22 Gennaio 2025

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    I fiori del croco, assaggio di primavera

    Conosciuto anche come zafferano maggiore, il croco appartiene alla famiglia delle Iridaceae e a livello scientifico è chiamato crocus vernus. Questa splendida pianta ornamentale è molto resistente e presenta foglie verdi scure, sottili, lucide e con delle striature bianche nella parte centrale e fiori a forma di coppa, declinati in sfumature variegate che vanno dal violetto, al bianco, al giallo per giungere all’arancione. Il croco può essere coltivato facilmente sia in vaso, che in giardino, decorando gli spazi con la sua belllezza unica.
    Croco: quando fiorisce
    Diffuso in Asia, nord Africa ed Europa, il croco vive in zone collinari e montuose. Si tratta di una pianta erbacea delicata, ma allo stesso tempo robusta, che resiste alle temperature basse e apre le porte alla primavera, fiorendo già a partire dalla fine dell’inverno, anche se il periodo esatto dipende dalla varietà. Questa piccola bulbosa perenne si presenta infatti in molteplici specie, contraddistinte da colori diversi, come per esempio il crocus chrysanthus, che è viola e bianco, il crocus sieberi, dagli splendidi fiori azzurri, e il crocus sativus, tinto di lilla e dai cui pistilli si ricava lo zafferano. In linea generale i crochi vanno piantati tra settembre e dicembre, ma bisogna procedere a seconda della singola varietà e dal momento in cui fiorisce.

    Dalla grande resistenza e versatilità, il croco si adatta a condizioni differenti, crescendo sia nelle zone esposte che nei substrati di bassa qualità, preferendo tuttavia terreni ghiaiosi, sabbiosi, ricchi di sostanze organiche e ben drenati.

    Croco: coltivazione in vaso e in giardino
    Il croco può essere coltivato in giardino, prestandosi particolarmente per essere collocato in terreni erbosi, prati e lungo i bordi delle aiuole. La semina prevede di dover dividere i bulbi in gruppi di 5, tutti della stessa specie, per poi piantarli a una profondità di 15 centimetri: tra ogni gruppo è necessario lasciare circa 6-7 centimetri. Quando si seminano i bulbi si può aggiungere nel terreno del concime a lenta cessione, per dargli il giusto nutrimento durante il periodo vegetativo. Dopo averli piantati devono essere irrigati in modo abbondante.

    Altra possibilità è la coltivazione in vaso: il croco, non essendo molto alto (raggiunge circa i 12 cm), risulta molto adatto per abbellire i terrazzi. Il recipiente scelto è meglio che sia in terracotta, in modo da garantire una corretta traspirazione, scongiurando una concentrazione eccessiva di umidità. Il vaso deve avere un ottimo drenaggio ed è necessario evitare i ristagni idrici: per migliorare il drenaggio si può collocare sul fondo uno strato di biglie di argilla espansa. Il contenitore dovrà essere anche abbastanza profondo, tenendo conto che i bulbi vanno piantati a 15 centimetri di profondità.

    Croco e l’esposizione
    Per crescere in modo ottimale il croco deve essere posto in un luogo luminoso e arieggiato, meglio se in mezz’ombra, evitando il prolungato contatto diretto con i raggi solari che potrebbero bruciarne foglie e fiori. Inoltre, è importante evitare l’ombra fitta, fonte di umidità, mal tollerata dalla pianta. Contraddistinto da una notevole resistenza, il croco si adatta ai climi freddi e sopporta anche le temperature sottozero. Dopo la semina fiorisce mediamente in circa 6-8 settimane.

    Cura del croco: consigli utili
    Il croco non richiede annaffiature costanti: le piogge sono alleate della pianta tanto che, nei periodi in cui sono intense, si può riscontrare un incremento della sua fioritura. Appena piantumato dovrà essere irrigato ogni 2 settimane: nel periodo della sua crescita si dovrà mantenere il substrato sempre umido, senza però bagnarlo troppo. Successivamente, in caso di piogge assenti, è necessario procedere con l’irrigazione che deve però essere sporadica, verificando sempre prima che il terreno sia asciutto. In estate in caso di siccità prolungata è bene irrigare la pianta ogni 10 giorni, meglio la sera.

    Un intervento cruciale nella manutenzione del croco è rappresentato dalla concimazione, da svolgere ricorrendo a un concime con molto potassio e a cessione graduale. Quando si annaffia la pianta si può aggiungere ogni 2 settimane del concime specifico per bulbose nell’acqua, per far sì che la fioritura duri più a lungo.

