “bollino” che salva frutta e verdura dalla muffa ed evita lo spreco alimentare

    di  Gabriella Rocco

    30 Gennaio 2025

    Oggi l’Osservatorio presenta a Roma il nuovo rapporto 2025 con i dati del “Caso Italia” (insieme all’università di Bologna) e lancerà la campa di sensibilizzazione “Spreco Zero” con il patrocinio del ministero dell’Ambiente. Perché il tempo stringe e il conto alla rovescia è già iniziato. Mancano infatti appena 5 anni per raggiungere il traguardo degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, ossia dimezzare lo spreco alimentare globale pro-capite rispetto a dieci anni fa, sia nella vendita al dettaglio che nelle case dei consumatori che incide per il 50% sulla filiera dello spreco nazionale e internazionale. Arrivare a quei 368,7 grammi settimanali, ossia la metà dei 737,4 registrati al momento dell’adozione dell’Agenda. Tema portante della Giornata sarà dunque #Tempodiagire e #Timeact. Agire, perché l’obiettivo è inserire nella vita quotidiana di ognuno di noi le buone pratiche. Gesti concreti per diminuire la dispersione alimentare sia prima dell’acquisto che nella fase del consumo.

    Il Caso Italia
    “Gli italiani sono più spreconi ma anche più poveri: meno attenti alla gestione del cibo a casa, ma preoccupati per la possibilità di accedere al cibo sano e sostenibile”. Così descrivono la situazione in Italia i ricercatori dell’università di Bologna che hanno analizzato per conto di Waste Watcher le abitudini degli italiani sulla consapevolezza dello spreco di cibo. Infatti sale l’asticella dello spreco domestico: di quei 88,2 grammi al giorno che gettiamo, tra i rifiuti finisce soprattutto la frutta (24,3 grammi settimanali); il pane (21,2 grammi); le verdure (20,5 grammi), l’insalata (19,4) e le cipolle (17,4) spesso disponibili in confezioni sovradimensionate rispetto al bisogno.

    La biodinamica compie 100 anni, il grido d’allarme: “L’agricoltura industriale ci sta avvelenando”

    di  Lara Loreti

    28 Settembre 2024

    Così tra i rifiuti durante i 365 giorni l’anno finiscono 14,101 miliardi di euro pari a 4,513 milioni di cibo gettato: praticamente alimenti che passano dal campo dove viene raccolto alla pattumiera passando, (forse) sulle nostre tavole. 8,42 miliardi di euro è il costo dello spreco domestico: il 58% arriva dalla nostre case, il 28% nella fase della commercializzazione. A sorpresa sprecano soprattutto le fasce più deboli: +26% rispetto alla media).

    Agricoltura e clima

    Clima, sicurezza alimentare messa a rischio da eventi estremi in America Centrale

    di  Fiammetta Cupellaro

    28 Gennaio 2025

    L’insicurezza alimentare
    A sprecare di più sono le fasce più deboli. Si legge nel report di Waste Watcher: “Mentre sprechiamo più cibo si allontana l’accesso al cibo sano e sostenibile: l’indice FIES di insicurezza alimentare 2025 sale del 13,95% (era + 10,27% nel 2024), in uno scenario generale in cui la povertà assoluta è aumentata in Italia dal 7,7% all’8,5% (5,7 milioni di persone nel 2023) e addirittura è salita del 28,9% per le famiglie straniere, e dove la povertà “relativa” già colpisce 2,8 milioni di persone. L’insicurezza alimentare delle famiglie italiane colpisce soprattutto al sud (+ 17%) e al centro (+15%), le stesse aree dove si spreca più cibo nelle case (più 16%, più 4%).
    La sfida
    “Mancano solo cinque anni al 2030, e 10 anni sono già trascorsi dall’adozione dell’Agenda di sostenibilità delle Nazioni Unite. Se ne parla spesso, senza mai verificare a che punto siamo realmente – spiega Andrea Segrè, fondatore della Giornata Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare e direttore scientifico dell’Osservatorio Waste Watcher International – Per questo nel 2025 la Giornata che sensibilizza in Italia sullo spreco alimentare lancia la sua sfida a tutti i cittadini: per arrivare nel 2030 a uno spreco pro capite di 368,7 grammi settimanali, ovvero la metà dei 737,4 grammi registrati 10 anni fa al momento dell’adozione dell’Agenda 2030, dobbiamo tutti tagliare, ogni anno dal 2025 al 2029, circa 50 grammi di cibo, così da arrivare nel 2030 a uno spreco alimentare pro capite che non superi i 369,7 grammi settimanali, il traguardo previsto dall’Agenda delle Nazioni Unite che richiedeva all’Obiettivo 12.3 di dimezzare lo spreco di cibo fra il 2015 e il 2030”.
    Nasce anche lo Sprecometro
    Un’App attraverso la quale si può calcolare la perdita economica, l’impronta carbonica e idrica del cibo che buttiamo. “Possiamo iniziare fin da subito adottando strumenti pratici come lo Sprecometro – sottolinea Segrè – che ogni giorno misura non solo lo spreco del cibo ma anche la nostra impronta ambientale, lo spreco dell’acqua nascosta e le emissioni connesse al cibo gettato”. LEGGI TUTTO

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    Peperomia, come far crescere la pianta dalle mille varietà

    La peperomia è una pianta sempreverde della famiglia delle piperaceae o peperomiacee, a seconda della classificazione che si tiene in considerazione. Questa pianta si contraddistingue per il suo portamento a carattere cespuglioso, ma anche come fusto ritto, rampicante e strisciante, tanto che in natura la si trova sia in piena terra sia a ridosso dei tronchi degli alberi. Questa caratteristica le rende abbastanza simili ad alcuni tipi di orchidee che crescono nello stesso modo. Le foglie di questa pianta si presentano abbastanza succulente e sono alterne, opposte e poste sullo stesso piano. Di questa pianta, originaria dell’America meridionale, è possibile trovare più di 1000 specie, caratterizzate da foglie che variano nei colori e nelle forme.

