19 Gennaio 2025

Daily Archives

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    Deforestazione e conversione a palmeti devastano gli ecosistemi

    La deforestazione, com’è noto, ha profondi effetti negativi sull’ambiente: impoverisce la biodiversità, riduce la quota di anidride carbonica catturata dalla vegetazione, rende il suolo più instabile. Ma non solo: ai fini della valutazione dell’impatto della deforestazione, è importante anche valutare cosa accade dopo: un gruppo di ricerca guidato dagli scienziati della University of Oxford ha appena condotto la valutazione degli effetti della conversione delle foreste disboscate in piantagioni di palme da olio, una pratica molto comune specie nelle regioni tropicali, mostrando che non solo entrambe le operazioni (disboscamento e conversione) hanno effetti negativi sugli ecosistemi, ma che tali effetti sono diversi e si cumulano tra loro, il che amplifica la portata del danno. Un caso in cui, sostanzialmente, il totale è maggiore della somma delle parti.

    Lo studio è stato pubblicato sulle pagine di Science. La comprensione degli effetti combinati di deforestazione e conversione in piantagioni di palma da olio, spiegano gli autori del lavoro, è fondamentale per identificare gli habitat prioritari per la conservazione e per prendere le decisioni corrette sull’uso del territorio – nella fattispecie, per esempio, se una foresta disboscata debba essere protetta, ripristinata o se se ne possa autorizzare la conversione. Al momento, però, mancava ancora uno studio comprensivo sulla questione, il che rendeva difficile valutare l’impatto complessivo sull’intero ecosistema. Nello studio appena pubblicato, gli esperti hanno esaminato oltre 80 parametri relativi alla struttura, alla biodiversità e al funzionamento degli ecosistemi delle foreste tropicali, al contenuto di nutrienti nel suolo, all’immagazzinamento dell’anidride carbonica, al tasso di fotosintesi e al numero di specie di uccelli e pipistrelli. La valutazione è stata eseguita in tre regioni tropicali della Malesia che ospitano foreste secolari, foreste disboscate (a livelli diversi) e foreste disboscate e riconvertite in piantagioni di palma da olio.

    Agricoltura

    Il caffé a “deforestazione zero”, in Ecuador si coltiva il futuro

    di Nicolas Lozito

    19 Ottobre 2024

    I risultati dell’analisi mostrano, poco sorprendentemente, che disboscamento e conversione hanno effetti negativi sulla maggior parte dei parametri (60 su 82), ma in modo chiaramente diverso. Il disboscamento impatta maggiormente i parametri associati alla struttura e all’ambiente della foresta. Nelle zone tropicali si opera di solito un disboscamento selettivo, ossia concentrato su alberi con particolari qualità commerciali: questo rende l’operazione ancora più pericolosa per l’ecosistema, perché (per esempio) la rimozione di alberi alti e vecchi lascia spazio a specie a crescita rapida con caratteristiche molto diverse, tra cui legno meno denso e foglie più sottili, più vulnerabili agli animali erbivori. Le cose peggiorano se le foreste disboscate, o parzialmente disboscate, vengono convertite in piantagioni da palma, il che ha un impatto sulla biodiversità molto maggiore di quello del solo disboscamento: in particolare l’analisi ha mostrato una riduzione significativa nell’abbondanza e nella diversità di specie di uccelli, pipistrelli, scarabei stercorari e microrganismi del suolo.

    L’effetto, probabilmente, è dovuto ai cambiamenti nelle risorse alimentari messi a disposizione dalle piante e alla trasformazione del microclima, che diventa più arido e secco sotto gli strati di palme: “Uno dei messaggi chiave del nostro studio”, ha affermato Andrew Hector, uno degli autori dello studio, “è che il disboscamento selettivo e la conversione differiscono nel modo di influenzare l’ecosistema forestale, il che significa che la conversione in piantagione implica un impatto più profondo che si aggiunge a quello del solo disboscamento”. Lo studio, dicono ancora gli autori, dimostra che le foreste, seppur disboscate, possono ancora rappresentare una risorsa preziosa per il mantenimento della biodiversità e non dovrebbero essere automaticamente adibite ad altro: “Anche le foreste disboscate”, sottolinea Ed Turner, un altro degli autori, “sono preziose e importanti in termini di biodiversità e funzionamento dell’ecosistema rispetto ai livelli molto ridotti osservati nelle piantagioni di palma da olio che le stanno sostituendo”. Un’informazione di cui i decisori dovrebbero fare tesoro. LEGGI TUTTO

