23 Gennaio 2025

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    Come e quando potare le piante in vaso

    Quando si sente parlare di potatura spesso e volentieri il primo pensiero che balena nella mente è: “Come si fa? E se sbaglio qualcosa?”. Questa azione, fondamentale, spesso crea ansia e preoccupazione, ma basta prestare la giusta attenzione e tutto filerà liscio. Certo, prima di potare una pianta bisognerebbe avere chiari gli step da seguire, ma questa pratica guida chiarirà ogni dubbio. Come si potano le piante in vaso?

    Potatura: che cos’è e perché è importante
    Lo dice la parola stessa, che ne disegna la definizione. La “potatura” altro non è che un’operazione che consiste nel recidere, dunque tagliare, una parte della pianta. Di solito si arriva a potare una pianta quando questa presenta parti secche e/o morte, ma non solo. Potare significa anche “curare”: una pianta colpita da parassiti o da qualche malattia necessita di un taglio preciso per potere, forse, ricrescere sana. Prima di procedere con l’operazione, però, bisogna sempre tenere a mente un concetto, che deve essere chiaro: la potatura ha regole ben precise e vanno seguite onde evitare errori.

    Quando potare le piante in vaso
    Ogni pianta richiede attenzioni, anche quelle ornamentali, quindi tenute in casa per pura decorazione. Solitamente, il momento migliore per potare le piante in vaso è all’inizio della stagione di crescita, in primavera o verso l’inizio dell’estate. In questo modo, le piante avranno un’intera stagione di crescita davanti e potranno “riprendersi” dopo la potatura diventando più forti, più sane, e visibilmente più belle. Viene da sé che i risultati della potatura (e le tempistiche di essa) varieranno sia in base alla tipologia di pianta posseduta, sia in base alle motivazioni dell’operazione.
    Potare le piante in vaso in primavera e a inizio estate
    La primavera è considerata un’ottima stagione per potare le piante in vaso. In particolare, questa stagione (insieme all’inizio dell’estate) si rivela ottima per quello che concerne le dimensioni della pianta: cioè? Durante questo periodo dell’anno le pianta in vaso si riprendono in modo molto rapido e riescono ad adattarsi molto bene a dimensioni e forme del tutto nuove. Ad esempio, nel caso in cui siate in possesso di piante in vaso fiorite, provate a potarle subito dopo la fioritura. Un consiglio importante, dato che in questo modo si eviterà di recidere i boccioli ancora non effettivamente sbocciati.
    Inoltre, anche le piante più lunghe (e allungate) preferiscono attendere la primavera per essere potate. Va bene anche l’inizio della stagione calda, ma è importante stare dentro questo range di tempo; in questo modo useranno tutte le loro energie per crescere rigogliose e robuste.
    Piante in vaso: quando potare i rami e fiori secchi (o morti)
    Per mantenere le piante in salute ed esteticamente appaganti, sarebbe meglio potare le foglie e gli steli gialli e/o morti ogni volta che si notano. Si tratta di un elemento indicativo: le piante in vaso possono lanciare “segnali” di un eventuale malattia o di uno stress dovuto da qualche altro fattore. Recidere le parti malsane consentirà alla pianta di crescere meglio, ma sarà monito per approfondire le cause della situazione. Infine, ma non per importanza, i fiori morti: è giusto potarli? Assolutamente sì, ma solo quando si vedono.
    La potatura delle piante in vaso sarebbe dunque meglio effettuarla in queste due stagioni dell’anno, ma se si tratta di piccole “sistemazioni” estetiche tale operazione è possibile in qualsiasi momento.

    Come potare le piante in vaso: gli strumenti
    Come ottenere una potatura perfetta? Con l’utilizzo degli strumenti giusti. Senza materiale adeguato non si otterranno i giusti risultati e, al contrario, si potrebbero commettere errori. Tra gli strumenti essenziali per potare le piante in vaso ci sono le forbici, ideali per tagliare piccoli rami, foglie secche o fiori. Per evitare di commettere errori, assicuratevi di avere tra le mani un paio di forbici specifiche per la potatura (spesso quelle “normali” sono troppo grandi per alcune piante in vaso tenute in casa). Inoltre, le forbici che si andranno a utilizzare per la potatura non dovranno assolutamente essere né arrugginite, né sporche: ricordate sempre di pulirle prima di utilizzarle su una nuova pianta. In questo modo si eviteranno eventuali contagi di malattie fungine, muffe e/o parassiti.
    Che cosa usare in sostituzione delle forbici? In caso di piante in vaso andranno bene anche le cesoie, molto comuni nella potatura.
    Le principali tecniche di potatura per le piante in vaso
    Le tecniche di potatura esistenti sono diverse. Si parte con la spuntatura, da effettuare sulle piante in vaso per recidere tutti i rami vecchi (o particolarmente malmessi) e le estremità. Questa tecnica è utile per contenere la crescita della pianta. Segue la cimatura, ottima per alleggerire la pianta e “darle aria”; consiste semplicemente nel togliere le foglie in eccesso. Frequenti anche la sfogliatura e il diradamento. La prima consiste nell’eliminazione di alcune foglie per consentire il passaggio della luce solare, ma attenzione a non tagliare troppo; è sempre meglio partire per gradi. Il diradamento, invece, consente il passaggio di aria e di luce e diminuisce l’umidità.

    Come potare le piante in vaso: i passaggi fondamentali
    Prima di procedere con la potatura, è sempre bene osservare la pianta. Una volta capito quale sia “il problema” o l’obiettivo (o entrambi), si può procedere.

    Potatura di rami secchi e foglie ingiallite
    Solitamente si comincia sempre dal taglio dei rami vecchi, ormai troppo deboli per la pianta. Il taglio deve essere netto, quindi gli strumenti dovranno essere ben affilati. Stesso discorso per le foglie e gli steli gialli: cosa fare? Tagliare le parti danneggiate con un angolo di 45°, poco sopra il nodo sano.

