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Nella ciclofficina di Lesbo dove tutto si ripara, dalle bici allo smartphone

Appesa ad un supporto al centro della stanza una bici rossa senza una ruota aspetta di essere riparata, nell’oscurità brillano le chiavi inglesi riposte alla parete in ordine di grandezza. Makerspace non è solo una ciclofficina, è un progetto per favorire l’accesso alla tecnologia per richiedenti asilo e rifugiati a Lesbo, isola greca che da quasi dieci anni è una delle principali e più dolorose porte di accesso all’Europa per chi lascia il proprio paese alla ricerca di una vita migliore.

Il Centro Chiuso ad Accesso Controllato (CCAC) di Mavrovouni a Lesbo, Grecia, dove vivono poco più di 800 persone in movimento arrivate dalla Turchia. Molte di esse frequentano lo spazio “Parea” ed il “Makerspace” (foto: Giacomo Sini) 

Il laboratorio di Makerspace si trova all’interno di Paréa, un centro comunitario che oltre a fornire numerosi servizi come distribuzione cibo, caffetteria, aree per la socialità, offre spazi e supporto logistico a quelle associazioni che ne hanno bisogno. Dalla porta del laboratorio si vede, giù dalla collina, sulla costa, la distesa bianca di tende e moduli prefabbricati del centro per richiedenti asilo CCAC di Mavrovouni, chiuso da muri e filo spinato, oltre cui si stende blu il braccio di mare che separa l’isola di Lesbo dalle coste della Turchia che distano poco più di venti chilometri. Il laboratorio di Makerspace si trova all’interno di Paréa, un centro comunitario gestito da Europe Cares che fornisce numerosi servizi come distribuzione di cibo, caffetteria, aree per la socialità, educazione, supporto legale ma anche sostegno ai bisogni di base ed alla salute mentale e psicosociale di bambini ed adulti, accogliendo più di 200 visitatori al giorno. Inoltre, supporta11 organizzazioni partner fornendo loro spazi e supporto logistico per le proprie attività.

“Qui facciamo cinque diversi lavori: riparazione bici, riparazione elettronica, in particolare telefoni e piccoli amplificatori, sartoria, carpenteria e saldatura”, spiega Hamed Khammar, project coordinator di Makerspace, enumerando le attività sulle dita di una mano. Viene dall’Iran, ha 31 anni, è arrivato qui come richiedente asilo, ha vissuto nel famigerato centro di Moria prima dell’incendio devastante che lo distrusse nel 2020. Quando ha ottenuto i documenti ha deciso di rimanere e continuare a lavorare nel progetto “adesso – dice – ho un po’ di radici anche qui”. È lui che si occupa delle riparazioni elettroniche e di carpenteria, pur seguendo tutte le attività del progetto con curiosità e grande manualità. “Non sono mai riuscito a stare fermo senza fare niente – dice Hamed – e penso che per tutti sia bello sentirsi utile per gli altri. Qui mettiamo anche a disposizione gli attrezzi, in modo le persone possano imparare come si fanno le riparazioni”. Tra i volontari ci sono alcune persone che vivono nel centro di Mavrovouni. “È difficile immaginare quanto sia duro” spiega Hamed, indicando lontano verso la distesa di tende “sei in attesa, come in stallo, e non sai cosa stia succedendo alla tua vita, per settimane, per mesi. Ti senti perduto. Qui almeno è possibile attivarsi, aiutare gli altri, e aiuta a stare meglio”.

La riparazione di un monopattino elettrico nel Makerspace. Lesbo, Grecia (foto: Giacomo Sini) 

Se chiedi di che cosa le persone che vengono qui hanno più bisogno Hamed risponde: “bici, telefono, amplificatore”. Questi sono i lavori più richiesti. Vengono anche alcuni greci per le riparazioni, “sono persone con cui siamo già in qualche modo in contatto”. I telefoni certo sono importanti, ma i piccoli amplificatori hanno un ruolo fondamentale nella vita quotidiana perché permettono di ascoltare insieme la musica “è la possibilità di uno scambio culturale, ma è anche il modo più semplice per fare iniziare una festa”. Il cuore di Makerspace però è la bicicletta “è un veicolo semplice ma è davvero importante in questo contesto – spiega Hamed – le persone vivono in un centro che si trova a un’ora a piedi dalla città, i centri commerciali sono distanti, la bici dà autonomia e velocità. Inoltre, specie in estate quando fa caldo, rende facili degli spostamenti che altrimenti sarebbero impossibili sotto il sole cocente”.

Alla tettoia sono appese camere d’aria che si stagliano nere contro il cielo luminoso del mattino. Omar* ha circa 30 anni, è siriano ed è volontario a Makerspace. Ha ottenuto l’asilo ma ha deciso di rimanere sull’isola, almeno fino a quando non avranno ottenuto l’asilo anche i suoi familiari che vivono ancora nel centro. Seduto all’ombra su una panca, con cura passa la carta vetrata sulla gomma. “Nella maggior parte dei casi si tratta di forature, le strade nel centro in cui vivono sono accidentate, piene di sassi – spiega Döne Kartal, 20 anni, volontaria che viene dalla Francia, anche se la famiglia è originaria della Turchia – e queste vecchie bici, con le ruote rattoppate, forano molto facilmente”.

Nel campo di Mavrovouni con una bici appena riparata al Makerspace di Lesbo, in Grecia (foto: Giacomo Sini) 

Ogni mattina, dal lunedì al venerdì tra le 10 e le 11, Döne si occupa dell’accettazione delle biciclette da aggiustare. “Cerchiamo per quanto possibile di riparare – Spiega Döne – se non troviamo soluzioni allora utilizziamo pezzi di ricambio, se non ne abbiamo in magazzino e la persona non può permettersi di acquistare la parte necessaria, allora la compriamo noi”.