    La potatura del croco non è richiesta, dovendo soltanto eliminare le parti marce oppure secche, in modo da ottenere una fioritura ottimale. Tuttavia, è bene non rimuovere le foglie fintanto che non sono totalmente ingiallite, considerando che vengono sfruttate dal bulbo per raccogliere sostanze preziose, utilizzate per la sua fioritura successiva. Passati 3 anni dalla semina, è necessario dedicarsi al trapianto in un nuovo vaso, per evitare che la pianta deperisca.

    Croco: come affrontare malattie e parassiti
    Nella cura del croco è importante tenere conto degli attacchi di parassiti e malattie funghine, che sorgono in particolare per via dell’umidità, tra cui rientrano funghi come lo pseudomonas marginale, responsabile della formazione di zone necrotiche nei bulbi. Per affrontare questi problemi si può ricorrere a soluzioni naturali come i composti rameici di zolfo, il piretro, da usare per le infestazioni forti, e l’olio di neem. Inoltre, è cruciale eseguire delle ispezioni regolari per intervenire tempestivamente, debellando le infestazioni quando sono ancora precoci.

    La pianta può essere anche attaccata dalla cocciniglia, che si nutre della sua linfa prosciugandola: questi insetti possono essere rimossi con un panno umido oppure con un sapone pesticida. In ottica di prevenzione, si possono impiegare degli agenti fungicidi e trattamenti con antiparassitari, oltre a evitare l’umidità eccessiva e assicurarsi che il substrato sia sempre ben drenato. LEGGI TUTTO

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    La mappa della contaminazione da PFAS delle acque potabili

    L’ultimo grido d’allarme arriva da Greenpeace Italia: i PFAS, acronimo di perfluorinated alkylated substances, sostanze poli e perfluoro alchiliche, sono presenti nel 79% dei campioni di acqua potabile analizzati dall’organizzazione ambientalista nell’ambito dell’indagine indipendente “Acque Senza Veleni”. Con ricadute potenzialmente negative per la nostra salute: si tratta di acidi molto forti con una struttura chimica in grado di renderli termicamente stabili e resistenti ai processi naturali di degradazione, al punto da essere definiti “inquinanti eterni”. E del resto la più nota tra queste molecole, l’acido perfluoroottanoico (PFOA), è stata classificata come “cancerogena per l’uomo” sulla base di prove ‘sufficienti’ di cancro negli animali da esperimenti; possibile cancerogeno per l’uomo, sulla base di forti prove meccanicistiche, è anche l’acido perfluoroottansolfonico (PFOS).

    Attenzione ai Pfas: che cosa sono e perché sono pericolosi per la salute

    di  Paola Arosio

    17 Dicembre 2024

    Tra settembre e ottobre 2024, Greenpeace Italia ha raccolto campioni in 235 città di tutte le Regioni e le province autonome, presentando in queste ore a Roma la prima mappa della contaminazione da PFAS nelle acque potabili in Italia. Nelle falde, nei corsi d’acqua e, infine, nei nostri rubinetti le sostanze arrivano dopo essere liberate dall’industria chimica o da quelle che impiegano queste molecole nella produzione. E le molecole più diffuse sono risultate, nell’ordine, proprio il cancerogeno PFOA (nel 47% dei campioni), il composto a catena ultracorta TFA (in 104 campioni, il 40% del totale, presente in maggiori quantità in tutti quei campioni in cui è stato rilevato) e il PFOS (in 58 campioni, il 22% del totale). Emergono almeno tre campioni positivi per ogni Regione, eccezion fatta per la Valle d’Aosta.

    La geografia dell’inquinamento
    Tra le regioni più a rischio, secondo la mappa di Greenpeace Italia la Lombardia: PFAS emergono in quasi tutti i campioni prelevati a Milano. Male anche il Piemonte (da Torino a Novara, passando per alcuni Comuni dell’alessandrino, fino a Bussoleno in Valle di Susa), il Veneto (anche in Comuni fuori dall’area rossa già nota per essere tra le più contaminate d’Europa, come Arzignano, Vicenza, Padova e Rovigo), l’Emilia-Romagna (Ferrara, Comacchio, Reggio Emilia), la Liguria (Genova, Rapallo, Imperia), la Toscana (Arezzo, Lucca, Prato), la Sardegna (Olbia, Sassari e Cagliari, positivo il 77% dei campioni) e Perugia, in Umbria. Il Comune di Castellazzo Bormida (in provincia di Alessandria) ha mostrato i valori più elevati relativi alla presenza di TFA – un PFAS specifico, il più presente al mondo – seguito da Ferrara (375,5 nanogrammi per litro) e Novara (372,6 nanogrammi per litro).