    Potare i fiori morti delle piante in vaso
    Le piante d’appartamento in fiore spesso hanno bisogno di qualche taglio. Per eliminare i fiori morti è necessario utilizzare forbici adatte e tagliare con delicatezza i fiori appassiti, prestando attenzione a lasciare intatti i boccioli e tutte le altre foglie circostanti. La potatura va eseguire su tutto lo stelo del fiore.
    Come potare i rami troppo lunghi
    Può succedere che le piante coltivate in vaso e tenute dentro casa crescano più del dovuto. In questo caso, potarle significherebbe dare loro una forma nuova e stimolarne una crescita migliore. Per sistemare la lunghezza della pianta vi basterà iniziare tagliando i rami sani della pianta fino a raggiungere la lunghezza desiderata. Per eseguire l’operazione correttamente, bisognerà tagliare appena sotto i nodi del fusto tenendo sempre un angolo di 45° e assicurandosi di tagliare circa per il 10-20% di fogliame alla volta.
    Che cosa fare dopo la potatura delle piante in vaso
    Una volta potate, le piante in vaso richiedono qualche piccola attenzione. Subito dopo l’operazione, ad esempio, si consiglia sempre di fertilizzarle e irrigarle con moltissima cura. Non esagerate mai con le quantità e cercate sempre di mantenere la pianta pulita e libera da sporcizia. L’osservazione è sempre il primo passo verso il benessere delle vostre piante. LEGGI TUTTO

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    Dalle crocchette alla ciotola, ecco le scelte green per il tuo cane

    Il cane è il miglior amico dell’uomo, recita un vecchio adagio. E, se nutrito e curato nel modo giusto, può essere amico anche del Pianeta, minimizzando le emissioni e il consumo di risorse. Sta a noi fare le scelte più green, magari traendo spunti e idee dai consigli che seguono.

    Scegliere alimenti sostenibili
    Secondo uno studio pubblicato su Global Environment, nel mondo i cani consumano circa 20,8 milioni di tonnellate di cibo secco all’anno. Si tratta soprattutto di preparati a base di carne di manzo, maiale, pollo, derivante dagli allevamenti intensivi, che causano produzione di gas serra, deforestazione, inquinamento dell’acqua e del suolo. Meglio allora optare per il pesce proveniente da acquacoltura sostenibile, un alimento in cui abbondano gli acidi grassi omega 3, fondamentali per mantenere pelle e pelo sani, riparare i tessuti, potenziare il sistema immunitario. Un’ottima alternativa, che sta prendendo piede, sono le crocchette a base di farina di insetti, come grilli, larve di mosche soldato nere, locuste, ricchi di proteine e minerali. Dato che i cani sono onnivori, si potrebbero anche sostituire i cibi di origine animale con quelli di origine vegetale. Tuttavia, secondo la British Veterinary Association, ancora non ci sono prove sufficienti per affermare che una alimentazione vegana possa soddisfare tutte le esigenze nutrizionali del nostro fedele amico.

    Evitare ciotole di plastica
    Le ciotole per cibo e acqua realizzate in plastica, porose e soggette a scalfitture e crepe, potrebbero rilasciare sostanze dannose, oltre a essere difficili da smaltire: meglio, quindi, metterle al bando. Più adatte sono quelle in vetro o ceramica: tuttavia, poiché, a differenza dei contenitori destinati agli umani, quelli per i quattro zampe non richiedono la certificazione di idoneità al contatto con alimenti, non si può escludere che contengano tracce di piombo o di altri materiali nocivi. La scelta migliore è, dunque, l’acciaio inossidabile, non poroso, facile da disinfettare in lavastoviglie, resistente alla ruggine.

    Usare sacchetti riciclati per gli escrementi
    Le feci dei cani possono contenere patogeni come batteri, virus, parassiti, che potrebbero essere trasmessi anche agli umani. Contengono, inoltre, fosforo e azoto che, se finiscono in mare, potrebbero provocare una abnorme proliferazione di alghe. Per questi motivi, non sono facilmente compostabili e sono destinate alla spazzatura indifferenziata. Per raccoglierle l’ideale è utilizzare un sacchetto di plastica riciclata, che ha un’impronta di carbonio inferiore dell’86% rispetto alla plastica vergine. Meglio evitare, invece, i sacchetti compostabili che, una volta in discarica, dove sono carenti ossigeno e umidità, non riusciranno a decomporsi.

    Fare attenzione agli antiparassitari
    Pulci e zecche infastidiscono così tanto il nostro Fido che, pur di eliminarle alla svelta, siamo spesso tentati di ricorrere a prodotti che contengono sostanze chimiche. Secondo il National Resources Defense Council (Nrdc), organizzazione internazionale di difesa ambientale con sede negli Stati Uniti, gli ingredienti più pericolosi sono tetraclorvinfos e propoxur, seguiti da amitraz e permetrina. Tuttavia, l’associazione stessa sottolinea che ci sono a oggi poche ricerche che dimostrino l’efficacia delle sostanze naturali, come olio di rosmarino, legno di cedro, menta piperita. Che fare, quindi? Per limitare il problema, la scienziata Gina Solomon suggerisce di “lavare il cane ogni due settimane lasciando agire il detergente per quattro-cinque minuti, pulire regolarmente la cuccia, passare quotidianamente un pettine a denti stretti sul pelo”.