    Dove tenere la pianta?
    La temperatura ideale in appartamento per questa pianta è compresa tra i 10-15°C e, di conseguenza, è importante selezionare un’area adeguata della casa in cui sistemarla. La posizione migliore deve poter offrire alla peperomia luce, ma non contatto diretto con i raggi del sole. È importante anche evitare le correnti d’aria fredda e le fonti di calore, poiché questi fattori possono compromettere la salute della pianta. In alternativa, si può coltivare anche in giardino, ma è necessario garantire alla pianta la giusta temperatura, poiché non ama né gelate né il freddo. Infatti, si potrà tenere all’esterno solo in caso di buona umidità e clima tra i 10°C e i 20°C. In giardino è necessario collocare la pianta in un punto dove non vi sono correnti d’aria, dove non arrivano i venti e all’ombra.

    Le varietà della pianta
    Come accennato in precedenza, in natura si possono trovare tantissime varietà di questa pianta. Qui di seguito abbiamo deciso di menzionare quelle più note, che si possono coltivare in casa oppure in giardino.
    Peperomia obtusfolia: si tratta di una pianta che non supera i 30 centimetri di altezza ed ha foglie grandi, carnose e lucide di colore verde scuro.
    Peperomia angulata: è detta “a coste” e si presenta con foglie a strisce che variano di colore a seconda della luce e dell’umidità presente.
    Peperomia albovittata: questa sempreverde ha foglie verdi scuro, increspate lungo le nervature e sono rugose;
    Peperomia caperata: si presenta con foglie di colore verde scuro e ruvide al tatto;
    Peperomia a goccia: questa varietà per crescere bene ha bisogno di poca luce e contesti umidi come il bagno, così da sviluppare foglie sane;
    Peperomia argyreia: si presenta a carattere cespuglioso con foglie che ricordano quella dell’anguria. Proprio per questa è detta “watermelon”.

    Qual è la terra migliore per la pianta?
    La selezione della migliore terra per la peperomia è importante per la sua crescita sana: suggeriamo di utilizzare la terra per le piante grasse. In questo modo, si garantisce alla pianta un terriccio drenante; inoltre, si consiglia di aggiungere dell’argilla espansa sul fondo del vaso, utile proprio per eliminare l’acqua in eccesso.

    La fioritura della peperomia
    A seconda della peperomia che si decide di coltivare si può avere una bella fioritura, a patto però di offrire le giuste condizioni d’esposizione e temperatura. I fiori della peperomia si presentano lunghi e appuntiti, simili a code di topo, di colore bianco crema-verde. La fioritura della peperomia può durare diverse settimane.

    Le annaffiature
    La pianta va annaffiata con regolarità, ma senza esagerare: durante la stagione più calda si può dare l’acqua ogni 2 settimane, mentre con l’arrivo della stagione invernale è necessario diminuire l’irrigazione. In tal caso, si suggerisce di dare acqua ogni 20-30 giorni, sempre controllando con la mano se i primi 2 centimetri di terreno sono asciutti. In questa maniera, si evitano i ristagni idrici e la comparsa di marciume radicale.

    La corretta concimazione
    Per concimare nel modo giusto la peperomia è importante selezionare un prodotto indicato per le piante ornamentali. Il prodotto può essere aggiunto all’acqua di irrigazione in maniera regolare, durante la primavera/estate, ogni circa 3 settimane. È preferibile selezionare un concime ricco di azoto, poiché indicato per questo tipo di pianta.

    Peperomia in acqua per la talea
    La propagazione della peperomia può avvenire attraverso le foglie della pianta. È possibile mettere la foglia divisa a metà in terriccio drenante. Se si preferisce è possibile effettuare una talea di peperomia anche in acqua: basta recuperare un ciuffo di pianta e immergerlo nell’acqua. Nel giro di qualche settimana si inizieranno a notare le radici che escono dallo stelo della peperomia.

    Il rinvaso e la potatura
    Il rinvaso della peperomia deve essere fatto ogni 2-3 anni per mantenere in ottima forma la pianta. È importante selezionare il terriccio migliore, come quello drenante, per consentire alla peperomia di crescere nel migliore dei modi. Per quanto riguarda la potatura, invece, non è necessario farla: si suggerisce semplicemente l’eliminazione di foglie secche e di parti della pianta che sono danneggiate. In questo modo, la peperomia ha lo slancio per crescere bene.

    Le minacce in cui può incorrere la pianta
    Anche questa pianta può incorrere in delle problematiche dovute alla presenza di parassiti o alla comparsa di malattie. La cocciniglia, che si presenta con macchie bianche, è tra i più comuni problemi che si possono verificare. Anche il ragnetto rosso è un altro dei parassiti che possono comparire sulla pianta: ci si può accorgere del problema quando si notano le foglie accartocciate. Infine, come avviene per tutte le piante, l’eccesso idrico rappresenta un grave pericolo per la peperomia: infatti, possono marcire diverse parti del sempreverde, arrivando nei casi peggiori alla morte della pianta. LEGGI TUTTO