    Greenpeace sottolinea come – nonostante l’Italia ospiti alcuni dei più gravi casi di contaminazione dell’intero continente europeo (in parti del Veneto e del Piemonte) – a oggi “i controlli sui PFAS nelle acque potabili sono per lo più assenti o limitati a poche aree geografiche”. Il tutto nella lunga vigilia del 2026, quando entrerà in vigore in Italia la direttiva europea 2020/2184 che impone dei limiti normativi. Limiti che Greenpeace ribadisce essere insufficienti. “I parametri di legge fissati a livello comunitario sono stati superati dalle più recenti evidenze scientifiche (ad esempio quelle diffuse dall’EFSA) tant’è che recentemente l’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) ha dichiarato che i limiti in via di adozione rischiano di essere inadeguati a proteggere la salute umana”. Del resto, non mancano nazioni europee (tra cui Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Svezia e la regione belga delle Fiandre), che hanno già adottato limiti più bassi. Come gli Stati Uniti.
    La posizione di Utilitalia
    Secondo Utilitalia, la Federazione che associa le imprese che forniscono i servizi idrici a circa l’86% della popolazione italiana, “sin da quando la presenza dei PFAS è emersa, i gestori del servizio idrico delle aree interessate hanno monitorato la loro presenza nelle acque che distribuiscono e avviato investimenti importanti, un controllo continuo con le migliori tecnologie disponibili per la loro misura nelle acque e hanno preso i provvedimenti caso per caso più opportuni per la tutela dei cittadini”.

    “I gestori – continua Utilitalia – sono impegnati nell’adozione sistematica dei piani di sicurezza dell’acqua, implementati secondo le linee guida dell’ISS-ministero della Salute, che consentono di valutare e limitare i rischi sull’intero ciclo dell’acqua potabile ed individuare gli interventi eventualmente necessari per garantire la sicurezza per i consumatori. È il caso di molte sostanze che, come i PFAS, possono essere presenti nell’ambiente. Oggi l’eventuale presenza di PFAS è messa sotto controllo e neutralizzata prevalentemente mediante il ricorso ai carboni attivi attraverso i quali, in generale, è possibile riportare l’acqua entro i limiti di potabilità indicati dalla legge nazionale originata dalla direttiva europea che ne limita la concentrazione”. Utilitalia evidenzia come i PFAS siano diffusi ovunque; per esempio, sono stati misurati persino nelle piogge in aree remote e nei ghiacci polari. Quindi il sistema dei gestori “è costantemente impegnato a salvaguardare la qualità dell’acqua che distribuisce, pertanto bisogna assolutamente evitare allarmismi che possano suggerire comportamenti non razionali come quello di non bere acqua del rubinetto. La classe delle sostanze fluorurate comprende migliaia di molecole, profondamente diverse tra loro, con proprietà chimiche, tecniche e tossicologiche diverse e che sono ricomprese nella famiglia dei PFAS e dei sottoprodotti. La Federazione ha agito nelle sedi europee e nazionali per l’adozione di regole stringenti e comuni per la limitazione dei PFAS e sarà sempre pronta, con l’intero sistema dei gestori che rappresenta, a sostenere le iniziative finalizzate ad una sempre maggiore tutela delle risorse idriche. Ribadendo che la qualità dell’acqua del rubinetto in Italia è tra le migliori d’Europa, Utilitalia confida che chiunque venga in possesso di informazioni relative a situazioni di pericolo nelle acque potabili, le condivida con gli organi di controllo operanti a livello locale e centrale e con i gestori del servizio idrico, con le stesse attenzione e tempestività che questi garantiscono”.