    Acquistare giocattoli bio
    È buona regola comprare giocattoli privi di conservanti, metalli, lattice. Vanno bene quelli realizzati in corda, iuta, canapa che, oltre a essere biodegradabili, risultano durevoli, facendo così risparmiare nel lungo periodo. Un’opzione ancora migliore è realizzare in casa, con un po’ di creatività e manualità, piccoli giochi: un modo per dare una seconda vita a ritagli di filato o tessuto, vecchie magliette, pezzi di cartone. E, se un giocattolo non interessa più al nostro quattro zampe, lo si può donare ai cani meno fortunati. Palline, peluches, frisbee, ma anche asciugamani, cuscini, coperte, possono essere molto utili nei canili. I rifugi per animali accettano pure ciotole usate con cura, guinzagli e collari, spazzole e altri accessori per la toelettatura, cucce in buono stato. LEGGI TUTTO

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    Residui di grafite per fare i pavimenti in legno e vino e vinacce per colorarli

    Avete mai camminato su un parquet “ubriaco” di vino o “intriso” di grafite? Non è un gioco di parole, ma la visione della famiglia Margaritelli, che ha lanciato il progetto Circular: pavimenti in legno che nascono dai residui di vino e grafite. Un esempio concreto di economia circolare, dove la tecnologia incontra la sostenibilità, rivoluzionando […] LEGGI TUTTO

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    Ritorno del nucleare in Italia, a Palazzo Chigi il ddl che avvia la procedura

    Il governo muove una nuova pedina verso il ritorno del nucleare civile in Italia. Ma la partita per andare a dama è ancora tutta da giocare, è l’esito non è affatto scontato. Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha inviato a Palazzo Chigi una proposta di disegno di legge delega “in materia di nucleare sostenibile” che, se approvato dal governo getterà le basi per ridefinire il quadro normativo esistente, superando così i due referendum (del 1987 e del 2011) che avevo decretato la fine dell’energia atomica in Italia.

    Il sondaggio

    Nucleare, Ipsos: l’81% degli italiani è contrario. Pesa l’effetto Nimby

    28 Novembre 2024

    Cosa c’è dentro? Per comprenderlo occorre leggere, più che il testo del decreto, la “relazione illustrativa” che lo accompagna. Nelle 14 pagine redatte dallo staff del ministro Pichetto Fratin emergono i punti fondamentali del rilancio nucleare. A cominciare dalla sottolineatura che le nuove centrali non hanno nulla a che fare con quelle su cui si espresso gli italiani dopo i disastri di Cernobyl e Fukushima. “L’evoluzione tecnologica nel campo della ricerca nucleare, che ha condotto alla realizzazione di un “nucleare di terza generazione avanzata” e, si confida, a breve, di “quarta generazione”, ha assicurato un salto di qualità in termini di sicurezza e di efficienza. Ciò vale anche per i piccoli reattori modulari, sui quali è in atto un impegno europeo e mondiale per avviarne la commercializzazione già nei primi anni Trenta. Il nucleare sostenibile oggi rappresenta una delle fonti energetiche più sicure e pulite. Esso non è dunque tecnologicamente comparabile con quello al quale, anche a seguito di referendum, il Paese aveva rinunciato”. Da qui, la conclusione che è “giuridicamente legittimo, anche in considerazione della giurisprudenza costituzionale, intervenire sulla materia senza alcun rischio che i precedenti referendari possano costituire un ostacolo normativo all’intervento del legislatore”.

    Ed ecco allora le “scelte fondamentali” contenute nel decreto. “La prima è assicurare una cesura netta rispetto agli impianti nucleari del passato, che, nella proposta, sono espressamente destinati alla dismissione definitiva”. La seconda “è la predisposizione di una disciplina organica dell’intero ciclo di vita dell’energia nucleare: dalla eventuale fase di sperimentazione e progettazione, all’autorizzazione degli impianti, al loro esercizio, fino alla gestione, stoccaggio e smaltimento dei rifiuti radioattivi e allo smantellamento degli impianti”. “La terza scelta fondamentale è che sia realizzato un coordinamento e un dialogo costante con i gestori delle reti elettriche, onde assicurare stabilità e bilanciamento del sistema energetico”. “La quarta scelta fondamentale è che i promotori dei progetti nucleari forniscano adeguate garanzie finanziarie e giuridiche per coprire i costi di costruzione, gestione e smantellamento degli impianti e per i rischi, anche a loro non direttamente imputabili, derivanti dall’attività nucleare”.

    Si immagina quindi un “Piano Nazionale” “finalizzato allo sviluppo della produzione di energia da fonte nucleare che concorra alla strategia nazionale per il raggiungimento degli obiettivi di neutralità carbonica al 2050”. E si propone l’istituzione di una “Autorità indipendente, competente per la sicurezza nucleare, con compiti di regolazione, vigilanza e controllo sulle infrastrutture nucleari”. Nonostante gli sforzi dei tecnici e dei giuristi arruolati dal Mase, il decreto di legge delega non rimuove i colossali ostacoli sul ritorno del nucleare civile in Italia. Che riguardano la tecnologia, la finanza, l’accettazione sociale. Il ministro Pichetto Fratin ha da tempo escluso pubblicamente la costruzioni di nuove grandi centrali atomiche in Italia, che siano essere di terza generazione avanzata o di quarta, lasciando intendere che il governo italiano punta sui piccoli reattori modulari. I quali però, tranne una o due eccezioni al mondo, esistono solo sulla carta. Immaginare di averli operativi nel nostro Paese già dai primi anni del prossimo decennio è un azzardo.

    C’è poi il tema dei soldi. Ovunque le centrali nucleari, visti i costi e i tempi di rientro dell’investimento iniziale, sono state realizzate con finanziamenti pubblici. I small modular reactor si candidano a fare la differenza: una azienda energivora potrebbe dotarsi di una minicentrale per soddisfare il proprio fabbisogno di elettricità. Ma, come sopra, è tutto da dimostrare, finché gli Smr non saranno commercializzati. “In questi mesi abbiamo chiesto ai vertici di grandi aziende energivore che pagano le conseguenze delle speculazioni del gas se sono interessate ad acquistare il primo SMR che verrà commercializzato nel mondo. Le risposte sono state sempre le stesse: non possiamo aspettare 10 anni, non conosciamo i costi effettivi di queste tecnologie, stiamo investendo invece in contratti privati con i produttori di energia rinnovabile, non vogliamo diventare un problema e un bersaglio delle preoccupazioni territoriali”, racconta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “Per risolvere i problemi energetici del Paese serve più serietà e concretezza”.