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    Stop alla caccia ai canguri: in Australia partono gli appelli dopo gli incendi

    Il dilemma dei canguri infiamma il dibattito in Australia. E sul più iconico dei mammiferi marsupiali si polarizza anche la comunità scientifica. Sotto la lente d’ingrandimento la regione dei Grampians, nello stato del Victoria, estremità sudorientale dell’Australia, 1.600 chilometri di costa.Qui gli incendi hanno mandato in fumo 76 mila ettari di vegetazione del Grampians National Park, con profondi sconvolgimenti della sua fauna. Quanto basta, secondo alcuni naturalisti, per porre fine – anche solo temporaneamente – all’abbattimento controllato delle popolazioni di canguri.

    Già, perché in cinque Stati australiani continentali la caccia per scopi commerciali dei mammiferi è consentita nel numero di 5 milioni di esemplari all’anno: carne e pellame alimentano un’industria controversa, che alcuni stati – in America, per esempio – e diversi brand tendono a boicottare (secondo la Lav, invece, l’Italia sarebbe il maggior importatore europeo di pelli di canguro, con 381 tonnellate tra il 2019 e il 2022).

    Nello stato del Victoria, in particolare, dallo scorso primo gennaio la quota di abbattimento consentita è di 106 mila canguri grigi all’anno, 32 mila dei quali proprio nelle are sud-occidentali, quelle più colpite dagli incendi. “Finché non saranno chiari gli impatti immediati e a lungo termine dei roghi, l’abbattimento dovrebbe essere precauzionalmente interrotto”, dice al “Guardian” Lisa Palma, amministratore delegato di Wildlife Victoria, organizzazione no profit che si occupa di fornire risposte alle emergenze legate alla fauna selvatica nello stato australiano. Palma ribadisce inoltre le preoccupazioni generali sulla pratica dell’abbattimento dei canguri, in particolare sull’individuazione delle quote, sull’assenza di una supervisione del programma e “sull’intrinseca crudeltà dello strumento”.

    Biodiversità

    Alberi più piccoli ed elefanti senza zanne: così la natura si adatta all’uomo

    di  Giacomo Talignani

    07 Gennaio 2025

    “La caccia commerciale è la migliore soluzione”
    Che gli incendi boschivi sia una cattiva notizia per i canguri è fatto abbastanza acclarato: ricercatrici come Holly Sitters, ecologista, impegnata nella tutela di specie animali minacciate: “Tutti i piccoli mammiferi – spiega – mostrano una preferenza schiacciante per le aree rimaste intatte negli ultimi decenni”. Studiando l’impatto degli incendi sui mammiferi, Sitters ha ammesso infine che piccoli incendi possono giovare ai canguri e ai mammiferi di grandi dimensioni, mentre quelli più vasti – proprio come quelli che hanno investito i Grampians – creano condizioni differenti: alcuni animali possono migrare in tempo, altri restare feriti o morire o, ancora, faticare a sopravvivere per scarsità di ciba”. E le stime parlano di 200 mila esemplari, tra canguri e wallaby, morti a seguito degli incendi estivi.Insomma, ce ne sarebbe abbastanza per ridiscutere le linee strategiche di ridimensionamento della popolazione dei canguri.

    Anche se non mancano pareri discordanti: “La cattura a scopi commerciali dei canguri può essere utile in alcune circostanze, e calcolare gli effetti degli incendi sulla fauna selvatica è complesso”, spiega al Guardian Euan Ritchie, docente di ecologia e conservazione della fauna selvatica alla Deakin University. La rimozione del predatore naturale dei canguri, il dingo, ha causato un incremento della loro popolazione, con effetti negativi sul recupero della vegetazione post-incendi.

    “In assenza di un equilibrio naturale, la caccia è forse la migliore soluzione che abbiamo al momento, soppesando pro e contro”. E il Dipartimento per l’Ambiente dello stato della Victoria non sembra intenzionato a tornare sui suoi passi.