    “Il diritto di bere acqua libera da veleni”
    Severa la posizione di Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia: “È inaccettabile che, nonostante prove schiaccianti sui gravi danni alla salute causati dai PFAS, alcuni dei quali riconosciuti come cancerogeni, e la contaminazione diffusa delle acque potabili italiane, il nostro governo continui a ignorare questa emergenza, fallendo nel proteggere adeguatamente la salute pubblica e l’ambiente. Ancora oggi non esiste nel nostro Paese una legge che vieti l’uso e la produzione dei PFAS. Azzerare questa contaminazione è un imperativo non più rinviabile. Il governo Meloni deve rompere il silenzio su questa crisi: la popolazione ha diritto a bere acqua pulita, libera da veleni e contaminanti”. Greenpeace Italia ha lanciato da tempo una petizione – già sottoscritta da più di 136 mila persone – che chiede al nostro governo di mettere al bando l’uso e la produzione di tutti i PFAS, sostituendoli con alternative più sicure e già disponibili nella quasi totalità dei settori industriali. “L’esecutivo italiano e i ministri competenti continuano a non intervenire sacrificando milioni di persone alla contaminazione da PFAS”, denuncia l’organizzazione. LEGGI TUTTO

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    Artico sempre più caldo: ormai emette più gas serra di quanti ne assorbe

    I segnali erano già evidenti, ma adesso è arrivata la conferma: le regioni artiche si stanno rapidamente riscaldando, rilasciando in atmosfera più carbonio di quanto ne riescano ad assorbire. La fusione accelerata del permafrost dovuto all’innalzamento delle temperature sta infatti trasformando vaste zone in “fonti” invece che in “serbatoi” di gas serra. Fenomeno che potrebbero […] LEGGI TUTTO

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    L’anguilla europea sull’orlo dell’estinzione

    L’anguilla europea è sull’orlo dell’estinzione a causa della drastica riduzione della sua popolazione negli ultimi anni, secondo uno studio scientifico del Parc Natural del Delta de l’Ebre e della Stazione Biologica di Donana (EBD-CSIC). Secondo lo studio, questa “drastica riduzione” della popolazione di anguilla europea è stata aggravata dall’impatto di un granchio invasivo e da […] LEGGI TUTTO

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    Nonostante i treni gratis, i potenti di Davos continuano a usare i jet privati e ad emettere CO2

    C’era perfino il treno gratis. Eppure niente, anche quest’anno tantissimi potenti della Terra riuniti a Davos hanno preferito il jet privato, a volte per coprire appena 240 chilometri, quel mezzo che a livello di emissioni inquina almeno 50 volte più degli spostamenti su rotaia. Diciamocela tutta, l’anno non è iniziato un granché bene per le questioni climatiche: prima i giganteschi incendi californiani, poi i dati che certificano sia il 2024 come anno più caldo di sempre sia il record di emissioni a livello globale e infine le politiche anti-clima annunciate da Donald Trump, con tanto di bye bye dall’Accordo di Parigi. Larga parte delle emissioni e delle responsabilità antropiche sull’ambiente sono legate soprattutto alle persone più ricche della Terra, quell’1% di multimiliardari che da solo inquina più di miliardi di persone.

    A inizio anno, precisamente il 10 gennaio 2025, secondo le analisi di Oxfam quell’1% ha già emesso infatti una quantità di CO2 tale che, seguendo la media di una persona comune, avrebbero dovuto invece produrre in un anno. Fa strano dunque sapere che in Svizzera, a Davos, dove si riuniscono leader, economisti, potenti, amministratori delegati e magnati e dove da anni viene denunciato il problema del massiccio utilizzo dei jet privati per raggiungere il World Economic Forum, poco o nulla sia cambiato: a Zurigo, il più grande aeroporto vicino alla sede del vertice, all’inizio di questa settimana sono atterrati 54 jet privati , con un incremento del 170% alla media della settimana precedente. Eppure gli organizzatori di Davos avevano tentato in tutti i modi, su spinta di diverse Ong, di avvertire i partecipanti sulla necessità di un minore impatto ambientale, soprattutto a livello di trasporti che, riconoscono dal WEF, sono la fonte principale di inquinamento nella settimana del forum economico.

    “Il World Economic Forum riunisce le parti interessate per contribuire ad affrontare la più grande crisi ecologica dei nostri tempi” si legge nella presentazione delle iniziative di sostenibilità di Davos di quest’anno. No plastica monouso, compensazione delle emissioni, perfino riciclo dei tessuti usati nelle passate edizioni come arredi. E poi, appunto, la parte sui trasporti dove viene offerto ai partecipanti sia uno “sconto del 100% per chi arriva all’Annual meeting in treno”, sia addirittura ciaspole o scarpe invernali antiscivolo per chi punta a camminare. Nonostante la buona volontà, mossa anche dalla spinta di diverse Ong che da anni chiedono ai potenti un cambiamento nelle pratiche e nell’impatto ecologico legato a Davos, i jet privati continuano però ad essere uno dei mezzi preferiti dei delegati presenti.