    C’è infine il tema di dove fare le nuove centrali (grandi o piccole) e i depositi temporanei di scorie nucleare in un Paese i cui territori e comunità spesso si oppongono pervicacemente anche a pannelli fotovoltaici e pale eoliche. Non a caso nel decreto si parla ripetutamente di “promozione e valorizzazione dei territori interessati”, “modalità di promozione, sviluppo e valorizzazione del territorio interessato dalla localizzazione dell’impianto, privilegiando modalità fondate su accordi tra il soggetto medesimo e le amministrazioni interessate”, “rigoroso rispetto del principio di leale collaborazione con il “circuito” degli enti territoriali per tutti i casi in cui è costituzionalmente necessario il loro coinvolgimento”, “previsione di campagne di informazioni generali alla popolazione sull’energia nucleare e specifiche rispetto ai territori interessati dagli impianti”. Basterà? E quanto tempo ci vorrà a cambiare la diffidenza di gran parte degli italiani verso l’energia atomica, fino a poter realizzare decine di centrali in tutto il Paese senza temere contestazioni e proteste a ogni inizio dei lavori? La partita è ancora lunga.

    Il ministro Pichetto Fratin e il governo hanno deciso di giocarla comunque, sostenendo che solo introducendo anche il nucleare nel mix energetico si potranno soddisfare i fabbisogni crescenti di elettricità e al tempo stesso centrare gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050. Sul fronte opposto chi sostiene che la campagna pro-atomo è solo un’arma di distrazione di massa, per prendere tempo e continuare a bruciare combustibili fossili anziché puntare tutto sulle rinnovabili. “Questo è dovrebbe essere il momento in cui concentrare intelligenze e risorse nella fase più delicata della transizione verso le rinnovabili”, commenta Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, “che dovranno passare fra meno di sei anni, al 2030, dall’attuale 41% della produzione elettrica al 63% previsto dal Piano nazionale integrato energia e clima”. LEGGI TUTTO

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    “Per un ambizioso Clean(tech) Industrial Deal”, la lettera delle startup per il clima all’Ue

    Gentile Presidente Ursula Von der Leyen,Vicepresidente esecutivo Teresa Ribera,Vicepresidente esecutivo Séjourné,Commissario Hoekstra,

    I sottoscritti, start-up, scale-up e investitori del settore CleanTech provenienti da tutta Europa, vi scriviamo per esprimere il nostro sostegno a un Clean Industrial Deal forte e ambizioso.

    L’Unione Europea sta affrontando una tempesta perfetta, con un pericoloso contesto geopolitico, costi energetici strutturalmente più elevati rispetto ai principali concorrenti economici e minacce di incombenti guerre fisiche e commerciali. In questi momenti, è facile perdere di vista i nostri punti di forza e le nostre risorse chiave: una forza lavoro tra le più qualificate al mondo, una forte ricerca e innovazione (in particolare nel settore CleanTech), una solida base industriale specializzata nella produzione di alta qualità e il mercato unico potenzialmente più grande al mondo, ma purtroppo ancora incompleto.

    Il 2024 è stato l’anno della diagnosi, con le relazioni di Mario Draghi ed Enrico Letta. Il 2025 deve essere l’anno di un’azione coraggiosa e decisiva per fare tutto ciò che è necessario per la decarbonizzazione e la competitività dell’UE. L’intero arsenale di strumenti politici deve essere orientato verso questo obiettivo comune: creare un business case convincente per un modello competitivo di decarbonizzazione.

    Il successo del Clean Industrial Deal si basa sulla sua capacità di inviare due segnali di mercato decisivi al settore CleanTech che sta emergendo e alle industrie tradizionali, il cui percorso verso una decarbonizzazione pienamente competitiva si basa sull’integrazione di soluzioni CleanTech all’avanguardia. Il primo segnale è un forte aumento della domanda di tecnologie pulite. Il secondo è invece un focus strategico al de-risking pubblico, che può fungere da segnale critico per mobilitare parte dei 38.000 miliardi di euro di capitale privato europeo e di investitori internazionali verso il settore cleantech.

    Per generare una crescita decisiva della domanda di “CleanTech industriale”, saranno necessari quattro pilastri fondamentali, che dovrebbero essere guidati il più possibile in modo coordinato a livello UE per garantirne la dimensione di scala e sostenerne la forte attenzione al rafforzamento del mercato unico. In primo luogo, diversi settori industriali strategici essenziali per la competitività e la resilienza a lungo termine dell’Europa – automotive, acciaio, alluminio e prodotti chimici – stanno affrontando un periodo di forte difficoltà e riceveranno con tutta probabilità un significativo sostegno pubblico. Garantire che questo sostegno stimoli l’uso delle soluzioni cleantech più avanzate nei loro processi, preferibilmente prodotte in Europa, rappresenta un’opportunità unica per creare un forte segnale di domanda per le aziende cleantech europee. In alcuni casi, sarà necessario consentire, in base alle norme UE sugli aiuti di Stato, un sostegno sia per le spese iniziali in conto capitale sia per le spese operative più elevate, per sostenere un solido business case. In secondo luogo, l’Emission Trading System (ETS) e il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) dell’UE costituiscono un segnale di domanda fondamentale per le tecnologie pulite. Dilatare o ritardare questo segnale attraverso l’instabilità normativa non farà altro che ritardare le decisioni finali di investimento o minare i business case esistenti. In terzo luogo, creare lead market europei per specifiche soluzioni cleantech attraverso obiettivi e mandati specifici per la tecnologia. Questi devono essere combinati con l’inclusione nelle norme sugli appalti pubblici di criteri di sostenibilità e resilienza per stimolare la domanda su scala per le tecnologie pulite europee.

    Infine, mentre le tecnologie pulite si diffondono e le industrie tradizionali si trasformano, abbiamo bisogno di una politica commerciale più assertiva, rapida e decisa nel correggere le pratiche sleali della giurisdizione concorrente che creano un campo di gioco non uniforme, per garantire che la domanda europea si traduca in prosperità per il continente.