    Biodiversità

    Così il lupo in Europa torna a essere un bersaglio

    di WWF ITALIA

    03 Dicembre 2024

    Genovesi (Ispra): “Non venga meno il principio di sostenibilità”
    Al caso australiano guarda con interessa anche Ispra, in prima linea in Italia nello studio dell’equilibrio degli ecosistemi e nel suggerimento di strategie efficaci per scongiurare squilibri e declino delle singole specie. “Bisogna distinguere tra prelievi fatti per la caccia, che dovrebbero sempre seguire un principio di sostenibilità, e il controllo di specie che causano impatti eccessivi o che sono pericolose per l’uomo. – spiega subito Piero Genovesi, che per Ispra è responsabile della conservazione della fauna e del monitoraggio della biodiversità – Quando parliamo di attività ricreative sarebbe corretto, nel caso di incendi o altri fenomeni che causano impatti sulle specie selvatiche, sospendere o ridurre i prelievi, per non sommare un ulteriore effetto negativo. Diverso – prosegue Genovesi – è il discorso se parliamo ad esempio di specie aliene, introdotte dall’uomo, il cui controllo è essenziale per tutelare gli habitat naturali. L’Australia è il paese al mondo che ha avuto più estinzioni nei secoli passati, causate nella gran parte dei casi da specie aliene, come conigli, volpi, gatti, ratti o cammelli.

    Per esempio, in Australia vivono 1.7 milioni di volpi, introdotte dall’uomo, che uccidono ogni anno oltre 300 milioni di animali autoctoni e hanno causato molte estinzioni di mammiferi autoctoni. Una sospensione dei piani di controllo di alcune di queste specie potrebbe mettere in pericolo specie uniche e vulnerabili”.

    In casi analoghi a quanto sta accadendo in Australia, in concomitanza cioè con incendi boschivi di grandi dimensioni o di tempeste come Vaia, Ispra ha suggerito alle Regioni di sospendere o regolamentare meglio i prelievi delle specie, in attesa di comprendere i danni agli ecosistemi.

    Le idee

    Coesistenza tra uomo e fauna selvatica: il futuro in una pillola

    di Andrea Monaco

    22 Ottobre 2024

    Dagli orsi ai cervi, quando il “problema” è a casa nostra
    Ma il tema dei piani di abbattimento delle specie di fauna selvatica continua, dunque, ad alimentare dibattito, con posizioni spesso polarizzate tra i due estremi, il partito di chi preferirebbe scongiurare l’uccisione degli animali considerati in eccesso, soprattutto quando si tratta di specie carismatiche e di appeal per il grande pubblico, e quello di chi invece propende per metodi risoluti, nei quali l’uomo si assegna il ruolo di regolatore del riequilibrio degli ecosistemi. “La verità è che se in alcune aree abbiamo irrimediabilmente eliminato o ridotto i fattori che naturalmente limitavano la diffusione incontrollata di alcune specie animali, il fattore di riequilibrio possiamo essere solo noi”, spiega Nicola Bressi, naturalista e zoologo del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste.

    Ma se per i cinghiali e per le nutrie, la cui diffusione incontrollata ha creato diversi problemi in Italia, l’opinione pubblica non sembra osteggiare i piani di contenimento, è per specie più carismatiche che divampano, puntuali, le polemiche. Con code giudiziarie, come per il piano di abbattimento dei cervi in Abruzzo, con il Consiglio di Stato che lo scorso novembre, ribaltando l’ordinanza del Tar, ha disposto la sospensione della delibera con cui la giunta regionale bandisce la caccia selettiva di 469 cervi considerati “in soprannumero”, per limitare i “danni all’agricoltura” e “gli incidenti stradali”. Accogliendo le ragioni di Wwf, Av, Lndc e Animal Protection. Qualche mese fa aveva invece fatto discutere, per esempio, la decisione della Svezia di concedere licenze per abbattere il 20% della popolazione di orsi bruni, una percentuale che le associazioni impegnate nella difesa degli animali e della biodiversità avevano considerato troppo elevata. LEGGI TUTTO

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    Uno scoiattolo da premio. Il fotografo Milko Marchetti: “La Natura ha sorpreso anche me”

    Uno scoiattolo curiosa dentro il tronco di un albero alla ricerca di cibo. Talmente intraprendente che per sporgersi ancora di più, non riesce a tenere la presa sul ramo e finisce con le zampe e la coda all’aria. Uno scatto divertente che racconta una piccola storia, s’intitola “Stuck Squirrel” ed è firmata da Milko Marchetti, 56 anni, fotografo naturalista e docente ferrarese, 12 volte campione del mondo di fotografia naturalistica, autore di molte copertine di magazine sia italiani che internazionali. La foto di Marchetti ha vinto Il “Comedy Wildlife Photography Awards 2024” a Londra.

    Lo “scoiattolo incastrato” di MIlko Marchetti in mostra a Londra  LEGGI TUTTO