Hamed è seduto al tavolo da lavoro per le riparazioni elettroniche. Nello spazio ridotto, sotto la potente luce di una lampada sono disposti diversi attrezzi e uno smartphone smontato che Hamed esamina attraverso una grande lente. “Ho conosciuto persone che pensavano che coloro che fuggono dal proprio paese e arrivano qui fossero estremamente lontani dalla tecnologia. Pensavano che anche io non conoscessi niente di tutto questo” Racconta con amarezza Hamed, sollevando gli occhi dalla lente. “Certo veniamo da diversi paesi e diverse parti del mondo ma siamo tutti uguali, e facciamo tutti le stesse cose. Abbiamo solo culture diverse. Qualcuno pensa che non conosciamo la tecnologia – prosegue – che non solo non sappiamo come aggiustare un telefono, ma che non sappiamo neanche maneggiarlo. Magari pensano che non dovremmo usarlo”.

L’ingresso al Makerspace nel community center Parea. Lesbo, Grecia (foto: Giacomo Sini) 

Hamed spegne la lampada “lo smartphone nel mondo tecnologico di oggi è fondamentale – spiega – qui è indispensabile per presentare domande relative alla domanda di asilo o per qualsiasi altra procedura burocratica, serve per lavorare, per orientarsi con le mappe in un luogo che non si conosce, e certo per essere in contatto con i propri familiari, a casa”. Poter contattare i propri cari è fondamentale, non importa in che luogo ci si trovi e in quali condizioni, spiega Hamed “Perché per nessuno è accettabile oggi, nel 2024, con le informazioni che corrono così rapidamente, di non poter essere in contatto con i propri cari, spesso lasciati in situazioni di pericolo”.

Tre amici si presentano con una bici rosa, la ruota posteriore non gira bene, è piegata e scarta verso sinistra, i freni sono rotti “è di un mio amico, si può riparare?” chiede in turco il più alto dei tre. Vengono dallo Yemen, ma tutti qua usano come lingua di mediazione il turco, che tutti conoscono almeno un poco, avendo trascorso mesi sulle coste della Turchia nell’attesa di passare il mare. Döne prende nota su un modulo e risponde loro in turco “La ruota purtroppo non si può riparare, va cambiata e non la abbiamo in magazzino, costa 25 euro”. Cercheranno di procurarsi la ruota per domani.

Il campo di Mavrovouni. La bici è il mezzo più usato dalle persone in movimento che abitano l’isola. Lesbo, Grecia (foto: Giacomo Sini) 

Entrando a Parèa, sulla destra, si trova una semplice struttura in legno coperta con teli ombreggianti e chiusa sui lati da canne di bambù. C’è un’insegna dipinta, con l’inconfondibile barber pole bianco, rosso e blu. Dentro un ragazzo seduto osserva serio allo specchio il taglio appena fatto, il barbiere deve ancora eseguire gli ultimi ritocchi.

“Questa struttura l’ha costruita Makerspace” spiega Angeliki Kokka, field coordinator di Europe Cares a Parèa. “Spesso il primo posto dove arrivano le persone appena vengono condotte al CCAC di Mavrovouni è proprio Parèa, è un punto di riferimento, noi cerchiamo di garantire spazi sicuri e accoglienti per tutti, questo è possibile grazie all’impegno di tutti, alla partecipazione delle persone che frequentano lo spazio, alla collaborazione di organizzazioni, associazioni e progetti, come Makerspace”. Parèa dopotutto in greco significa “cerchia di amici”.

Un lavoro di saldatura nel Makerspace del community center Parea. Lesbo, Grecia (foto: Giacomo Sini) 

“Non ci crederai – inizia a raccontare Hamed ridendo – ma la prima volta che sono venuto qui a Parèa questo posto non mi piaceva affatto. Non avevo neanche idea dei progetti che ci fossero, ma avevo deciso che non mi piaceva. Poi dopo mesi che vivevo in sospeso, senza niente da fare, sono venuto qua, ho trovato questo progetto, e ho iniziato a lavorare qui. Bisogna conoscere prima di giudicare”. Hamed cala la maschera da saldatore sul volto, tra abbagli intermittenti le scintille rimbalzano sui guanti e schizzano qua e là nel laboratorio.

Quando si ferma Hamed solleva la visiera e si china sul banco da lavoro per controllare la saldatura sul giunto metallico, poi si volta e spiega “è un pezzo che serve per il tavolo da ping pong di Yoga and Sport With Refugees, un’organizzazione che ha la palestra qui vicino”.

Nello stanzone principale del Makerspace. Lesbo, Grecia (foto: Giacomo Sini) 

Intanto Omar ha appena applicato una toppa con il mastice, stende la camera d’aria su un piccolo rettangolo di legno che ha appoggiato sulle ginocchia e fissa la toppa con pochi colpi di martello. Un giovane si avvicina all’ingresso del laboratorio salutando tutti rumorosamente. Si chiama Salah*, ha circa ventanni, viene dallo Yemen, anche lui ha forato. “Se sai come ripararla ti puoi mettere qui e usare gli attrezzi che sono a disposizione” spiega Döne. “Certo!” esclama Salah un po’ spavaldo. Ma una volta smontata la ruota, non riesce a sfilare il copertone. Omar che ha appena finito di fissare la toppa solleva allora i suoi occhi azzurri e mostra con gesti semplici a Salah come disporre i cavafascioni e togliere man mano il copertone. Era facilissimo. Salah scoppia in una risata, Omar gli sorride, e continuano insieme il lavoro.

*Nomi modificati per la sicurezza delle persone incontrate

Foto di Giacomo Sini, testo di Dario Antonelli


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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