    La diffusione di molte soluzioni cleantech dipende dall’abbondanza di elettricità pulita a prezzi accessibili. Questi segnali di domanda funzioneranno solo tramite l’aumento drastico degli investimenti nella rete e nello stoccaggio di energia a lunga durata e con la fornitura di un sostegno mirato per attenuare la volatilità dei prezzi dell’elettricità.

    L’aumento della domanda deve essere sostenuto da meccanismi di finanziamento pubblico più mirati ed efficaci per ridurre il rischio delle soluzioni cleantech. In primo luogo, dobbiamo garantire la portata e l’accessibilità dei programmi di finanziamento dell’UE. A tal fine, è necessario che i finanziamenti dedicati al cleantech tengano conto delle sfide specifiche di ciascuna catena di valore e tecnologia e che siano sufficientemente ampi supportare le fasi di scale-up di queste tecnologie, quando il fabbisogno finanziario diventa molto più elevato.

    In secondo luogo, gli strumenti di finanziamento dell’UE e della BEI devono cercare, per quanto possibile, di ridurre il rischio di investimento e di attirare il capitale privato su una scala molto più ampia. Ad esempio, le garanzie e le controgaranzie pubbliche (come quelle previste dal Pacchetto Eolico) stanno contribuendo a sbloccare i finanziamenti privati e il capitale circolante per la produzione di soluzioni cleantech e sono al contempo efficienti dal punto di vista fiscale. Ampliare drasticamente la portata e la scala di questi strumenti sarà un forte segnale per il capitale privato.

    In terzo luogo, si prevede che ETS e CBAM generino una fonte significativa di entrate fiscali per gli Stati membri nei prossimi anni. L’UE e gli Stati membri dovrebbero indirizzare queste entrate verso il settore cleantech europeo in modo fortemente coordinato. Infine, l’UE e la BEI dovrebbero dare priorità alla creazione di veicoli di blended finance che mettano in comune il capitale degli investitori istituzionali su scala molto più ampia per sbloccare gli strumenti di credito che sono fondamentali per lo sviluppo delle industrie.

    In conclusione, chiediamo con forza il sostegno a una crescita senza precedenti della domanda di soluzioni cleantech, combinata con finanziamenti pubblici mirati che migliorino drasticamente il business case per le scale-up del settore e per le industrie in fase di transizione, sbloccando alcuni dei trilioni di ricchezza privata in Europa e riducendo al contempo il finanziamento pubblico complessivo necessario in un periodo di restrizioni fiscali per molti governi. Tutto ciò può avere successo solo se sostenuto da un quadro di carbon pricing stabile e prevedibile.

    L’incertezza geopolitica ed economica del 2024 ha visto un rallentamento del volume degli investimenti cleantech nell’UE. Non si può quindi sottovalutare l’urgente necessità di azioni decisive e coraggiose. Successi europei come il produttore di acciaio verde Stegra (Svezia), il produttore di elettrolizzatori Sunfire (Germania) o il produttore di batterie Verkor (Francia) dimostrano che l’UE è in grado di scalare le industrie del futuro, ma abbiamo bisogno di molti più casi come questi. La posta in gioco è niente meno che la futura prosperità dei cittadini europei. Siamo pronti a collaborare con Voi per realizzare questo ambizioso piano per l’Europa.

    Cordiali saluti.

    Cleantech Investors and Ecosystems, Cleantech Start-ups and Scale-ups
    1.5 Ventures, 2150, Afyren, Almi Invest Greentech, Aster, Atlas Agro, Axeleo Capital, Baseload Capital, Battolyser Systems, Beamline Accelerator, Build To Zero, c1 Green Chemicals, Caphenia, Capricorn Partners, Cleantech for Baltics, Cleantech for Europe, Cleantech for France, Cleantech for Iberia, Cleantech for Italy, Cleantech for Nordics, Climeworks, Coreangels Climate, CorPower Ocean, Cylib Daze, DeepDrive, Ecapital, Ecocem, Ecolocked, Ecop, Electra Charging, Electrochaea, Emerald Technology Ventures, EnvisionTech, Eurazeo Smart City, Eureka Venture, Eviny, Exantia Capital, FertigHy, Genvia, GravitHy, Green Cap Solutions, GreenLyte Carbon Technologies, Green European tech fund (GET Fund), Heart Aerospace, Hydrogenious LOHC, Hyperheat, H Capital, ICODOS, IE, Ineratec, Inspire Invest, Inven capital, Jolt Capital, Kiko, KiraVenture, Kopa Ventures, Lhyfe, Marble Matteco, Matterwave Ventures, Mirova, Mito, Modvion, Neocarbon, Neolithe, Neustark, Net Zero Ventures, Noa, Nordic Alpha Partners, Novac, Ore Energy, P Capital, Planet A, Planet First, Plastic Energy, PSV Hafnium, Rega Energy, Reverion, Rockstart Energy, Rondo Energy, Rubio Impact Ventures, Scientifica Venture Capital, SET Ventures, SinergyFlow, Skeleton Technologies, Solytic, Speedinvest, Stegra, Sunfire, Supernova Invest, Tau Group, Tech for Net Zero, Trill impact, Turn2X, Verdane, Verkor, Vireo ventures, World fund, Xista science ventures, Ze Energy, Zubi Group

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    Raccomandazioni Politiche

    In questo allegato, forniamo raccomandazioni politiche più dettagliate sui pilastri fondamentali di un Clean Industrial Deal di successo.

