L’influenza aviaria ora, dopo gli allevamenti, mette in allarme anche gli zoo di tutto il mondo: gli scienziati temono che gli uccelli selvatici infetti, che atterrano nei recinti, possano diffondere la malattia tra gli animali in cattività. E in effetti, un numero crescente di zoo segnala la morte di animali. Negli Stati Uniti, un ghepardo, un leone di montagna, un’oca indiana e un kookaburra sono tra gli animali morti nel Wildlife World Zoo vicino a Phoenix, in Arizona, secondo quanto riportato dai media locali la scorsa settimana. Lo zoo di San Francisco ha temporaneamente chiuso le sue voliere, dopo che una poiana selvatica è stata trovata morta nel suo terreno, e in seguito è risultata positiva all’influenza aviaria altamente patogena (HPAIV). Una rara oca pettorosso è morta allo zoo Woodland Park di Seattle, causando la chiusura delle voliere e la sospensione dell’alimentazione dei pinguini per i visitatori a novembre.
Questi casi americani seguono la morte di 47 tigri, tre leoni e una pantera negli zoo del Vietnam meridionale durante l’estate. Una serie di decessi che fanno temere per la nuova ondata di aviaria: secondo i ricercatori potrebbe avere “gravi implicazioni” per le specie in via di estinzione. L’ipotesi è che i casi siano emersi negli zoo perché si tratta di aree con un’alta concentrazioni di animali, i cui recinti possono essere raggiunti facilmente da uccelli portatori del virus. Questo tende a verificarsi di più durante la stagione delle migrazioni. Negli Stati Uniti c’è una recrudescenza della malattia. Diversi Stati, tra cui Louisiana, Missouri e Kansas, hanno segnalato un aumento dei casi di influenza aviaria, in particolare tra oche e uccelli acquatici. E c’è stata un’impennata di casi in Iowa, dopo quasi un anno senza rilevamenti del virus. Nelle ultime ore le autorità sanitarie della California hanno dichiarato lo stato di emergenza per la diffusione dell’influenza aviaria, che sta devastando gli allevamenti di mucche da latte in quello Stato e causando sporadiche malattie nelle persone negli Stati Uniti. Il virus, noto anche come Tipo A H5N1, è stato rilevato per la prima volta nel bestiame da latte degli Stati Uniti a marzo.
Da allora, l’influenza aviaria è stata confermata in almeno 866 mandrie in 16 stati. Ora la preoccupazione comincia a “contagiare” anche la fauna selvatica preservata negli zoo. Come difenderla? “E’ un bel problema”, ammette Vittorio Guberti, ora professore a contratto di Epidemiologia delle malattie trasmissibili all’Università di Bologna, ma che in passato ha lavorato alla Fao come project manager per l’influenza aviaria e la peste suina africana in Europa e Centro Asia “E’ dal 2005 che stiamo rincorrendo H5N1. E’ un virus ad alta patogenicità, cioè ha una grande capacità di causare danni all’organismo infettato. E’ uno di quelli che può provocare polmoniti virali molto pesanti. E potrebbe essere all’origine della prossima pandemia tra gli esseri umani”, spiega Guberti. “Sull’H5N1 siamo completamente scoperti, non abbiamo alcuna forma di anticorpo per combatterlo. E come è successo per il Covid, potremmo metterci 2 o 3 anni ad avere una copertura: chi perché si è contagiato, chi perché ha fatto il vaccino. La buona notizia è che è molto più facile fare un vaccino per H5N1 che per il Covid”.
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19 Dicembre 2024
Ma perché c’è tanto allarme per la diffusione tra gli animali? “Il virus dell’aviaria ha la tendenza a entrare in altre specie: ha cominciato con il pollame, poi si è diffuso con gli uccelli selvatici, soprattutto anatre, e poi sempre più specie con una diffusione via via maggiore: dall’Asia all’Europa alla California. Lo hanno trovato perfino nei pinguini in Antartide. Gli uccelli lo trasmettono anche ai mammiferi, ma finora i mammiferi non lo hanno mai trasmesso. La probabilità che accada è bassissima: ma se ci sono milioni di eventi con bassa probabilità la probabilità complessiva cresce”. Insomma il timore è che il virus, colonizzando sempre più specie e soprattutto specie vicine agli umani, come il bestiame, possa in tempi non lontanissimi diventare una emergenza anche per noi.
Come mettere al sicuro i mammiferi domestici, le mucche per esempio? “E’ complicato tenere separati gli uccelli selvatici da quelli domestici e dai mammiferi”, risponde Guberti. “Più che concentrarsi su questo tipo di prevenzione, difficile da mettere in pratica, si dovrebbero predisporre piani pandemici per fermare immediatamente il contagio tra gli umani. Insomma preparare la risposta alla pandemia, magari con un piano di vaccinazione di massa, perché la prevenzione è complicata quando si ha a che fare con la fauna selvatica”.