    Così i jet vanno e vengono e, come fanno notare alcuni giornalisti presenti all’aeroporto, talvolta ospitano soltanto tre persone. Alcuni degli aerei monitorati da Flightradar24 hanno compiuto tratte di appena 240 chilometri (per esempio da Milano) per raggiungere Davos. Almeno tre quelli dalla Lombardia, poi jet da Genova e ovviamente diversi mezzi privati arrivati dagli Stati Uniti, anche se da Transport & Environment ricordano per esempio come un delegato che arriva da New York potrebbe ridurre le sue emissioni dell’87% se solo viaggiasse su un volo commerciale anziché un jet, o uno da Berlino di quasi il 99% se prendesse il treno. Un portavoce dell’aeroporto di Zurigo ha spiegato che in media prima e dopo la settimana del WEF ci sono quasi 1000 movimenti di voli aggiuntivi rispetto al solito, con mezzi che possono essere jet aziendali, aerei di stato o elicotteri. Anche gli aeroporti più piccoli rispetto a Zurigo, come Saint Moritz, Friedrichshafen e St. Gallen-Alternheim vedono atterrare e ripartire jet privati: a Friedrichshafen per esempio lunedì scorso c’è stato il 33% di jet in più rispetto alla media. Mezzi, dei super ricchi, che arrivano persino dalle Hawaii (come quello giunto lunedì da Kailua-Kona nelle Hawaii operato dalla compagnia charter NetJets dopo quasi 15 ore di volo). Dalle tracce dei movimenti risulta inoltre che diversi aerei abbiano coperto una distanza inferiore ai 500 chilometri, come quelli atterrati a Zurigo da Parigi.

    Emissioni

    Negli ultimi cinque anni i jet privati hanno inquinato il 46% in più

    di  Sandro Iannaccone

    19 Novembre 2024

    Un bel controsenso in un Forum dove i potenti sono anche chiamati a discutere dei problemi globali – come la crisi del clima – più urgenti. Un controsenso che va avanti da anni: nel 2023 per esempio erano 660 i jet privati utilizzati per arrivare a Davos. Nel tentativo di diminuire l’impatto degli aerei privati e sensibilizzare i super ricchi sul problema quest’anno la campagna “Travel Smart” chiedeva di viaggiare il più possibile con aerei commerciali o treni, ma sono pochissime le multinazionali che hanno aderito, appena 2 ( Saint-Gobain e KPMG) su 100. “Ancora un altro mese di gennaio in cui stiamo assistendo all’eccessivo afflusso di jet privati che volano verso il World Economic Forum (WEF) a Davos, in Svizzera. E ancora un altro anno in cui ci si chiede se questi leader, che affermano di modellare il futuro delle nostre società verso la sostenibilità climatica, saranno mai autocritici e valuteranno se stanno davvero dando l’esempio” si legge nel sito di Travel Smart. “Evitando l’uso di un jet privato, le aziende che viaggiano da diverse località europee, come KPMG, risparmieranno circa sette tonnellate di CO2. Ciò significa che risparmierebbero più emissioni di un viaggio in auto intorno al mondo!” aggiunge l’associazione. Una ricerca della Linnaeus University stima come i jet privati siano il mezzo di trasporto più inquinante per passeggero al chilometro e tra il 2019 (proprio l’anno in cui Greta Thunberg fece il suo famoso discorso sulla “nostra casa che brucia” a Davos) al 2023, secondo le loro analisi le emissioni dei jet privati sono aumentate addirittura del 46%.

    Anche per questo – senza però avere ottenuto finora risposte – associazioni come Greenpeace e altre, con tanto di blitz al WEF, da anni chiedono riforme per tassare i super ricchi per finanziare un futuro equo e verde. Però finora a viaggiare tutti in treno o su aerei commerciali proprio non se ne parla. Eppure, visto che si parla di ricchi e di World Economic Forum, se guardassero solo al risparmio passare a mezzi meno inquinanti sarebbe decisamente più conveniente anche per il portafoglio: noleggiare un jet privato da New York a Davos costa 130mila euro, da Berlino al Forum circa 13mila, ma lo stesso viaggio persino in “business” su un volo commerciale costerebbe rispettivamente 15 o 10 volte di meno. LEGGI TUTTO