    Il primo punto chiave è lo sviluppo di piani d’azione settoriali per il cleantech, con obiettivi chiari per le tecnologie strategiche in fase di scale-up. Pur sostenendo un approccio ampio, aperto e tecnologicamente neutrale all’innovazione e alla ricerca, è necessario che nella fase di scale-up, che è ad alta intensità di capitale proprio in virtù della sua portata, l’UE si concentri strategicamente e dia priorità alle tecnologie in cui può detenere un vantaggio in termini di innovazione.
    Questi piani dovrebbero fissare obiettivi specifici sia per la produzione che per la diffusione delle tecnologie, e dovrebbero essere sostenuti da incentivi mirati che stimolino la domanda e da meccanismi di finanziamento per sbloccare gli investimenti (si veda la sezione successiva). I settori prioritari includono:

    L’economia dell’idrogeno verde (produzione di elettrolizzatori e di idrogeno verde, ammoniaca e carburanti sintetici);
    Acciaio e cemento verde (DRI tramite idrogeno, alternative al clinker);
    Un sistema energetico pulito e resiliente (tecnologie di rete, stoccaggio di energia a lunga durata, rinnovabili innovative come geotermico avanzato ed eolico offshore galleggiante);
    Trasporto sostenibile (filiera delle batterie e supercapacitori);
    Elettrificazione del calore (pompe di calore residenziali e industriali, batterie termiche);
    Metalli e minerali critici, materiali avanzati per ridurre le dipendenze, riciclo e materie prime rinnovabili;
    Tecnologie innovative per la riduzione e la rimozione del carbonio.
    Questi piani settoriali dovrebbero essere supportati da forti partnership industriali che includano le aziende cleantech dotate di soluzioni avanzate.

    Stimolare un forte segnale di domanda per il cleantech
    Per promuovere la domanda, questi piani settoriali dovrebbero concentrarsi su quattro pilastri:

    Stabilire lead market strategici in Europa promuovendo politiche per la domanda. L’attenzione dovrebbe essere rivolta alla creazione di lead market per il cleantech. Dal punto di vista della domanda pubblica, ciò può essere fatto inserendo negli appalti pubblici e negli strumenti di finanziamento pubblico (come la Hydrogen Bank dell’Unione Europea) fattori non legati al prezzo, come la resilienza (compresa la diversificazione dell’offerta), la sostenibilità, la trasparenza, la sicurezza informatica, la sicurezza e i criteri di innovazione. L’UE può anche sostenere la domanda di tecnologie pulite fissando quote per prodotti o materiali puliti in settori specifici. Nella misura in cui lo stimolo della domanda avviene attraverso il sostegno pubblico (aiuti di Stato), raccomandiamo che questo sia coordinato il più possibile a livello europeo, possibilmente nell’ambito di un Competitiveness Compass e modellato in Importanti Progetti di Interesse Comune Europeo (IPCEI) per garantire la portata di un segnale di domanda coordinato in più Stati membri.
    Stimolare l’adozione di tecnologie pulite nell’ambito del sostegno pubblico alle industrie in fase di transizione. Diversi settori industriali essenziali per la leadership economica dell’Europa (automobilistico, siderurgico, dell’alluminio, chimico) si trovano ad affrontare notevoli difficoltà a causa riduzione della competitività nelle filiere globali, della disparità di condizioni con i concorrenti internazionali, degli elevati prezzi dell’energia e dell’accumulo di condizioni pregresse sfavorevoli. È fondamentale rafforzare la loro competitività a lungo termine assicurandosi che adottino le più recenti soluzioni cleantech (ad esempio, calore industriale pulito, generazione e stoccaggio di energia pulita, idrogeno da fonti rinnovabili, efficienza industriale, soluzioni di circolarità, ecc.) che consentano loro di decarbonizzare riducendo i costi nel lungo periodo. Qualsiasi sostegno pubblico dovrebbe orientarsi verso l’adozione di queste tecnologie per favorire la competitività a lungo termine dell’industria europea, invece di concentrarsi sul sostegno a breve termine privo di effetti strutturali. Pertanto, riteniamo che qualsiasi pacchetto di sostegno all’industria debba essere strutturato in modo da: 1) orientarsi verso l’acquisto di soluzioni cleantech innovative europee; 2) essere pronto a coprire sia parte delle spese iniziali in conto capitale sia, in alcuni casi, le più elevate spese operative che le soluzioni cleantech possono comportare, per garantire che vi sia un business case solido per l’integrazione delle soluzioni cleantech; e 3) incoraggiare un’attiva collaborazione tra le grandi industrie e gli innovatori cleantech per accelerare questa adozione. L’accesso ai finanziamenti dell’UE e degli Stati membri, ad esempio, dovrebbe essere vincolato a un impatto locale, con quote minime di soluzioni e componenti cleantech prodotte localmente. Queste misure dovrebbero rimanere temporanee, finalizzate a creare una base industriale stabile e condizioni di parità all’interno del mercato unico e con il resto del mondo, e dovrebbero basarsi il più possibile su strumenti di mercato come le aste e i Carbon Contracts for Difference (CCFD).
    Stabilità della domanda: Mantenere un’elevata ambizione e una tempistica di attuazione per ETS e CBAM. L’eliminazione graduale delle quote ETS gratuite per l’industria, combinata con l’attuazione del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), è il fondamento della creazione di una domanda di soluzioni cleantech e può stabilire condizioni di parità tra produttori e importatori dell’UE nel mercato europeo, offrendo un’opportunità unica per guidare le industrie verdi del futuro, come l’acciaio. Pertanto, chiediamo che sia evitata il più possibile qualsiasi azione legislativa che possa essere percepita dal mercato come una fonte di instabilità normativa, poiché potrebbe creare un effetto frenante su alcuni investimenti.
    Cambiamento di approccio sulla politica commerciale: strumenti di protezione del commercio più rapidi per garantire condizioni di parità. Riconoscendo che i principali partner commerciali europei non aderiscono pienamente alle pratiche commerciali basate sulle regole condivise, occorre adottare risposte più rapide e proattive alle sfide della competitività internazionale. Gli strumenti di difesa commerciale, come le misure antidumping, i dazi compensativi e gli strumenti del regolamento sulle sovvenzioni estere, devono essere applicati più rapidamente e con maggiore determinazione. Questo è essenziale per garantire che qualsiasi segnale di domanda finisca per avvantaggiare le aziende cleantech europee e non i concorrenti internazionali che potrebbero beneficiare di un’ingiusta disparità di condizioni con le aziende europee nei loro mercati nazionali. È essenziale proteggere le tecnologie pulite nel momento in cui si stanno sviluppando, perché è proprio in questa fase che sono più a rischio di concorrenza sleale da parte dell’estero.

    Presupposto per un’impennata della domanda: elettricità a basse emissioni di carbonio abbondante e conveniente per il cleantech e per le industrie in fase di transizione
    La transizione energetica si basa su un accesso continuo all’elettricità pulita, abbondante e a prezzi accessibili. Molte delle soluzioni cleantech emergenti, così come le ambizioni di decarbonizzazione industriale, sono illusorie senza questo requisito fondamentale. Le infrastrutture moderne, in particolare una rete elettrica potenziata, sono un ulteriore elemento indispensabile. A tal fine, urge accelerare le autorizzazioni e le licenze per accelerare la diffusione delle energie rinnovabili e delle soluzioni cleantech in linea con il NZIA, espandere l’infrastruttura di rete accelerando la diffusione degli interconnettori e concentrare gli sforzi in modo critico sulla diffusione di soluzioni di accumulo di energia a lunga durata (LDES) per integrare quote crescenti di capacità di generazione di energie rinnovabili intermittenti. L’obiettivo dovrebbe essere quello di attenuare la volatilità dei prezzi e affrontare la significativa riduzione dell’elettricità da fonti rinnovabili che si verifica attualmente. Tuttavia, ciò non sarà sufficiente a ridurre i prezzi dell’elettricità. Pertanto, chiediamo altresì:

    Power Purchasing Agreement (PPA) offerti a prezzi accessibili a industrie in fase di transizione e aziende cleantech innovative. Le industrie ad alta intensità energetica faticano ad accedere al mercato dei PPA perché il prezzo applicato si basa sul prezzo spot, che è troppo alto per loro durante molte ore del giorno. Una delle raccomandazioni del rapporto Draghi è di garantire che una parte dei PPA sovvenzionati pubblicamente sia riservata alle industrie ad alta intensità energetica, al costo di produzione del produttore di energia elettrica maggiorato di un margine fisso (costo più markup).
    Rendere disponibile un Contract for Difference per gli utilizzatori industriali, come previsto dalla riforma del mercato dell’elettricità dell’UE, prima di quanto previsto nel calendario al 2027. Questi strumenti orientati al mercato hanno il potenziale di eliminare i rischi finanziari derivanti dalla volatilità dei prezzi dell’elettricità e dovrebbero sostenere il business case degli utenti industriali che integrano soluzioni cleantech basate sull’elettricità. Questo dovrebbe essere un pilastro fondamentale dell’Affordable Energy Prices Action Plan previsto nell’ambito del Clean Industrial Deal.
    Disaccoppiamento dei prezzi dell’elettricità e del gas. Il rafforzamento dei segnali di prezzo per la decarbonizzazione competitiva richiederà di trasferire agli utenti finali i benefici di un’elettricità più economica e richiederà meccanismi per disaccoppiarne i prezzi da quelli del gas. Nella fase di transizione, con l’introduzione dello stoccaggio a lungo termine e fonti baseload a basso impatto, i meccanismi di remunerazione della capacità di carico di base dovrebbero essere concepiti in modo da rendere più agevole il percorso di elettrificazione.

    Un piano di investimenti che integri l’aumento della domanda di soluzioni cleantech
    L’imminente capitolo sul finanziamento del Clean Industrial Deal, sia che venga incluso in un nuovo Fondo Europeo per la Competitivà o che riprenda strumenti finanziari esistenti nell’ambito dell’attuale quadro finanziario pluriennale dell’UE, deve basarsi su tre principi fondamentali per avere successo.
    In primo luogo, esso deve essere adattato agli obiettivi dei Piani d’azione settoriali per il cleantech (si veda sopra) e deve focalizzarsi sulla scalabilità delle soluzioni cleantech strategiche per l’UE.
    In secondo luogo, ma come punto di partenza, dovrebbe concentrarsi sui meccanismi di de-risking (come garanzie o meccanismi di first-loss) per massimizzare l’effetto leva dei finanziamenti pubblici in un contesto di bilancio ristretto e per raccogliere il maggior numero possibile di investimenti privati. Questo è il caso in cui è necessario sviluppare la capacità produttiva, come nel caso degli elettrolizzatori, dei sistemi LDES e delle energie rinnovabili innovative. Non sono da escludere, quando necessario, finanziamenti pubblici o sostegni per spese in conto capitale e spese operative per creare un solido business case, attraverso strumenti di mercato (Carbon Contracts for Difference, CCFD) tramite aste, ad esempio per l’idrogeno rinnovabile e i carburanti sintetici. Quando possibile, dovrebbero essere coordinati a livello europeo per garantirne la dimensione di scala e la parità di condizioni all’interno del mercato unico.
    Terzo, si dovrebbe evitare frammentazione negli strumenti di finanziamento europeo per garantire dimensioni di scala (o permettere la sovrapposizione di strumenti diversi) per far sì che essa sia più facilmente accessibile alle aziende innovative europee.
    In generale, raccomandiamo la creazione di una task force o di una piattaforma in seno alla Commissione Europea, che riunisca le principali Direzioni Generali, la BEI e/o il FEI, i regolatori della stabilità finanziaria e i rappresentanti dell’industria per mappare le esigenze di investimento nel settore cleantech e delle energie rinnovabili, il loro profilo di rischio/rendimento e il tipo di finanziamento necessario (credito/debito, equity) ed esaminare quale segmento del sistema finanziario possa essere in grado di finanziare al meglio questi progetti e di assumersi il livello di rischio associato. Ad esempio, l’approccio adottato dalla Renewable and Low-Carbon Fuels Value Chain Industrial Alliance è un esempio interessante di analisi della bancabilità di una pipeline di progetti.
    Più in dettaglio, raccomandiamo di:

    Dare priorità ai meccanismi di de-risking per sbloccare i mercati del debito/credito critici per la fase di scale-up del settore cleantech – Per costruire capacità produttiva, le aziende cleantech devono avere accesso a strumenti di debito/credito a prezzi accessibili. Le garanzie pubbliche possono offrire una soluzione per catalizzare gli investimenti privati a un costo minimo per il contribuente e possono essere utilizzate lungo il percorso di scale-up:- Le garanzie sul credito possono accelerare il finanziamento di progetti First-of-a-Kind (FOAK) con Technology Readiness Level (TRL) medi;- Una volta che le aziende cleantech sono pronte a vendere i loro prodotti innovativi, le controgaranzie rilasciate dalle istituzioni pubbliche possono consentire alle banche commerciali di emettere garanzie di pagamento anticipato e di prestazione.Dopo l’introduzione di uno strumento di controgaranzia di 5 miliardi di euro per l’industria eolica, la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) si appresta a lanciare uno strumento pubblico di controgaranzia di 500 milioni di euro per il cleantech, riducendo i requisiti di garanzia e liberando miliardi di euro di capitale circolante per accelerare la produzione. L’imminente Fondo Europeo per la Competitività offrirebbe l’opportunità di scalare questo strumento su un altro ordine di grandezza. Nell’ambito del lavoro sulla Savings and Investment Union, suggeriamo di esaminare il trattamento prudenziale delle (contro)garanzie nell’ambito del Capital Requirements Regulation (CRR), che richiede alle banche di detenere più capitale a fronte di questi strumenti di quanto i dati storici sulle inadempienze suggeriscano sia necessario. Ciò potrebbe ampliare ulteriormente e in modo significativo l’ammontare delle garanzie che le banche commerciali possono fornire a parità di controgaranzie.
    Sfruttare I meccanismi di finanziamento dell’Emissions Trading System (ETS) dell’UE – Gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati a utilizzare gran parte (almeno il 25%) delle crescenti entrate dell’ETS previste per i prossimi anni per incoraggiare gli investimenti nella produzione di soluzioni cleantech, con cui raggiungere una dimensione di scala. Gli Stati membri potrebbero anche essere in grado di contrarre un prestito con le entrate future previste dall’ETS per creare un pool di capitale più ampio in anticipo, attraverso una sorta di strumenti di cartolarizzazione. In questo modo si potrebbe creare immediatamente uno spazio fiscale dedicato al cleantech, senza dover aspettare più cicli di bilancio.
    Accesso facilitato per le aziende innovative agli strumenti di finanziamento dell’UE (Fondo per l’Innovazione) – Le scale-up del settore cleantech che cercano di mobilitare finanziamenti pubblici in Europa si trovano di fronte a un sistema complesso e frammentato e spesso devono mobilitare risorse spropositate (in alcuni casi migliaia di ore per una sola application) per accedere agli strumenti, il che le mette in grave svantaggio rispetto ai grandi operatori storici. Prendendo l’esempio del Fondo europeo per l’Innovazione, le prime tre tornate di inviti a presentare progetti hanno rivelato un risultato sproporzionato per le grandi imprese. Secondo la nostra analisi, solo il 12% dei destinatari dei primi tre bandi su larga scala erano PMI innovative, anche se queste aziende sono spesso quelle che portano sul mercato le tecnologie più innovative e in grado di mitigare le emissioni, oltre a essere quelle che hanno maggiore bisogno di sostegno. Per poter attingere con successo al sostegno pubblico, le PMI innovative hanno bisogno di un accesso dedicato, di contatti regolari con i valutatori e di decisioni di prequalificazione per evitare di investire risorse significative con bassi tassi di successo.
    Mobilitare la finanza privata – I meccanismi di de-risking dovrebbero essere strettamente allineati con la Savings and Investments Union per contribuire a sbloccare il capitale dei fondi pensione, delle assicurazioni e di altri soggetti privati, compresi gli investitori retail. Mentre per le aziende in fase iniziale il capitale azionario è importante, nella fase di scale-up delle aziende cleantech ad alta intensità di hardware l’accesso al debito/credito su scala a un prezzo ragionevole diventa fondamentale. Sono necessarie principalmente le seguenti azioni:

    a) Creare una task force o una piattaforma all’interno della Commissione Europea che riunisca le principali Direzioni Generali (GROW, CLIMA, FISMA, ENER, ECFIN, MOVE), BEI e/o FEI, i regolatori della stabilità finanziaria e i rappresentanti dell’industria per mappare e monitorare le esigenze di investimento nel cleantech e nell’energia, il loro probabile profilo di rischio/rendimento ed esaminare quale segmento del sistema finanziario possa essere in grado di finanziarle al meglio e di assumersi il livello di rischio associato. Questo potrebbe costituire il punto di partenza per la creazione di veicoli di blended finance.
    b) Per l’accesso al debito, incoraggiare l’ulteriore sviluppo dei fondi di credito privati, in quanto questi veicoli svolgono un ruolo fondamentale nel fornire crediti con una scadenza o un livello di rischio che le banche non sono in grado di sottoscrivere.
    c) Lo sviluppo dei fondi di credito privati dipenderà dalla propensione al rischio degli investitori istituzionali che allocano capitali in questi veicoli. La Commissione dovrebbe esaminare se gli assicuratori e le pensioni sono attualmente dissuasi dal detenere debito non-investment grade (meno dello 0,5% delle partecipazioni attuali) che potrebbe essere fondamentale per finanziare progetti First-of-a-Kind (FOAK).
    d) Incoraggiare o incaricare gli Stati membri a garantire che ai fondi pensione non sia impedito di destinare una quota adeguata ad attività alternative, non quotate e illiquide, che possono essere nell’interesse dei beneficiari (cittadini dell’UE) offrendo rendimenti di investimento elevati e non correlati.
    e) Pur concentrandosi sul rilancio del mercato delle cartolarizzazioni in Europa attraverso una revisione del CRR, ampliare il dibattito per includere le esposizioni in azioni e fondi di investimento (azioni/debiti), nonché il debito non-investment grade. Ciò include la revisione di alcune delle conseguenze indesiderate degli orientamenti e della vigilanza della BCE, in particolare per quanto riguarda le operazioni di leveraged lending. LEGGI TUTTO